Biblioteche, crisi e partecipazione

di Raphaëlle Bats

Introduzione

Nel giugno 2013, l'associazione francese dei bibliotecari organizzò un congresso sul tema della biblioteca come "fabbrica" del cittadino. Per l'occasione, una tavola rotonda riunì colleghi provenienti da Italia, Grecia, Portogallo, Regno Unito insieme a una collega francese, allo scopo di soffermarsi sulle biblioteche durante la crisi. A fine sessione, una bibliotecaria del pubblico intervenne per dire che bisognerebbe lottare per proteggere il nostro mestiere, per il quale una vera professionalizzazione ha avuto luogo negli ultimi 50 anni. Nel dettaglio, il commento faceva riferimento a diverse osservazioni emerse durante gli interventi sul volontariato. Il collega italiano rispose molto pacatamente che per avere dei bibliotecari occorre che vi siano delle biblioteche.
I bibliotecari francesi stavano ancora osservando gli effetti della crisi presso i loro vicini europei con la curiosità inquieta propria di coloro che sanno che tutto ciò non tarderà a balzar loro addosso1. Forse per questo motivo, o forse perché la frase era stata pronunciata con quella che possiamo definire l'energia della disperazione, o forse ancora perché essa si allontanava dalla vecchia abitudine propria del bibliotecario di guardare a se stesso per progettare di ritornare all'essenza medesima del mestiere, la biblioteca, questa frase mi ha toccata profondamente. Allora sì, salviamo le biblioteche, ma per farne cosa? Cosa ne giustifica l'esistenza? Nei nostri paesi democratici occidentali abbiamo l'abitudine di definire l'azione della biblioteca pubblica con la sua missione d'emancipazione del cittadino. È questo che dobbiamo salvare? Questa partecipazione della biblioteca alla possibilità di un autentico esercizio della democrazia nelle nostre società? Se è così, allora le attuali crisi2, economiche, sociali, politiche, ma anche ecologiche, interrogano la capacità della biblioteca di perseguire la propria azione di emancipazione del cittadino e inducono noi bibliotecari a ripensare le sue forme, strutture, servizi ecc., in modo che essa possa continuare a rivestire il proprio ruolo d'attore politico.
Parallelamente a queste riflessioni sulla crisi e sulla definizione di biblioteca, oggi i bibliotecari francesi s'interessano sempre più alla nozione di partecipazione, intesa nel senso di una maggiore partecipazione di pubblico, abitanti, utenti3 ai progetti della biblioteca. Se la partecipazione è studiata nell'ambito della sociologia e delle scienze politiche ormai da diversi decenni, i ricercatori in scienze dell'informazione e delle biblioteche se ne occupano ancora da poco e raramente, o mai, interessandosi piuttosto all'impatto della partecipazione sull'oggetto biblioteca oppure alla biblioteca come attore della partecipazione4. Tuttavia, nell'ultimo anno, i bibliotecari stessi hanno iniziato a studiare questa nozione e hanno potuto registrare, tra il 2013 e il 2014, due tesi di studenti dell'Enssib che hanno toccato questo argomento (la partecipazione in un caso5 e la co-costruzione nell'altro6), un'opera pubblicata dall'ABF sulla partecipazione 2.07, una giornata di studio organizzata dall'ABF Rhône-Alpes8, una tavola rotonda in occasione dell'ultimo congresso ABF9, con i successivi contributi che saranno presentati nei prossimi mesi. Questo entusiasmo per una nuova forma di relazione con il pubblico, che interpella sia le competenze del bibliotecario sia il posto riservato alla biblioteca nella città, fa per intero eco alle nostre precedenti riflessioni sulla vocazione politica delle biblioteche in tempo di crisi. Capiremo che non si tratta di una coincidenza, e per questo motivo l'articolo intende discutere il significato della nascita di progetti partecipativi nelle biblioteche in momenti definiti di crisi. Si tratterà quindi la questione in tre momenti: un primo momento di definizione della nozione di crisi, un secondo momento di osservazione delle risposte che la biblioteca è in grado di mettere in campo e, infine, un momento di analisi dei progetti partecipativi e del loro ruolo nella definizione di ciò che domani potrebbe diventare la biblioteca.

Metodologia

Per condurre al meglio tale discussione, è necessario lavorare sulla definizione dei concetti stessi di crisi e di partecipazione, al fine di delinearne i contorni e farne emergere la complessità. Da un punto di vista metodologico, questo articolo non è quindi il risultato di un'indagine10. Si tratterà, piuttosto, di un'analisi di letture, di ritorni di esperienze e di osservazione di progetti partecipativi, con la volontà di dedicarsi a una teoria critica in materia biblioteconomica. Parlando di 'teoria critica' non intendiamo qui farci discepoli della Teoria critica della scuola di Francoforte, ma piuttosto esercitarci a portare uno sguardo critico sulla nostra società, per reinterrogarne le abitudini, i funzionamenti e i dispositivi in azione o, per riprendere le parole di Paul Ariès, «non dare altre risposte, ma imparare a porre altre domande»11. Nel campo delle biblioteche si tratterà di conservare una certa distanza da un entusiasmo contagioso nei confronti di elementi nuovi, che restano da esplorare e analizzare: progetti partecipativi, biblioteca come terzo luogo, impatto territoriale, cittadinanza locale ecc. Questo sguardo critico non avrà l'obiettivo di limitare l'entusiasmo, ma semplicemente di ri-contestualizzare in modo adeguato le condizioni di comparsa di questi termini, affinché l'entusiasmo perduri e la biblioteca sia confortata negli indirizzi che corrispondono alla sua missione. Per Agnès Gayraud, «la Teoria critica si presentava allora come il progetto post metafisico di una elaborazione pluridisciplinare e riflettente la critica di tutte le forze contrarie all'emancipazione degli individui nella società moderna»12. Questo sarà il nostro obiettivo metodologico: fare attenzione a che queste nozioni non si allontanino dalla nostra missione di emancipazione degli individui per un vivere in comune rinnovato.

Parte 1

In questa prima parte s'intende quindi chiarire maggiormente la nozione di crisi, il cui significato sembra essersi perso in un uso quotidiano che lo rende talvolta estremamente evidente ma anche assolutamente confuso.
Se facciamo riferimento al Centre national de ressources textuelles et lexicales, disponiamo di due definizioni. La prima «l'accento cade sull'idea del manifestarsi brusco e intenso di certi fenomeni, tale da provocare una rottura»13 insiste sul momento definito, breve, determinato nel tempo, piuttosto improvviso e inatteso, della rottura, nel quale la linearità abituale del nostro ambiente spazio-temporale è messa in discussione. In altri termini, all'indomani della crisi, perché vi è sempre un dopo in questa prima definizione, la situazione ritorna alla normalità o almeno a una parvenza di normalità. Cosi, all'indomani di una crisi finanziaria la borsa riparte al meglio; all'indomani di una rivoluzione politica subentra un nuovo governo. Certo, il nuovo governo non agirà nello stesso modo del precedente; certo, l'economia interna avrà subito un colpo, ma in conclusione nulla muta veramente.
La seconda definizione recita: «situazione di profondo sconvolgimento nel quale si trova la società o un gruppo sociale e che fa temere o auspicare un profondo cambiamento; per metonimia, periodo con queste caratteristiche»14. Essa, al contrario, insiste sul fatto che la crisi non è un momento, ma un periodo prolungato, nel quale la società affronta sconvolgimenti che la lasciano in una certa incapacità di pensare al domani. Di conseguenza, in questa definizione di crisi, il domani non esiste; restano solo il presente e l'insieme di sconvolgimenti che lo sradicano dalla propria linearità con un passato e un futuro. Scriveva Gramsci: «la crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere»15 e aggiungeva: «in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati»16. Di conseguenza, questa crisi "durevole" è largamente più ansiogena di una crisi puntuale di cui conosciamo l'esito. L'angoscia non consiste quindi tanto nell'inatteso traballare di una società che si credeva stabile, ma nella normalizzazione del problema e dell'incertezza. Bisogna quindi disperarsi, compiacersi dei "fenomeni morbosi" di cui parla Gramsci e concluderne una sorta di apocalisse della nostra civiltà, così drammatica da poter essere una punizione alla Sisifo piuttosto che un annichilimento in queste condizioni quasi salvatore17? Non è la scommessa che noi facciamo. Al contrario, piuttosto che far riferimento sempre alla crisi come a una situazione da cui non si può uscire, parliamo, così come il Conseil supérieur de la recherche et de la technologie (CSRT) e Paul Ariès, di cambiamenti della nostra società:

La crisi non è ciò che si dice, non è ciò che si crede. Non è una semplice anomalia congiunturale della sfera finanziaria, è un cambiamento generale geopolitico, economico, ambientale, sociale, culturale e, beninteso tecnologico e scientifico, che segna la nostra epoca e annuncia tempi nuovi. Ciò che noi viviamo attualmente è la manifestazione contemporanea di fenomeni di trasformazione che costellano la storia dell'umanità18.

L'idea di cambiamento ammette da un lato l'irreversibilità delle evoluzioni della società e dall'altro la possibilità di un'azione determinante per la forma del cambiamento. Fronteggiare la crisi non significa quindi accettarla come una situazione normalizzata, ma accettare l'idea che dobbiamo agire subito, al fine di creare le condizioni di possibilità di un domani. In altri termini, il periodo di crisi reclama una manipolazione (in senso scientifico e sperimentale) della società per farla diventare altro, altro da ieri e altro da oggi.
Così, quando oggi parliamo di crisi, facciamo riferimento a tre diverse situazioni, che sono comunque indicative tanto di una improvvisa rottura quanto della necessità di un cambiamento. La prima è la crisi economica. Certo, si può parlare di una crisi improvvisa in riferimento alla crisi dei mutui subprimes del 2008, ma dopo lo shock petrolifero le crisi sembrano susseguirsi l'una dopo l'altra. In realtà, ci troviamo in una situazione di crisi da circa 40 anni, e dal 2008 l'assenza di ipotesi positive per uscirne è più che mai un segnale di un'epoca irrigidita, che non offre più idee di avvenire. La disoccupazione, il consumismo, gli indici di povertà oscillano continuamente, confondendo i parametri in grado di posizionare il nostro livello di benessere.
La seconda crisi è quella sociale. Non si può negare che l'attuale situazione di impoverimento abbia un impatto diretto sulla vita sociale. Serge Paugam definisce così le «tre fasi nel processo di "dequalificazione sociale" che colpisce i poveri: dapprima la fragilità (disoccupazione, "declassamento"), poi la dipendenza (specialmente ai livelli sociali minimi), infine la rottura dei legami sociali»19. La sensazione di esclusione da quel processo sociale che è divenuto il consumismo, il chiudersi in sé stessi per evitare la conferma nello sguardo altrui di una povertà diventata palese e, infine, l'incapacità di solidarizzare quando la vita quotidiana appare una lotta per la sopravvivenza fanno in modo che la solidarietà non sia più al centro delle nostre preoccupazioni. Tuttavia, ancora una volta, la disgregazione dei legami sociali, il chiudersi dell'individuo e la perdita di solidarietà non sono elementi nuovi. Max Weber, parlando del disincanto del mondo, aveva già evidenziato la realtà di una società priva di una mitologia comune, che costruisce il vivere insieme solo con un metro di misura individuale. Infine, anche la crisi politica, detta "di rappresentanza", a significare una mancanza di fiducia degli elettori in coloro che hanno eletto e una disaffezione ai seggi elettorali, si può intendere alla luce della crisi attuale, vista come il risultato di decisioni politiche incomprensibili perché eccessivamente tecniche (chi oggi può capire qualcosa di economia senza essere un esperto in matematica o in informatica dei flussi?) e alla luce di un sentimento di esclusione che non spinge a sentirsi né in diritto né in dovere di partecipare alla costruzione di un futuro comune e che contribuisce a limitare il coinvolgimento dei cittadini. Ma ancora una volta i sintomi, e quindi certamente il male, non sono nuovi. Già nel 1925, John Dewey aveva scritto: «l'indifferenza è la prova della corrente apatia e l'apatia attesta che il pubblico è così smarrito da non potersi ritrovare»20, intendendo con ciò che gli individui non possono più essere veri attori di una volontà comune.
Che si manifestino come rottura improvvisa o come un lungo periodo di sconvolgimenti, le crisi richiedono un'azione particolare da parte delle biblioteche?

Parte 2

In questa seconda parte, discuteremo dunque di ciò che rivelano i nuovi servizi introdotti dalle biblioteche in tempo di crisi. Quale risposta può dare la biblioteca a queste tre situazioni che chiameremo povertà e sconvolgimenti economici, ripiegamento su se stessi e turbamento sociale, perdita di potere politico e squilibri di cittadinanza21?
Come sottolineato dalla relazione del CSRT, «la diffusione della conoscenza resta la premessa alla più larga mobilitazione per trovare e attuare soluzioni nuove per i bisogni della società»22. In altri termini, l'informazione e soprattutto l'informazione scientifica restano fondamentali per pensare e attuare il cambiamento. La biblioteca come luogo d'accesso alle informazioni, a condizione che tale accesso sia libero e aperto a tutti, pone le basi perché questo cambiamento si possa attuare. I dibattiti odierni in materia di open access o di beni comuni sono il riflesso di questo forte impegno sull'accesso alle informazioni. Allo stesso modo, la formazione del pubblico nel contesto di Internet accompagna tale processo. Il richiamo al pluralismo delle collezioni completa questa riflessione: la Dichiarazione di Lione lo pone come uno degli elementi chiave dello sviluppo sostenibile, allo stesso titolo della parità dei sessi, dell'acqua potabile ecc. Questo accesso alle informazioni che emancipa il cittadino e avvantaggia la democrazia è l'unica risposta alla crisi della rappresentanza in Francia. È abbastanza sorprendente, in effetti, che la biblioteca pubblica francese non coltivi l'idea di sviluppare servizi che potrebbero concretamente accompagnare la partecipazione del pubblico alle elezioni e alla democrazia, un po' come negli Stati Uniti si organizzano attività di preparazione agli esami di accesso alla nazionalità23. Il fatto che la biblioteca situi la propria azione di sostegno alla democrazia sul piano esclusivo dell'accesso libero alla documentazione, permettendo agli individui di costruire la propria analisi e di poter votare in tutta coscienza, è indicativo di un istituto che si pone dalla parte del pubblico prima ancora che da quella dell'istituzione. Oppure, come ricorda Paul Ariès, «voler capire è già disobbedire»24. Così, la prima azione della biblioteca, ovvero garantire l'accesso all'informazione (incipit del Manifesto UNESCO), è oggi più che mai avvertita, in un periodo di crisi prolungata, di cambiamento da costruire.
Ma la biblioteca non si accontenta di rinnovare semplicemente il proprio Manifesto; essa muove qualche passo di lato25 e propone un maggior numero di servizi, più o meno nuovi, il cui scopo è quello di aiutare il pubblico in una situazione di crisi. Ricordiamo innanzitutto che questo pubblico non è nuovo alla biblioteca, anche se il numero degli utenti potrebbe essere aumentato notevolmente negli ultimi anni. Un articolo di Le monde calcola come «i disoccupati sono il 3% dei 5.000 utenti quotidiani della Bpi26. Ogni giorno si aggiungono una trentina di persone senza fissa dimora e una quindicina di migranti, venuti a cercare conforto, socialità o informazione. Solo criterio di entrata è mettersi in coda»27. Qui notiamo due cose: la prima è in che ordine è riportato il servizio fornito dalla biblioteca: conforto, socialità e informazione, ordine che può essere confrontato con i risultati del sondaggio condotto da studenti dell'Enssib sulle ragioni della frequenza delle biblioteche pubbliche in tempo di crisi, risultati che presentano un ordine diverso: per i libri, per ricerche riguardanti il lavoro (da parte dei lavoratori come dei disoccupati), per consultare Internet, per godere di un luogo tranquillo e silenzioso, per avere accesso a documenti multimediali. Socialità e conforto sono lontani da ricoprire un ruolo di primo piano, l'informazione è onnipresente, ma la presenza più sorprendente è il lavoro, che è invece spesso considerato all'opposto dell'ideale di tempo libero e cultura che la biblioteca rappresenta. Tra i servizi offerti osserviamo inoltre lo sviluppo di partenariati con le Maisons de l'emploi o con associazioni per l'inserimento professionale28 e la creazione di spazi dedicati o di sosta all'interno delle biblioteche a sostegno di coloro che desiderano ritrovare un impiego nel mercato del lavoro. L'autoformazione, che risponde alla volontà o alle esigenze degli individui di rimettersi in pari o di sviluppare nuove competenze, è l'altro servizio particolarmente popolare oggi, e Serge Paugam, in un'intervista, ha spiegato che per le persone in difficoltà finanziarie e sociali «lo spazio preferito è quello dell'autoformazione: da soli nei box, con la loro volontà di uscirne»29. È la volontà di superare la crisi per ritrovare una vita che definiremmo normale: un lavoro, del denaro per i consumi, una vita sociale ecc. In altre parole, la biblioteca sviluppa servizi che rispondono a una crisi auspicata come transitoria, con una prospettiva d'avvenire che si delinea come un ritorno alla normalità. Nello stesso tempo in cui sviluppa la possibilità per gli individui di interrogare il mondo, la biblioteca offre servizi che permettono agli individui stessi di plasmarsi nel mondo. Questa apparente contraddizione è piuttosto indicativa dell'ambivalenza della biblioteca odierna e dello strappo tra la sua missione originale, politica, emancipatrice e le esigenze quotidiane del suo pubblico, tra la vocazione per la democrazia e la realtà pratica della istituzioni pubbliche30. Si prenderà come ulteriore prova di questa ambivalenza ciò che lascia intendere, in chiusura, la citazione di Le monde: «solo criterio di entrata è mettersi in coda»31, che ci rammenta come la biblioteca sia prima di tutto uno spazio pubblico. Riprendendo le parole di Merklen e Murard, «essa è spesso l'unico spazio aperto (in linea di principio) a tutti, gratuito, che offra un accesso (in linea di principio) diretto, senza mediazioni obbligatorie, senza la necessità di avere "le carte in regola"»32. Poiché la biblioteca è un luogo per tutti, essa non "stigmatizza"33, come invece le altre istituzioni statali che portano il nome della pena di coloro che le frequentano: Maisons de l'emploi, Servizi sociali... Perché è uno spazio pubblico. In altre parole, la biblioteca propone servizi che rispondono a una sollecitazione della società a trovare il suo spazio economico e finanziario, pur conservandosi come luogo dove ciascuno costruisce questa integrazione secondo un'agenda che gli è lasciata completamente libera34.
Questa stessa tensione fra la volontà di integrare la biblioteca nelle azioni dello Stato e quello di mobilitare il pubblico su di un compito più idealista si riflette anche nelle risposte che le biblioteche francesi cercano di dare alla crisi della socialità. In quanto luogo pubblico, la biblioteca è per sua natura un luogo di socialità in cui si ritrova un'utenza eterogenea35, dove la prossimità con l'altro rompe la spirale della solitudine36. Ma ciò non è sufficiente, e la biblioteca desidera essere anche un luogo culturale dove ognuno possa costruire la propria socialità. Di conseguenza assistiamo allo sviluppo di concetti come la biblioteca "terzo luogo"37, che ha un effetto straordinario in Francia. Le biblioteche francesi ne desumono l'idea di una biblioteca come luogo dove gli individui costruiscono sia il proprio essere sia il proprio rapporto con il mondo, in una prospettiva diversa dagli altri spazi sociali, quali la famiglia e il lavoro. Si tratta quindi di aprirsi e di aprirsi nell'incontro con l'altro. Queste biblioteche sviluppano spazi d'incontro, dibattiti, propongono attività di gruppo per un utilizzo della biblioteca che non sia individuale. Idealmente, non si può non sostenere un progetto che cerca di rimettere elementi di comunità in una società caratterizzata dalla mancanza di legami, ma cerchiamo di non illuderci, giacché nella biblioteca terzo luogo permane l'idea che l'individuo sia al centro della comunità. O, come si esprime Etienne Tassin, parlando di Hannah Arendt, «una società "politica" è una comunità di attori, di cittadini che agiscono, e non la semplice aggregazione di individui che vivono l'uno accanto all'altro, condividendo un ipotetico bene comune»38. Questo concetto, nonostante i suoi limiti, resta tuttavia interessante, in quanto posiziona la biblioteca come un luogo in cui l'individuo si costruisce e quindi si emancipa dalle reti sociali alla quali è abituato, rompe le abitudini, ricompone delle prossimità. Anche in questo caso ritroviamo una tensione tra un ruolo istituzionale di costruzione di una cultura comune e un ruolo più di emancipazione, che intende proporre nuove strade per ciascuno di noi.
È questa tensione tra l'istituzione e l'emancipazione, tra la crisi puntuale e il cambiamento, che studieremo da qui in avanti, attraverso il concetto di partecipazione.

Parte 3

Se i progetti partecipativi sono al centro delle riflessioni dei bibliotecari solo da due o tre anni, di essi non abbiamo ancora alcuna reale visibilità. L'indagine che stiamo conducendo sulla partecipazione nelle biblioteche della regione Rhône-Alpes, anche se non ancora terminata, dimostra comunque che il 50,8% degli intervistati ha condotto uno o più progetti partecipativi nel corso del 2013 nella propria biblioteca. Tra questi, tre biblioteche se ne occupano da più di 15 anni, altre tre da 10 anni e le altre 25 hanno iniziato tra il 2010 e il 2013, di cui sette per la prima volta nel 2013. Se quindi la partecipazione non è qualcosa di completamente nuovo in biblioteca, è tuttavia evidente che negli ultimi anni questo tipo di azione ha visto una diffusione intensa. Perché, allora, dal 2010, un tale entusiasmo?
In primo luogo, la crisi della rappresentanza sembra indurre ministeri, comuni e dipartimenti a trovare soluzioni per riconquistare la fiducia del loro pubblico. Assistiamo di conseguenza a una serie di proposte partecipative, tra cui l'invito nazionale al dialogo sul digitale39 da parte del Ministro alla cultura Fleur Pellerin e il bilancio partecipato di Parigi40.
Questo interesse per ciò che viene chiamata democrazia partecipativa è visibile anche in provincia, dove sono numerosi i municipi che hanno sperimentato l'introduzione di servizi di democrazia partecipativa, il cui ruolo41 è stato principalmente quello di sviluppare la democrazia di prossimità, la democrazia a livello locale42.
C'è dunque a livello nazionale, come a livello locale, un posizionamento delle istituzioni politiche sulla partecipazione, che deve necessariamente avere un impatto sulle istituzioni locali, a partire dalle biblioteche. Così, a Metz e a Bruz, i servizi di democrazia partecipativa hanno richiesto alle loro istituzioni culturali la realizzazione di progetti partecipativi: consultazioni sulla costruzione di una nuova biblioteca, comitato di utenti per ripensare gli spazi ecc. L'aumento delle azioni partecipative delle biblioteche, quindi, risponde innanzitutto a una spinta delle istituzioni pubbliche. Ma non solo. Il secondo motivo è legato allo sviluppo di quelle tecnologie partecipative che sono gli strumenti del Web 2.0. La diffusione generalizzata dell'accesso a Internet, degli smartphone, dei siti quali forum, blog e social network svolge un ruolo fondamentale nell'affermazione dell'idea che siamo in grado di dare voce ai nostri pensieri e opinioni43. La primavera araba, che ha messo in evidenza il potere di questi strumenti in termini di azione politica, ne ha anche mostrato la forza liberatrice. Molte biblioteche si sono impadronite di questi strumenti, stabilendo un dialogo con il proprio pubblico, al fine di dargli voce: blog scritti con gli utenti nell'esempio dei blog delle biblioteche di Grenoble o di Romans sur Isère, commenti ai documenti nel catalogo presso la biblioteca di Saint-Herblain ecc.
Tra progetto istituzionale di democrazia partecipativa e nuova espressione di democrazia condivisa, la biblioteca è messa dalla partecipazione di fronte al proprio conflitto, e poiché essa deve affrontarlo, la partecipazione le offre reali opportunità di discutere le proprie missioni, di accompagnare le evoluzioni della società e di prendere parte ai cambiamenti in atto. La partecipazione costringe la biblioteca ad affrontare le proprie contraddizioni44 e la complessità dell'agire politico. Dobbiamo capire bene: il conflitto, la contraddizione non è l'espressione di un dissenso inconciliabile e paralizzante, ma l'espressione di un disaccordo che permette di scuotere le fondamenta, di immaginare un essere altro da quello a cui siamo abituati, e permette a tutti di guardare alla quotidianità con lo stupore di chi la vede per la prima volta. La biblioteca, unico vero spazio pubblico, è il luogo ideale per il raggiungimento di questo stupore fondante l'agire politico, nella misura in cui, per riprendere Tassin, «lo spazio pubblico è questo luogo dove l'uso critico della ragione riesce, grazie a procedure argomentative razionali, a convertire la violenza delle passioni in opinioni divergenti ma ragionevoli, capaci di cooperare in una politica deliberativa»45. Nel progetto BiblioRemix, i bibliotecari sono chiamati a ripensare l'immagine del proprio mestiere, cosi come gli utenti il loro uso del luogo. Altri progetti, come quello della mediateca di Lezoux, hanno permesso di interrogare altrettanto efficacemente le concezioni dei politici eletti, degli operatori dei servizi municipali, dei bibliotecari, dei volontari, degli utenti come dei non-utenti e di proporre servizi progettati insieme. Si tratta in questo caso di ripensare la biblioteca come spazio sperimentale46 che mette in luce le esigenze della comunità e che allo stesso modo ridefinisce la biblioteca stessa. Questi progetti ridefiniscono l'impegno civico. Non si tratta più di votare per essere coinvolti, ma di partecipare alla continua sperimentazione della nostra società, di essere agenti di cambiamento ogni giorno. Naturalmente, possiamo obiettare che in questo modo si riduce la democrazia alla sola realtà locale, ma possiamo anche considerare queste azioni come esperienze di apprendistato che precedono un'azione collettiva. Giacché, se la crisi politica sta nell'indifferenza degli individui, essa non sarà risolta aumentando il coinvolgimento degli individui stessi presi singolarmente, ma assicurando uno spazio fondamentale alla collettività. I progetti partecipativi aprono le porte a nuove opportunità, in particolare per le biblioteche, che possono giocare il loro ruolo di emancipazione rinnovando ciò che possono essere le istituzioni culturali: non più luoghi di attuazione delle politiche culturali pubbliche, ma luogo della loro sperimentazione. E in effetti, «la lezione della sperimentazione è anche che la libertà come fine presuppone la libertà come mezzo»47. Questi progetti partecipativi sono notevoli anche perché in grado di mobilitare le persone non più sulla loro capacità di scegliere tra due o tre proposte fatte da esperti, ma nella loro capacità di creare proposte basate sui propri saperi. La mediateca della Croix Rousse, interna alla rete delle biblioteche municipali di Lione, ha riunito un comitato di volontari, utenti e non utenti, al fine di pensare e costituire una nuova collezione musicale in biblioteca. In questo progetto, i volontari hanno utilizzato il proprio bagaglio culturale (chi appassionato d'opera, chi produttore di musica ecc.), al fine di proporre una selezione di documenti multimediali, mentre di solito sono i bibliotecari che hanno l'incarico e le prerogative per l'allestimento della collezione. Questi progetti da un lato valorizzano i saperi degli individui, che si mettono al servizio del progetto collettivo, e dall'altro pongono sullo stesso piano i bibliotecari, membri dell'istituzione pubblica, e gli utenti, i residenti, in quanto ciascuno è esperto di qualcosa che è utile a tutti. Questa uguaglianza48 è fondamentale allo stesso modo della libertà di cui si è detto in precedenza. Infine, i progetti partecipativi francesi permettono di prolungare il dibattito sulla socialità prima richiamato. Nella partecipazione, in particolare in progetti come quelli intrapresi a Vitrolles (partecipazione del pubblico alla creazione di un 1% artistico della futura biblioteca attraverso la realizzazione di archivi viventi), a Romans sur Isère (partecipazione dei residenti a laboratori di degustazione, in cui gli stessi cucinano, scrivono le proprie ricette e le diffondono tramite blog), o ancora a Lezoux (partecipazione dei cittadini nella realizzazione di sezioni di saperi pratici mediante la registrazione delle proprie competenze, per esempio in materia di giardinaggio), la biblioteca invita il pubblico a completare le collezioni mettendo in comune la propria cultura, le proprie storie. Questi progetti non sono interessanti soltanto in quanto si basano sul concetto di inclusione49. La biblioteca qui non è un'istituzione che dà il "la" a ciò che è la cultura francese, ma è un istituto in cui la cultura è considerata qualcosa di vivo; è lei che riannoda i legami tra individui con l'idea che l'istituzione deve sostenere la cultura e la storia come processi vivi e in evoluzione e non come elementi fissi, già determinati in un passato a cui non abbiamo preso parte. I progetti partecipativi consentono agli abitanti di "prendere parte" e di "fare parte di". In questo contesto, si può dire che tali progetti offrono risposte da un lato alla crisi letta come mutamento che interroga la dimensione sociale delle nostre società e dall'altro alla crisi vista come rottura che evidenzia la solitudine e la mancanza di solidarietà contemporanea. In altri termini, in questi progetti, la biblioteca non promuove socialità, ma la comunità, non un vivere con ma un vivere insieme. La biblioteca partecipativa consente a tutti di passare dalla "Grande società" alla "Grande comunità", per riprendere le parole di Dewey50, una comunità che si costruisce nell'agire civico e non nell'essere comunitario51.

Conclusione

Per concludere questo articolo, diremo rapidamente che la biblioteca può replicare alla crisi in molti modi: ampliando sempre di più l'accesso alle informazioni, sviluppando nuovi servizi di sostegno agli individui per aiutarli a far fronte alla crisi e, infine, proponendo azioni collettive, partecipative che permettano non solo di superare la crisi, ma di farlo cambiando la società. Qualcuno potrebbe dire che in questo senso il bibliotecario diviene una sorta di agente sovversivo, laddove apre uno spazio in cui si può sperimentare una società differente da quella odierna, ed è proprio qui che la biblioteca raggiunge la sua vera vocazione d'istituzione al servizio dell'emancipazione, giacché «essere e agire sono una sola cosa. E l'intera libertà dipende dall'agire insieme. Nel momento in cui l'azione cessa, la libertà sparisce; non appena essa rinasce, la libertà riappare»52.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Ultima consultazione siti web: 23 ottobre 2014.
Traduzione di Giovanna Montano.

[1] L'intervento della bibliotecaria francese nel corso della tavola rotonda era l'unico che affrontava un tema generico, l'accoglienza dei senza fissa dimora, senza alcun riferimento esplicito alla crisi attuale.

[2] Ritorneremo in modo più preciso sulla definizione del termine "crisi" nel corso dell'articolo.

[3] Tali nozioni saranno anch'esse meglio chiarite in seguito.

[4] A eccezione della tesi di dottorato a cui sta lavorando l'autrice di questo articolo.

[5] Damien Day, Enjeux, état des lieux et dynamiques de participation en bibliothèques [tesi di laurea]. Villeurbanne Cedex: Enssib, 2013, http://www.enssib.fr/bibliotheque-numerique/documents/64226-enjeux-etat-des-lieux-et-dynamiques-de-participation-en-bibliotheques.pdf.

[6] Élise Breton, Co-construire les collections avec les usagers [tesi di laurea]. Villeurbanne Cedex: Enssib, 2013, http://www.enssib.fr/bibliotheque-numerique/documents/64143-co-construire-les-collections-avec-les-usagers.pdf.

[7] Franck Queyraud; Jacques Sauteron, Outils du web participatif en bibliothèque. Paris: Association des bibliothécaires de France, 2013.

[8] Association des bibliothécaires de France. Rhône-Alpes, "Journée d'étude ABF, le 21 novembre à Bourg-En-Bresse", http://abfrhonealpes.midiblogs.com/archive/2013/10/02/journee-d-etude-abf-le-21-novembre-a-bourg-en-bresse-784220.html. Rhône-Alpes: regione a sud-est della Francia; vi si trovano le città di Lione, Grenoble, Saint-Etienne.

[9] Association des bibliothécaires de France, "60e Congrès à Paris, du 19 au 21 juin 2014", http://www.abf.asso.fr/2/24/408/ABF/60e-congres-a-paris-du-19-au-21-juin-2014?p=4.

[10] Sono attualmente in corso un'inchiesta quantitativa sui progetti partecipativi nella regione Rhône-Alpes e un'inchiesta qualitativa sulla partecipazione ai progetti di crowd sourcing (ricerche condotte da Raphaëlle Bats, i cui risultati sono prossimi alla pubblicazione).

[11] Paul Ariès, Penser la crise. Villeurbanne Cedex: Enssib, 2013, http://www.enssib.fr/bibliotheque-numerique/ecouter/60175-penser-la-crise.

[12] Agnès Gayraud, Naissance de la théorie critique, «La vie des idées», 14 settembre 2012, http://www.laviedesidees.fr/Naissance-de-la-theorie-critique.html. Recensione di: Jean-Marc Durand-Gasselin, L'École de Francfort. Paris: Gallimard, 2012.

[13] Centre national de ressources textuelles et lexicales, Crise, http://www.cnrtl.fr/definition/crise.

[14] Ibidem.

[15] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di Valentino Gerratana. Torino: Einaudi, 1975, v. 1, p. 311.

[16] Ibidem.

[17] Un'altra ipotesi di uscita dalla crisi sarebbe quella del transumanesimo. Paul Ariès, durante una conferenza all'Enssib, ha citato una serie di progetti di transumanesimo per uscire dalla crisi ecologica, progetti che non sappiamo se considerare strampalati o inquietanti.

[18] Conseil supérieur de la recherche et de la technologie, Les nouvelles frontières de la connaissances face à la crise, a cura di Claude Saunier, Isabelle de Lamberterie. 2014, http://www.enssib.fr/bibliotheque-numerique/documents/64447-les-nouvelles-frontieres-de-la-connaissance-face-a-la-crise.pdf, p 11.

[19] Julie Clarini; Serge Paugam, Á la bibliothèque des érudits qui vivent d'un revenu minimum, "Le monde", 4 aprile 2013, http://www.lemonde.fr/livres/article/2013/04/04/serge-paugam-a-la-bibliotheque-des-erudits-qui-vivent-d-un-revenu-minimum_3153606_3260.html.

[20] John Dewey, Comunità e potere. Firenze: La nuova Italia, 1971, p. 97.

[21] Non saranno qui tutti citati, ma un certo numero di bibliotecari sono intervenuti a proposito della crisi economica e la biblioteca in Francia nel corso degli ultimi tre anni. A titolo di esempio, segnaliamo: la biennale di scienze umane e sociali dell'Enssib del 2013 sulla crisi, la tesi di Thierry Fouillet, la tesi di Chevallier sui senza fissa dimora, la tesi di Yoann Bourrion sull'inserimento professionale, l'opera diretta da Georges Perrin sull'inserimento professionale sempre per i tipi dell'Enssib, un'indagine richiesta dalla BPI sulla povertà del pubblico e una serie di interventi dedicati alle crisi, da un punto di vista internazionale, su "France culture".

[22] Conseil supérieur de la recherche et de la technologie, Les nouvelles frontières de la connaissances face à la crise cit., p. 73.

[23] Potremmo immaginare in Francia uffici per il ritiro della carta di elettore con informazioni sul sistema civico francese. Alcuni centri conducono progetti interessanti con i CADA (centri di accoglienza per coloro che chiedono asilo) o con associazioni che accompagnano chi chiede il permesso di soggiorno, ma raramente tali progetti portano ad altro che a un aiuto per l'accesso all'informazione (di solito sul paese d'origine) o a un sostegno per l'alfabetizzazione.

[24] Paul Ariès, Penser la crise cit.

[25] Paul Ariès, Penser la crise cit.

[26] Bibliothèque publique d'information nel centro Pompidou.

[27] Mathilde Gérard, Bibliothèque pour tous, précaires et exclus compris, «Une année en France», 6 giugno 2013, http://crise.blog.lemonde.fr/2013/06/06/bibliotheque-pour-tous-precaires-et-exclus-compris.

[28] Altri partenariati sono possibili. Vedi Yoann Bourion, Les bibliothèques, un atout pour les politiques publiques d'insertion professionnelle? [tesi di laurea]. Villeurbanne Cedex: Enssib, 2011.

[29] Julie Clarini; Serge Paugam, Á la bibliothèque des érudits qui vivent d'un revenu minimum cit.

[30] Questa realtà pratica è legata al fatto che la biblioteca stessa è in crisi e cerca di legittimare la propria azione e di far riconoscere il proprio valore. Svanhild Aabo ricorda che questo valore può definirsi in termini di: «ruolo sociale delle biblioteche; sviluppo della fiducia negli individui e nella comunità e diminuzione dell'isolamento sociale; contributo alla costruzione di una comunità e sentimento di appartenenza alla comunità; messa a disposizione di uno spazio pubblico; ruolo educativo delle biblioteche; ruolo economico; lettura e alfabetizzazione; informazioni sulla salute; equità nell'erogazione dei servizi». Svanhild Aabo; Ragnar Audunson, Rational choice and valuation of public libraries: can economic models for evaluating non-market goods be applied to public libraries?, «Journal of librarianship and information science», 34 (2002), n. 1, p. 5-15.

[31] Mathilde Gérard, Bibliothèque pour tous, précaires et exclus compris cit.

[32] Denis Merklen; Numa Murard, Pourquoi brûle-t-on des bibliothèques? Violences sociales et culture de l'écrit, «La vie des idées», 7 gennaio 2008, http://www.laviedesidees.fr/Pourquoi-brule-t-on-des.html, p. 3.

[33] Questa nozione di stigmatizzazione è ripresa da Serge Paugam e Thierry Fouillet: Thierry Fouillet, En temps de crise, quels usages des bibliothèques et quelles attentes des citoyens? Villeurbanne Cedex: Enssib, 2013, http://www.enssib.fr/bibliotheque-numerique/ecouter/64544-en-temps-de-crise-quels-usages-des-bibliotheques-et-quelles-attentes-des-citoyens.

[34] Non è il caso delle Maisons de l'emploi, frequentate da disoccupati in attesa di una risposta il cui calendario è fissato dall'istituzione.

[35] Thierry Fouillet, En temps de crise, quels usages des bibliothèques et quelles attentes des citoyens? cit.

[36] Su questo punto si rimanda al bellissimo video sul Val d'Essonne, nel quale c'è una signora che dichiara di venire in biblioteca per vedere persone, senza necessariamente parlare, ma almeno per evitare di essere sola.

[37] Vedi: Mathilde Servet, Les bibliothèques troisième lieu [tesi di laurea]. Villeurbanne Cedex: Enssib, 2009.

[38] Étienne Tassin, Un monde commun: pour une cosmo-politique des conflits. Paris: Seuil, 2003.

[39] Conseil national du numérique, Ambition numérique: concertation nationale sur le numérique, http://contribuez.cnnumerique.fr.

[40] Mairie de Paris, Budget participatif 2014: accueil, https://budgetparticipatif.paris.fr/bp.

[41] Si utilizza il tempo passato, dato che un certo numero di servizi sono cessati con il cambio di amministrazione in seguito alle ultime elezioni. Réseau national de démocratie participative, http://demospart.fr.

[42] È sufficiente scrivere «services de démocratie participative dans les mairies» in Google per rendersi conto che piccole e grandi città hanno scelto di sviluppare questi servizi. È possibile visitare il sito web del Réseau national de démocratie participative che conta tra i suoi aderenti numerose comunità locali.

[43] Potremmo riscrivere la storia di questi strumenti, chiedendoci se il loro sviluppo è una risposta alla domanda di crescita di potere e ascolto dei cittadini o se questi stessi strumenti hanno sviluppato un sentimento di mancanza di espressione democratica, ma non è il nostro proposito.

[44] In altre parole, non soltanto essa permette di mettere in evidenza il conflitto inerente ad ogni azione, ma lo permette attraverso l'espressione di diversità e disaccordi. Qui noi seguiamo piuttosto John Dewey che Jürgen Habermas, per il quale la partecipazione tende a un consenso che, secondo noi, non può che riportare la società verso un'illusione di semplicità del vivere insieme poco propizia alla trasformazione che va attuata per superare la crisi. Al contrario, per Dewey, l'atto politico è sempre un'interazione che modifica ogni partecipante, ed è l'espressione delle differenze che può condurre alla continua ri-sperimentazione nella società.

[45] Étienne Tassin, Un monde commun: pour une cosmo-politique des conflits cit., p 28.

[46] Lo stesso entusiasmo nei confronti della sperimentazione di ritrova nei fablabs, sempre più numerosi nelle biblioteche francesi.

[47] John Dewey, Comunità e potere cit., p. 46.

[48] L'uguaglianza tra bibliotecari e utenti non è un'evidenza scontata. Anna Galluzzi ha presentato recentemente sul BBF un dibattito proprio dell'associazione italiana sulla biblio-aristocrazia: Anna Galluzzi, Les bibliothécaires italiens s'interrogent sur le rôle des bibliothèques et des bibliothécaires, "Text", 1 gennaio 2012, http://bbf.enssib.fr/consulter/bbf-2012-04-0067-001.

[49] Su questo tema sono da ricordare: una conferenza della BPI e una ricerca sulla biblioteca nella città, una giornata di studi organizzata da Légothèque e Accessibib, due commissioni dell'ABF che puntano a porre biblioteca e bibliotecari come agenti attivi nella lotta contro gli stereotipi (di genere e culturali per la prima, di handicap per la seconda), una tesi sulle biblioteche viventi del 2014 ecc.

[50] John Dewey, Comunità e potere cit.

[51] Étienne Tassin, Un monde commun: pour une cosmo-politique des conflits cit.

[52] Ivi, p. 52.