Recensioni e segnalazioni

a cura di Silvana de Capua


Bruno Arpaia - Pietro Greco. La cultura si mangia! Parma: Guanda, 2013. 174 p. (Le fenici rosse). ISBN 978-88-235-0490-5. EUR 12,00.
Walter M. Rathenau. Questo non è un libro. Salerno: Anima di gomma, 2013. 86 p.: ill. (Saggistica). ISBN 978-88-9852-402-0. E-book. EUR 1,99.

In un momento di grave crisi economica, i cui effetti condizionano pesantemente anche la sfera politica e sociale, la cultura - e la cultura del libro in particolare - può e deve giocare un ruolo strategico per lo sviluppo, anche economico, della società.
Non si tratta di una tesi molto popolare nel nostro paese, se non molto tempo fa un ministro dell'economia pronunciò l'infelice frase «Con la cultura non si mangia», alla quale seguì il taglio di un miliardo e mezzo di euro all'università e otto miliardi alla scuola di primo e secondo livello.
Purtroppo la classe dirigente italiana ci ha abituati alla sottovalutazione dell'importanza dell'istruzione e della conoscenza, e le conseguenze sono evidenti e gravi, anche nel mondo delle biblioteche, come è dimostrato dalle rassegne sullo stato dell'arte pubblicate nell'ultimo Rapporto sulle biblioteche italiane 2011-2012 (Roma: AIB, 2013), che descrivono la difficilissima situazione di ampi settori delle nostre biblioteche, talvolta ai limiti del vero e proprio tracollo.
All'opinione fin troppo diffusa per cui la cultura costituisce una spesa superflua, quasi un lusso che in un periodo di crisi può essere ridotto quando non eliminato, si contrappone con la forza di persuasione dei dati e delle statistiche il libro scritto dal critico letterario Bruno Arpaia insieme con il giornalista scientifico Pietro Greco, La cultura si mangia!, nel quale si evidenzia come con la cultura non solo si mangia, ma si mangerà sempre di più nella cosiddetta società della conoscenza, nella quale si va affermando un modello economico per cui i settori culturali e creativi assumono un ruolo sempre più importante e trainante per lo sviluppo.
Le scelte strategiche dei paesi più avanzati, infatti, sono da tempo orientate in questa direzione, ma anche alcuni paesi comunemente considerati appartenenti al Terzo mondo (come ad esempio la Cina, l'India, il Brasile e la Corea del Sud) sono oggi protagonisti di uno sviluppo straordinario, fondato sulla ricerca scientifica e sulla conoscenza, con una ricaduta significativa per quanto riguarda lo sviluppo di un'industria ad alto contenuto tecnologico e la crescita del prodotto interno lordo.
Al contrario, in Italia si investe poco in cultura e ricerca. Negli ultimi anni i finanziamenti alla cultura sono stati ridotti dal 2,1% della spesa pubblica del 2000 all'1% del 2008 e allo 0,2% nell'ultimo anno (a differenza di Francia e Germania che hanno investito rispettivamente l'1 e l'1,5%).
Ma il vero problema, secondo gli autori, è che da alcuni decenni in Italia si è affermato il modello economico dello "sviluppo senza conoscenza", che prevede la produzione di beni prevalentemente a media e bassa tecnologia, mentre si confida prevalentemente sul basso costo del lavoro e (finché era possibile) sulla periodica svalutazione della lira.

Si tratta di una situazione che oggi evidentemente non regge più. La soluzione proposta da Arpaia e Greco è quella di puntare sul modello che Umberto Eco definisce il «triangolo della cultura che si mangia», cioè sull'economia della cultura e della conoscenza, i cui vertici sono costituiti dall'industria culturale (design, artigianato, editoria ecc.), dalla formazione (scuola, università, long life learning) e dalla ricerca scientifica.
Nonostante la crisi economica e i continui tagli, l'industria culturale italiana è infatti uno dei pochi settori che tiene e in alcuni casi cresce, arrivando a esportare prodotti culturali per 28 miliardi di dollari (6,8% del mercato globale).
Più grave è la situazione del secondo vertice del triangolo, la formazione. Anche se è evidente che un'economia che si voglia fondare su una produzione industriale a sempre più valore aggiunto necessita di un capitale umano qualificato, l'Italia non investe in formazione e si trova in una situazione di grave arretratezza, soprattutto se si confronta con i paesi OCSE, in cui il 40% della popolazione giovanile ha la laurea (55% in Canada, Giappone e Russia, il 63% in Corea del Sud), mentre in Italia la percentuale scende al 20%. D'altra parte, se nei paesi OCSE la spesa per la formazione è del 6,5% del PIL (7,6% gli Stati Uniti, 7,5% Israele e Federazione Russa, 7% Danimarca e Corea del Sud, 6% Cile, Svezia, Belgio, Francia), in Italia tale spesa è del 4,5%. Non sfugge poi la relazione tra questi dati e il fatto che in Italia il tasso di disoccupazione tra i giovani dai 18 ai 25 anni supera il 42%, mentre tra i laureati è inferiore al 20%, oppure che un laureato guadagna, in media, un terzo in più di un non laureato. Per non parlare del fatto che «chi ha una laurea e una ventina di anni di studio alle spalle ha, in media, più strumenti critici per capire (e per muoversi in) questo mondo in così rapida trasformazione».
Il terzo angolo è costituito dalla ricerca, attività fondamentale per creare "nuova conoscenza" e per produrre beni ad alto valore tecnologico aggiunto. Anche qui la situazione è assai critica: l'Italia spende per la ricerca l'1,2% del PIL, meno della metà rispetto alla Germania o agli Stati Uniti, un terzo rispetto a Giappone, Corea del Sud, Svezia e Finlandia.

I nuovi protagonisti della ricerca mondiale sono oggi i paesi emergenti come l'India, il Brasile e la Corea del Sud e la Cina, la quale investe in ricerca e sviluppo l'1,6% del PIL, con un incremento della spesa che cresce tra il 20 e il 25% ogni anno. «La verità - scrivono Arpaia e Greco - è che la "nuova globalizzazione" si è già trasformata nella "nuova globalizzazione della conoscenza". E che fette sempre più grandi di quel 30 per cento (e più) del Pil mondiale fondato sui saperi che si trasformano in beni e servizi hi-tech appartengono a quello che una volta chiamavamo Terzo Mondo e che ora si propone come il motore dinamico dell'innovazione».
Occorre quindi aumentare significativamente gli investimenti e creare un contesto che sia "complessivamente creativo", affinché la cultura e la ricerca producano effettivamente sviluppo economico. Per fare tutto questo, concludono gli autori, occorre un forte intervento dello Stato nell'economia, soprattutto per quello che riguarda la cultura, che deve imprimere un radicale cambiamento nella specializzazione produttiva del paese per affermare un modello economico che veda nell'industria ad alta tecnologia il volano dello sviluppo.

Con la cultura e con la ricerca, quindi, si può e si deve "mangiare", garantendo in questo modo lo sviluppo economico e sociale del nostro paese. In questo contesto, un ruolo fondamentale lo ha la cultura del libro che, con la sua specificità, favorisce la creazione di un pensiero critico e innovativo e di una cultura basata sull'approfondimento e sulla conoscenza.
Questa è la tesi centrale del libro di Walter M. Rathenau, pseudonimo con cui Michele Rosco, un non bibliotecario ben conosciuto nel mondo delle biblioteche per le sue acute riflessioni sulla comunicazione e il marketing della biblioteca, ha firmato il suo Questo non è un libro.

Siamo però consapevoli, afferma Rathenau/Rosco, che nella società contemporanea la cultura - e la cultura del libro in particolare - ha perso la sua centralità e il processo di attribuzione di senso passa invece da una parte attraverso i mezzi di comunicazione di massa, che però tendono a semplificare e "spettacolarizzare" la realtà, dall'altra attraverso l'enorme massa di informazioni e dati offerti dalla rete, troppo spesso in assenza di uno sforzo interpretativo e di un contesto valoriale di riferimento, e dei quali non è quasi mai possibile verificare la fonte o conoscere gli algoritmi che ne determinano l'ordinamento di presentazione da parte dei motori di ricerca.
Il rischio che i difensori della cultura del libro si chiudano in uno sdegnoso riserbo è forte; è indispensabile invece accettare la sfida proposta dalla società contemporanea, rivitalizzando la cultura del libro, l'unica che garantisca la capacità di produrre pensiero critico, identità sociale ma anche innovazione, elementi strategici per ogni economia competitiva.
Per fare ciò è necessario realizzare un buon marketing della conoscenza, in grado di comunicare il libro in modo originale e innovativo: «la comunicazione breve, emotiva, "stupida", semplificata della pubblicità dei mass media non è adatta a un bene complesso come la cultura, che necessita di un marketing lento, che miri a costruire relazioni di lungo periodo, che si rivolge all'emotività ma anche all'intelligenza del destinatario».
Occorre quindi costruire un progetto complesso, così come è complessa la cultura del libro che si intende promuovere, in grado di superare il muro della disattenzione provocato dalla quantità di informazioni disponibili. È necessario accettare la sfida della cultura di massa e dei suoi linguaggi, delle commistioni e delle contaminazioni, per fare della cultura un'esperienza più gradevole e gratificante, che avvicini in modo piacevole alla conoscenza attraverso elementi sia razionali che emotivi e magari anche attraverso un coinvolgimento pratico nei momenti di produzione artistica. «Dobbiamo - conclude Rathenau/Rosco - essere conservatori e rivoluzionari, conservatori nella difesa della ragione illuminista, che porta libertà e democrazia, e rivoluzionari nella concezione della cultura e del libro, che devono confrontarsi con il mondo della televisione e di Internet».

Vittorio Ponzani
Biblioteca dell'Istituto superiore di sanità, Roma


Barbara Allan. The no-nonsense guide to training in Libraries. London: Facet Publishing, 2013. 212 p. ISBN 9781856048286. £49,95 (CILIP members £39,96).

Lo scopo dichiarato del libro di Barbara Allan, dean della Westminster Business School, opportunamanete intitolato The No-nonsense Guide to Training in Libraries, è quello di permettere alle biblioteche e a tutti coloro che lavorano nei servizi di informazione agli utenti, di sviluppare e organizzare eccellenti corsi di formazione.
Come è noto, negli ultimi tempi e sempre più spesso, alle biblioteche e al loro personale viene chiesto di fare sempre di più ma con sempre meno risorse a disposizione (fondi per l'acquisto di materiale, strutture, attrezzature, personale). Tra le altre cose, nell'ambito dell'istruzione superiore ad esempio, al personale viene chiesto di formare e gestire gruppi estremamente numerosi ed eterogenei di studenti, in tempi in cui, inoltre, non è plausibile non considerare l'aumento e la diffusione di strumenti di social networking e altre tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che hanno fatto sì che le stesse pratiche di formazione siano in continua evoluzione proprio per venire incontro alle esigenze e alle aspettative dei partecipanti.
Tema centrale attorno a cui ruota tutto il libro è quello per cui, al fine di avere maggiore impatto sui propri utenti, il personale della biblioteca deve essere ben addestrato e costantemente aggiornato.

Il volume si presenta quindi come una guida semplice, accessibile e pratica per le biblioteche e per la preparazione di tutti coloro che lavorano nei settori coinvolti nella formazione degli utenti, dei colleghi o di altri gruppi, ed è strutturato come manuale d'uso non solo per formatori esperti, ma anche per tutti coloro che sono all'inizio di un percorso di formazione e desiderano migliorare le proprie capacità e performance lavorative.
La struttura della guida è molto lineare e comprensibile.
Dopo una breve introduzione al primo capitolo e al libro stesso (una sorta di guida nella guida), l'autrice affronta il tema della formazione, considerandone i benefici per la biblioteca e per gli utenti, nonché gli aspetti legali e finanziari.
Il libro si sviluppa poi in due parti. La prima è dedicata agli aspetti pratici della formazione quali, ad esempio, la pianificazione, l'organizzazione, la realizzazione mediante l'utilizzo di differenti approcci (lezioni frontali, lavori di gruppo, ricerche e questionari, caccia al tesoro) e tecnologie (presentazioni, video, strumenti di social networking, video, webinars).
La seconda è invece dedicata alla formazione sul posto di lavoro, ovverosia a quanto si possa comunque continuare ad apprendere dalle quotidiane pratiche lavorative. Per sviluppare questa seconda parte, Allan offre più di novanta differenti esempi e metodologie per la formazione e la crescita sul posto di lavoro, tra i quali l'utilizzo di formule come l'action planning, i focus group, la formazione a cascata, l'analisi delle crisi e degli errori, senza dimenticare le risorse tecnologiche e l'uso di mail o di wiki o, ancora, di twitter.
Ogni capitolo è costruito con una struttura che si ripete: dopo una breve introduzione ai temi affrontati nel capitolo stesso, vengono analizzate le diverse metodologie, supportate da esempi pratici, tabelle esplicative, casi di studio e suggerimenti per i formatori. I capitoli si concludono poi con un breve riassunto dei principali temi presi in esame e un elenco di riferimenti bibliografici e risorse aggiuntive per chi volesse approfondire l'uno o l'altro degli argomenti.
In conclusione, è opportuno ancora una volta sottolineare l'utilità di questo volume non solo per chi già da anni si occupa di formazione, ma anche per coloro che vogliono cimentarsi in questo campo o che, semplicemente, vogliono rivedere e migliorare pratiche adottate e consolidate per perfezionare i servizi offerti dalla propria biblioteca e dal personale.


Elisa Minardi
Biblioteca di Giurisprudenza, Università di Parma


Se former à l'accueil: ethique et pratique, sous la direction de Marielle de Miribel. Paris: Editions du Cercle de la Librairie, 2012. 350 p. (Bibliothèques). ISBN 978-2-7654-1364-6. EUR 42,00.

Se former à l'accueil si può considerare innanzitutto come una guida per progettare la formazione dello staff di un servizio di accoglienza in Biblioteca. Gli autori (bibliotecari, bibliotecari formatori, sociologi e filosofi) forniscono infatti metodi, esempi, casi concreti, schede tecniche per costruire un progetto formativo rigoroso, in tutte le sue fasi. I 22 capitoli di cui il libro si compone sono divisi in tre parti che corrispondono alle attività preliminari all'intervento formativo (analisi del contesto, definizione degli obiettivi), alle sue modalità di svolgimento e infine al processo di valutazione finale (immediatamente, con questionari e interviste; a freddo, dopo la conclusione dell'esperienza, per considerarne la riuscita e l'impatto sull'organizzazione della Biblioteca nel suo insieme). Ogni capitolo ha inoltre una buona bibliografia di riferimento, recente e stimolante (es.: http://www.bibliopedia.fr/index.php/Accueil).
Ma il libro si può leggere anche senza rispettare l'ordine dato dagli autori, ricomponendo i saggi attorno ai tre temi che ne costituiscono il vero contenuto: l'accoglienza in Biblioteca e il suo valore strategico; la Biblioteca oggi, i suoi pubblici, le sue risorse; la complessità del progetto formativo, i rischi del fallimento, la portata del successo.
La centralità del servizio di accoglienza delle Biblioteche è stata spesso sottovalutata sia nel contesto della pubblica lettura, sia in quello delle Biblioteche universitarie. L'attività di accoglienza è complessa, si svolge su più piani, a volte viene gestita da persone con professionalità differenti e culture eterogenee. Accogliere significa 'saper fare' molte e differenti cose: gestire il primo contatto, comprendere e analizzare le richieste, gestire i diversi flussi, far rispettare i divieti e le regole, gestire situazioni di crisi e di conflitto, riconoscere e risolvere i problemi di persone con disabilità. L'accoglienza è dunque soprattutto relazione tra lettori e addetti ai servizi al pubblico. Tuttavia non è possibile creare una cultura e un'organizzazione dell'accoglienza limitata a questi servizi. Per gli autori del libro qualsiasi intervento formativo in questo delicato settore coinvolge inevitabilmente la Biblioteca nel suo complesso, dal management ai servizi più tecnici. I principi e i metodi adottati dall'accoglienza devono essere condivisi da tutti i bibliotecari e promossi con interventi molto determinati dalla Direzione.

Non a caso alcuni interventi formativi si sono tradotti non solo nella creazione di una guida del lettore, ma anche nella definizione di un manuale delle procedure interne. L'accoglienza è il punto in cui la Biblioteca si mostra, si rende pubblica, può valorizzare le proprie risorse documentarie. È il suo vantaggio competitivo su Google.
È evidente, da queste considerazioni riprese da vari punti del libro, che gli autori sottolineano la dimensione comunicativa e di mediazione delle Biblioteche. Molta attenzione viene quindi riservata alle condizioni materiali in cui l'accoglienza viene offerta: gli spazi, le postazioni di lavoro, la segnaletica, gli orari, la reperibilità del personale. La qualità delle collezioni e della loro gestione rischia di non essere visibile se l'accoglienza dei lettori viene trascurata o affidata alle iniziative personali degli addetti, con la modalità che gli autori definiscono SBAM (sorriso-buongiorno-arrivederci e grazie) come unico strumento.
Il miglioramento, la riorganizzazione di un servizio, ma soprattutto la costruzione di una cultura condivisa dell'accoglienza richiede un intervento formativo molto impegnativo, in termini di risorse e di tempo investito. Il lavoro di formatore appare nel libro in tutta la sua complessità. Interi capitoli ne descrivono le premesse teoriche, ne analizzano le possibili dinamiche, ne esplorano le caratteristiche. L'aspetto che più colpisce è la possibilità di non avviare un intervento formativo se l'analisi preliminare del contesto ha avuto un risultato non soddisfacente. A volte la formazione può avere un esito controproducente, un impatto negativo su tutta l'organizzazione. La formazione libera infatti energie positive nelle persone coinvolte, suscita aspettative, crea, in un ambiente protetto e dedicato, la fiducia in se stessi necessaria per affrontare nuove responsabilità. Se il contesto (management, condizioni materiali) non è pronto a raccoglierle e capitalizzarle, rischiano di tradursi in una forza negativa e autodistruttiva.

Anna Vaglio
Biblioteca Bocconi, Milano


Carlo Piancastelli. Pronostici ed almanacchi: studio di bibliografia romagnola, a cura di Lorenzo Baldacchini. Bologna: Il Mulino, 2013. 180 p.: 12 tav.: ill. ISBN 978-88-15-24757-5. EUR 17,50

Carlo Piancastelli è stata una figura di rilievo per gli studi bibliografici romagnoli. Bibliofilo appassionato, originario di Fusignano, raccolse a partire dai primi del Novecento una collezione di documenti tale che ancora adesso essa è una, se non "la", fonte imprescindibile per coloro che vogliono studiare la storia della Romagna, terra in cui Piancastelli era nato e amministrava i suoi vasti possedimenti. Pur non essendo un ricercatore per professione, a lui si deve questo studio sui Pronostici e almanacchi che vanta ancora adesso, a cento anni esatti dalla sua prima edizione, molti elementi di qualità.
Utile è dunque questa nuova edizione curata da Lorenzo Baldacchini, con un'introduzione di Elide Casali, che ha anche il merito di tener conto delle numerose glosse, aggiunte e correzioni che Piancastelli aveva operato sul libro in vista di una seconda edizione, mai pubblicata. La copia postillata è conservata, così come il manoscritto originale usato per la prima edizione, presso la biblioteca A. Saffi di Forlì nelle Raccolte Piancastelli, un archivio di migliaia di documenti, incisioni, disegni, ceramiche e oggettistica varia, oltre ad una biblioteca di 53.000 volumi che lo studioso stesso donò alla biblioteca prima della morte nel 1938.

L'intento del saggio di Piancastelli è quello di restituire attraverso un vero e proprio "scavo bibliografico" l'evoluzione e la stratificazione che questi due generi editoriali, gli almanacchi e i pronostici, hanno subito nei secoli, a partire da prima dell'invenzione della stampa fino alla fine dell'Ottocento e anche ai giorni nostri, se consideriamo il cosiddetto Lunêri di Smémbar, un calendario, composto da un unico grande foglio, da appendere al muro, al quale lo studioso dedica l'ultimo capitolo del suo studio. Il lavoro si inserisce d'altronde in una stagione feconda per lo studio della letteratura popolare: ricordiamo le ricerche di Francesco Novati e Pio Rajna così come la Bibliografia delle stampe popolari italiane della R. Biblioteca Nazionale di S. Marco a Venezia, uscita proprio nel 1913, a cura di Arnaldo Segarizzi, parte di un progetto di censimento a livello nazionale delle stampe popolari, poi non proseguito oltre.
Piancastelli sottolinea quanto queste tipologie di testi siano disdegnate dagli studiosi poiché spesso prive di qualsiasi valore artistico, povere nello stile e nella qualità e dunque quanto la sua ricerca bibliografica abbia caratteristiche di valorizzazione e conservazione, per usare termini odierni.
Come scrive Elide Casali nella presentazione, il bibliofilo di Fusignano non si limita a redigere un elenco di autori, stampatori e titoli, lista che già di per sé potrebbe avere il suo valore ancora oggi, nonostante qualche lacuna segnalata giustamente da Baldacchini, ma contestualizza i testi e li collega agli eventi storici, politici e culturali avvenuti quando tali scritti sono stati creati.

Numerosi studiosi e storici come Piero Camporesi e Ottavia Niccoli, solo per citarne due e restare in Italia, hanno sottolineato il forte legame fra gli elementi del prodigioso e del mostruoso nella letteratura "ad un soldo" o, per usare un'espressione francese, di colportage, e le vicende della Riforma e della Controriforma.
Nel corso dei secoli, e soprattutto a partire dal Settecento, come ha avuto modo di sostenere anche Lodovica Braida, l'almanacco subì alcuni cambiamenti, assumendo caratteristiche nuove: al libretto utile per far "ordine tra le umane faccende" si affiancarono una pluralità di formule destinate a fasce di lettori socialmente differenziate, con interessi, preparazione culturale e aspettative molto diverse tra loro.
Piancastelli dedica varie pagine agli almanacchi ottocenteschi, soffermandosi anche sui problemi censori che alcuni di essi, giudicati dalle autorità eccessivamente reazionari e dunque incendiari al pari di quelli liberali, dovettero affrontare nel periodo della Restaurazione. Chiudono il saggio due capitoli, uno dedicato agli almanacchi in dialetto e l'altro al già citato Lunario degli Smembri, vale a dire degli spiantati, che iniziò le stampe nel 1845 ed è giunto fino a noi.
Un'operazione meritoria, dunque, quella condotta da Baldacchini per ricordare l'opera del collezionista romagnolo e stimolare interesse per un campo di studi, quello sulla letteratura di colportage, che in Italia può ancora essere indagato in profondità.

Sara Mori
Università di Macerata


Désherber en bibliothèque: manuel pratique de révision des collections, sous la direction de Françoise Gaudet et Claudine Lieber; préface de Michel Melot. Paris: Cercle de la librairie, 2013. 160 p.: ill. ISBN 978-2-7654-1381-3. EUR 35,00.

Questo manuale francese dedicato alla revisione delle collezioni è arrivato alla sua terza edizione. Rispetto alle precedenti, del 1996 e del 1999, la nuova edizione risponde a dei bisogni differenti determinati dalla rapida evoluzione delle tecniche e delle pratiche bibliotecarie e da un quadro normativo profondamente modificato. Come tale, la nuova edizione, applicando gli stessi principi in essa esposti, propone lo scarto delle precedenti.
Il libro fa il punto su una attività della biblioteca ormai divenuta pratica corrente, ma che è stata quasi sempre condotta, se non di nascosto, almeno con notevole discrezione, visto il valore sacrale spesso attribuito al libro. Eppure, ricordano gli autori, secondo i principi dell'Illuminismo, una buona biblioteca è soprattutto una biblioteca con una collezione ben selezionata piuttosto che ben fornita. D'altro canto, scartare non equivale necessariamente a distruggere, ma significa, là dove è possibile, redistribuire i documenti verso altri centri deputati alla loro conservazione permanente.
La revisione delle collezioni è quindi una attività necessaria condotta da sempre dalle biblioteche e legata alla duplice deperibilità del documento, fisica e intellettuale. Il tema, tuttavia, non emerge ufficialmente nella letteratura professionale che all'inizio del XX secolo negli Stati Uniti. Dal punto di vista pratico, la necessità dello scarto è avvertita soprattutto nelle grandi biblioteche universitarie americane, dove emerge rapidamente la necessità di conservare i documenti raramente utilizzati in locali separati e meno costosi. Di qui, a livello pratico, la costruzione, soprattutto negli Stati Uniti, in Inghilterra e nei paesi scandinavi di biblioteche di deposito, ma anche, a livello teorico, lo sviluppo dell'idea che lo scarto arricchisce una collezione bibliotecaria invece di impoverirla contribuendo a un migliore soddisfacimento dei bisogni dei lettori.

Utilizzando lo stesso metodo adottato nelle precedenti edizioni, il manuale è basato tanto su un'analisi della letteratura professionale quanto su una serie di interviste sul campo. Riflessione teorica e attività pratica determinano una immagine complessiva della revisione delle collezioni forse incerta, ma sicuramente dinamica. Non potrebbe essere diversamente in un periodo di transizione in cui bisogna trovare un giusto equilibro fra l'evoluzione del digitale e la continuazione di una offerta tradizionale, fra la preservazione delle collezioni patrimoniali e l'acquisizione del patrimonio di domani. La direzione è quindi verso lo sviluppo di fondi eterogenei che richiedono lo sviluppo di nuove competenze in un contesto, viene sottolineato, caratterizzato dalla riduzione tanto delle risorse finanziarie quanto del personale.
A proposito dei documenti in formato elettronico, gli autori rilevano che la digitalizzazione, vale a dire la riproduzione del contenuto, non deve essere un motivo per uno scarto radicale, per l'eliminazione dei documenti sul loro supporto originale, vista anche l'incertezza sulla possibilità di conservare sul lungo periodo il formato elettronico. La preservazione della cultura materiale impone la conservazione dei documenti. È proprio su questo terreno che bibliotecari e biblioteche, superati dalla Rete nell'accesso rapido all'informazione, trovano uno dei loro principali obiettivi.
Per quanto riguarda i documenti nativi elettronici, nella maggior parte dei casi, gli acquisti sono basati su pacchetti predefiniti dagli editori. Questo rende difficile e più vincolata la scelta sia nella fase di acquisto, sia nella fase di scarto. Nelle precedenti edizioni, gli autori avevano insistito sulla necessità di saldare la politica di revisione delle raccolte con la politica di acquisizione. Con lo sviluppo dell'editoria elettronica e l'offerta di pacchetti, mantenere questo legame diviene più difficile e più ridotto appare il margine di manovra dei bibliotecari.
È bene però precisare che il principio di base della revisione delle raccolte, vale a dire la proposta di collezioni aggiornate, attrattive e costantemente adeguate ai bisogni delle comunità servite rimane immutato nel tempo e interessa tutti i documenti a prescindere dai supporti utilizzati. Lo sviluppo dell'editoria elettronica, da un lato, non può essere considerato come la soluzione miracolo; dall'altro lato, tale sviluppo interessa soprattutto alcune biblioteche, principalmente quelle universitarie, e tocca in maniera non uniforme le diverse discipline.
Nei suoi caratteri generali, il manuale si presenta come una guida pratica di pronto utilizzo che mira a definire una razionale procedura di revisione delle raccolte o, meglio, a suggerirne i principi di base visto che non esiste un metodo ideale o universale. Spetta a ciascuna biblioteca declinare tali principi in una politica di revisione delle raccolte in funzione della propria missione, delle esigenze del proprio pubblico, della natura delle proprie collezioni e di eventuali specifici obblighi legali. Le biblioteche, inoltre, raggruppate per aree geografiche o per tipologia di collezione dovranno, quando è possibile, sviluppare dei piani coordinati di revisione delle raccolte.

In dieci distinte 'lezioni', gli autori descrivono le tappe fondamentali che devono essere seguite. Le varie tappe, tuttavia, possono essere ricondotte a due principi basilari. Da un lato la definizione dei criteri dello scarto (criteri materiali, intellettuali, di ridondanza e d'uso) che devono armonizzarsi con la politica di sviluppo delle collezioni. Dall'altro lato, la creazione di un'organizzazione interna che garantisca il flusso dei documenti secondo un andamento circolare in grado di dar luogo a nuove acquisizioni. In altre parole, lo scarto non è una semplice successione meccanica di operazioni, ma un vero e proprio progetto da sviluppare secondo tempi e modi stabiliti, adeguatamente documentato, chiaramente comunicato e infine criticamente misurato e valutato.
I vari capitoli, in cui è divisa l'opera, sono dedicati ai differenti aspetti e variabili della revisione delle raccolte. Il terzo capitolo si concentra sui differenti tipi di documenti, nell'ordine: risorse elettroniche, periodici, monografie, documenti sonori e audiovisivi e infine, categoria a se stante, i doni. Anche se la natura ibrida dei documenti è sempre più evidente, ragionare per categorie documentarie risulta ancora utile, ma resta indispensabile definire una politica documentaria globale, comune a tutti i supporti.
Gli altri capitoli trattano le attività che si rendono necessarie dopo la scelta dei documenti, le varie destinazioni dei documenti selezionati (restauro, stoccaggio in altri locali, scambio, dono, vendita o semplice distruzione) e il quadro normativo che disciplina l'attività di scarto. Quest'ultimo aspetto tiene conto esclusivamente della situazione francese ed è, per questo motivo, meno rilevante per un pubblico di lettori che, interessato da un altro contesto giuridico, potrà tuttavia comprenderne la complessità. Per finire, il manuale si chiude con un capitolo dedicato interamente alla letteratura per ragazzi, settore estremamente dinamico e in continua evoluzione. Alle collezioni destinate ai ragazzi, per quanto riguarda la revisione delle raccolte, si applicheranno le stesse regole e gli stessi principi adottati per i fondi per gli adulti, ma con una intensità e frequenza maggiore.

Sergio Butelli
Biblioteca centrale della Commissione europea, Bruxelles


Alison Jane Pickard. Research methods in information. Second edition. London: Facet, 2013. 352 p. ISBN 978-1-85604-813-2. £49,95 (CLIP members £39,96).

Dopo il grande successo della prima edizione del 2007, torna in forma rivista, aggiornata e (parzialmente) corretta il volume di Alison J. Pickard sui metodi di ricerca in biblioteconomia e scienze dell'informazione, con l'aggiunta di contributi di Sue Childs, Elizabeth Lomas e Julie McLeod, autrici di un capitolo sul Data Research Management e di Andrew K. Shenton, autore di un capitolo sull'analisi di documentazione preesistente ad un progetto di ricerca.
Nella prefazione alla seconda edizione Pickard informa i lettori che tali contributi costituiscono un notevole arricchimento al suo libro, aggiornato sulla base dei numerosi commenti pervenuti da colleghi di tutto il mondo. L'Autrice rivela l'iniziale suo timore nel leggere le recensioni al suo libro, uscito in prima edizione nel 2007. Viste le insistenze di un amico e collega, decise infine di rompere gli indugi e lesse la recensione del suo Research methods in information redatta da E. Maceviciute per «Information Research». La recensione aveva toni talmente entusiastici che l'Autrice si ripromise di non leggerne altre, un po' perché non se le aspettava, un po' perché non credeva di aver scritto un lavoro particolarmente importante. Invece non fu così: molte altre recensioni, infatti, seguirono. Il suo libro sui metodi di ricerca non è certo l'unico in circolazione, né forse il migliore (contiene ancora, peraltro, dei refusi), ma ha il pregio di rivolgersi in modo accattivante a chi inizia ad affrontare un percorso di ricerca sia per motivi di studio che in ambito lavorativo, ed è questo taglio specifico che ne ha decretato il successo fin da subito.
È ai professionisti dell'informazione che l'Autrice si rivolge infatti, tenendo in considerazione che, due anni dopo la pubblicazione della prima edizione, è stata fondata in Gran Bretagna la Library and Information Science Research Coalition, un progetto triennale che aveva la finalità di rendere possibile lo scambio di informazioni su progetti di ricerca e risultati della ricerca in ambito biblioteconomico e delle scienze dell'informazione, incoraggiare il dialogo fra le istituzioni che finanziano la ricerca, creare un approccio strategico alla ricerca e infine promuovere lo sviluppo della ricerca in questo settore. Questa iniziativa ha sottolineato l'importanza dei metodi di ricerca per la comunità bibliotecaria e la necessità di continuare a sviluppare l'eccellenza nella ricerca sulla professione. Ma non solo. Oltre agli aspetti eminentemente pratici che possono essere indagati dalla ricerca, nel settore si percepiva il bisogno di aumentare il bagaglio di conoscenze specifiche per la professione e di continuare ad impegnarsi in un percorso di autovalutazione, che permette ai bibliotecari di crescere. Non si tratta per Pickard di un aspetto secondario, neppure quando i professionisti dell'informazione si trovano in posizioni lavorative nelle quali è difficile avere la possibilità di fare ricerca in prima persona: indubbiamente, dovranno comunque conoscere i risultati delle ricerche altrui, essere in grado di valutarli, di apprezzarli, e di capire in quali casi tali risultati possono essere importanti per la propria biblioteca e comunità di riferimento. Conoscere e saper valutare ricerche altrui permette di poter fare comparazioni, pianificare servizi, svilupparli e migliorarli in modo strategico ed efficace, dimostrare il proprio valore agli stakeholder, riuscire a promuovere l'istituzione, fare un'analisi dei comportamenti informativi dell'utenza, e tanto altro.

Come nella precedente edizione, il volume si apre con la presentazione delle fasi della ricerca - un aspetto molto spesso trascurato, ma essenziale per capire che esistono dei livelli gerarchici nello sviluppo di un progetto di ricerca - esplicandone le funzioni: metodologia, metodi, tecniche, strumenti. Successivamente, al lettore viene fornito un abstract esteso delle cinque parti nelle quali è suddiviso il testo.
Nella prima parte l'Autrice si occupa della fase iniziale della ricerca, nella quale si deve trovare risposta a domande molto generali, al di là della scelta metodologica, di metodo, di tecniche o strumenti utilizzati per l'indagine. Si tratta di una brevissima introduzione ai tre maggiori paradigmi della ricerca nelle scienze dell'informazione (positivismo, post-positivismo, interpretivismo), nessuno dei quali è veramente predominante allo stato attuale. Vengono esaminate le metodologie quantitative e qualitative, mostrando i criteri specifici per valutare il rigore della ricerca quantitativa e l'affidabilità della ricerca qualitativa, cosa spesso trascurata o confusamente descritta in altri testi. Fra l'altro, si fa cenno in questa edizione anche ai mixed methods, ovvero alla possibilità di effettuare una ricerca con un mix di metodi qualitativi e quantitativi, sottolineando le difficoltà che tale scelta comporta. In questa stessa sezione si tratta di analisi della letteratura, definizione dell'ambito della ricerca, campionamento, preparazione della proposta di ricerca e, infine, di Research Data Management (gestione dei dati della ricerca), grazie al nuovo capitolo scritto, come già detto, da Julie McLeod, Sue Childs ed Elizabeth Lomas, che hanno lavorato al progetto DATUM: Research Data Management finanziato dal JISC. Un altro aspetto discusso a questo livello è l'etica della ricerca, che sarà oggetto di discussione ulteriore in una sezione successiva, nella quale si introduce il concetto di 'netnography' ('etnografia virtuale').
Alla fine di ogni capitolo (di questa come delle sezioni successive), oltre a varie letture consigliate, sono elencati alcuni esercizi pratici, proposti per assimilare meglio i concetti illustrati nel testo e dimostrare che le attività sono alla portata di tutti: Pickard spiega i trucchi del fare ricerca, insistendo sul fatto che si tratta soltanto di lavorare sodo e, una volta iniziato il percorso, si corre anche il rischio di divertirsi.

La seconda parte illustra i metodi di ricerca e la varietà di approcci ai quali ci si può riferire per iniziare una ricerca. Ogni capitolo della sezione descrive un metodo di ricerca specifico e fornisce esempi sul tipo di domande alle quali il metodo può essere applicato e istruzioni su come progettare le fasi di ricerca. I metodi presi in esame sono: studi di caso, indagini, ricerca sperimentale, etnografia, il metodo Delphi, la ricerca-azione, la ricerca storica, la Grounded Theory e - novità rispetto all'edizione precedente - i test di usabilità. Il capitolo dedicato all'usabilità era precedentemente collocato infatti nella sezione sulle tecniche di raccolta dei dati e rispetto al 2007 è stato ampliato, come del resto il capitolo sull'etnografia, che include un nuovo metodo emergente, la 'netnography' o 'etnografia virtuale', per lo studio delle comunità virtuali.
Nella terza parte vengono trattate le tecniche di raccolta dei dati essenzialmente legate alla ricerca effettuata su persone e in minor parte su sistemi e documenti. In ogni capitolo sono stati integrati suggerimenti per la ricerca virtuale, anche se quest'ultima, essendo molto giovane, resta un campo aperto a qualsiasi esplorazione e l'Autrice invita a operare tutti gli adattamenti necessari. In questa sezione è stato incluso il nuovo capitolo scritto da Andrew K. Shenton sull'utilizzo di dati preesistenti alla ricerca.
La penultima sezione comprende una serie di capitoli sull'analisi quantitativa e qualitativa dei dati e sulla presentazione della ricerca. L'Autrice raccomanda continuamente, lungo tutto il testo, di leggere molta letteratura sulla metodologia e sui metodi scelti per il proprio percorso di ricerca, e qui si ripete in modo ancor più insistente, essendo consapevole e volendo rendere consapevoli i lettori che il suo manuale è un'introduzione a tutto campo sì, ma solamente un'introduzione, ai metodi di ricerca. Per questo motivo, in questo manuale non si trovano le procedure da applicare per analizzare i dati quantitativi o qualitativi - esistono volumi che ne parlano diffusamente - ma invece argomentazioni e suggerimenti su come applicare le procedure in modo appropriato ai dati raccolti e sui software a disposizione per facilitare l'analisi. Pickard invita caldamente ad esercitarsi su dati fittizi prima di analizzare dati reali. Una volta raccolti e analizzati i dati, resta da affrontare una delle fasi più sottovalutate ma più impegnative: la presentazione dei risultati della ricerca.
L'ultima parte coincide con un glossario e riferimenti bibliografici, anch'essi aggiornati rispetto all'edizione precedente, soprattutto per quanto riguarda la prima parte (nei capitoli 1-4 si registra un numero doppio di letture consigliate rispetto all'edizione del 2007). Nello specifico, una particolare attenzione è stata posta alla segnalazione di pubblicazioni che trattano di ricerca qualitativa e di metodi di ricerca quali-quantitativi edite negli ultimi tre anni, selezionate sulla base dell'interesse che possono suscitare per i bibliotecari e i professionisti dell'informazione.

Elena Corradini
Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
[errata corrige: la corretta affiliazione di Elena Corradini è: Biblioteca comunale di Ala (Sistema bibliotecario trentino). La direzione di AIB studi si scusa con gli autori, e con i lettori, per qualunque inconveniente l'errore possa aver causato]


Maria Iolanda Palazzolo - Sara Mori - Giorgio Bacci. Edoardo Perino: un editore popolare nella Roma umbertina. Milano: FrancoAngeli, 2012. 151 p. (Studi e ricerche di storia dell'editoria; 57). ISBN 978-88-204-0002-6. EUR 20,00.

Il tema dell'editoria italiana è stato da sempre un campo di ricerca per studiosi districatisi fra documenti d'archivio alla scoperta di uomini che hanno fatto del libro il loro lavoro e il loro successo. Nel caso di Edoardo Perino, purtroppo, l'archivio privato non esiste più. Grazie a stretti collaboratori dell'editore, che hanno lasciato testimonianze scritte, possiamo tuttavia ricostruire l'attività editoriale di Perino e conoscere le sue edizioni, conservate in numerose biblioteche. Maria Iolanda Palazzolo, Sara Mori e Giorgio Bocci, i tre autori del volume Edoardo Perino: un editore popolare nella Roma umbertina, sono stati in grado di far rivivere la figura di questo editore italiano (il 'Sonzogno romano', come sarà definito dai colleghi), tracciando con dovizia di particolari un quadro ben definito dell'editoria a Roma alla nascita dell'Italia unita. Il volume, di lettura piacevole e scorrevole, racchiude in circa 150 pagine la storia dell'editoria romana prima e durante l'entrata in scena di Edoardo Perino. Esso è diviso in tre parti, corrispondenti ad altrettanti capitoli, curati singolarmente dai tre autori. Il primo contributo è di Maria Iolanda Palazzolo, la quale traccia brevemente un quadro dell'editoria romana nei secoli scorsi fino all'Ottocento. La studiosa elenca, in un veloce excursus storico, le note e meno note stamperie e tipografie operanti a Roma nel periodo preunitario. L'editoria, come si può facilmente intuire, era nelle mani della Curia romana, che inseriva nelle sue tipografie personaggi in grado di poter contribuire fattivamente al suo sviluppo. Maria Iolanda Palazzolo, alla fine del suo contributo, cita dalle pagine della «Nuova Antologia» un durissimo giudizio di Domenico Gnoli sul mercato librario pontificio, inondato da libri di scarso valore e che non avevano alcuna fortuna al di fuori dei confini italiani. Partendo da questa citazione, la Palazzolo introduce la figura di Perino, che nel dicembre del 1870 (qualche mese dopo la breccia di Porta Pia) si precipita insieme ad altri imprenditori a Roma per poter conquistare ampi spazi di mercato. Edoardo, piccolo tipografo piemontese, parte alla volta della capitale per intraprendere un progetto di più grande respiro e, grazie al suo fiuto per gli affari, riuscirà a competere con le più grandi aziende italiane.

Dopo aver contestualizzato Perino nella realtà romana, Sara Mori focalizza la sua lunga ricostruzione sulla figura e sulla storia aziendale dell'editore piemontese. Quando si trasferisce a Roma, Perino inizia la sua attività di tipografo, aprendo un chiosco di giornali nei pressi di Piazza Colonna. Da qui, in breve tempo, Perino acquista fama nel panorama editoriale capitolino, pubblicando periodici a basso costo, giornali per bambini, piccole dispense di romanzi storici e soprattutto collane scandalistiche. Dalla descrizione che ne dà Mori emerge un Perino con grandi doti imprenditoriali, ma anche vittima di vicende giudiziarie, derivanti dallo scarso rispetto che ebbe del diritto d'autore e dall'uso spregiudicato delle illustrazioni. Alla sua morte sarà il figlio Antonio a prendere le redini dell'azienda, ma con scarso successo. Infatti, anche se egli costituirà una società insieme alla madre e alle zie (Casa editrice tipografica Edoardo Perino), l'azienda resterà debitrice verso molti fornitori: presto si dichiarerà il fallimento. Sara Mori completa il suo contributo descrivendo il catalogo delle edizioni Perino, che spaziano dalla narrativa alla saggistica e includono molte testate di periodici.
Il contributo di Giorgio Bacci, infine, prende in esame le volutamente provocatorie illustrazioni "periniane", inserendo un utile apparato iconografico a corredo del testo.

Marcello Proietto
Università degli Studi di Catania


Adriana Paolini. Per libri e scritture: una passeggiata nella storia. Milano: Editrice Bibliografica, 2013. 183 p. (Conoscere la Biblioteca; 9). ISBN: 978-88-7075-725-5. Euro 14,00.

Adriana Paolini ci regala un piccolo libro che in realtà racchiude un universo intero, quello della scrittura. Il modo leggero in cui il tema è proposto, attraverso una passeggiata peripatetica durante la quale una donna più grande e matura conversa con una più giovane in un dialogo che è contraddistinto da quel senso di relazione profonda che si ritrova spesso nella trasmissione del sapere al femminile, potrebbe portare a declinare questo agile volumetto come semplicemente divulgativo. Non è così: il testo è rigoroso e efficace, senza eccessive semplificazioni, anzi trova il suo centro proprio nel sottolineare la complessità dell'evoluzione della scrittura e della diffusione della conoscenza e del sapere. Grazie a queste sue doti, il libro si inserisce bene nella felice collana inaugurata dall'Editrice Bibliografica, adesso giunta, con questo volume, alla nona uscita.
Il libro segue un ordine cronologico ma alcune volte capitoli o paragrafi sono dedicati a singole tematiche, come le complesse relazioni tra la scrittura e il potere, la scuola e l'oralità, che tracciano un filo rosso con cui è possibile seguire percorsi alternativi all'interno del testo.

L'autrice prende le mosse dalle prime tracce di scrittura e dai primi alfabeti per poi passare a analizzare gli spazi della scrittura e della lettura in epoca romana. Molta attenzione è rivolta alla fisicità dei testi con dettagli sugli strumenti scrittori e sulle superfici sulle quali gli antichi scrivevano, dal rotolo al codice fino ad arrivare al libro. L'autrice ci conduce poi a visitare i luoghi della scrittura durante il Medioevo con una sosta negli scriptoria dei monasteri e una nelle piazze, nei mercati e nelle università delle città del Tre-Quattrocento, per collocare in questo contesto le nuove pratiche di diffusione dei testi, come il sistema della pecia.
Un capitolo è dedicato all'invenzione della stampa a caratteri mobili e al nuovo "luogo" che da questa invenzione deriva, ovvero la tipografia, mentre il capitolo successivo è dedicato alla piazza e ai cantastorie. Attraverso questa camminata "virtuale" Adriana Paolini ci propone un'alternanza fra spazi pubblici della scrittura e della lettura (perché laddove si scrive, spesso si legge) e spazi privati, come la casa e la famiglia, che sono presi in considerazione nella penultima parte del testo.
Chiude il volumetto una sintetica parte sul ruolo della biblioteca per la fruizione e la valorizzazione dei testi antichi, anche se il discorso nel finale si allarga al tema, ben più ampio e oggettivamente difficile da condensare in poche righe, del rapporto tra scrittura e lettura.
L'autrice pone poi in fondo al volume un piccolo elenco ragionato di libri che ha citato o a cui si è ispirata per la narrazioni di vicende e persone, insieme ad alcune indicazioni bibliografiche che possono essere utili per approfondire alcuni temi trattati.
Oltre che di piacevole lettura, il libro può essere, a mio avviso, un utile strumento nelle mani dei bibliotecari e degli insegnanti delle scuole, a cui può offrire spunti per strategie di valorizzazione dei fondi antichi e percorsi formativi per i ragazzi.

Sara Mori
Università di Macerata


Loretta De Franceschi. Pubblicare, divulgare, leggere nell'Ottocento italiano; saggio introduttivo di Piero Innocenti. Roma: Vecchiarelli Editore, 2013. 379 p.: ill. (Bibliografia, bibliologia e biblioteconomia. Studi; 18). ISBN 978-88-8247-341-9 EUR 35,00.

Nel corso del Diciannovesimo secolo, l'arte tipografica registra radicali e irreversibili trasformazioni tecniche che si riverberano, con sostanziali "immegliamenti", tanto sul piano della produzione e distribuzione, quanto su quello più generale del consumo alimentato dal sensibile allargamento del bacino dei lettori. Il torinese Giuseppe Pomba, illustre fondatore della UTET, importando nei primi anni Trenta nuovi macchinari a vapore dall'Inghilterra - la Cowper's Patent Machine a doppio cilindro - introduce anche in Italia un'avanzata lavorazione a carattere industriale in grado di realizzare una maggiore quantità di copie in minor tempo riducendo, in tal modo, gli alti costi della manodopera. Una svolta di inusitate proporzioni che, marcando una storica cesura dal libro antico, tirato con i torchi a mano, modifica i tradizionali usi del manufatto librario, entrato ormai nella dimensione quotidiana di ampi settori della società italiana. A loro volta, intraprendenti editori, per soddisfare i bisogni della vasta platea di consumatori, propongono una gamma ancor più diversificata di prodotti: non soltanto pubblicazioni religiose e devozionali, manuali d'istruzione scolastica, materiali per la formazione professionale, opere enciclopediche, testi letterari e filosofici, volumi celebrativi, ma anche collane teatrali, stampe per il pubblico femminile, giornali politici e d'opinione, periodici scientifici, magazine illustrati. Gli avanzamenti tecnologici e l'esponenziale crescita produttiva, però, non scardinano la miope politica degli Stati preunitari incapaci - nonostante l'insistito appello degli economisti di matrice liberale - di creare un grande mercato nazionale per salvaguardare troppo angusti interessi locali, tutelati dall'innalzamento di barriere protezionistiche, come nel caso del Regno delle Due Sicilie che, dopo l'applicazione di pesantissimi dazi sui libri d'importazione, platealmente, rifiuta pure di partecipare alla Convenzione austro-sarda sul diritto d'autore svoltasi nel 1840.
In questo dinamico scenario storico, sociale e culturale, Loretta de Franceschi, docente di Storia dell'editoria e della bibliografia all'Università di Urbino e apprezzata autrice, tra l'altro, della monografia su Nicola Zanichelli libraio tipografo editore (1843-1884) edita dalla FrancoAngeli nel 2004, colloca la raccolta di saggi - già apparsi in riviste specializzate e in opere miscellanee, ma qui riveduti e aggiornati bibliograficamente - riguardanti gabinetti di lettura, formulazioni tassonomiche, editori, testate scientifiche che, nel loro insieme, restituiscono un significativo spaccato dell'editoria pre e postunitaria sviluppatasi nelle maggiori città del centro-nord della penisola. Il volume, che Piero Innocenti introduce con opportune considerazioni metodologiche ed efficaci letture critiche del corredo iconografico (posizionato alle p. 39-58), procede in base alla successione cronologica degli argomenti affrontati.

I due saggi d'apertura si occupano dei gabinetti di lettura istituiti a Bologna nella prima metà del secolo. Sul modello del più famoso Vieusseux di Firenze, nell'aprile del 1824, Giuseppe Lafranchini - dopo alcuni sfortunati tentativi di altri colleghi - potenzia la propria bottega di libri aprendo un centro di promozione della lettura, con una formula associativa che ne consente il radicamento e lo sviluppo. L'iniziativa, concepita a fini evidentemente commerciali, si rivela un fecondo contributo al rinnovamento intellettuale e al progresso civile della città sottoposta al dominio pontificio. Il libraio bolognese, consapevole della mutata fisionomia culturale del lettore borghese, offre volumi, riviste e giornali che espone in cataloghi delle disponibilità apparsi, con i relativi aggiornamenti, fino al 1826. L'associazione garantisce, «nelle ore di ozio [...], un utile trattenimento», consentito dall'accesso a 840 titoli - che, nel volger di un paio d'anni, giungeranno la ragguardevole quota 6000 - d'impronta generale e popolare con opere di storia (Guicciardini, Muratori, Verri), di letteratura (Boccaccio, Tasso, Foscolo, Monti, Alfieri, Gozzi, Pellico) anche straniera e in lingua originale (Goethe, Cervantes, Voltaire, La Fontaine, Radcliffle, Scott) e soprattutto di teatro (Racine, Moliere, Schiller, Metastasio, Goldoni). Quest'ultimo settore si potenzia con una serie di periodici, come: la «Biblioteca Teatrale della Nazione Francese», la «Nuova raccolta di composizioni teatrali», la «Raccolta di scenici componimenti». Non manca una specifica attenzione alle «coltissime Signore» con una specifica selezione di romanzi, novelle, racconti di viaggi e collane, dal "Gabinetto di amena letteratura per il bel sesso" alla "Biblioteca di famiglia"; presente pure un esemplare del Paragone delle donne francesi con le italiane di Saverio Scrofani che, dopo la caduta della Repubblica Napoletana del 1799, aveva trovato asilo in Francia. I numerosi lettori del gabinetto dispongono di ben poca saggistica scientifica, ma, in compenso, possono consultare libri condannati all'Indice se muniti di debita licenza. La minuziosa analisi del Catalogo a stampa - elenco di descrizioni bibliografiche in sequenza alfabetica per autori - permette alla De Franceschi di ricostruire virtualmente la conformazione del gabinetto e dei suoi ambienti con la disposizione dei volumi ordinati su scaffali, ripiani e mensole.

Un altro gabinetto di lettura viene inaugurato, nel 1829, dalla Società medica chirurgica che, benché di natura privata e destinato a una specifica categoria di utenti, si apre munificamente «a tutti coloro che volessero studiare». Una struttura, dunque, istituita a vantaggio degli studiosi per i quali si organizza un efficiente servizio - disciplinato da statuti e articolati regolamenti - che dispensa tomi di belle arti, filologia, filosofia, economia, matematica e scienze naturali. La lettura, consentita solo in sede, prevede, poi, l'esatta ricollocazione dei materiali consultati per evitare possibili disguidi. I soci, che nel 1847 raggiungono il centinaio, annoverando medici, scienziati, agronomi, teologi e giuristi, possono avvalersi pure di una fornita emeroteca con numerose testate che abbracciano l'universo dei saperi, e tra queste: «L'Amico cattolico», «Le Letture di famiglia» «L'Osservatore medico», «Il Giornale di medicina omeopatica», gli «Annali universali di statistica», «Lo Spettatore industriale», gli «Atti dei Georgofili»; tra le straniere si ricordano: il «Journal de pharmacie», la «Revue zoologique», il «Techologiste», il «Droit français». Con la direzione di Antonio Alessandrini, eminente personalità scientifica prestata al mondo dei libri, si predispongono una serie di registri - tra cui quello dei nominativi degli associati, dei titoli dei periodici, delle donazioni - strumenti indispensabili per una corretta gestione ordinaria.
        Il terzo capitolo s'incentra sulla figura del modenese Pietro Riccardi ingegnere, bibliotecario dell'Accademia delle Scienze ed estensore della Biblioteca Matematica Italiana edita nel 1868. Il Riccardi sulla scorta di precedenti elaborazioni - da Charles Brunet (1810) a Francesco Palermo (1854) fino a Giuseppe Mira (1861-1862) - propone una nuova classificazione, sia pur «limitata alle principali divisioni dello scibile», tramite cui ordinare una biblioteca "universale", che anticipa il sistema decimale, poi messo a punto da Melvil Dewey e identificato con la sigla CDD. Nella Lettera a Sua Eccellenza il principe Baldassarre Boncompagni sulla sua biblioteca del 1866, infatti, dettaglia la scansione delle seguenti categorie: I. Opere teologiche. II. Opere di giurisprudenza. III. Opere di scienze morali. IV. Opere di scienze naturali. V. Opere di scienze fisico-matematiche. VI. Opere di arti. VII. Opere di belle lettere. VIII. Opere di storia e geografia. IX. Opere poligrafiche. X. Opere bibliografiche. Un impianto tassonomico assai somigliante a quello del Dewey, sia nell'identificazioni delle discipline basilari che nella loro concatenazione gerarchica, che vedrà la prima versione italiana nell'anonima edizione del Barbèra del 1897.

Altri due capitoli del volume sono riferiti all'attività di due indiscussi protagonisti della scena editoriale italiana del secondo Ottocento: Gasparo Barbèra e Max Kantorowicz. Nel capoluogo fiorentino, dopo aver stampato testi scolastici, opere di scrittori schierati a sostegno dell'indipendenza italiana e avviato una collana di classici della letteratura nazionale, Barbèra, alla fine degli anni Sessanta, vara la "Raccolta di opere educative" che rimane una testimonianza oltremodo significativa della produzione libraria postunitaria. Volumetti a basso costo, per un mercato popolare, diffondono in Italia la cultura del sef-help di derivazione anglosassone con la traduzione delle opere di Samuel Smiles: Volere è potere di Michele Lessona, apparso nel 1869, diventa un autentico best-seller. Si tratta, in sostanza, di manualetti di intenti espressamente pedagogici per l'educazione degli adulti, nei quali si esalta la funzione moralizzatrice del lavoro contro l'ozio, l'alcol, il gioco. Lavoro e paternalismo, educazione civile e cattolicesimo si fondono in un progetto editoriale mirato al progresso della forza lavoro con biografie edificanti (Benjamin Franklin, la Vita di Cristoforo Colombo), opere di precettistica (Consigli al popolo italiano di Massimo d'Azeglio; La vita militare ad uso delle scuole dell'esercito del De Amicis) e di morale (Educazione intellettuale, morale e fisica di Herbert Spencer). Nel 1890 Augusto Alfani pubblica Battaglie e vittorie. Nuovi esempi di Volere è potere, includendovi il profilo biografico dello stesso Barbèra e di Luigi Pierro, importante editore partenopeo che, da strillone semianalfabeta nei vicoli della Napoli antica, era riuscito, con grandi sacrifici personali, ad aprire una ben provvista libreria a piazza Dante, frequentata da acquirenti della statura di Matilde Serao, Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo e Benedetto Croce. E occorre ricordare che proprio il Barbèra, nel corso dei lavori del secondo Congresso Tipografico-Librario, tenuto a Napoli nel 1871 e da lui presieduto, aveva denunciato come, a dieci anni dall'Unità, gli editori meridionali - pur meritevoli di lode per lavori di alto livello tipografico - erano ancora lontani da una vera integrazione nel mercato librario, con grave nocumento all'avanzamento economico e culturale dell'intero paese.

A Max Kantorowicz, libraio e "piccolo" editore milanese, spetta il merito di aver immesso, nel circuito nazionale, gli scritti di alcuni dei più autorevoli scrittori stranieri di fine secolo. Dopo il consenso internazionale tributato dai migliori teatri d'Europa - e non ultima la sublime interpretazione di Eleonora Duse che veste i panni di Nora nella Casa di bambole del 1891 - Kantorowicz diviene il primo editore italiano di Ibsen, dedicandogli una collana esclusiva. Edizioni sobrie, di formato tascabile e a prezzi economici, con l'indicazione dei rispettivi traduttori, divulgano i testi del famoso drammaturgo norvegese, che concorrono a modernizzare la cultura italiana. Nella stessa collana trova luogo anche un denso saggio di Alberto Boccardi sulle donne nel teatro ibseniano: tutte poco convenzionali, dal forte temperamento, volitive e tormentate, capaci di mietere schiere di «ammiratori entusiasti». Il successo riscosso induce l'editore a fondare un'altra collana - il "Teatro contemporaneo internazionale" - con opere di Turgheniev, Tolstoj, Strindberg, Hauptmann, Zola, Nordau. Molto meno fortunato il "Teatro italiano e dialettale", una collezione durata un brevissimo lasso di tempo; mentre la "Biblioteca sociale" accoglie, nel 1891, La donna e il socialismo di August Bebel, tradotto da Vittorio Olivieri, che viene pubblicizzata, assieme ad altre edizioni della medesima collana, dalla «Rivista quindicinale del socialismo scientifico» diretta da Filippo Turati. Kantorowicz, nel 1896, si trasferisce a Venezia dove privilegia il settore antiquario della sua libreria.

Nell'ultimo capitolo l'autrice sottolinea il ruolo non secondario svolto dalla stampa periodica nel panorama dell'Italia unificata: le riviste scientifiche, in particolare, promuovono un profondo rinnovamento intellettuale indotto dal pensiero positivista che si rivela il necessario presupposto all'affermazione dei principi di democrazia. Le più avvertite case editrici, come Zanichelli, Hoepli, Treves, Bocca, Loescher, Sonzogno, s'impegnano in questo nuovo filone, nella certezza di sicuri ritorni economici, pubblicando la «Rivista di Filosofia Scientifica», «Il Nuovo Risorgimento», «Il Politecnico», «La Scienza Applicata»: per ognuna di esse viene dettagliato il programma e l'area tematica e fornite le indicazioni biografiche del direttore responsabile e del comitato scientifico con una dovizia di notizie che appaga il lettore più intransigente.
In definitiva, il denso volume della De Franceschi - compilato con esemplare rigore storico e bibliografico - documenta i tratti fondamentali di quell'evoluzione che contrassegna l'editoria italiana nell'Ottocento, restituendo il senso compiuto del suo divenire storico.

Vincenzo Trombetta
Università di Salerno


Paola Maria Farina. La rivista «Linus: un caso editoriale lungo quasi mezzo secolo. Muros: Editoriale Documenta: 2013. 151 p.: ill. (Bibliographica; 7). ISBN 978-88-6454-250-8. EUR 16,00.

«Perché "Linus"? Perché Linus, partner antagonista di Charlie Brown, è un personaggio pieno di fantasia (anche «grafica»: disegna nell'aria!), è simpatico e ha un nome facile da dire e da ricordare». Con queste parole, un gruppo di intellettuali, capeggiato da Giovanni Gandini, tenne a battesimo a Milano nel 1965 la rivista mensile di fumetti e illustrazione rivista «Linus».
Nato da una tesi di laurea magistrale sulla storia editoriale degli anni Sessanta, La rivista «Linus». Un caso editoriale lungo quasi mezzo secolo di Paola Maria Farina, opera vincitrice del Premio Bibliographica 2012, è un lavoro rigoroso, appassionato e intelligente, in grado di aprire, come sottolinea il suo committente, il professor Edoardo Barbieri del Corso di Editoria dell'Università Cattolica di Milano, «nuove domande e prospettive» su quella inedita e avventurosa esperienza, crocevia di una feconda osmosi tra cultura alta e bassa, tra letteratura, grafica e nuvole parlanti.
Districandosi tra ardui problemi di reperibilità dei numeri della rivista, l'autrice costruisce un percorso ragionato e antologico della rivista, con una puntuale e utile premessa sulla storia del fumetto americano e sul suo successo editoriale, un racconto delle vicissitudini del fumetto italiano delle origini, l'immersione nelle vicende editoriali vere e proprie di «Linus», prima con la fase pionieristica di Giovanni Gandini, imperniata sul fumetto indipendente d'oltre confine e sul dibattito ontologico sullo statuto della nona arte, inaugurato sul primo storico numero dalla conversazione tra Oreste del Buono, Umberto Eco ed Elio Vittorini, poi con il grande assestamento operato a partire dal 1971 dallo scrittore, critico e traduttore Oreste Del Buono, attento osservatore dei movimenti politici degli anni Settanta, di cui «Linus» fu un sensibile sismografo, scopritore instancabile dei nostri talenti nazionali: Crepax, Lunari, Chiappori, Manara, Battaglia, Buzzelli, Altan. Il focus si sposta quindi su alcuni aspetti più propriamente editoriali del periodico, analizzando rubriche come la posta dei lettori, e provando poi a ricostruire un universo complesso come quello delle pubblicazioni autonome ma collegate alla rivista, «AlterLinus», «AlterAlter», su cui soprattutto si espresse con radicale forza innovativa il giovane Andrea Pazienza.

Oltre che originale esperienza "autoriale", rivista di rilievo sia sul piano culturale che politico, «Linus» fu però, anche, da subito, uno strepitoso successo commerciale da oltre trentamila copie vendute. Da allora, appunto, un caso editoriale lungo quasi mezzo secolo. A Gandini il merito di essersi reso conto che, a metà degli anni Sessanta, era ormai giunto il momento di dar vita, all'interno di un panorama editoriale asfittico, a un progetto profondamente trasformativo. Tre possono essere ritenuti i fattori fondamentali che decretarono la riuscita del mensile: l'assenza in Italia di periodici contenenti comics rivolti specificamente a un pubblico adulto; un generale risveglio di interesse nel nostro Paese, anche da parte del mondo degli intellettuali, nei confronti della "letteratura grafica"; infine, il successo dei primi volumi dedicati ai Peanuts di Schulz, pubblicati a partire dal 1963 dalla Milano Libri, che aveva creato dunque un primo nucleo di lettori cui attingere in seguito.
Inoltre il periodico contribuì a quella nobilitazione del fumetto già avviata nella prima metà degli anni Sessanta, permettendo la diffusione all'interno di un pubblico colto di una forma di espressione artistica e letteraria per lungo tempo considerata del tutto trascurabile o comunque di scarso interesse culturale. Il successo quasi immediato di «Linus» convinse anche i direttori successivi della testata a conservare quell'attenzione originaria ai comics più pregevoli e innovativi e a dare sempre più spazio ai giovani emergenti, autori di strisce con una notevole dose di sperimentazione. Dal punto di vista sociologico, se durante la direzione di Gandini, la componente politica fu piuttosto contenuta e limitata solo alle strips a carattere satirico, nel corso degli anni Settanta, durante la direzione di Oreste Del Buono, nella rivista emerse un'anima politicizzata fortemente militante. Con il fallimento dei movimenti di quel periodo e l'abbandono della sbandierata militanza politica, «Linus» ha visto chiudersi anche il periodo del suo maggior successo. I toni della rivista si sono placati, l'anima più battagliera si è calmata e ha avuto inizio una stagione di rigore e autocritica. Il periodico ha comunque, anche nei decenni successivi, mantenuto vivo l'impegno in ambito sociale, con particolare attenzione all'ecologia, alla tutela dell'ambiente e alla difesa dei movimenti anti-globalizzazione. Ancora oggi, quindi, seppure con un pubblico numericamente ridotto, «Linus» procede sotto la direzione di Stefania Rumor lungo la strada tracciata in passato, continuando a coltivare la passione per il fumetto d'autore, con gli immancabili Peanuts e i numerosi comics di satira politica, senza rinunciare a uno sguardo critico all'attualità e all'establishment, sempre disincantato e ironicamente pungente.

Gianluca Parisi
Biblioteca nazionale centrale di Roma


Benedetta Tobagi. Una stella incoronata di buio: storia di una strage impunita. Torino: Einaudi, 2013. 470 p. ISBN 978-88-06-20630-7. EUR 20,00.

Uno scoppio. Delle vite spezzate. Un uomo che ci guarda e chiede disperatamente aiuto sorreggendo la testa della moglie. Non può credere che sia morta. In un piovoso giorno di primavera. Durante una manifestazione pacifica. Degli amici riuniti a testimoniare il comune impegno contro quella recrudescenza del fascismo che ha avvelenato le menti di giovani, in cerca di ideali sbagliati. Italia: metà degli anni Settanta. L'emozione oggi di ascoltare un nastro che ha registrato i discorsi dal palco in quella giornata di maggio e riproduce, inatteso, lacerante, il rumore dello scoppio. Quaranta anni fa. I fischi che ai funerali delle vittime sommersero i rappresentanti del governo, il presidente della Repubblica. Uno squarcio irreparabile nella vita di Manlio Milani, il coprotagonista di questo libro di Benedetta Tobagi, che ha una vera e unica eroina, Livia Milani. Una giovane insegnante, animatrice di un consultorio, poetessa, animo dolce e gentile. Scesa in piazza con i suoi amici e compagni per dire di no al fascismo. Benedetta Tobagi non era ancora nata in quel giorno di maggio, di cui ho un preciso ricordo. Frequentavo il liceo, eravamo i giovani di quella generazione che si divideva in 'fasci' e 'rossi'. Capitai a Brescia nell'estate del 1975, un anno dopo. Comprai una cartolina che raffigurava Piazza della Loggia. La inviai a un amico senza firma, senza commento, scrivendo soltanto: «Fu qui».
Era lì, con quello scoppio, che si formava la nostra coscienza antifascista, a costo della vita di otto innocenti. Il ricordo della bomba di Piazza Fontana era ancora recente. La gente ammutolita davanti a quelle bare terribilmente incolonnate all'interno del duomo di Milano. La pista anarchica, i servizi deviati, le trame nere. Cominciava la stagione del terrorismo, la contrapposizione di ideologie di morte che richiamandosi a principi indefettibili, decretavano il diritto di decidere della vita e della morte di uomini impegnati nelle istituzioni o di giornalisti da punire in nome delle illusorie ragioni di pochi, autoproclamatisi avanguardie rivoluzionarie. Solo quindici anni dopo la strage di Brescia, la pacifica caduta del muro di Berlino avrebbe improvvisamente spazzato via le liturgie ideologiche, mentre in Italia, anche per colpa di quella violenza gratuita, il paese si era adagiato nell'idea di un facile edonismo. L'effimero diventava la risposta a quella pienezza di contenuti, rivelatisi pieni di contraddizioni. Il privato non era più politico. L'operaio diventava un piccolo borghese, mentre scendeva in campo l'Italia della televisione sempre accesa, degli spot pubblicitari, di una vita sognata alla grande e vissuta in una mediocrità senza ideali.
Benedetta Tobagi, con una scrittura capace di commuovere ad ogni segno di interpunzione, ricostruisce le vicende di chi ha creduto in un mondo migliore e ha visto infranta la sua aspirazione. Di un uomo, come Milani, che sta dedicando la sua vita alla ricerca della verità, quella processuale (il cui iter dopo una recente sentenza della Quinta sezione penale della Cassazione non si è ancora concluso) e quella storica. La casa della memoria di Brescia, di cui è uno dei principali animatori, rappresenta un preciso punto di riferimento per chi crede nella necessità di non dimenticare il passato, di non lasciare che il tempo consenta di considerare inutile qualsiasi ricostruzione storica. Le biblioteche, i centri di documentazione, sono e resteranno sempre i luoghi deputati a sostenere questa necessità, anche per comprendere le ragioni degli altri, per quanto odiose e terribili possano essere. In questo libro Benedetta Tobagi parla dell'aiuto ricevuto dai bibliotecari della Sormani. E dell'oasi privilegiata della British Library, luogo in cui studiare può essere solo un piacere. Si ricordano biblioteche e bibliotecari, di sfuggita certo, con un rapido cenno che è, però, significativo perché ha il sapore di un ringraziamento non di prammatica a chi conserva la memoria del passato, perché si possa costruire un futuro migliore.

Oltre a Livia Milani anche altre due vittime della strage, Alberto Trebeschi e Clementina Calzari Trebeschi, erano degli insegnanti, impegnati quotidianamente ad operare in uno di quei settori che tutti definiscono strategici quale quello dell'istruzione, ma che, al pari del nostro sistema bibliotecario, continua a essere derelitto, il portato di tanti errori delle classi dirigenti, ma anche dello sconcertante disinteresse della società, cosiddetta civile, del nostro paese. Scuola, università, inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, quanti fiumi di parole si sono spesi su questi argomenti. E come è stato possibile che il sogno di una generazione sia stato tradito? Perché non siamo riusciti a cambiare le biblioteche italiane, malgrado l'abnegazione di tanti? Quale è stato lo sbaglio? Colpa della politica? Di Gladio? Della P2? Dei servizi deviati? Dei troppi segreti di stato e della poca trasparenza delle Istituzioni? O solo colpa nostra? Fa una certa impressione rileggere nelle pagine della Tobagi le affermazioni di uomini le cui azioni e il cui pensiero sono stati più che discutibili e a volte delittuosi in nome della difesa dei valori dell'Occidente, ma su cui oggi sarebbero d'accordo tutti, anche quanti allora vedevano ancora nel comunismo un ideale da realizzare. Quanta gente onesta, come i coniugi Milani, ha provato un'emozione forte nel camminare sulla Piazza Rossa a Mosca, davanti al Mausoleo di Lenin, mentre la disillusione era già disvelata e aveva mietuto milioni di vittime, anche essi uomini e donne innocenti la cui unica colpa era stata quella di venire al mondo.
Il libro della Tobagi serve a farci riflettere, non a trovare facili risposte. Alimenta quel 'vizio della memoria' di cui dobbiamo andare fieri, quando reclamiamo la giusta attenzione di tutti ai problemi delle biblioteche italiane, qualunque ne sia la tipologia. Il ricordo non è solo commemorazione, ma anche volontà di agire, desiderio di andare alla radice dei problemi. Per scrivere la storia dei vinti e non solo dei vincitori. Per non consentire che si possa nemmeno lontanamente pensare che non sia mai successo quanto è tragicamente avvenuto.
Dare una risposta ai tanti quesiti che la vita ci pone di fronte è spesso un esercizio complicato, ma rispondere al perché di una morte come quella di Livia Milani è il dovere morale di ciascuno di noi. Da testimoniare ogni giorno sul nostro posto di lavoro, nelle troppo spesso dimenticate biblioteche di questo paese, in cui la fatica della memoria, che pure qualcuno paventa, serve a impedire che la nostra fragile democrazia diventi ancora più debole.

Gabriele Mazzitelli
Università di Roma "Tor Vergata", Biblioteca Area biomedica


Marco Santoro. I Giunta a Madrid: vicende e documenti. Pisa-Roma: Fabrizio Serra, 2013, XXXIV, 290 p. (Biblioteca di Paratesto; 9). ISBN 978-88-6227-634-4. EUR 124,00.

Chiunque, a qualunque titolo, abbia lambito con la sua ricerca la produzione cinquecentesca, non può non essersi imbattuto nell'impero editoriale dei Giunta, solido e intramontabile quasi quanto quello di Carlo V. Una vera e propria dinastia, che della «mobilità dei mestieri del libro» costituisce esempio archetipico, tanto da spingersi persino oltre oceano per assecondare a pieno le richieste della committenza. Dalla Firenze medicea, sede originaria e mai mutata 'base operativa', alla Serenissima a Lione a Burgos, Salamanca e altri centri della penisola iberica, le stampe che ne registrano il contributo - in qualità di tipografi, editori e librai, per oltre un secolo e mezzo -, stando ai soli dati di SBN antico, sono più di cinquemila, ad ampio spettro disciplinare e quanto mai eterogenee per formato, consistenza e impegno. Pressoché impossibile risulterebbe, inoltre, calcolare il numero dei volumi venduti sul mercato italiano ed europeo grazie alla loro efficientissima rete di distribuzione, ispirata a criteri strategici e organizzativi fra i più dinamici e agguerriti.

Nell'impresa di famiglia, come è noto, si avvicendano diverse generazioni, figli, nipoti, cugini e cognati, senza escludere la partecipazione femminile, sia pure piuttosto marginale. Interessi e legami di parentela, dunque, si intersecano e si coniugano a diverso titolo e in varia misura nel volgere dei decenni, tracciando il profilo di una collaborazione intensa e fattiva spesso a dispetto delle grandi distanze, ma, naturalmente, non per questo aliena da tensioni, rivalità e conflitti (scandali e tresche comprese), in alcune occasioni di entità tale da approdare nelle aule dei tribunali. Il meccanismo sembra prevedere non solo e non tanto una divisione dei compiti, ma forse soprattutto quella dei 'presidi' territoriali, contemplando una sorta di 'distacco' all'estero, nei centri di importanza nevralgica, di uno o più membri del clan. È questo il caso di Giulio - Giulio Giunta de' Modesti, come prende a farsi chiamare - che, intorno al 1590, impianta la sua attività nella capitale spagnola, coadiuvato poi dal nipote Tommaso. Nella gamma delle loro pubblicazioni, apparse tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, figurano un Nuovo Ufficio Divino realizzato su commissione del Monastero di San Lorenzo el Real, Passionari con notazioni musicali, le Historias Generales de las Indias e De la conveniencia de las dos Monarquias Catholicas del domenicano Juan de la Puente (in folio, su due colonne). Ma non è di queste e altre opere all'insegna del giglio, già oggetto di studi recenti e meno recenti da varie angolazioni, che si occupa precipuamente il volume di Santoro. Le sue pagine spostano il fuoco dell'attenzione dall'esterno all'interno dell'officina, consentendo al lettore di addentrarsi nei meandri di un retrobottega pienamente rischiarato dalla luce dei documenti. Una meticolosa e capillare ricerca tra i fondi del madrileno Archivio Historico de Protocolos fa emergere alla trasparenza ben ottantotto inedite testimonianze - trascritte e opportunamente introdotte dai singoli regesti -, che ricompongono, tassello dopo tassello, un mosaico ultratrentennale (1591-1622) dove nitidamente si va delineando la fisionomia di accordi legali ed economici, di acquisti e investimenti, di diritti e doveri della manodopera. Si parla insistentemente di ducati, di reali e di maravedi - le monete allora in uso -, riguardo a crediti e debiti di varia natura, dei costi dei torchi e delle risme di carta, delle spese di trasporto, della retribuzione dei lavoranti. Decisamente esemplificativo, a quest'ultimo proposito, il contratto redatto nel settembre '94 davanti al notaio Pedro de Prado, in virtù del quale Giulio assume il giovane Martín Rubio in qualità di apprendista compositore per la durata di tre anni e mezzo, nel corso dei quali gli garantirà vitto, alloggio, biancheria, vestiario, calzature e cure mediche, qualora però l'eventuale malattia non superi i trenta giorni (per patologie più gravi il datore di lavoro viene sollevato da qualunque responsabilità); Martín, dal canto suo, si impegna a 'servire' il padrone per qualunque incarico voglia affidargli, purché si tratti di cosa lecita e moralmente ineccepibile. In seguito altri suoi coetanei (anno più anno meno, comunque al di sotto dei venticinque, quindi non ancora raggiunta la maggiore età) sottoscriveranno patti analoghi - anche a più lunga scadenza -, tutti principalmente interessati a imparare un mestiere che ruota intorno alle tecniche di stampa (oltre alla composizione, la fusione dei caratteri, il ruolo di battitore, di torcoliere ecc.) in una officina prestigiosa, e quindi facilmente spendibile poi in altre tipografie, in città e altrove.

In realtà, fin dal 1591, Giunta de' Modesti è in possesso di ben sette torchi, di tavole e altri supporti, di abbondanti quantità di metalli e di ogni altro accessorio utile alla sua attività; nell'estate dell'anno dopo prende in affitto un ampio edificio collegato alla strada da un grande cortile. Di lì a poco, a riprova del consolidato benessere, Giunta de' Modesti acquista cavalli, pozzi, terreni e, addirittura, la grande e prestigiosa casa signorile appartenuta al marchese de Herrera. L'eredità che, morendo il 27 gennaio 1619, lascia unicamente al nipote Tommaso, da tempo suo pupillo e suo braccio destro, si configura certo tutt'altro che modesta. Proveniente dalla non lontana sede di Salamanca, abile e brillante, quest'ultima ha già al suo attivo la firma di diversi colophon quando assume la direzione della Imprenta Real, che reggerà fino al 1624, anno in cui si registra la sua prematura scomparsa. Alla guida dell'azienda - come è consuetudine diffusa in antico regime - gli subentra Teresa, la vedova, che se ne occuperà per oltre trent'anni. Con la morte del figlio Bernardo, nel 1658, che sopravvive alla madre per un solo biennio - si conclude la stagione madrilena dei Giunta, non certo breve né sterile né priva di interesse da una molteplicità di punti di vista.
Ripercorsi nella densa introduzione, il volume riannoda i fili di una vicenda singolare e emblematica insieme, che, nel dipanarsi attraverso la sequenza di fotogrammi riguardanti la prospera attività di una gloriosa casa produttrice di libri quanto al segmento madrileno, argomento-chiave nella storia dell'editoria, restituisce al tempo stesso uno spaccato di storia sociale, civile ed economica di antico regime. Ad essere pienamente illuminati, sia pur di riflesso. sono gli scenari della capitale degli eredi di Carlo V, Filippo II, Filippo III e Filippo IV, il valore della loro moneta in relazione agli immobili, alle materie prime e ai beni di vario consumo, la prassi giuridica e notarile dell'epoca, le garanzie assistenziali dovute ai lavoratori 'a tempo determinato', il potere e lo spirito d'iniziativa degli ordini religiosi. Il tutto grazie alla insurrogabile eloquenza delle carte d'archivio, magistralmente contestualizzate e lucidamente interpretate da uno studioso che da decenni ha cooperato in maniera determinante, con le sue ricerche, la sua metodologia e i suoi progetti, affinché simili indagini potessero evolvere in maniera sempre più convincente e proficua.

Paola Zito
Seconda Università di Napoli