AIB Studi, le biblioteche e la valutazione della ricerca

Partiamo da due notizie che ci riguardano da vicino e che vogliamo condividere con i nostri lettori.
La prima è che AIB Studi è stata inserita, in continuità con il Bollettino AIB, nell'elenco aggiornato delle riviste scientifiche di fascia A, elenco che l'Anvur (l'agenzia italiana di valutazione dell'università e della ricerca) ha licenziato il 18 febbraio scorso.
La seconda notizia è che il Content Selection & Advisory Board di Scopus, uno dei principali database di citazioni e abstract della letteratura scientifica internazionale, ha accolto la nostra candidatura, per cui AIB Studi sarà presto inclusa nella banca dati e regolarmente indicizzata.
Si tratta, in entrambi i casi, di riscontri di grande rilievo, che giungono a conclusione di un lungo monitoraggio e percorso valutativo e che valgono come un forte riconoscimento del prestigio e ruolo della rivista in ambito LIS.
Sappiamo, tuttavia, che le attività di classificazione, monitoraggio e valutazione delle riviste non cesseranno: le regole del gioco sono ormai queste, e noi dovremo preoccuparci di consolidare e ampliare quell'insieme di politiche e requisiti (qualità e accessibilità dei contenuti, peer review formalizzata e tracciabile, internazionalizzazione, codice etico di pubblicazione, sistema dei diritti riconosciuti agli autori e ai lettori) che sono ormai universalmente considerati come componenti strutturali, irrinunciabili, di ogni periodico che abbia finalità di studio e approfondimento.
Più in generale, ciò che in Italia si sta muovendo intorno ai criteri di valutazione della letteratura e della produzione scientifica è molto importante per la nostra intera comunità (sia nella sua componente accademica sia in quella professionale) e per il mondo delle biblioteche. Ricordiamo solo alcune tappe recenti:

Tutto questo processo ha già prodotto una discreta massa critica di dati, informazioni e documenti di rilevante interesse non soltanto bibliometrico, ma anche bibliografico e biblioteconomico, su cui varrebbe la pena riflettere e intervenire più di quanto non si sia fatto fin qui. Sono in discussione, per esempio, la possibile configurazione della suddetta base dati delle riviste italiane e la relativa creazione di un set di indicatori (di produzione, citazione, d'uso, non citazionali) per l'analisi dei dati; il rapporto tra uso degli indicatori bibliometrici e altre forme di valutazione; la corretta definizione delle tipologie documentarie e degli altri prodotti diversi dalle pubblicazioni; l'individuazione dei differenti livelli e forme di responsabilità collegati a una pubblicazione; la presenza nelle biblioteche universitarie italiane e nelle principali biblioteche universitarie internazionali quale elemento caratterizzante la scientificità di una pubblicazione, e così via. Sono tutti temi che - parallelamente allo sforzo sin qui prodotto dall'Anvur e dal CUN - interpellano in tutta evidenza alcune delle nostre competenze disciplinari e professionali.
Nel frattempo, le procedure legate alla valutazione della ricerca hanno visto anche il consolidarsi, in diversi atenei, degli archivi istituzionali che, ferme restando le problematiche legate all'accesso aperto, si trasformano sempre di più in anagrafi della ricerca (o viceversa) e sono ritenuti la soluzione ideale per alimentare periodicamente la banca dati nazionale del Cineca. E non solo: si tratta, infatti, di una scelta che può avere importanti ricadute, perché consente a) di disporre di un sistema che cataloga l'attività scientifica effettuata all'interno di un ateneo e b) di popolare una base di dati che può essere utilizzata anche per altre attività istituzionali. Un repository di questo tipo può fornire informazioni esaustive a chiunque sia interessato a conoscere gli studi specifici, i temi maggiormente trattati, i possibili sviluppi innovativi che vengono coltivati in una determinata realtà accademica. Ne consegue una maggiore visibilità della produzione scientifica complessiva; si favorisce l'interazione con altre banche dati; si incrementa la diffusione dei prodotti della ricerca; aumenta la possibilità che essi vengano anche citati da altri.

In linea di massima, l'alimentazione di un repository di questo genere è a carico dell'utente, il quale spesso si serve di altri database da cui attingere i propri dati; ai bibliotecari spetta il compito di intervenire in fase di revisione e validazione delle informazioni bibliografiche e dei metadati.
Laddove è stata praticata, questa scelta è risultata importante per il personale bibliotecario, che ha visto ampliarsi e ulteriormente diversificarsi il ventaglio delle proprie attività.
Si ha peraltro la sensazione che questa opportunità non sia stata accolta in modo particolarmente caloroso da parte dei docenti: l'inserimento dei dati è in molti casi faticoso, e l'obbligo di alimentare il repository, sebbene rientri nell'ambito di quanto previsto dall'Anvur, anche a fini di abilitazione e concorsuali, è vissuto da molti come una costrizione e non come un'opportunità. Si sconta, forse, una qualche carenza di informazione o, più probabilmente, una scarsa abitudine a questo tipo di valutazione, unita a un certo scetticismo circa la possibilità di mettere in atto sistemi davvero oggettivi, capaci di incidere su procedure ritenute non sempre impeccabili.
Resta il fatto che la costruzione di un repository istituzionale con le suddette caratteristiche rappresenta un vantaggio non di poco conto per un ateneo, anche al fine di verificare la qualità, le dimensioni, lo stato di salute della propria attività scientifica. In teoria, esso potrebbe (il condizionale è d'obbligo, a fronte di possibili torsioni dei fini) anche fornire indicazioni per sostenere alcune linee di ricerca e indirizzare in maniera più oculata i finanziamenti.

Anche su questo versante, l'impegno della CRUI, il pieno dispiegamento delle competenze biblioteconomiche, la capacità d'iniziativa dei sistemi bibliotecari di ateneo, la collaborazione tra bibliotecari e docenti possono essere decisivi.
Il problema è la sostanziale fase di stallo in cui versano le biblioteche delle università, la quale testimonia di un'insufficiente consapevolezza dei fenomeni che stanno investendo il loro ruolo: sono strutture che avrebbero bisogno di una maggiore considerazione strategica e di investimenti piuttosto che di tagli. Altrimenti, si arriverà in ritardo a comprendere la portata di un cambiamento che le riguarda, che non è meno profondo di quello prodotto dall'avvento del digitale e che esse possono vivere da protagoniste. D'altronde, se i sistemi di archiviazione, valutazione e comunicazione dei prodotti della ricerca falliranno, sarà un danno per tutti, un danno per il Paese: ci troveremo ancora costretti a rincorrere il futuro senza avere la capacità di progettarlo. È già accaduto troppe volte.