Vecchi paradigmi e nuove interfacce:
la ricerca di un equilibrato sviluppo degli strumenti di mediazione
dell'informazione
PRIMA PARTE

Roberto Raieli

Non è la più forte delle specie che sopravvive,
né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti.

Charles Darwin

Introduzione

Il catalogo propriamente inteso, oggi, si conferma uno strumento di reale utilità per accedere a quanto una biblioteca mette a disposizione, e per iniziare a costruire conoscenza intorno a un argomento tramite i percorsi di ricerca da esso resi possibili. In questo, il concetto stesso di 'posseduto' da mettere a disposizione si è da molto tempo evoluto, ampliandosi fino a comprendere quanto non è materialmente posseduto oppure acquisito come servizio, ma anche selezionato e mediato come 'documento', in senso tradizionalmente bibliotecario, o ancora più largamente, come 'risorsa', purché siacompiuto e affidabile. Il catalogo, dunque, è uno degli strumenti a disposizione della biblioteca, insieme con altri più nuovi e non meno problematici, per mediare un ampio e variabile patrimonio e la conoscenza che lo contestualizza. Esso, però, continua a mantenere la dignità di primo e principale strumento per consentire l'individuazione e l'accesso ai documenti1, ovvero per consentire di trovare, identificare, selezionare, acquisire le risorse e navigare tra esse2. Come tale, dal catalogo e dalla sua storia e teoria partono le molte discussioni sempre in corso sulla possibilità di realizzare l'accesso veloce, affidabile, contestualizzato e democratico alle risorse della conoscenza.
A inquadrare il problema non si arriva solo dirimendo ancora una volta qualche aspetto della generica questione del possesso versus accesso, differenziando tra risorse locali o remote ma comunque garantite e idoneea essere trattate dal catalogo, e risorse in rete o volatili più idonee a essere indicate nel sito o nel portale della biblioteca. Né tantomeno è opportuno tentare di non differenziare affatto tra le risorse incluse in uno specifico catalogo e quelle provenienti davarie banche dati, repository, e-journal, o dal Web interamente considerato. Diversi strumenti, e cataloghi detti next generation3, sono stati approntati per realizzare un luogo di ricerca e accesso unificato e univoco, per condurre gli utenti finali verso ciò che una biblioteca può garantire come utile e pertinente rispetto alle necessità manifestate da diverse tipologie di persone4. Ripercorrendo a ritroso, dunque, la storia delle biblioteche, si può tornare alle origini in cui lo scopo era quello di mediare tra l'offerta crescente di informazioni e supporti che le registrano e le necessità specifiche di ogni persona desiderosa di accrescere le proprie conoscenze. Quando il discorso si amplia è meglio parlare di 'persone' in genere, di tutte le persone cui l'azione culturale della mediazione si rivolge, non semplicemente di 'utenti' specifici di un dato servizio o diun dato sistema. Solo a questo livello si può affrontare nuovamente la questione della validità e dell'utilità di ogni espressione culturale, pur nella differenziazione delle tipologie di risorse e degli strumenti più idonei al trattamento di ognuna.
Tra i diversi sistemi di mediazione presenti oggi, quelli generalmente indicati come web-scale discovery service, e in specifico i discovery tool, sembrano essere gli strumenti su cui, per diverse ragioni, si può poggiare un determinato discorso teorico e 'problematico', teso a fare chiarezza sui pro di un loro valido e consapevole sviluppo in quanto strumenti di biblioteca, e sui contro di una loro troppo immediata accettazione in quanto proposte di tecnologieche sono fededegne soprattutto per l'ampiezza dellaloro diffusione. Tra le principali caratteristiche di un valido sviluppo, è da indicare che questi strumenti, in sostanza, non puntano a sostituire l'OPAC e le altre interfacce specifiche di 'ricerca', ma vogliono porsi solamente a un livello più basilare, o più generale, di 'scoperta' delle informazioni e delle risorse. Inoltre, i discovery tool non propongono l'accesso all'intero Web in cui la biblioteca deve essere integrata, ma piuttosto a quanto questa ha deciso di selezionare e mettere a disposizione. Anche se con la 'democratica' semplicità di un motore di ricerca generalista, i discovery tool agiscono entro un universo 'confinato' e 'sicuro': un «docuverso» più ampio in quanto non limitato ai 'documenti' ma ampliato a ogni genere di risorsa, e contemporaneamente non esteso all'infinito perché vagliato con l'autorevolezza che le istituzioni bibliotecarie hanno da sempre mantenuto5.

Operare entro un mondo quantitativamente limitato, ma organizzato e conosciuto, consente a ogni strumento di mediazione dell'informazione e dellerisorse di essere coerente, puntuale e affidabile, pure nel caso di una ricerca ampia e casuale, per serendipità, che può essere in vario modo produttiva dei risultati sperati6. Questa impostazione è in linea con i principi e i paradigmi della storia bibliografica e biblioteconomica cui lo sviluppo di tali strumenti deve appartenere, fino agli attuali principi della Library and information science (LIS). Allo stesso modo, gli strumenti di mediazione possono e devono innovare il proprio aspetto e la propria funzionalità, dotandosi di interfacce user-friendly e di strutture web-scale, realizzando in variamaniera la tendenza a una 'democrazia dell'accesso', sia semplificando le modalità di accesso, sia creando un accesso unico per risorse di ogni tipo. Lo spirito del miglioramento dell'accesso alle risorse dell'informazione e della conoscenza è strettamente collegato a quello della sua diffusione versotutte le tipologie di cittadini, tutti i livelli della società, tutte le società, in stretto rapporto con i progressi delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, affinché organizzazioni culturali e nuove tecnologie insieme possano realmente contribuire allo sviluppo,per ogni cittadino, della possibilità di esercitare i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali7.
Tali questioni, ovviamente, non possono essere risolte trasformando le interfacce senza modificare i database. I nuovi strumenti di accesso devono essere applicati a nuovi indici di dati che nella struttura si avvicinano al nuovo Web semantico: in ogni momento espandibili, interoperabili, granulari, integrabili, complessi, significativi. In ciò risiede una parte delle debolezze degli attuali strumenti di ricerca, data la realtà in cui sono state messe a punto interfacce orientate al Web da applicare a dati ancora chiusi in silos prodotti solo da poche comunità8.
In particolare, è necessario ragionare sul ruolo che si prevede possano avere i discovery tool, inquadrando criticamente il loro accoglimento tra gli strumenti di mediazione della biblioteca. Questo non senza ricordare il ruolo che ogni nuovo strumento di mediazione dell'informazione deve avere non solo per le biblioteche in sé prese, ma anche inserendole nel più generale contesto delle istituzioni e degli enti di mediazione della cultura, quali i musei, gli archivi, le gallerie eccetera: in poche parole, tutto quello che può essereintegrato nel più ampio contesto MAB (Musei, Archivi e Biblioteche)9, ovvero nel contesto internazionale LAM (Library, Archives and Museums)10. Oltre MAB e LAM sono da considerare altre organizzazioni e attori di vario genere, con almeno un certo grado di affidabilità, che devono essere presi in considerazione quando si parla del Web dei dati. In tale Web, infatti, i dati circolano ricchi di 'valore assoluto', garantito dall'autorità che li ha prodotti, e sono ampiamente riutilizzabili da tutti quelli che ne possono fare proficuo uso, e non solo esclusivamente culturale.
Le biblioteche devono ancora definitivamente abituarsi a non avere il possesso assoluto delle risorse cui garantiscono l'accesso, e già devono riflettere sulla possibilità di non possedere nemmeno tutti i dati con cui definiscono tale accesso11, e sul conseguente 'straniamento' del record bibliografico, sempre più ai limiti dell'universo bibliografico che ne contestualizza la provenienza e la storia. La pratica di arricchimento dei silos 'aperti', infatti, punta a svilupparsi catalogando o descrivendo le risorse attingendo ai dati aperti presenti nel Web, per quanto di provenienza chiara e autorevole, secondo le nuove modalità di aggregazione dei linked data, che strutturano la rete di relazioni aperta del Web semantico. Le registrazioni bibliografiche stesse, quindi, sarebbero costituite dalle relazioni dinamiche di diverse 'triple', che a loro volta relazionano i dati creati dalle biblioteche come da altreorganizzazioni e soggetti di diverso genere12.
Tutto questo insieme di tematiche è presentato in questo articolo come una successione di spunti problematici e di prospettive da approfondire, con la forma della rassegna critica delle fonti, o literary review. Una successione di argomenti su cui serve ancora interrogarsi, che si combinano tra loro nel 'montaggio', può in tal modo indicare il fine di questo studio di riflettere a tutto tondo sulla realizzabilità di un equilibrato sviluppo degli strumenti di mediazione dell'informazione, che accolga i vantaggi di un consapevole aggiornamento dei metodi e dei principi, ed eviti gli effetti negativi di una troppo immediata ed entusiastica ricerca delle novità fini a se stesse. Ciò che si deve attuare è un'effettiva innovazione dei sistemi di gestione e ricerca dell'informazione e di tutte le risorse della conoscenza, ma che sia profonda, organica ed equilibrata, e non solo per il catalogo e l'OPAC, ma anche per le banche dati, i repository istituzionali, gli archivi open access, e le relative interfacce. A essa si collega una complessiva innovazione tecnologica per il futuro dei servizi informativi e culturali alle persone, e per il progresso della società13.
Dobbiamo semplicemente arrenderci al principio naturale dell'affermazione dello strumento di mediazione più adatto al momento, o dobbiamo imporre un principio culturale per lo sviluppo dei sistemi in assoluto più affidabili? La soluzione virtuosa potrebbe stare, come per mille altre cose, nel mezzo di un ragionato percorso in parte di ascolto e in parte di indirizzamento della realtà che ci circonda.

Sviluppo delle interfacce OPAC

Gli stimoli all'innovazione
È stata spesso ripetuta, soprattutto nell'ultimo decennio, una serie di considerazioni particolarmente a favore dello sviluppo delle interfacce OPAC secondo principi riferibili al Web 2.0 e al semantic Web: estrema amichevolezza e usabilità, organizzazione interattiva e collaborativa, interoperabilità, granularità delle informazioni e dei dati. La linea più entusiastatra questi pareri giungeasollecitare fatidiche domande quali: nel mondo dei dati atomizzati e condivisi, può essere mantenuta un'idea coerente di catalogo? il sistema dell'information retrieval (IR) si polverizzerà in una serie di pratiche di 'information discovery'?
Non è tutt'oggi scontata una risposta negativa alle perplessità disfattiste riguardo il ruolo dei principi biblioteconomici e bibliotecari nel mondo del Web in evoluzione. Sintetizzando, la questione centrale appare essere sempre la stessa, come dimostrano, per esempio, le recenti colonne su Information today scritte da Barbara Quint e intitolate Attacking our problems: il primo problema da affrontare è ancora quello di intuire e assecondare le esigenze concrete degli utenti, «real people», senza complicati teoremi, allo scopo di garantire la sopravvivenza di biblioteche, bibliotecari e professionisti dell'informazione14. Il punto, piuttosto, dovrebbe essere quanto si debbano seguire le tendenze del Web allo scopo di sopravvivere con una parte dell'apparato storico di regole e reputazione delle biblioteche, che per fortuna «ha ancora autorevolezza», e quanto sia più efficace, invece, sviluppare le teorie biblioteconomiche e i metodi bibliotecari storicamente assodati e realizzare evoluzioni dei relativi principi che consentiranno di meglio vivere e gestire il futuro dell'informazione.
Il primo atteggiamento, però, è confermato anche in saggi più ragionati e riassuntivi, come quello di Hillary Richardson, che fa il punto su una letteratura specialistica che pare percorsa principalmente da preoccupazioni pratiche, motivate dalle emergenze, e con poche riflessioni - sparse tra diversi articoli o saggi brevi - che pongano la questione teoreticamente, che provino a valutare i principi per cui questa serie di impulsi alla trasformazione possa essere accolta con una ragione scientifica nella LIS15.
La prima considerazione generale, che l'autrice ricava dalla letteratura vagliata, riguarda la solita constatazione del fatto che la ricerca «internet like», tramite un'unica e semplice interfaccia, attrae gli utenti ben più della ricerca specialistica da svolgere su sistemi diversi e complessi. Ovviamente, bisogna porre il problema di come accogliere questo impulso anche nei sistemi delle biblioteche senza rinunciare alla coerenza e alla specificità del patrimonio di strumenti informativi che esse forniscono. Non pare, comunque, che ciò sia ulteriormente problematizzato, anzi, a volte prevale la tendenza a dare ai sistemi google-like la priorità sulle altre interfacce di ricerca, OPAC compreso. Alcuni cambiamenti, in ogni caso, sembrano andare nella direzione giusta, per esempio: la definizione di nuovi termini adeguati al vocabolario della LIS16, determinante per lo sviluppo di una prima teoria; l'influenza su nuove best practice professionali17 e sull'information literacy18, che tende a ragionate ridefinizioni della pratica; lo sviluppo di una coscienza, se non di una problematica teorica, della necessità di accogliere criticamente i nuovi strumenti suggeriti dal Web, come «starting point» per una scoperta di informazioni e risorse da approfondire poi con i più specifici servizi di ricerca della biblioteca19.

Riesaminando i termini in cui è stata posta la questione nel periodo 'preparatorio' al debutto dei discovery tool20, appaiono piuttosto provocatori gli inviti a nuove maniere di impostare i cataloghi di Roy Tennant, MARC must die21, e Tim Burke, Burn the catalog22. Prese di posizione di questo genere possono essere fraintese da chi approccia al solo aspetto realizzativo della questione, cioè alla messa a punto di nuove interfacce senza un approfondito ragionamento sul come arrivarci, senza riflettere sull'evoluzione e lo sviluppo, oggi,di regole, metodi e principi realizzati per l'aggiornamento ad altre situazioni storiche, passate. È più facile mettere da parte criteri e metodi tradizionaliconsiderandoli 'vecchi', piuttosto che riprendere la questione dalle origini rendendosi conto che tali apparati sono stati a loro volta frutto di un atteggiamento di innovazione e adeguamento ai tempi, e che adesso, con lo stesso spirito, i paradigmi si possono adeguare ancora una volta al tempo corrente, dinamicamente23.
Proseguendo, sono molto chiare altre 'sentenze' dello stesso Tennant, quali Lipstick on a pig, o Fixing library discovery, dove è esposto un valido punto di vista sull'inutilità di cambiamenti esteriori delle interfacce OPAC non supportati da una riprogettazione profonda del catalogo in sé preso24. In particolare, riguardo alle operazioni «cosmetiche», ammesso che ci si possa avvicinare all'implementazione di un'interfaccia simile a quella che l'utente desidererebbe, non si fa comunque il suo 'bene' fino a che non si mette mano a una riorganizzazione «sistematica» delle regole e dei metodi per produrre i dati cui l'attività dell'interfaccia deve essere poi applicata.
Nello stesso clima rientrano il tanto noto quanto contestato report di Karen Calhoun preparato nel 2006 per la Library of Congress25, e il precedente report sui servizi bibliografici della University of California26. Negli studi si indicano le linee di intervento per riformare le pratiche catalografiche, rivedere le mission e gli obiettivi, accogliere le innovazioni tecnologiche, digitalizzare i patrimoni. Riguardo alla difficoltà di utilizzo di molti cataloghi, e la loro lontananza dalle nuove abitudini delle personeavvezze al Web, si proponel'aggiornamento a interfacce semplici e veloci, che includano il controllo ortografico, i suggerimenti di ricerca, indici, abstract e recensioni, copertine, link a pagine esterne. In proposito a più delicati problemi di costruzione dei cataloghi sisuggerisce, per esempio, di sostituire la soggettazione con l'uso di keyword, di ridefinire i flussi di lavoro in riferimento a un numero limitato di dati che possono essere prodotti anche automaticamente e sulla base di nuovi standard, e di usare modelli manageriali per valutare l'utilizzo delle risorse, seguendo le abitudini di ricerca delle persone in generale anziché quelle degli utenti specialisti.
È chiaro come non possono essere mancate contestazioni alle tesi più 'ardite', non solo quelle degli ambienti maggiormente 'conservatori', ma anche lucide e produttive come quelle di Thomas Mann27, appena bilanciate da altri pareri più possibilisti28. In ogni caso, se i report citati propongono un nuovo mondo bibliografico-bibliotecario, alla base di ogni cambiamento, anche rivoluzionario, deve sempre esserci un attento vaglio delle proposte, e un confronto rigoroso tra 'vecchio' e 'nuovo'29, soprattutto per valutare comei diversi cambiamenti della realtà attuale, non solo tecnologici, ma anche sociali ed economici, avranno un impatto specifico sulle biblioteche30. Da tenere in considerazione, inoltre, sono le indagini svolte sulle abitudini di ricerca acquisite dalle persone tramite i nuovi strumenti Web31, e sul tipo di strumento che può essere messo a disposizione dalle biblioteche32, in modo da poter favorire le esigenze più 'sbrigative' e più 'sociali' di moltepersone salvaguardando i principi di accuratezza richiesti da altri utenti specialisti e dai bibliotecari.
Posizione equilibrata è quella espressa da John Byrum Jr. al congresso IFLA di Oslo del 200533. Partendo ancora dalle nuove aspettative di accesso all'informazione non corrisposte dai sistemi bibliografico-bibliotecari«di tipo tradizionale», Byrum si rivolge alle agenzie bibliografiche nazionali, per consegnare loro il compito di raggiungere due importanti obiettivi, dialogando con i professionisti dell'informazione, gli utenti e gli sviluppatori dei sistemi: garantire l'accesso a contenuti molto ampi, e implementare una nuova generazione di OPAC con potenti funzionalità ispirate agli «standard dei motori di ricerca del Web e delle librerie online». Per quanto ISBD e MARC siano stati modelli e standard di grande valore nell'innovare la produzione e lo scambio delle descrizioni catalografiche, non corrispondono più alle esigenze manifestate nella diffusione dei dati in rete.

L'esperienza del Bibliographic enrichment advisory team (BEAT)34, istituito dalla Library of Congress nel 1992, ha dimostrato come si possano «arricchire» i record bibliografici con una serie di dati, informazioni e risorse già liberamente disponibili nel Web, semplicemente collegandoli alle descrizioni bibliografiche tramite link visualizzati in apposite interfacce. Gli OPAC, così, si ampliano, comprendendo i table of contents (TOC), che consentono all'utente di determinare meglio il contenuto delle risorse, oltre a consentire una ricerca più precisa, se integrati nei campi dei record, in quanto praticamente composti di parole chiave. Altro ampliamento è quello di linkare, o di integrare nei record, le recensioni o gli estratti contenuti, per esempio, nei siti degli editori35. Per non parlare dei link che si possono stabilire con i full-text delle edizioni digitali, come con le immagini a corredo dei testi o semplicemente quelle delle copertine.
Oltre all'ampliamento dei contenuti, la nuova generazione di OPAC deve essere dotata di funzionalità web-scale. Riferendosi al «Codice di catalogazione dell'IFLA, in via di elaborazione», Byrum elenca le cinque funzioni fondamentali del catalogo - cercare, identificare, selezionare, ottenere e navigare - , avvertendo che l'OPAC tradizionale non può più svolgerle in modo soddisfacente in rapporto all'incremento delle risorse digitali, soprattutto riguardo a 'ottenere' e 'navigare'. Così, intorno al 2000, sono stati sviluppati i 'motori di ricerca federati' che, imitando in parte il metodo dei motori di ricerca del Web, possono connettere l'utente, da un unico punto di interrogazione, con tutte le risorse che la biblioteca ha deciso di indicare e mediare attraverso il catalogo e attraverso altri database, repository, e-journal, open archive, siti web eccetera. Oltre a essere integrato in questo sistema, l'OPAC dovrà offrire una serie di altre possibilità che «applicano al catalogo di biblioteca un modello mentale tipico dei motori di ricerca del Web»36: suggerimenti, correzione degli errori, proposta di menu, opzioni di browsing e raggruppamento a faccette, ordini di pertinenza, rappresentazioni grafiche dei risultati, opzioni di raccomandazione, ricerca tramite linguaggio naturale.
Indicazioni sui punti cardine per il rinnovamento degli OPAC si ricevono anche da una sintesi proposta da Giovanni Bergamin37, in risposta ad alcune provocazioni venute proprio dal Web38 per evidenziare le carenze degli OPAC dinanzi alla facilità e all'efficienza dei motori di ricerca nella quotidianità. Così come è certo che le nuove tecnologie possono migliorare il servizio degli OPAC nei confronti delle persone, non si deve esagerare nel 'purismo' rispetto al record bibliografico, accettando riformulazioni anche profonde delle metodologie catalografiche proprio al fine di evitare uno scollamento «ridicolo»39 tra la 'riforma' dell'interfaccia e quella dei dati cui si applica.
Le tre novità dell'interfaccia che meritano un'accurata riflessione, quindi, sono indicate quali: il raggruppamento dinamico dei risultati, o faceted browsing, o filtro, che permette di stabilire un «punto di vista» organico a chi sta ancora definendo un'idea della ricerca, fondandosi su dati di qualità inseriti nei campi dei record; i suggerimenti riguardo ai termini di ricerca digitati, indicazionitipo'forse cercavi' di Google, che tanto possono essere utili quanto non sono invadenti e quanto più si basano sui tesauri; l'ordinamento dei risultati basato sulla rilevanza, o relevance ranking, in cui la tecnologia può collaborare in modo «trasparente» con un'accurata preparazione dei metadati.

L'ampliamento del panorama
Alcuni degli obiettivi indicati finora sono da sempre tra gli scopi dei paradigmi biblioteconomici. Non si può non costatare che dietro un accurato sviluppo di questi elementi può esserci l'esaltazione dei principi classici del lavoro bibliotecario, come del lavoro bibliografico, che accordandosi con le tecnologie trovano la direzione per applicarsi al meglio alla realtà odierna e alle trasformazioni della società.
Sulle caratteristiche dei nuovi sistemi di mediazione delle informazioni e delle risorse, e le argomentazioni che ne sostengono la validità, si potrebbe aggiungere molto, ovviamente, e il quadro non sarebbe mai completo. Almeno da indicare, sono rassegne dal titolo programmatico come Defrosting the digital library, che esprime la necessità di rendere più amichevoli e interattive le biblioteche digitali di tipo scientifico-biomedico tramite specifiche applicazioni web-based40. Da indicare, anche più generali ricapitolazioni come The state of the art in library discovery 201041 che, come altri42, spiega i nuovi strumenti e confronta diversi approcci alla messa a punto di web-scale discovery service. Da considerare con attenzione è il sistema VuFind, next generation catalog integrabile con più ampi sistemi di discovery tool, che rappresenta l'esperienza e la proposta di uno strumento open source da sviluppare in condivisione nella comunità bibliotecaria43.
Ampliando ancora le prospettive, si possono valutare anche le argomentazioni riguardo ai social OPAC, o SOPAC, definiti in tal modo perché sviluppati sul confronto con i social network e le applicazioni di social cataloguing44, arricchendoli di funzioni solitamente usate nella quotidianità dalle comunità della rete, per lo scopo di essere ancora più vicini alle abitudini e alle esigenze delle nuove comunità di utenti45. L'OPAC può rivelare così un'altra vocazione, insieme all'intera biblioteca, quella di aggregatore di una collettività - comunità di cittadini o altra comunità di persone. Lo scopo è quello di chiamare gli utenti a partecipare all'arricchimento del catalogo, senza snaturarlo, affiancando alla rigorosa struttura professionale strumenti aperti e flessibili, in modo da consentire ai fruitori di essere anche creatori di una parte dei contenuti. Così, possono coesistere l'informazione di qualità, controllata e garantita dall'esperienza dei catalogatori, e l'informazione creata dagli utenti, libera ma verificabile, condivisibile insieme alle informazioni catalografiche46.
Commenti, recensioni, folksonomy, tag, inseriti direttamente in appositi campi proposti dall'OPAC o linkati da siti esterni, prodotti in modo libero dagli utenti, affiancano i dati del catalogo. Gli OPAC sono arricchiti di una nuova dimensione comunicativa che risponde a più bisogni conoscitivi, che si aggiunge a quella descrittiva e classificatoria che è affidabile ma complicata e poco 'aperta'47. I membri della comunità che usano le risorse della biblioteca possono dotarle di una nuova 'espressività', oltre a quella della scheda catalografica, servendo la comunità stessa, scientifica o cittadina che sia, con servizi di organizzazione degli scaffali virtuali, tagging e classificazione semplificata, recensione, valutazione, suggerimento, interagendo ognuno con il catalogo e, tramite il catalogo, tra loro48. Le attività degli utenti intorno all'OPAC sono tecnicamente controllabili dalla biblioteca nel ruolo di 'moderatore' e, se le persone hanno bisogno di consigli anche elementari sull'utilizzo delle risorse, sullo studio o sulla lettura, è meglio che sia la biblioteca a mediarli, anziché siti commerciali o gestiti in modo casuale o poco trasparente.

Oltre le argomentazioni più 'entusiaste' e divulgative, non mancano visioni più tecniche della problematica, che mettono a confronto le possibilità offerte dai nuovi modelli tecnologici con i vecchi paradigmi organizzativi49. I cambiamenti necessari, e la linea delle modifiche, devono essere valutati attraverso una considerazione obiettiva dei cambiamenti sociali ed economici che caratterizzano la società odierna, riflettendosi vicendevolmente sulla Information and communication technology (ICT)50. Per l'informazione e la conoscenza sono stati da tempo adottati nuovi strumenti e modalità di creazione, registrazione, diffusione, ricerca e fruizione, convergendo verso il digitale e il multimediale51, in un'ottica centrata sul tipo generale della 'risorsa' e sulla rete, e a questo i modelli bibliotecari non possono non dare un adeguato riscontro, 'decentralizzandosi', in termini di apertura dei dati, interoperabilità e integrazione, fruibilità, amichevolezza e condivisione, garantendo in ogni caso affidabilità, scalabilità e sostenibilità.
Le biblioteche possono 'riposizionarsi' nel nuovo scenario dell'informazione senza forzature, ridiscutendo la forma e il ruolo dei loro strumenti principali di mediazione, e dei servizi collegati, anche 'arricchendosi' di nuove metodologie coerenti, come è sempre stato, con le necessità informative e conoscitive della società in cui vivono e crescono interagendo52. Anzi, lo studio del comportamento di ricerca delle persone, assimilato ai processi cognitivi quotidiani, di tipo iterativo, può essere ispiratore delle nuove modalità di organizzazione e mediazione degli OPAC53. In questo modo, è possibile agevolare forme più spontanee dinavigazione a faccette, browsinge scoperta dell'informazione, senza per questo inseguire acriticamente nuove 'maniere' sviluppatesi spontaneamente nel Web, tradendo quelli che dovrebbero essere i principi biblioteconomici basilari, fondandosi invece su modelli concettuali quali,per esempio, FRBR54.
Attraverso una sana evoluzione, gli strumenti di mediazione della biblioteca potranno efficacemente collocarsi nell'ambito del Web 2.0 e del Web semantico, e mantenere la collocazione autorevole che hanno sempre avuto nella società, anzi, potranno contribuire al nuovo Web con l'indiscussa autorevolezza dei dati e delle informazioni di stampo bibliografico-bibliotecario.

Discovery tool e linked data

La tecnologia dei discovery tool
Oltre le diverse tipologie di OPAC evolute verso le modalità del Web, oltre i next generation catalog, oltre i sistemi di ricerca federata, o metasearch, che riescono a integrare la ricerca nel catalogo con quella in altri database, inizia il mondo dei web-scale discovery service e dei discovery tool.Caratteristica propria di questi strumentiè la creazione di un 'indice unico' dei dati e dei metadati delle risorse selezionate e messe a disposizione dalla biblioteca. L'indice è efficientemente utilizzato da un'interfaccia unica, con buone caratteristiche di semplicità e amichevolezza, e consente di svolgere in un'unica soluzione le ricerche più ampie tra le risorse di diversi database, con la conseguente produzione di un'unica lista di risultati55.
Relativamente al dibattito sugli elementi chiave dei discovery tool le argomentazioni non sono cambiate nella sostanza, e le esposizioni di qualche anno fa coeve allo sviluppo dei nuovi strumenti sono ancora valide per presentarli56. In particolare, un articolo di Judy Luther e Maureen Kelly presenta un'efficace sintesi delle caratteristiche di questi sistemi57. I presupposti sono definiti in modo equilibrato fin dall'inizio - almeno dal punto di vista applicativo -, premettendo che l'obiettivo del rinnovamento dei sistemi di ricerca è quello di offrire la semplicità di strumenti come Google, «che l'utente si aspetta», per cercare nella ricca raccolta digitale e analogica della biblioteca, «di cui l'utente ha bisogno». Il nuovo sistema è modellato su un approccio «Google-style», con un moduloper la costruzione di un indice unico di tutte le risorse, in cui effettuare la ricerca in modo omogeneo anziché cercare in ogni database separatamente.Se Google costruisce, però, un indice generico dei più disparati contenuti del Web, i discovery tool costituiscono il proprio indice in base alle risorse per le quali la biblioteca dispone l'accesso.
Luther e Kelly, citando Paul Saffo58, ricordano che, con l'attuale aumento esponenziale dell'informazione disponibile, l'obiettivo principale dei sistemi di ricerca di tipo bibliotecario è ancor più garantire il giusto equilibrio tra precisione e richiamo. Così, se molte persone usano i motori di ricerca generalisti per la loro semplicità e per l'elevato numero di risorse che sono in grado di 'scoprire', devono comunque rivolgersi a sistemi specifici se vogliono trovare l'informazione adatta a soddisfare esigenze più elevate, nascosta a Google, inaccessibile anche a Google scholar, che può essere considerato giusto uno «starting point» per la ricerca di tipo accademico. In biblioteca, dunque, se fino a poco tempo fa gli utenti dovevano completare le ricerche con strumenti differenti, con i discovery tool possono adesso avere a disposizione uno strumento unico e semplice, con grandi capacità di richiamo, ma di qualità garantita dall'istituzione che ha selezionato il suo spazio di applicazione59.
I nuovi sistemi di discovery, quindi, mettono a disposizione le ampie potenzialità di un indiceunificato insieme alla qualità dei risultati trovati, ma molto della loro efficacia dipende dall'attenzione con cui una biblioteca riesce a implementarli, e a definirne i 'confini' di applicazione, a seconda della propria mission e dell'utenza di riferimento. Tra i fattori principali di cui tenere conto per il buon funzionamento dei discovery tool, c'è la complessa questione della 'copertura' di contenuti. Ci si aspetta, intanto, che i diversi editori siano sempre più propensi a fornire ai produttori dei discovery tool la licenza per indicizzare i contenuti che essi pubblicano, da includere nell'indice unico insieme ai dati dei contenuti locali della biblioteca, recuperati tramite harvesting dei metadati dei repository istituzionali e dei record del catalogo. Allo stesso modo, però, il problema dell'ampiezza della copertura dipende dalle decisioni della biblioteca riguardo alle 'aspettative' che crea lo strumento: se, cioè, la biblioteca lo propone come unica interfaccia, soprattutto con single search box, abilitata a operare su quanto è disponibile, o se indica il ruolo del discovery tool come limitato a essere strumento di 'avvio' per una ricerca più generica, che può essere poi approfondita con altri strumenti specifici segnalati a parte nel portale della biblioteca o tramite lo stesso discovery tool60.

Riguardo all'accoglienza che i discovery tool ricevono dalle persone, Luther e Kelly sottolineano come questi sistemi consentano in generale l'aumento dell'uso delle risorse messe a disposizione dalla biblioteca, attraverso vari dispositivi fissi e mobili, attirando nuovamente coloro che tendono a spingersi verso i motori di ricerca generalisti61. A seconda del proprio livello di specializzazione, o dell'area di ricerca, i diversi utenti possono preferire il discovery più ampio attraverso la ricerca unificata delle varie risorse, o concentrarsi su specifici database, in ogni caso con la possibilità di scegliere diversi 'livelli' di utilizzo della biblioteca, compreso il livello per i 'novizi'. La semplicità di ricerca e navigazione dello strumento più generale, inoltre, consente ai bibliotecari stessi di impiegare meno tempo nell'istruzione di base delle persone all'uso del sistema, e di approfondire, invece, la loro educazione alla valutazione critica dei risultati estratti nelle query, estendibile omogeneamente a contenuti testuali, visivi, sonori e audiovisivi62.
Tra gli altri saggi che discutono la necessità dei discovery tool, scritti più 'anticipatori' rivelano sostanzialmente quanto l'impulso al cambiamento sia frutto, ancora una volta, dell'inseguimento degli sviluppi della ICT, anziché di ragionamenti all'interno della LIS63. I primi passi, infatti, sono mossi sulle orme dell'innovazione e della semplificazione proposta da Google, da altri motori di ricerca, dagli internet bookshop e da vari strumenti di comunicazione del Web64. Quale aspetto primario di un servizio di ricerca è postoil rispecchiamento della capacità di reperimento per cui questi motori 'brillano', salvo poi attuare un ordinamento più accurato dei risultati ed eventualmente approfondirli con altri strumenti specialistici65.
Significativo, in proposito, è l'editoriale di Jody Fagan, che tenta di sfatare alcuni «miti» che si sono subito generati riguardo ai discovery tool come strumento 'prodigioso' per la scoperta dell'universo dell'informazione e delle risorse della conoscenza66. Tra questi miti, deve cadere soprattutto l'idea che si possa effettuare un'interrogazione onnicomprensiva, da un'unica semplice search box, su tutto quanto la biblioteca rende disponibile nei suoi diversi canali. Allo stesso modo, si deve eliminare la sensazione che i discovery tool puntino a competere con Google e magari a sostituirlo, o la convinzione che non sia necessaria alcuna istruzione all'utilizzo delle interfacce. Deve essere, inoltre, confutata l'idea che questi strumenti siano utili solo per gli utenti generici, così come il parere contrapposto dell'inutilità per gli utenti esperti nelle ricerche in database specifici.
Tra le questioni aperte, si può solo accennare al problema della 'marca' dell'indice unico, che può creare variedifficoltà all'organizzazione univoca dei discovery service.Il problema nasce dal fatto che i principali discovery tool sono ormai realizzati e resi disponibili quasi esclusivamente dai soggetti che producono o distribuiscono editoria digitale, diventando di fatto un canale preferenziale per le loro risorse. Il trattamento e la ricerca di risorse 'esterne', quindi, è spesso reso difficile da parametrare a un sistema non prodotto dagli stessi produttori del database cui si vuole applicare. Non si tratta solo, come indicano Luther e Kelly67, di convincere gli editori restii a dare la licenza di inclusione dei loro contenuti nell'indice unico, sono gli aggregatori di contenuti, in 'conflitto di interessi' riguardo al proprio prodotto per il discovery, che devono rinunciare a favorirlo. In proposito, però, cominciano a esserci varie aperture - forse necessitate anche dal fatto che si corre il rischio di vedersi rifiutare l'abbonamento a una serie di banche dati perché il discovery tool che le dovrebbe trattare non è 'compatibile'. I principali produttori di database, infatti, si stannopreoccupando di favorire l'interoperabilità, rendendo i propri metadati aperti sia a tutti i discovery tool detti di 'seconda generazione' sia a quelli di 'prima', consentendo anche a sistemi di altra marca di utilizzarli per le ricerche complessive.
Altra questione che apre molte discussioni sulla prospettiva dei discovery tool come possibile 'punto unico' per un'efficace ricerca di base su tutte le risorse mediate da una biblioteca, è il fatto che non si è ancora presa in piena considerazione l'attuazione di un vero mutamento nell'organizzazione delle diverse basi daticui applicarli, molte delle quali sono spesso simili a silos, depositi chiusi e indipendenti68. Nonostante che in molti ne discutano, è ancora necessario riprendere pienamente coscienza degli obiettivi bibliografico-bibliotecari prima di riprogettare gli strumenti per raggiungerli. I web-scale discovery service, sostanzialmente, devono essere strutturati per una biblioteca che sia prima riorganizzata concettualmente - secondo i molteplici spunti che provengono, per esempio, da FRBR69, da RDF70, dai linked data71 o da BIBFRAME (Bibliographic framework initiative)72. I discovery tool possono anche arrivare a gestire un universo di risorse 'confinato' e 'sicuro' all'interno di un'istituzione, ma i metadati e i dati che lo compongono devono essere prima preparati opportunamente, per andare realmente incontro alle esigenze della ricerca e dell'informazione, come possono essere intese in maniera rinnovata dalla LIS e dalla società.

La metodologia dei linked data
L'innovazione parecchio discussa teoricamente, ma ancora abbastanza lontana dall'essere attuata, che può giungere fino alla proposta di un 'mutamento di paradigma' nella definizione delle nuovemetodologie, deve dunque puntare non solo alla trasformazione dei sistemi e delle interfacce di interrogazione delle basi dati, ma anche a un nuovo modo di creare e organizzare i dati nelle basi stesse.
Nuova organizzazione dei dati del catalogo e degli altri database vuol dire soprattutto 'apertura' dei dati, creazione in formato granulare e interoperabile, oltre le regole e gli schemi classici del record catalografico e dei formati di metadati73. Ogni dato deve avere forma 'atomica', deve essere autonomo, definito attraverso modelli largamente condivisi, preparato per essere esposto nel Web, diffuso, riutilizzato, tale da consentire l'integrazione e la riaggregazione dei singoli dati in combinazioni dinamiche, secondo le necessità e il 'punto di vista' dei diversi utilizzatori finali. In questa direzione, i cataloghi devono essere riformati per fornire all'utente una presentazione sistematica dell'universo bibliografico e 'non bibliografico', relativo a tutte le forme di registrazione dell'informazione, organizzando in modo efficace e dinamico la conoscenza, assemblando e 'sintetizzando' i dati granulari riferiti alle diverse entità correlate a una risorsa. Tutto questo è ciò che suggerisce lo stesso modello FRBR, e che si tenta di attuare tramite l'implementazione di nuovi schemi quali RDA74.
L'apertura e l'accessibilità dei dati non si relazionano solo con le modalità di creazione in formato granulare e interoperabile, ma anche con la filosofia sottostante le metodologie della 'metadatazione', e con le ragioni per cui creare open data, e linked open data (LOD), in rapporto di interscambio con l'esterno, la società, il Web. Contro le restrizioni di varia natura alla circolazione e al riutilizzo dei dati75, che limitano lo sviluppo della conoscenza e il progresso della società, è necessario trovare il luogo in cui realizzare l'interconnessione tra open science e open government, il quale può essere rappresentato dagli open bibliographic data, e sostanziato da OPAC, database, open archive, archivi istituzionali, knowledge organization system (KOS), e tutto il rinnovato apparato bibliografico-bibliotecario realmente aperto al mondo odierno76.
Le strutture di dati descritte tramite modelli applicabili e utilizzabili in modo interoperabile, i metadati condivisibili tra sistemi di informazione differenti,i dati aperti e connessi, non sono una novità per i progetti di integrazione tra biblioteche, archivi e musei (MAB o LAM). La metodologia dei linked data, e il Web semantico, centrano e semplificano questi obiettivi di integrazione77, in quanto nella logica base dello schema RDF, che struttura il nuovo Web, l'integrazione è spinta ben oltre le istituzioni della cultura e della memoria78, e ogni produttore di dati ha a disposizione una 'grammatica' base e dei 'vocabolari' specifici per scrivere i propri dati in stringhe RDF-XML largamente condivisibili79. Ovviamente, non mancano criticità collegate alle diverse licenze per il riuso dei dati e, soprattutto, alla distanza tra il 'contesto semantico' originario di aggregazione e interpretazione e quello dell'eventuale riaggregazione e reinterpretazione, che potrebbe essere coperta solo tramite complessi accordi tra comunità che per loro natura creano dataset differenti governati da differenti ontologie80.
Riguardo l'universo dell'informazione visto 'anche' dalla prospettiva delle biblioteche, la filosofia del mondo dei dati aperti converge in varie iniziative per una consapevole rivalutazione dei principi del trattamento bibliografico. La tendenza è quella dipromuovere, al posto della tradizionale struttura 'lineare' di descrizione di un insieme di dati, strutture 'reticolari' di apertura dei dati singolarmente presi, che possano dare un'idea più ampia del contesto in cui una singola risorsa è inserita. Con FRBR, RDA, e i recenti sviluppi di BIBFRAME, le biblioteche guardano sempre più alla possibilità di creare i dati, o di collegare dati già esistenti, secondo un nuovo metodo, e di gestirli con nuovi mezzi di trattamento e ricerca, che consentiranno di andare realmente incontro alle esigenze delle persone, fornendo strumenti più potenti e semanticamente organizzati81.

L'accento è sulla necessità di riportare veramente il focus dei cataloghi sulle persone che li dovrebbero usare, passo decisivo se si vuole arginare la fuga di queste verso altri forse meno affidabili ma più 'servizievoli' strumenti.In questo senso, la pubblicazione di FRBR rappresenta una vera svolta 'di principio' per i cataloghi, in quanto il report presenta un nuovo modello logico per modificare in profondità le concezioni bibliografiche e catalografiche, ed è stato la base per una riorganizzazione logica degli ICP82, per la revisione degli standard internazionali dell'IFLA, quali ISBD, e per la messa a punto di nuovi codici di catalogazione, quali REICAT e RDA.Gli impulsial cambiamento derivanti da FRBR, riguardo tutte le applicazioni della FRBR family83,presuppongono non solo la trasformazione della struttura dei dati del catalogo, ma anche dei formati bibliografici e dei software per la catalogazione. L'oggetto, dunque, passa dal record a se stante, 'monolitico', alle 'entità' in relazione, consentendo un approccio più ampio e globale alle risorse, inquadrandoleanche come insiemi di dati collegati, da trattare, diffondere, condividere. La prospettiva tradizionale del 'record' bibliografico è sostituita da quella del 'set di dati', composto dal collegamento di dati in sé autonomi, sottolineando ancora una volta la crescente importanza di una concezione granulare dell'organizzazione dei dati.
Partendo da presupposti diversi, anche il mondo del Web deve affrontare una simile rivoluzione, che lo può portarea trasformarsi da Web dei documenti 'monolitici' a semantic Web dei dati atomici e intercollegati84. Si realizza, dunque, più di una convergenza tra le biblioteche e il Web, sia perché i principi posti da Tim Berners-Lee per i linked data, come basi per il Web semantico, possono essere importati nella nuova logica di creazione e pubblicazione delle descrizioni bibliografiche, sia perché i dati altamente affidabilidiffusi da istituzioni quali le biblioteche sono, di fatto, presi in alta considerazione per il funzionamento del Web semantico stesso85.
In questo universo, le metodologie dei linked data possono essere lo strumento per il ricongiungimento dei dati prodotti dalle attività di catalogazione, all'interno di un ben regolamentato 'dominio' bibliografico, e quelli prodotti da altre attività di analisi e descrizione delle risorse, realizzate da altri attori del Web che mettono a punto altri dataset. Il sistema dei linked data, inoltre, consente di rendere esplicita la semantica dei collegamenti realizzati tra dati di 'valore assoluto' stabile e garantito, e consente anche di 'inferire' collegamenti e semantiche implicite in una rete di connessioni già dichiarata. La nuova rete di 'asserzioni', in più, è 'interpretabile' sia dall'operatore umano sia dalle macchine, tanto che è possibile indicare la differenza tra MARC e i nuovi sistemi RDF-XML di definizione delle stringhe bibliografiche sottolineando il passaggio da «varie forme machine-readable» a «formati machine-understandable»86. È importante, dunque, che le biblioteche strutturino secondo tali nuovi principi la creazione e la diffusione dei dati bibliografici, integrandoli nel Web, e rendendo possibile anche a partire dal Web la ricerca e il recupero delle risorse possedute o mediate dal sistema delle biblioteche87.
Le forme di record attualmente diffuse, invece, nonostante una certa evoluzione secondo i principi FRBR, e le norme RDA, non sempre hanno il grado di definizione e di ricchezza ottimale dei data model sviluppati per soddisfare le esigenze del semantic Web, in base al modello RDF. La tecnologia del Web semantico è fondata sull'utilizzo di URI (Unique resource identifier), assegnati univocamente a un oggetto, che lo identificano esattamente distinguendolo da tutti gli altri, e che ne consentono la localizzazione. Il nuovo Web, tramite la rete dei linked data, si struttura organizzando in modo dinamico diverse relazioni di collegamento in forma di 'tripla' tra i dati individuati da tali URI88. Il record di concezione tradizionale, all'opposto, è strutturato come un insieme di dati indivisibili, anche se di tipo diverso, raccolti per descrivere una risorsa. Quello che il Web 'chiede', invece, è che ogni dato, preparato con l'attenzione delle norme bibliotecarie, sia alla fine granulare, atomizzato, separabile dagli altri. I dati devono risiedere sul Web indipendentemente, accessibili attraverso percorsi differenziati, attraverso diversi sistemi di ricerca, tramite generici browser semantici di diversi device personali e portatili, e la convergenza dei diversi dati nell'individuazione di una specifica risorsa bibliografica non deve essere un fatto preimpostato e limitato alla tecnica bibliotecaria, ma deve derivare in modo dinamico dalla scoperta di varie relazioni durante il percorso di ricerca89.
È necessaria, quindi, un'effettiva riconcettualizzazione del modello di descrizione bibliografica, intendendola nella prospettiva della granularità e interoperabilità, che porti a una trasformazione dell'attività di catalogazione, aprendo realmente lo sviluppo del catalogo all'attuale progresso dell'informazione e della conoscenza, per usi e riusi di tipo non solo bibliografico e bibliotecario90.
In questo contesto si inserisce il progetto della Library of Congress nominato Bibliographic framework initiative, o BIBFRAME, con l'obiettivo di lanciare il futuro universo bibliografico, in cui si inseriranno non solo le biblioteche, costituito dal lavoro comune e dall'interscambio dei dati91. Il programma BIBFRAME definisce che «il nuovo modello è più che la semplice sostituzione dell'attuale modello rappresentato da MARC. Esso è la base per il futuro della descrizione bibliografica, come parte del Web e del mondo della rete in cui viviamo»92. Orientato verso ogni tipologia di persone, BIBFRAME è un modello teorico-pratico che punta alla definizione di descrizioni bibliografiche più 'leggere', e più facilmente comunicabili sul Web, composte di dati preparati per essere universalmente riutilizzabili attraverso la metodologia dei linked data e il modello RDF. Nell'environment di BIBFRAME possono essere accolte varie regole di descrizione dei contenuti e diversi modelli di metadatazione - tra cui RDA -, riconoscendo e componendo la diversità di norme che di fatto esiste tra differenti comunità e tra diversi periodi, nonché la mancanza di norme di molti ambienti del Web, cui si aggiunge la differenza tra i diversi 'punti di vista' sugli oggetti. Questa flessibilità, tra l'altro, consente al modello di dare risposta, attraverso le specifiche tecnologie di implementazione, anche a necessità particolari e contingenti, come quelle legate alla localizzazione delle risorse o alla gestione pratica93.

Il fondamento di BIBFRAMEè un nuovo modello two-level di relazioni tra entità, cuisi giunge con la consapevolezza che è plausibile definire i concetti di FRBR con un numero maggiore o minore di livelli94. Si basa essenzialmente sulle relazioni di quattro entità o resource: work, instance, authority, annotation. La relazione principale tra work e instance è strutturata in modo da distinguere e rapportare con chiarezza un'essenza concettuale e la sua manifestazione concreta. L'entità authority identifica un concetto o una cosa associata con un work o una instance, e l'annotation consente di espandere la descrizione di work, instance o authority95.
In un ambiente bibliografico-bibliotecario riorganizzato attraverso una nuova concezione dei dati e la loro apertura ed esposizione al Web, i sistemi di ricerca potrebbero agire in modo ben più rispondente alle esigenze e alle aspettative di tutti gli utilizzatori finali, anche nel senso della costruzione di un adeguato 'contesto' del processo informativo96. Con la pratica dei linked data, inoltre, potrebbero essere risolti molti problemi, non solo tecnici, relativi alla progettazione di un sistema unico per la ricerca nelle diverse basi dati che una biblioteca rende disponibili97. Proviamo, allora, a immaginare che se tutti i dati fossero realmente condivisi, e i linked data relativi alle diverse risorse popolassero tanto il Web quanto i database bibliografici, sarebbe possibile indicare il Web come lo spazio in cui i motori di ricerca effettuano la loro indagine 'sconfinata', e gli spazi delle biblioteche come quelli in cui i discovery tool sviluppano una ricerca entro confini che possono essere definiti dall'istituzione di riferimento. Gli ambiti delle biblioteche sarebbero realmente, quindi, una partizione più 'sicura' - qualitativamente e semanticamente - per la contestualizzazione e l'orientamento tra le risorse dell'informazione e della conoscenza, in un docuverso, o universo di risorse, potenzialmente infinito.

L'autore desidera ringraziare Andrea Marchitelli per i preziosi suggerimenti iniziali, Paola Castellucci per l'accuratezza delle prime letture del testo, Carlo Bianchini e Alberto Salarelli per l'attenta lettura del testo finale. Ogni responsabilità sulla versione definitiva del testo qui pubblicato resta, comunque, interamente dell'autore.


NOTE

Ultima consultazione siti web: 5 dicembre 2014.

[1] Non si può non elencare alcuni classici, odiernamente spesso riconsiderati e ridiscussi: Charles A. Cutter, Rules for a printed dictionary catalogue. Washington: Government printing office, 1876; Seymour Lubetzky, Cataloging rules and principles: a critique of the A.L.A. rules for entry and a proposed design for their revision. Washington: Library of Congress, 1953; nonché le 91 regole di Antonio Panizzi pubblicate in: British museum. Department of printed books, Catalogue of printed books in the British museum. London, 1841.

[2] Anche qui, non si può non citare: International federation of library associations and institutions. Study group on the functional requirements for bibliographic records, Functional requirements for bibliographic records: final report. München: Saur, 1998 (il current textè all'URL: http://www.ifla.org/publications/functional-requirements-for-bibliographic-records); IFLA cataloguing principles: statement of International cataloguing principles (ICP) and its glossary, edited by Barbara Tillett, Ana Lupe Cristán. München: Saur, 2009, http://www.ifla.org/files/assets/cataloguing/icp/icp_2009-en.pdf.

[3] I next generation catalog(NGC)sono spesso paragonati a più ampi strumenti di web-scale discovery service, ma non c'è accordo sull'adattabilità della definizione, in quanto il 'grado' dei NGC dovrebbe essere appena inferiore, applicandosi questi solo alle basi dati del catalogo e di alcuni repository istituzionali.

[4] Una sintesi di questo sviluppo è indicata in: Paul G. Weston; Salvatore Vassallo, “...e il navigar m'è dolce in questo mare”: linee di sviluppo e personalizzazione dei cataloghi, in La biblioteca su misura: verso la personalizzazione del servizio, a cura di Claudio Gamba, Maria Laura Trapletti. Milano: Bibliografica, 2007, p. 130-167: p. 146-163. È utile consultare inoltre: Andrea Marchitelli; Giovanna Frigimelica,OPAC. Roma: AIB, 2012, p. 34-54.

[5] Cioè, lo spazio di azione dei web-scale discovery servicepuò essere ben più ampio dell'universo di documenti descritto molto tempo fa da Ted Nelson (v. Theodor Holm Nelson, Literary machines. Sausalito: Mindful, 1990), ma non infinitamente mescolato nel Web dei dati già definito da Tim Berners-Lee (v. Tim Berners-Lee; Mark Fischetti, Weaving the Web. San Francisco: Harper, 1999). Riguardo le due figure, i loro rapporti e l'idea di docuverso, v. Paola Castellucci, Dall'ipertesto al Web: storia culturale dell'informatica. Roma: Laterza, 2009.

[6] In proposito, si può richiamare un'affermazione di Carlo Revelli, riferita alla «scaffalatura aperta» che «offre la grande possibilità di una serendipità controllata»: cfr. Carlo Revelli, Il catalogo. Milano: Bibliografica,2004, p. 423.

[7] In tale direzione si muove la Lyon declaration, lanciata ufficialmente dall'IFLA in agosto 2014: The Lyon declaration on access to information and development. 2014, http://www.lyondeclaration.org.

[8] Cfr. Carlo Bianchini, Dagli OPAC ai library linked data: come cambiano le risposte ai bisogni degli utenti, «AIB studi», 52 (2012), n. 3, p. 303-323: p. 308-317.

[9] Musei Archivi e Biblioteche (MAB). 2014, http://www.mab-italia.org.

[10] A riguardo: International federation of library associations and institutions. Libraries, archives, museums, monuments & sites (LAMMS). 2014, http://www.ifla.org/lamms.

[11] Cfr. Carlo Bianchini, Dagli OPAC ai library linked data cit., p. 316. Il testo cita a sua volta:Karen Coyle, Library linked data: an evolution, «JLIS.it», 4 (2013), n. 1, p. 53-61, http://leo.cineca.it/index.php/jlis/article/view/5443.

[12] Vedere: Mauro Guerrini; Tiziana Possemato, Linked data: un nuovo alfabeto del web semantico, «Biblioteche oggi», 30 (2012), n. 3, p. 7-15; Karen Coyle, Library linked data: an evolution cit.

[13] Questo è anche ciò che è possible cogliere a chiusura dei lavori di un importante convegno internazionale, FSR 2014, durante il quale non è mai stato messo in discussione il ruolo e la coerenza degli strumenti assodati di mediazione delle biblioteche, pur parlando continuamente di come rinnovarli in profondità: “Faster, smarter and richer. Reshaping the library catalogue. FSR 2014. International conference” (Roma, 27-28 febbraio 2014), http://www.aib.it/attivita/congressi/c2014/fsr2014. Per gli interventi del convegno, vedere inoltre:Special issue: FSR 2014, «JLIS.it», 5(2014), n. 2, http://leo.cineca.it/index.php/jlis/issue/view/651.

[14] Barbara Quint, Attacking our problems,«Information today», 31 (2014), n. 2, p. 8.

[15] Hillary A.H. Richardson, Revelations from the literature: how web-scale discovery has already changed us,«Computers in libraries», 33 (2013), n. 4, p. 12-17.

[16] V. Athena Hoeppner,The ins and outs of evaluating web-scale discovery services, «Computers in libraries», 32 (2012), n. 3, p. 6-10, 38-40; inoltre, v. Jason Vaughan, Web scale discovery services. Chicago: American library association, 2011 (pubblicato anche come:«Library technology reports», 47 (2011), n.1).

[17] Ana Guthrie; Rhonda McCoy, A glimpse at discovery tools within the HBCU library landscape, «College & undergraduate libraries», 19 (2012), n. 2/4, p. 297-311.

[18] Beth Thomsett-Scott; Patricia E. Reese, Academic libraries and discovery tools: a survey of the literature, «College & undergraduate libraries», 19 (2012), n. 2/4, p. 123-143.

[19] Nancy Fawley; Nikki Krysak, Information literacy opportunities within the discovery tool environment,«College &undergraduate libraries», 19 (2012), n. 2/4, p. 207-214.

[20] Per il periodo precedente, tra i precursori dell''allargamento' del catalogo, v. William Gray Potter, Expanding the online catalog, «Information technology and libraries», 8 (1989), n. 2, p. 99-104. Riguardo il periodo del 'debutto', v. Marshall Breeding,The state of the art in library discovery 2010, «Computers in libraries», 30 (2010), n. 1, p. 31-35.

[21] Roy Tennant, MARC must die, «Library journal», 127 (2002), n. 17, p.26-27.

[22] Timothy Burke, Burn the catalog, 20 gennaio 2004, http://www.swarthmore.edu/SocSci/tburke1/perma12004.html.

[23] Tale spirito 'dinamico' si può cogliere nelle riflessioni dei più attenti studiosi e professionistiodierni, come dimostrano gli interventi di Rachel Clarke, Karen Coyle, Carlo Bianchini e Mauro Guerrini, nel già citato convegno FSR 2014.

[24] Roy Tennant, Lipstick on a pig, «Library journal», 130 (2005), n. 7, p. 34-37; id., Fixing library discovery, «Library journal», 131 (2006), n. 11, p. 30-31.

[25] Karen Calhoun, The changing nature of the catalog and its integration with other discovery tools: final report. Washington: Library of Congress, 2006, http://www.loc.gov/catdir/calhoun-report-final.pdf.

[26] The University of California libraries. Bibliographic services task force, Rethinking how we provide bibliographic services for the University of California: final report. Berkeley: University of California, 2005, http://libraries.universityofcalifornia.edu/groups/files/bstf/docs/Final.pdf.

[27] Thomas Mann,Il catalogo e gli altri strumenti di ricerca: un punto di vista dalla Library of Congress, «Bollettino AIB», 46 (2006), n.3, p. 186-206. Si veda anche il testo originale inglese della «critical review» di Mann al report di Calhoun: http://www.guild2910.org/AFSCMECalhounReview.pdf, e il successivo scritto: id., What is going on at the Library of Congress?2006, http://www.guild2910.org/AFSCMEWhatIsGoingOn.pdf.

[28] Deanna B. Marcum, The future of cataloging,«Library resources & technical services», 50 (2006), n. 1, p. 5-9.

[29] Tra i documenti 'costruttivi', anche se di natura quasi opposta, si vedano per esempio: International federation of library associations and institutions, Guidelines for online public access catalogue (OPAC) displays: final report. München: Saur, 2005; Christopher Harris, Catalog manifesto, «Infomancy», 14 giugno 2007, http://schoolof.info/infomancy/?p=388.

[30] Il punto su questa situazione generale è presentato anche nell'IFLA trend report: Riding the waves or caught in the tide? 2013, http://trends.ifla.org/insights-document (disponibile anche in versione italiana).

[31] Tra queste: Online computer library center, Perceptions of libraries, 2010: context and community. A report to the OCLC membership. Dublin: OCLC, 2011, http://oclc.org/reports/2010perceptions.en.html; id.,Perceptions of libraries and information resources: areport to the OCLC membership. Dublin: OCLC, 2005, http://oclc.org/reports/2005perceptions.en.html.

[32] In proposito: University college London,Information behaviour of the researcher of the future. London: University college London, 2008, http://www.jisc.ac.uk/media/documents/programmes/reppres/gg_final_keynote_11012008.pdf; Karen Calhoun [et al.],Online catalogs: what users and librarians want. Dublin: OCLC, 2009, http://www.oclc.org/content/dam/oclc/reports/onlinecatalogs/fullreport.pdf; Kathryn Zickuhr [et al.], Library services in the digital age. Washington: Pew Internet & American life project, 2013, http://libraries.pewinternet.org/2013/01/22/library-services.

[33] John D. Byrum, Raccomandazioni per miglioramenti urgenti dell'OPAC: il ruolodelle agenzie bibliografiche nazionali, «Biblioteche oggi», 23 (2005), n. 10, p. 5-14. L'articolo è la traduzione della relazione originale: id., Recommendations for urgently needed improvement of OPAC and the role of the National bibliographic agency in achieving it, in 71th IFLA General conference and council, Oslo, 14th - 18th August 2005. 2005, http://www.ifla.org/IV/ifla71/papers/124e-Byrum.pdf.

[34] http://www.loc.gov/catdir/beat.

[35] A cui si possono aggiungere alcuni siti social che trattano di libri, o anche le pagine dei progetti culturalidi Google.

[36] Byrum riporta una serie di citazioni da: Holly Yu; Margo Young, The impact of Web search engines on subject searching in OPAC, «Informationtechnology and libraries», 23 (2004), n. 4, p. 168-181.

[37] Giovanni Bergamin, OPAC: migliorare l'esperienza degli utenti, «Bibliotime», 11 (2008), n. 1, http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-xi-1/bergamin.htm.

[38] Si veda, per esempio, il videoThe OPAC sucks, caricato su You tube: http://www.youtube.com/watch?v=tJD-safYEb0. A confronto, v. Karen G. Schneider, How OPACs suck, part 2: the checklist of shame, «ALA TechSource», 3 aprile 2006, http://www.alatechsource.org/blog/2006/04/how-opacs-suck-part-2-the-checklist-of-shame.html.

[39] Il riferimento è tratto da: Roy Tennant, Lipstick on a pig cit.

[40] Duncan Hull; Steve R. Pettifer; Douglas B. Kell,Defrosting the digital library: bibliographic tools for the next generation Web, «PLoS computational biology», 4 (2008), n. 10, http://www.ploscompbiol.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pcbi.1000204.

[41] Marshall Breeding, The state of the art in library discovery 2010 cit.

[42] Si vedano, per esempio,i saggi contenuti in: Discovery tools: the next generation of library research, «College & undergraduate library», 19 (2012), n. 2/4. Si veda anche: Kate B. Moore; Courtney Greene,Choosing discovery: a literature review on the selection and evaluation of discovery layers, «Journal of Web librarianship», 6 (2012), n. 3, p. 145-163.

[43] Esemplare è l'integrazione tra VuFind e il discovery tool Summon, implementata originariamente allaFalvey memorial library della Villanova University: https://library.villanova.edu/Find. V. John Houser, The VuFind implementation at Villanova University, «Library Hi Tech», 27 (2009), n. 1, p. 93-105.

[44] Tra le prime sperimentate: Library thing: http://www.librarything.com; Anobii: http://www.anobii.com; Goodreads: https://www.goodreads.com.

[45] Per una ricognizione dell'argomento si veda: Andrea Marchitelli; Tessa Piazzini, OPAC, SOPAC e social networking: cataloghi di biblioteca 2.0?«Biblioteche oggi», 26 (2008), n. 2, p. 82-92. Si veda anche: Cristina Bambini; Tatiana Wakefield, La biblioteca diventa social. Milano: Bibliografica, 2014.

[46] Tra i diversi pareri a favore e contro tali convivenze, si possono vedere: Marieke Guy; Emma Tonkin, Folksonomies tidying up tags? «D-Lib magazine», 12 (2006), n. 1, http://www.dlib.org/dlib/january06/guy/01guy.html; Brian Matthews [et al.], An evaluation of enhancing social tagging with a knowledge organization system, «Aslib proceedings», 62 (2010), n. 4/5, p. 447-465; Sharon Q. Yang, Tagging for subject access, «Computers in libraries», 32 (2012), n. 9, p. 19-23.

[47] In proposito alla necessità di una grande apertura verso la comunicazione semplice e interattiva con gli utenti, vedere anche: Online computer library center, Sharing, privacy and trust in our networked world: a report to the OCLS membership. Dublin: OCLS, 2007, http://www.oclc.org/reports/pdfs/sharing.pdf.

[48] Spostandosi verso un'idea più generale di biblioteconomia 'partecipativa', v. R. David Lankes [et al.], Participatory networks: the library as conversation, «Information research», 12 (2007), n. 4, http://www.informationr.net/ir/12-4/colis/colis05.html.

[49] Anzitutto, v. Valdo Pasqui, Evoluzione dei sistemi di gestione bibliotecaria tra vecchi e nuovi paradigmi, «Bollettino AIB», 49 (2009), n. 3, p. 289-306.

[50] Vedere, per esempio: Lorcan Dempsey, Always on: libraries in a world of permanent connectivity, «First Monday», 14 (2009), n. 1/5, http://firstmonday.org/article/view/2291/2070. Vedere anche l'IFLA trend report: Riding the waves or caught in the tide? cit.

[51] Cfr. Giovanni Solimine, La biblioteca: scenari, culture, pratiche di servizio. Roma: Laterza, 2004, p. 6-11.

[52] In proposito, l'editoriale di Giovanni Solimine,Verso una biblioteconomia 2.0?, «Bollettino AIB», 47 (2007), n. 4, p. 433-434.

[53] V. Marcia J. Bates, The design of browsing and berrypicking techniques for the online search interface, «Online information review», 13 (1989), n. 5, p. 407-424.

[54] Cfr. Antonella Iacono, Opac, utenti, rete. Prospettive di sviluppo dei cataloghi elettronici, «Bollettino AIB», 50 (2010), n. 1/2, p. 69-88:p. 75-81.

[55] Per chiarire le caratteristiche innovative e l'importanza - di là dai limiti di 'copertura' - dell'indice unico dei dati presenti nei diversi database di una biblioteca, consultare: Carlo Bianchini, Dagli OPAC ai library linked data cit., p. 307-308; Andrea Marchitelli; Giovanna Frigimelica, OPAC cit.,p. 51-54.

[56] Vedere, per esempio, la comparazione dei principali discovery tool in: Jason Vaughan,Web scale discovery services cit. Vedere inoltre: Sharon Q. Yang; Kurt Wagner,Evaluating and comparing discovery tools: how close are we towards next generation catalog? «Library Hi Tech», 28 (2010), n. 4, p. 690-709. Studi più approfonditi sono in: Planning and implementing resource discovery tools in academic libraries, edited by Mary Pagliero Popp, Diane Dallis. Hershey: Information science reference, 2012.

[57] Judy Luther; Maureen C. Kelly, The next generation of discovery, «Library journal», 136 (2011), n. 5, p. 66-71.

[58] Paul Saffo, It's the context, stupid, «Wired», 2 (1994), n. 3, p. 74-75.

[59] Per una serie di opinioni in proposito, cfr. Beth Thomsett-Scott; Patricia E. Reese, Academic libraries and discovery toolscit.

[60] Quella di presentare i discovery tool come strumenti 'di base', per l'avvio di una ricerca esplorativa generale che deve poi essere rilanciata su strumenti più specifici o su singoli database, è una tendenza piuttosto equilibrata, e abbastanza recente: vedere, per esempio: Nancy Fawley; Nikki Krysak, Information literacy opportunities within the discovery tool environment cit.

[61] In proposito: Doug Way, The impact of web-scale discovery on the use of a library collection, «Serials review», 36 (2010), n. 4, p. 214-220; Lucy Holman, Millennial students' mental models of search: implications for academic librarians and database developers, «The journal of academic librarianship», 37 (2011), n. 1, p. 19-27.

[62] Riguardo questo importante sviluppo dell'information literacy, si veda: Jody Condit Fagan, Discovery tools and information literacy, «Journal of web librarianship», 5 (2011), n. 3, p. 171-178.

[63] Come già avvenuto una cinquantina di anni fa per le banche dati, i sistemisono messi a punto per intero nel settore tecnologico-informatico e devono poi essere 'importati', tentando di adattarsi, nell'ambito della LIS.

[64] V. Ed Tallent, iPods in the sauna or kids these days..., «Internet reference services quarterly», 16 (2011), n. 3, p. 83-89.

[65] V. Rebecca Donlan; Anna Carlin, A sheep in wolf's clothing: discovery tools and the OPAC, «The reference librarian», 48 (2007), n. 2, p. 67-71.

[66] Jody Condit Fagan, Top 10 discovery tool myths, «Journal of web librarianship», 6 (2012), n. 1, p. 1-4.

[67] Judy Luther; Maureen C. Kelly, The next generation of discovery cit., p. 67.

[68] Cfr. Carlo Bianchini, Dagli OPAC ai library linked data cit., p. 308-310.

[69] International federation of library associations and institutions. Study group on the functional requirements for bibliographic records, Functional requirements for bibliographic records cit.

[70] Resource description framework (RDF). 2014, http://www.w3.org/RDF.

[71] World Wide Web consortium. Library linked data incubator group, Library linked data incubator group final report. W3C, 2011, http://www.w3.org/2005/Incubator/lld/XGR-lld-20111025.

[72] Library of Congress, Bibliographic framework as a web of data: linked data model and supporting services. Washington: Library of Congress, 2012, http://www.loc.gov/bibframe/pdf/marcld-report-11-21-2012.pdf.

[73] Riguardo i commenti sulla non attualità di regole e schemi come AACR o MARC, vedere per esempio: Tom Delsey, Modelling the logic of AACR, in The principles and future of AACR: proceedings of the International conference on principles and future of AACR, edited by Jean Weihs. Ottawa: Canadian library association, 1998, p. 1-16. Vedere anche: Roy Tennant, MARC must die cit.

[74] Cfr. Carlo Bianchini, Futuri scenari: RDA, REICAT e la granularità dei cataloghi,«Bollettino AIB», 50(2010), n. 3,p. 219-238: p. 224-238.

[75] In proposito, è da considerare l'impegno di iniziative e progetti quali: Open knowledge foundation: https://okfn.org; OpenAIRE: https://www.openaire.eu; Open data commons: http://opendatacommons.org; Open library project: https://openlibrary.org.

[76] Cfr. Antonella De Robbio, Forme e gradi di apertura dei dati: i nuovi alfabeti dell'Open Biblio tra scienza e società, «Biblioteche oggi»,30 (2012), n. 6, p. 11-24.

[77] V. Ed Summers; Dorothea Salo, Linking things on the Web: a pragmatic examination of linked data for libraries, archives and museums. 2013, http://arxiv.org/abs/1302.4591.

[78] Esempi di larga integrazione sono rappresentati dal progetto SNAC (Social networks and archival context): http://socialarchive.iath.virginia.edu, e ovviamente da Europeana: http://www.europeana.eu (vedere anche: http://labs.europeana.eu/api/linked-open-data/introduction).

[79] V. Eric J. Miller, An introduction to the Resource description framework, «Journal of library administration», 34 (2001), n. 3/4, p. 245-255. Inoltre, v. RDF schema 1.1, edited by Dan Brickley, Ramanathan V. Guha.W3C, 2014, http://www.w3.org/TR/rdf-schema.

[80] Per una ricognizione sulla problematica dell'integrazione MAB tramite linked data, v. Salvatore Vassallo,L'integrazione tra archivi e biblioteche alla prova del web semantico, in Biblioteche in cerca di alleati. Oltre la cooperazione, verso nuove strategie di condivisione. Milano: Bibliografica, 2013, p. 430-454.

[81] Per un'analisi dei processi informativi che possono fare da modello per i nuovi sistemi, v. Antonella Iacono,Verso un nuovo modello di OPAC. Dal recupero dell'informazione alla creazione di conoscenza, «JLIS.it», 4 (2013), n. 2, p. 85-107: p. 92-102.

[82] IFLA cataloguing principles: statement of International cataloguing principles (ICP) and its glossary, edited by Barbara Tillett, Ana Lupe Cristán. München: Saur, 2009, http://www.ifla.org/files/assets/cataloguing/icp/icp_2009-en.pdf.

[83] La famiglia è composta da Functional requirements for bibliographic records(FRBR), Functional requirements for authority data (FRAD) eFunctional requirements for subject authority data (FRSAD): v. Functional requirements: the FRBR family of models. 2014, http://www.ifla.org/node/2016.

[84] In generale, v.: Tim Berners-Lee, Semantic Web road map. 1998, http://www.w3.org/DesignIssues/Semantic.html; Tim Berners-Lee; James Hendler; Ora Lassila, The semantic Web: a new form of web content that is meaningful to computers will unleash a revolution of new possibilities, «Scientific American», 284 (2001), n. 5, p. 34-43.; Tim Berners-Lee, Linked data. 2006, http://www.w3.org/DesignIssues/LinkedData.html; Tom Heath; Christian Bizer, Linkeddata: evolving the Web into a global data space. New York: Morgan & Claypool, 2011.

[85] La convergenza realizzabile tra biblioteche e Web è stataargomento del seminario internazionale: “Global interoperability and linked data in libraries” (Firenze, 18-19 giugno 2012), http://www.linkedheritage.eu/linkeddataseminar. Vedere anche le relazioni del seminario pubblicate in: Global interoperability and linked data in libraries: special issue, «JLIS.it», 4 (2013), n. 1, http://leo.cineca.it/index.php/jlis/issue/view/536.

[86] Andrea Marchitelli; Giovanna Frigimelica,OPAC cit., p. 23.

[87] Per l'approfondimento del rapporto tra la metodologia dei linked data e le biblioteche, v. Mauro Guerrini; Tiziana Possemato, Linked data: un nuovo alfabeto del web semantico cit. Vedere anche: Antonella Iacono, Linked data. Roma: AIB, 2014.

[88] Le triple sono del tipo: entità1-relazione-entità2, o soggetto-predicato-oggetto, o entità-proprietà-valore. Per un'esemplificazione, vedere anche: Mauro Guerrini; Tiziana Possemato, Linked data: un nuovo alfabeto del web semantico cit., p. 12-14.

[89] In proposito, cfr. Karen Coyle, Library linked data: an evolution cit.

[90] Vedere i report: Library of Congress working groupon the future of bibliographic control, On the record. Washington: Library of Congress, 2008, http://www.loc.gov/bibliographic-future/news/lcwg-ontherecord-jan08-final.pdf; World Wide Web consortium. Library linked data incubator group, Library linked data incubator group final report cit.

[91] V. Thomas Meehan, BibFrame, «Catalogue & index», 2014, n. 174, p. 43-52; v. Angela Kroeger, The road to BIBFRAME: the evolution of the idea of bibliographic transition into a post-MARC future, «Cataloging &classification quarterly», 51 (2013), n. 8, p. 873-890.

[92] Library of Congress, Bibliographic framework as a web of data cit., p. 3.

[93] Per approfondire il modello, v. Mauro Guerrini, BIBFRAME. Un'ipotesi di ambiente bibliografico nell'era del web. In: Il libro al centro. Percorsi fra le discipline del libro in onore di Marco Santoro. Napoli: Liguori, 2014 (in corso di stampa).

[94] Consultare la documentazione del programma pubblicata sul sito: http://bibframe.org/documentation.

[95] Il sito del programma BIBFRAME è all'URL: http://www.loc.gov/bibframe.

[96] Riguardo il contesto dei processi informativi relativi ai nuovi OPAC, v. Antonella Iacono, Dal record al dato. Linked data e ricerca dell'informazione nell'OPAC, «JLIS.it», 5 (2014), n. 1, p. 77-102.

[97] Per le ricerche in proposito, tra le altre, cfr. Axel Kaschte, Linked open data on its way into next generation library management and discovery solutions, «JLIS.it», 4 (2013), n. 1, p. 313-323