Le biblioteche di Luigi Crocetti

di Simonetta Buttò

Le biblioteche di Luigi Crocetti: saggi, recensioni, paperoles (1963-2007), a cura di Laura Desideri e Alberto Petrucciani. Roma: AIB, 2014. 671 p. ISBN 978-88-7812-231-4

Rileggere oggi gli scritti di Luigi Crocetti rappresenta un'esperienza, oltre che un meraviglioso viaggio nelle biblioteche, da consigliare caldamente a chiunque - non solo bibliotecari - creda nella continuità storica dei valori civici e morali rappresentati nel nostro patrimonio culturale.
È un periodo difficile, questo, per le biblioteche, non solo per la limitatezza sempre più accentuata delle risorse, economiche ma soprattutto umane, ma per l'opacità nella quale le biblioteche italiane sono state inghiottite.
L'indeterminatezza nella percezione del loro ruolo e della loro funzione sociale, già ampiamente diffusa nell'opinione pubblica, si è espansa a macchia d'olio anche fra i professionisti del settore, traducendosi in amarezza, in senso di sconfitta e in una crescente labilità psicologica.
La recente riforma ministeriale - che ha escluso in massa le biblioteche dall'azione di rinnovamento, ignorandole nella sostanza e declassandole nella forma, proprio mentre investiva in pieno (non è questo il luogo per discutere se negativamente o positivamente) gli altri "beni culturali" della Nazione - ha evidenziato ancor più la loro separatezza, costringendo un'intera comunità professionale a porsi, o a porsi di nuovo, tutta una serie di domande che vanno dal chiedersi dove si è sbagliato, alla ricerca di un possibile futuro.
Torna dunque - sia pure in forme mutate - il tema annoso della ricerca di identità dei singoli istituti, delle biblioteche nel loro complesso, dei bibliotecari come professionisti dell'informazione, della conoscenza, della ricerca, e si rende di nuovo necessario individuare nuovi e vecchi "paletti" che delimitino i confini della loro azione.
In molti modi questa raccolta ragionata di 180 scritti di Luigi Crocetti, mirabilmente curata da Laura Desideri e da Alberto Petrucciani, si offre di aiutare il lettore a dipanare alcuni dei nodi concettuali posti all'attenzione dall'attuale situazione di crisi, e non tanto per le soluzioni offerte, spesso legate alle diverse circostanze storiche, quanto per il metodo, il modo di ragionare.
Innanzitutto, questo bel volume ci aiuta con la sua stessa struttura, che organizza gli interventi di Luigi Crocetti in otto «percorsi di lettura», come dichiarato nella Nota iniziale, che consentono di leggere gli argomenti in modo omogeneo, ma anche storicizzato, permettendo così di seguire l'evoluzione dei concetti e del pensiero dell'autore, e dunque anche il cambiamento, nel tempo, di idee e di posizioni.
Rispetto alle precedenti raccolte di scritti di Crocetti1, i percorsi qui proposti comprendono anche le recensioni, che danno spazio e rilievo ad argomenti poco affrontati in altri scritti, ma che ne costituiscono spesso il necessario complemento.
Da questo punto di vista, la sezione più ampia della raccolta, 24 contributi sotto il titolo Biblioteche, bibliotecarî, biblioteconomia, offre numerosi spunti per una riflessione non dogmatica sul nostro passato e per comprendere la complessità della realtà attuale, anche se - come avvertono i curatori - «spesso un singolo pezzo potrebbe trovare posto in più di un contesto».
È però innegabile che il centro focale di questo primo percorso di lettura sia saldamente occupato da quel «concetto chiave della biblioteconomia moderna» che è il concetto di cooperazione. Crocetti ne parla già a partire dal lontano 1975 (Le biblioteche in Toscana, p. 3-10) come modello fondante del sistema di pubblica lettura; lo indica ai bibliotecari e agli architetti impegnati nell'ideazione di una biblioteca come «un esercizio che merita di essere svolto in profondità in considerazione degli importantissimi riflessi che può avere in sede di progettazione» (La biblioteca desiderata, 1984, p. 15-20); lo sottolinea come unico, vero, fattore di cambiamento in quelle poche, magnifiche righe di Prova di servizio (1983, p. 21-23) in cui si affaccia la "biblioteconomia della totalità" come modello di condivisione generale delle risorse.

«Bibliotheca una, species mille», scriveva allora Crocetti per sostenere il nascente Servizio bibliotecario nazionale, e continuava: «Attività e significato della biblioteca possono oggi cambiare soltanto in quadro unitario di cooperazione».
Singolarmente, ma ciò oggi non stupisce fino in fondo, il Crocetti di Prova di servizio stava dichiaratamente offrendo una spalla robusta al bibliotecario italiano, da sempre afflitto da ricorrente incertezza sul proprio ruolo e sulla propria funzione, dal suo senso di frustrazione atavico che in quegli anni veniva aggravato dalla nascente coscienza della debolezza intrinseca - nelle "attività" e nel "significato" - del singolo istituto bibliotecario, non importa se grande o piccolo, dello Stato, dell'università o di ente locale.
La sua spalla voleva essere, ed era, soprattutto più robusta delle soluzioni "neutre" offerte dai sistemi di automazione e dai software in commercio, capaci certo di cambiare una procedura, ma - da soli - insufficienti a delineare la visione, un cambiamento di obiettivo («Si è voluto solo ricordare - concludeva - che l'impegno del bibliotecario trova una sua ragione d'essere speciale quando si misura non con trovate più o meno intelligenti, ma con idee attinenti la sua vita e la sua professione»).
La concezione che di SBN ebbe Crocetti, come modello di cooperazione per fornire nuovi servizi che «investe [...] l'intera vita e la stessa ragione d'essere della biblioteca» (Introduzione al 30° Congresso, Giardini-Naxos 1982, p. 198), domina tutti gli interventi che risalgono agli anni cruciali della sua fondazione, dalla Conferenza nazionale delle biblioteche italiane "Per l'attuazione del sistema bibliotecario nazionale" del 1979, alla fine del suo secondo triennio come presidente dell'Associazione.
Quella lunga stagione di grande rinnovamento per le biblioteche italiane, grazie ai doppi mandati di Angela Vinay e Luigi Crocetti alla presidenza dell'AIB, rappresentava anche, per la prima volta, una saldatura molto forte (forse, a volte, anche troppo, tanto da sfiorare l'identificazione) fra un progetto nazionale di vasta portata culturale, ma anche politica, quale era SBN, e l'Associazione che riuniva tutte le biblioteche e i bibliotecari italiani.
Fatto sta che, nella visione di Crocetti, tout se tient: il progetto tecnologico e il contenuto biblioteconomico vanno di pari passo con la coscienza professionale e con l'identità del bibliotecario, che risiede infatti nella qualità del servizio, così come nella qualità dell'informazione che conserva e diffonde.
Non a caso questa concezione è quella che ha subito di meno i danni dell'obsolescenza, che ha resistito meglio al cambiamento dei tempi: il quadro che ne deriva lo potremmo sottoscrivere, nelle sue linee generali, anche oggi.

«L'informazione senza filtro, come è noto, provoca malattie mortali», ironizzava Crocetti nel 2001 scrutando in cielo, «senz'ansia» (e senza subalternità), i segnali provenienti da Internet (Il silenzio della biblioteca, p. 110-111).
Così come possiamo aderire ancora, e pienamente, alla definizione crocettiana dello "stile" che identifica la biblioteca. «Esattezza e precisione dovrebbero essere lo stile della biblioteca cioè, ancora una volta, la sua cultura: la cultura altamente formale di un'istituzione che opera in una disciplina pervasiva», scriveva nel 1987 (Lo stile della biblioteca, p. 32), richiamando i bibliotecari alla conoscenza della tradizione, non importa se nell'antico o sul moderno, al sapere professionale.
Crocetti, semplicemente, invitava le biblioteche e i bibliotecari a fare il proprio mestiere, sui due versanti di competenza: ancorare le biblioteche agli standard professionali e recuperare ai bibliotecari le basi intellettuali del loro lavoro.
Il lungo percorso culturale di Luigi Crocetti, bibliotecario statale agli esordi, primo soprintendente del neonato Servizio per i beni librari della Regione Toscana nel 1972 (e lucidissimo interprete delle irripetibili occasioni mancate dal decentramento regionale), presidente dell'AIB dal 1981 al 1987, direttore del Gabinetto Vieusseux dal luglio 1985 alla fine del 1986, si avvierà, anche dopo la precoce conclusione della carriera lavorativa, lungo nuove strade, senza mai, però, tradire i fondamenti della "sua" biblioteconomia, alimentata dal magistero filologico di Giorgio Pasquali, di Michele Barbi e di Gianfranco Contini.
La lettura dell'eccellente Cronologia di Silvia Alessandri, con il supporto dell'ampio e accurato Indice dei nomi di Lorenzo Mancini, renderà giustizia dei numerosi salti, logici e cronologici, imposti dalle esigenze di spazio al presente contributo.

Con l'inizio del nuovo secolo gli interessi di Luigi Crocetti si orienteranno infatti più marcatamente sul contemporaneo, sugli archivi culturali, non solo letterari, ma anche delle imprese editoriali e tipografiche, sulle biblioteche d'autore, su tutti quegli aspetti della tradizione culturale del Novecento pericolosamente insidiati dalla velocità del cambiamento imposto dalla tecnologia:

Quella del Novecento sarà con ogni probabilità l'ultima cultura a poter essere documentata nei modi, tutto sommato, classici: carte, libri e oggetti fisici in generale. Non abbiamo ancora alcuna sicurezza su ciò che ci attende. Non ci attendiamo, certo, la morte del libro o della carta stampata; ma, proprio nel campo di cui stiamo parlando, la morte di quell'apparato di contorno fatto di schede, foglietti d'appunti, scritture di traverso, schizzi, sgorbi, cancellature. Appunto, in una parola, gli scartafacci, le (Che resterà del Novecento?, p. 515).

In questa, che lui stesso definiva «corsa agli archivi», «ultimo e nobile prodotto di un'onda lunga, che per l'Italia dura dagli anni Trenta del Novecento», ebbe a fianco, come sodali e complici dell'impresa, gli amici di Conservare il Novecento, Rosaria Campioni, Maurizio Messina, Giuliana Zagra e tanti altri che, con le loro competenze specifiche in materia, alimentarono di volta in volta la serie dei convegni annuali sul tema organizzati dall'AIB, dall'ANAI, dall'ICRCPAL e dall'IBC all'interno del Salone internazionale del restauro di Ferrara, che videro Luigi Crocetti ispiratore e protagonista delle prime sei edizioni.
Da questo nuovo punto di osservazione, le riflessioni di Crocetti sulle biblioteche e sugli archivi si ampliano fino a comprendere la grande varietà di istituzioni (banche, fondazioni, istituti di ricerca, università e imprese) che, a vario titolo, conservano documenti della nostra tradizione culturale recente, estendendo il loro campo di azione, e la nozione stessa di "interesse culturale", all'intero tessuto sociale che la caratterizza.
La stessa, storica, differenza concettuale fra biblioteche e archivi, fra materiale librario e archivistico si affievolisce, come avviene, per esempio, nel caso delle biblioteche d'autore, che comprendono, in un complesso unitario, carte manoscritte, appunti, lettere, fotografie, ritagli di giornale e opere a stampa: «Quest'unità, concettuale e gestionale - commenta Crocetti (p. 514) - è una conquista utile rispetto alla tradizionale impermeabilità tra i due "generi"».
Al di là della proliferazione delle istituzioni recentemente dedite alla accumulazione di materiali documentari di vario tipo, a noi più o meno contemporanei (una proliferazione che pure necessiterebbe di una sorta di coordinamento per evitarne la dispersione in mille rivoli), e al di là dei confini disciplinari entro cui queste istituzioni esercitano la loro azione, è infatti l'approfondimento filologico e storico a costituire il senso e il fine stesso dell'accumulazione (purché ragionata e ordinata) di materiali documentari a noi, più o meno, contemporanei.
Del resto era proprio dal valore dell'apprendimento e dello studio che Crocetti aveva iniziato il suo percorso dentro e per le biblioteche, visto che nel saggio del 1975 che apre questo bel libro (Le biblioteche in Toscana, p. 10), aveva voluto tradurre per i suoi lettori la mirabile risposta di Antonio Panizzi alla Commissione d'inchiesta del Parlamento inglese che lo interrogava, nel 1850, sul ruolo e sullo scopo delle biblioteche pubbliche: «biblioteche dove la gente impari a saperne di più. Se si riesce a insegnare alla gente quanto è difficile conoscere bene una qualsiasi cosa, questo è un risultato importante».

Un compito impegnativo anche - e soprattutto - quando volessimo comunicare il valore del libro e della lettura ai più piccoli. La tentazione di cedere di fronte ai ragazzi alla semplificazione amichevole e giocosa, come può essere la creazione di un «libro a ruote» (trenino/automobilina/carretto), è attraente e spiritosa, ma - nelle parole di Crocetti - tanto nobile, quanto sbagliata: «Bisogna non illuderli: i libri che troveranno dopo, nella vita di grandi, non sono degli amici. Sono oggetti di devastante difficoltà» (Il trenino e l'ombra, p. 33).
All'apprendimento e allo studio Crocetti è tornato nel suo ultimo articolo, uscito postumo, dedicato a Le biblioteche di Giorgio Pasquali (p. 130):

Pasquali non è un innamorato delle biblioteche: i suoi giudizî sono spesso taglienti: ciò che ama è lo studio. Il fatto è che nel suo pensiero lo studio è inscindibile dalle biblioteche. Senza biblioteche, o con biblioteche troppo mediocri, non si riesce a studiare; se non si riesce a studiare, non si riesce a giovarsi di scuola e università.

NOTE

[1] Luigi Crocetti, Il nuovo in biblioteca e altri scritti. Roma: AIB, 1994; Luigi Crocetti, La tradizione culturale italiana del Novecento e altri scritti, a cura di Laura Desideri, in Conservare il Novecento: gli archivi culturali: Ferrara, Salone internazionale dell'arte del restauro, 27 marzo 2009: atti del convegno, a cura di Laura Desideri e Giuliana Zagra, Roma: AIB, 2010.