Biblioteca pubblica di ieri e di oggi:
un'antologia degli scritti di Virginia Carini Dainotti

Anna Galluzzi

Virginia Carini Dainotti, La biblioteca pubblica: antologia degli scritti, a cura di Giovanni Feliciani. Roma: Bibliosofica editrice, 2014. 85 p. ISBN 9788887660395

La figura di Virginia Carini Dainotti è indissolubilmente legata per i bibliotecari italiani al concetto di biblioteca pubblica e ai tentativi di diffondere in Italia, a partire dal secondo dopoguerra, lo spirito e le caratteristiche della public library di matrice angloamericana. Come sottolinea Angela Nuovo nel suo Ricordo di Virginia Carini Dainotti1, scritto all'indomani della sua morte (avvenuta nel 2003), bisogna però «attendere i tardi anni Novanta perché bibliotecari e studiosi ne rileggano le opere con occhi diversi, e, in una situazione storica ormai lontana dai furori ideologici degli anni Settanta, ne riscoprano l'attualità».
Il momento più alto di questa riscoperta può essere identificato nel ben noto convegno a lei dedicato, tenutosi a Udine nel novembre del 1999, i cui atti sono poi stati pubblicati dall'Associazione italiana biblioteche2. In quell'occasione gli autorevoli studiosi chiamati a raccontare la figura di Virginia Carini Dainotti e la politica bibliotecaria italiana di quegli anni ne misero in evidenza le molteplici sfaccettature, a partire sia dagli scritti editi sia da materiale d'archivio, contribuendo così a far luce sulla modernità di questa figura in un panorama bibliotecario stimolante ma confuso, nonché su alcuni limiti che in qualche modo e almeno in parte ne compromisero gli esiti dell'azione.
In questa riscoperta - che ci piace pensare da allora mai interrotta - si inserisce questa antologia degli scritti, a cura di Giovanni Feliciani, fondatore della casa editrice Bibliosofica, per i cui tipi esce questo volumetto. Come ricorda lo stesso Feliciani nell'Introduzione, la scelta di dedicare la pubblicazione alla Carini Dainotti rappresenta un omaggio e un ringraziamento a questa illustre bibliotecaria, che il curatore ebbe modo di conoscere e apprezzare lavorando alla fine degli anni Settanta come giovane ricercatore alla Commissione Nazionale per le Attrezzature Culturali (CNAC), fondata dalla stessa Carini Dainotti. L'opuscolo propone in particolare una selezione di estratti provenienti da La biblioteca pubblica istituto della democrazia3, La biblioteca pubblica in Italia tra cronaca e storia (1947-1967)4, nonché il contributo dal titolo Appunti sull'ideologia della biblioteca pubblica e sulla deontologia del bibliotecario-animatore di cultura5.
Si tratta evidentemente di una piccola parte del lascito di scrittura di Virginia Cairini Dainotti6, ma la selezione è sufficientemente accurata e attenta per permetterci di cogliere l'essenza del suo pensiero, nonché la sua modernità che sembra paradossalmente crescere man mano che passano gli anni. È proprio questa constatazione che suggerisce un tentativo di rilettura e la sottolineatura di qualche elemento di attualità nel pensiero dell'autrice. Molto è stato già detto in proposito, ma l'auspicio è che la distanza temporale di chi scrive dal periodo storico in cui la Carini Dainotti ha sviluppato il suo pensiero offra una sorta di ingenuità dello sguardo utile a cogliere elementi nuovi, in particolare in riferimento all'attuale dibattito in corso sul futuro della biblioteca pubblica, anche a rischio di trascurare qualche elemento di contestualizzazione.

Innanzitutto, credo sia opportuno ricordare - per quanto già ampiamente noto - che la Carini Dainotti spese la sua intera carriera professionale nel contesto delle biblioteche statali; in particolare, restano memorabili la sua direzione della Biblioteca statale di Cremona (negli anni Trenta, quando aveva solo 26 anni), che riorganizzò nell'ottica di farne una vera «biblioteca per tutti» (grazie anche alla creazione di una sala studio per gli studenti e di una sezione ragazzi), nonché gli anni in cui fu ispettore bibliografico per il Ministero della Pubblica Istruzione e componente della Commissione per i rapporti col Parlamento per il servizio di pubblica lettura (negli anni Cinquanta e Sessanta). Furono questi gli anni in cui fu anche particolarmente impegnata nella battaglia per la creazione del Servizio nazionale di lettura7.
Un primo tratto di modernità che emerge dai suoi scritti - e che alla luce degli sviluppi più recenti acquista un significato particolare e certamente diverso da quello che poteva avere per i suoi contemporanei - mi sembra rappresentato dalla chiarezza concettuale con cui la Carini Dainotti guarda alle tipologie bibliotecarie, di cui riconosce la necessità come prodotto dei processi di specializzazione emersi nel secondo dopoguerra, ma che interpreta non in rigida corrispondenza con la responsabilità istituzionale che sovrintende alle singole biblioteche e con la loro appartenenza, bensì in relazione alla natura, alla storia, alle funzioni che ciascuna biblioteca è andata sviluppando e agli equilibri nuovi o rinnovati resi necessari da quell'ottica sistemica da lei propugnata al massimo grado.
Virginia Carini Dainotti provò anche a trasformare questa idea in una vera e propria politica bibliotecaria attraverso il sostegno alla creazione del Servizio nazionale di lettura, che si basava su due principi fondamentali: innanzitutto, la creazione di una rete di biblioteche pubbliche centrali, «di medio livello culturale» (da lei identificate con le biblioteche esistenti o da creare nei capoluoghi di provincia), ognuna delle quali potesse fare da punto di riferimento di un insieme coordinato di biblioteche e punti di servizio capace di arrivare in ogni angolo del territorio e di rivolgersi in particolare alle fasce più deboli della popolazione; in secondo luogo, la necessità di abolire la distinzione tra biblioteche di alta cultura e biblioteche pubbliche, nella convinzione che anche le prime possano svolgere un ruolo di biblioteca pubblica centrale per una provincia.
Come diversi relatori al convegno a lei dedicato ebbero modo di sottolineare8, questo approccio nasceva in realtà da una visione piuttosto centralistica delle prospettive di sviluppo del servizio bibliotecario pubblico e da una limitata considerazione - quasi una specie di sufficienza - rispetto al ruolo dei Comuni (e più in generale degli enti locali). Del resto, i tempi e i modi con cui le biblioteche pubbliche sono nate in Italia (dopo la nascita delle Regioni e il trasferimento delle competenze in materia di biblioteche) sembrano dimostrare che il centralismo della proposta di Carini Dainotti sia stata una delle cause che hanno determinato il corto respiro e l'insuccesso del Servizio nazionale di lettura.
D'altronde, a una rilettura delle parole dell'autrice alla luce della temperie socio - culturale odierna, tenendo nel dovuto conto la profonda trasformazione degli scenari politico - amministrativi nonché tecnologici, e lungi dal voler sostenere un nuovo Servizio nazionale di lettura nel nostro paese, mi pare si possa affermare che il bisogno di una riorganizzazione dell'offerta bibliotecaria sul territorio nazionale che sfrutti le potenzialità di un approccio cooperativo (i cui orizzonti sono oggi ulteriormente ampliati dalla disponibilità dell'infrastruttura della rete globale)e che in qualche modo vada al di là degli steccati tipologici tra le biblioteche (oggi ancora più forti e al contempo per certi versi anacronistici) sia ancora avvertita, ma ancora di là da venire. Difficile dunque non condividere - tanto più oggi - il pessimismo della Carini Dainotti quando riflette sulle numerose riforme incompiute del nostro paese.

Come ben si sa e come emerge anche da queste prime riflessioni, l'elemento centrale della riflessione teorica e dell'azione politica e pratica di Virginia Carini Dainotti ha riguardato la biblioteca pubblica, la cui idea di fondo ella mutua dal mondo americano, riconoscendosi nella sua definizione di «engine of great potentialities for National welfare»9. Il concetto di biblioteca pubblica che la Carini Dainotti propugna è talmente 'estremo'che non sorprende constatare come esso sia stato almeno parzialmente avversato, ovvero non del tutto compreso dai suoi contemporanei, tanto che ancora oggi questa prospettiva - pur riportata all'attenzione collettiva in forme e modi parzialmente differenti - continua ad essere oggetto di ampio dibattito e di contrapposizione tra bibliotecari.
Per la Carini Dainotti la biblioteca pubblica è una «struttura culturale-sociale permanente e polivalente», un vero e proprio strumento del welfare10, che all'interno di ogni comune può configurarsi come «un organo di alimentazione culturale indifferenziata», «un centro di assistenza alla scuola dell'obbligo», «un focolare di vita intellettuale per la comunità e di autonoma educazione permanente», una «sede per le attività formative e per le iniziative culturali di base»11. In un passaggio la biblioteca pubblica viene suggestivamente definita «la stazione a terra di tutti i circuiti culturali»12, che in qualche modo mi fa venire in mente la definizione di biblioteca proposta da David Lankes nel suo The atlas of new librarianship13 come «sistema di circolazione» invece che «cuore» della comunità.
Più nota è la sua definizione della biblioteca pubblica come «centro di informazione critica, creato e mantenuto con le tasse in vista del permanente interesse della collettività a che ogni cittadino riceva tutte le informazioni che gli sono necessarie per esercitare consapevolmente i suoi diritti democratici»14. In virtù di questa mission dichiarata della biblioteca pubblica, il nuovo istituto - destinato,per sua stessa natura, a tutti i cittadini - doveva però rivolgersi in particolare a quegli strati della popolazione che per ragioni economiche e culturali non avevano accesso all'informazione o potevano più facilmente essere vittime delle distorsioni della propaganda. Come è noto, la Carini Dainotti fu una strenua sostenitrice dell'irriducibilità tra la biblioteca pubblica americana(da lei considerata un istituto moderno e democratico) e la biblioteca popolare di origine italiana(da lei invece rifiutata e osteggiata come istituzione di retroguardia). In realtà, come Paolo Traniello ha fatto notare15, tale interpretazione non è corretta dal punto di vista storico per due motivi: innanzitutto perché le origini della biblioteca pubblica si devono rintracciare nella Gran Bretagna della seconda metà dell'Ottocento (prima ancora che negli Stati Uniti), in secondo luogo perché la public library angloamericana nasceva proprio per essere destinata alla working class della nascente società industriale sulla base di spinte che oscillavano tra il paternalistico e il filantropico, al punto da renderla - almeno in origine - concettualmente molto vicina all'idea di biblioteca popolare, di fatto «il più riuscito tentativo di biblioteca popolare»16.
D'altra parte, al di là di qualunque considerazione sull'appiattimento culturale di cui l'idea della biblioteca pubblica della Carini Dainotti soffriva e sul malcelato pedagogismo che - secondo alcuni - traspare dal suo pensiero17, resta valida - e anzi oggi particolarmente cavalcata da bibliotecari e biblioteconomi - l'idea che la biblioteca pubblica si inserisca nel più vasto ambito dell'educazione degli adulti (oggi diremmo della formazione permanente), che rappresentava e rappresenta,nell'attuale panorama della knowledge economy, un settore strategico in una società che chiede ai cittadini di acquisire e di aggiornare 'indefinitamente'una crescente quantità di cognizioni per essere membri attivi della comunità.
Qualunque fossero le motivazioni ideologiche originarie, agli occhi dei bibliotecari di oggi quella della Carini Dainotti appare come una battaglia per la democratizzazione della cultura, che passa attraverso la stigmatizzazione dell'elitarismo («un servizio bibliotecario che non risponda ai bisogni di tutta la comunità, ma solo alle esigenze di gruppi privilegiati, è destinato a cadere nell'indifferenza e ad essere trascurato dai poteri pubblici»18) e del culto del passato («alla fine dell'Ottocento è accaduto un fatto gravissimo per la nostra cultura: le biblioteche hanno, nella maggior parte, cessato di essere frutto e matrice della cultura contemporanea per diventare testimoni e custodi della cultura del passato»19) e attraverso il riconoscimento delle forme di trasmissione di informazione e conoscenza alternative e complementari alla parola scritta («le idee non circolano soltanto nella pagina stampata, e un dibattito, una esposizione d'arte, l'esecuzione di una musica, possono avere un significato culturale e una carica polemica o liberatoria non meno ricca e stimolante di un libro o di un giornale», nonché «di più facile e immediata utilizzazione»20).
In queste parole scritte da Virginia Carini Dainotti tra gli anni Sessanta e Settanta riecheggia molta parte del dibattito che oggi appassiona bibliotecari e biblioteconomi italiani (e non solo) in merito ai destini futuri della biblioteca pubblica e a quale debba essere il suo ruolo in un contesto la cui evoluzione sociale, politica, economica e tecnologica sembra metterne in discussione l'utilità e persino la sopravvivenza.
È tanto più condivisibile oggi - nel panorama ipertecnologico e di sovrabbondanza informativa nel quale viviamo (e che la Carini Dainotti non poteva neppure lontanamente immaginare) - la sollecitazione a che il bibliotecario si faccia innovatore e sperimentatore, partecipando alla vita della comunità per comprenderla e cercare alleati (i giornalisti e gli editori, ad esempio). E anche sulla diatriba attualissima riguardante il bibliotecario come formatore, mi pare che la Carini Dainotti esprima un punto di vista ancora utile: «In quel disordine vivo, e gravido di vita, il bibliotecario non sta come un educatore; ma neppure sta come il negoziante che dagli stigli ben forniti estrae e consegna con indifferenza i prodotti di cui dispone. Il suo compito non è di educare, ma è di provocare; non di amministrare e somministrare la "verità", ma di ingenerare il dubbio e di incoraggiare la ricerca e il confronto»21. Con questo non si nega la collocazione della biblioteca nel settore dell'educazione degli adulti, ma in qualche modo si chiarisce che al bibliotecario spetta il compito di educatore solo nella misura in cui è chiamato a stimolare la ricerca della propria verità nel confronto delle idee, lasciando ad altri naturali alleati della biblioteca il compito formativo vero e proprio, da svolgersi anche in biblioteca: «la biblioteca deve ricercare "intese e forme di collaborazione" con tutti gli organismi pubblici e privati che organizzano e promuovono lo sviluppo culturale della comunità»22.

All'interno di questa visione della biblioteca pubblica e in stretto collegamento con essa, la Carini Dainotti attribuisce un particolare valore all'etica del lavoro bibliotecario, un tema che - come già ha fatto notare Alberto Petrucciani23 - solo in tempi molto recenti è stato tradotto in documenti ufficiali dell'Associazione italiana biblioteche (il cui codice deontologico è datato 1997) e ha cominciato a fare capolino nella letteratura biblioteconomica italiana24. Invero, già negli anni Sessanta Virginia Carini Dainotti affermava con convinzione: «La biblioteca pubblica non conosce la verità, non è depositaria della verità, non ha mai preteso di comunicare la verità, bensì assume come proprio compito di aiutare ciascuno nella ricerca della sua verità assicurandogli la concreta possibilità di conoscere, su ogni questione controversa, tutti i punti di vista e tutte le opinioni»25. Fu lei a sollevare interrogativi centrali ancora oggi, ad esempio su come si concilia la libertà del lettore con il diritto di scelta riconosciuto al bibliotecario (cui rispondeva che questo secondo è illegittimo quando sconfina nella «volontà di determinare e vincolare ideologicamente e spiritualmente il lettore»26), e a mettere in guardia il bibliotecario da tre pericolosi avversari alla neutralità ideologica del proprio ruolo, ossia «l'autorità da cui dipende, la comunità in cui opera e le proprie tentazioni»27.
Infine, non si può passare sotto silenzio il fatto che nelle parole di Virginia Carini Dainotti si ritrovino concetti che oggi ci sono divenuti molto familiari, ma che negli anni Sessanta e Settanta dovevano risultare quasi alieni al mondo bibliotecario italiano28. La Carini Dainotti - anche grazie alle sue letture americane - interpretava la biblioteca pubblica in un'ottica manageriale diversi decenni prima che il management delle biblioteche venisse istituzionalizzato in Italia (cioè a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta) e, certo, lo faceva con termini che oggi ci appaiono desueti, ma che veicolano idee ancora fortemente attuali. Penso in particolare all'affermazione che l'essenza della biblioteca pubblica sta nelle sue relazioni con la comunità e nell'importanza di curare queste relazioni in modo «continuo e pianificato» sia all'interno della biblioteca che con il mondo esterno, cosa che non pare molto distante dal ben più recente concetto di marketing della biblioteca. La Carini Dainotti si spinge persino a scrivere che «è consigliato al bibliotecario e al suo personale, come al personale di ogni altra azienda [n.d.r. corsivo redazionale], di obbedire ai "dieci comandamenti delle relazioni pubbliche"»29, da lei elencati e adattati alle biblioteche e in qualche modo sintetizzati dalla seguente affermazione: «La biblioteca pubblica non può contentarsi di aspettare e di accogliere chi, entrando dalle sue porte, si fa lettore; ma deve muovere incontro ai potenziali lettori e conquistarli: deve essere cioè un "organismo attivo e dinamico alla conquista della comunità"»30.
La Carini Dainotti è altrettanto convinta del fatto che, per realizzare questo obiettivo, sia necessario conoscere la comunità mediante «inchieste e studi d'ambiente»31, dimostrando dunque una piena consapevolezza rispetto alla pratica dell'analisi di comunità, molto prima che essa venisse formalizzata nella letteratura biblioteconomica e professionale italiana. Appartiene al medesimo tipo di sensibilità anche l'attenzione ai bisogni degli utenti, non solo quelli espliciti ed espressi, bensì anche quelli che essa stessa definisce «inespressi» o «latenti» e rispetto ai quali è determinante il ruolo dello scaffale aperto, «un mezzo per invitare e persuadere il lettore a incontrare altri libri e ad allargare l'orizzonte dei suoi interessi e delle sue conoscenze»32.
Non meno centrali sono, nella sua riflessione, gli aspetti psicologici e percettivi che influenzano fortemente il rapporto tra biblioteca e comunità. Così, la Carini Dainotti non manca di sottolineare che la biblioteca «col determinare orari adatti e assicurando il servizio di consulenza per l'intera durata dell'apertura al pubblico deve mirare a rimuovere ogni sorta di ostacoli, anche solo di carattere psicologico, che possano trattenere dall'usufruire del servizio»33 e fa proprio il pensiero di Perkins, uno studioso delle relazioni pubbliche, il quale sosteneva che «la prima impressione che si prova entrando nella biblioteca [...] è una cosa importante»34. Cosicché non ci si può meravigliare «se l'uomo della strada, richiesto delle sue impressioni sulla biblioteca, [...] ricorda un groviglio di limitazioni e di norme, un che di muffito, di oscuro e di poco invitante, qualcosa da evitare, come un negozio vuoto in un pomeriggio di domenica»35.

Alla fine della lettura di questi - tutto sommato brevi - estratti dagli scritti di Virginia Carini Dainotti, è forte la sensazione che molte delle cose che andiamo dibattendo oggi siano state in qualche modo già dette e sviscerate, e forse anche già comprese nella loro essenza più profonda, e che quindi talvolta, più che pindarici slanci in avanti, si dovrebbero fare delle incursioni nel passato, alla riscoperta delle fondamenta della disciplina biblioteconomica del nostro paese. Come fa notare Alberto Petrucciani «Gli strumenti da cui siamo dovuti ripartire negli anni Novanta sono quelli abbozzati trent'anni fa e spesso abbandonati e non sostituiti da altri migliori, dagli standard [...] al ruolo dell'associazione professionale, dall'autonomia delle biblioteche e del bibliotecario al codice deontologico»36.
In secondo luogo, si deve purtroppo tristemente constatare che molte delle cose che la Carini Dainotti osservava e stigmatizzava delle biblioteche pubbliche del nostro paese negli anni Sessanta non sono cambiate e molti degli auspici di sviluppo del sistema bibliotecario nazionale che essa formulava sono ancora lettera morta o - quantomeno - fanno parte delle numerose riforme incompiute di cui già la Carini Dainotti si lamentava al suo tempo. Infine, la rilettura di questi testi rafforza la consapevolezza che il mondo bibliotecario e biblioteconomico italiano tendeva e tende ad essere «un po' avveniristico e un po' passatista»37, nella misura in cui - nella contrapposizione ideologica frontale tra «apocalittici» e «integrati»38 - da un lato si entusiasma vuotamente di modelli presuntamente innovativi e delle mode del momento e dall'altro non riesce a setacciare - al fine di adattarle e rielaborarle - idee e proposte effettivamente utili ed efficaci.
Dobbiamo dunque rendere merito al volumetto a cura di Giovanni Feliciani - pur particolarmente scarno nell'apparato bibliografico e paratestuale - di aver contribuito a ricordarcelo e a tornare a riflettere sul pensiero di una bibliotecaria italiana d'eccezione.

NOTE

[1] Angela Nuovo, Ricordo di Virginia Carini Dainotti, «AIB Notizie», 15 (2003), n. 6, p. 8.

[2] Università degli studi di Udine, Dipartimento di storia e tutela dei beni culturali; Associazione italiana biblioteche, Sezione Friuli Venezia Giulia, Virginia Carini Dainotti e la politica bibliotecaria del secondo dopoguerra: atti del convegno, 8-9 novembre 1999, a cura di Angela Nuovo. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2002.

[3] Virginia Carini Dainotti, La biblioteca pubblica istituto della democrazia.Milano: Fratelli Fabbri Editori, 1964.

[4] Ead., La biblioteca pubblica in Italia tra cronaca e storia (1947-1967): scritti, discorsi, documenti. Firenze: Leo S. Olschki, 1969.

[5] Ead., Appunti sull'ideologia della biblioteca pubblica e sulla deontologia del bibliotecario- animatore di cultura, in Studi di biblioteconomia e storia del libro in onore di Francesco Barberi. Roma: Associazione italiana biblioteche, 1976, p. 147-171.

[6] Per una bibliografia completa si veda: Mauro Flati, Bibliografia degli scritti di Virginia Carini Dainotti. In: Università degli studi di Udine, Dipartimento di storia e tutela dei beni culturali; Associazione italiana biblioteche, Sezione Friuli Venezia Giulia, Virginia Carini Dainotti e la politica bibliotecaria del secondo dopoguerra cit., p. 170-181.

[7] Per una biografia più dettagliata si veda Id., Notizie biografiche. In: Università degli studi di Udine, Dipartimento di storia e tutela dei beni culturali; Associazione italiana biblioteche, Sezione Friuli Venezia Giulia, Virginia Carini Dainotti e la politica bibliotecaria del secondo dopoguerra cit., p. 182-189.

[8] Si vedano in particolare in:Università degli studi di Udine, Dipartimento di storia e tutela dei beni culturali; Associazione italiana biblioteche, Sezione Friuli Venezia Giulia, Virginia Carini Dainotti e la politica bibliotecaria del secondo dopoguerra cit.gli interventi di Paolo Traniello, L'apporto di Virginia Carini Dainotti all'introduzione dell'idea di biblioteca pubblica in Italia, p. 10-20; Massimo Belotti, Il mito della public librarye il caso italiano, p. 103-113; Giovanni Solimine, I bibliotecari italiani alla scoperta dell'America, p. 147-169.

[9] Virginia Carini Dainotti, La biblioteca pubblica: antologia degli scritti, a cura di Giovanni Feliciani. Roma: Bibliosofica, 2014, p. 14.

[10] Come già fa notare M. Belotti, Il mito della public librarye il caso italiano cit.

[11] V. Carini Dainotti, La biblioteca pubblica cit., p. 58.

[12] Ivi, p. 63.

[13] David R. Lankes, The atlas of new librarianship.Cambridge, MA: MIT, 2011 (Edizione italiana: L'atlante della biblioteconomia moderna, a cura di Anna Maria Tammaro e Elena Corradini. Milano: Editrice Bibliografica, 2014.

[14] V. Carini Dainotti, La biblioteca pubblica cit., p. 65.

[15] Paolo Traniello,La biblioteca pubblica: storia di un istituto nell'Europa contemporanea. Bologna: Il Mulino, 1997, nonché nel già citato contributo dedicato alla Carini Dainotti: P. Traniello, L'apporto di Virginia Carini Dainotti all'introduzione dell'idea di biblioteca pubblica in Italia cit.

[16] G. Solimine, I bibliotecari italiani alla scoperta dell'America cit., p. 149.

[17] M. Belotti, Il mito della public library e il caso italiano cit.

[18] V. Carini Dainotti, La biblioteca pubblica cit., p. 53.

[19] Ivi, p. 56.

[20] Ivi, p. 67.

[21] Ivi, p. 75.

[22] Ivi, p. 12.

[23] Alberto Petrucciani, Professionalità e deontologia del bibliotecario: il contributo di Virginia Carini Dainotti e il dibattito degli anni Sessanta e Settanta. In: Università degli studi di Udine, Dipartimento di storia e tutela dei beni culturali; Associazione italiana biblioteche, Sezione Friuli Venezia Giulia, Virginia Carini Dainotti e la politica biblioteca del secondo dopoguerra cit., p. 21-51.

[24] Penso ai lavori di Riccardo Ridi, in particolare Etica bibliotecaria: deontologia professionale e dilemmi morali. Milano: Editrice bibliografica, 2011.

[25] V. Carini Dainotti, La biblioteca pubblica cit., p. 69.

[26] Ivi, p. 27.

[27] Ivi, p. 76.

[28] Come già notato da M. Belotti, Il mito della public library e il caso italiano cit.

[29] V. Carini Dainotti, La biblioteca pubblica cit., p. 24.

[30] Ivi, p. 10.

[31] Ibidem.

[32] Ivi, p. 20.

[33] Ivi, p. 81-82.

[34] Ivi, p. 23.

[35] Ivi, p. 23.

[36] A. Petrucciani, Professionalità e deontologia del bibliotecario: il contributo di Virginia Carini Dainotti e il dibattito degli anni Sessanta e Settanta cit. p. 49.

[37] Espressione che Petrucciani prende a prestito da Giorgio De Gregori in:Professionalità e deontologia del bibliotecario: il contributo di Virginia Carini Dainotti e il dibattito degli anni Sessanta e Settanta cit. p. 45.

[38] Lorenzo Baldacchini utilizza questa espressione di Umberto Eco per far riferimento all'attuale dibattito sul futuro della lettura (e dunque delle biblioteche e del libro) in: Siamo scimmie: possiamo leggere. Riflessioni sul ruolo della biblioteca, «AIB Studi», 55 (2015), n. 1, p. 7-14.