a cura di Silvana de Capua
La crisi della biblioteca non è finita. L'era digitale ha scosso fino alle fondamenta il modello di biblioteca pubblica elaborato nel corso del XIX secolo tra le due sponde dell'Oceano Atlantico. I fatti sono noti: nel 1850 in Gran Bretagna veniva approvata una legge (Public Libraries Act) che avrebbe segnato un punto di svolta e contemporaneamente negli Stati Uniti, come ha ricordato recentemente John Palfrey in una sua riflessione sul futuro delle biblioteche (BiblioTech, 2015), si fondavano le free library, le prime biblioteche pubbliche gratuite aperte a tutti. «Free to all» è l'iscrizione che accoglie fin dal 1852, anno della sua inaugurazione, gli utenti che varcano il portone della Boston Public Library. Per più di cento anni le biblioteche hanno così garantito un accesso democratico e gratuito all'universo bibliografico, fino a qualche decennio fa quasi integralmente cartaceo. Si può dire che quella sfida sia stata sostanzialmente vinta. Oggi però la nuova dimensione digitale ha messo in discussione non tanto l'aspetto pubblico della biblioteca quanto alcune funzioni da essa svolte all'interno del circuito della comunicazione. Una così complessa situazione ha bisogno dunque di adeguati strumenti di analisi. Giovanni Solimine e Paul Gabriele Weston, condividendo l'urgenza di un momento di riflessione anche per l'Italia, hanno chiesto a un gruppo di specialisti provenienti dal mondo delle biblioteche e dell'università italiane di confrontarsi sui numerosi cambiamenti che stanno investendo il mondo delle biblioteche. I risultati di queste analisi, ventuno saggi scritti da venticinque specialisti, sono ora raccolti in un volume intitolato Biblioteche e biblioteconomia: principi e questioni pubblicato da Carocci nella collana «Beni culturali». Secondo Solimine e Weston la biblioteca, così come la biblioteconomia, sta vivendo una «fase di incertezza» (p. 17) in quanto si trova coinvolta nel bel mezzo della trasformazione del suo ruolo ed è per questo motivo chiamata a non occuparsi più soltanto di mediazione e di conservazione, ma «di costruzione e di organizzazione del sapere» per esempio svolgendo una «vera e propria attività editoriale (libraries as publishers è il titolo di numerose iniziative in area anglosassone)» (p. 19). Questo stato di cose impone il ripensamento dei tradizionali approcci scientifici e professionali da realizzarsi possibilmente attraverso la contaminazione di discipline e culture organizzative diverse. Da queste considerazioni è nata l'idea dei due curatori di proporre a un pubblico di studiosi, studenti e bibliotecari un volume scritto a più mani in grado non tanto di fornire una rassegna per quanto ampia di ciò che bisogna conoscere sulla biblioteca contemporanea, quanto di proporre «un metodo, tendente a individuare questioni più che a fornire soluzioni pre-confezionate e valide in tutte le circostanze» (p. 21). Il volume è dunque «progettato unitariamente ma realizzato con il contributo di numerosi specialisti, per i diversi argomenti trattati, ha l'ambizione di proporre approcci diversi e di prevedere un utilizzo multifunzionale: presenta una trattazione organica e aggiornata delle principali questioni che investono il mondo delle biblioteche (...); è quindi al tempo stesso una raccolta di saggi, un manuale didattico, un vademecum professionale; affrontando i diversi argomenti in chiave problematica e non prescrittiva ed essendo corredato da casi di studio e da molti riferimenti bibliografici, questo libro vuole anche stimolare riflessioni e discussioni sui temi aperti, attraversati da cambiamenti profondi, affascinanti e complessi» (p. 21).
Seguendo alcune indicazioni fornite dagli stessi curatori su come leggere l'opera, propongo ora una rapida rassegna dei saggi contenuti nel volume con il solo intento di dare un'idea della ricchezza degli argomenti trattati e della qualità degli autori. Il primo blocco di contributi comprende i capitoli 1-8 ed è incentrato su temi di carattere introduttivo, sugli obiettivi della biblioteca e sugli aspetti gestionali. Si inizia con il lavoro di Anna Maria Tammaro dedicato alla professione bibliotecaria, il tema è trattato in una prospettiva internazionale e con un occhio al dibattito biblioteconomico; seguono il contributo di Franco Neri che si interroga sulla funzione sociale della biblioteca con una particolare attenzione al lifelong learning e quello di Antonella Agnoli dedicato alla progettazione degli spazi bibliotecari. Luca Bellingeri fornisce un quadro della normativa italiana dei beni culturali con un'attenzione particolare riservata alle biblioteche, Ornella Foglieni si sofferma sulla tutela dei beni librari e documentari, mentre Andrea De Pasquale approfondisce gli strumenti del fund raising e dell'outsourcing con riferimento anche ad alcune buone pratiche. Sempre nell'ambito dell'organizzazione Giovanni Di Domenico affronta il tema della gestione in tempo di crisi della qualità della biblioteca attraverso l'esame dei tratti essenziali delle specifiche norme UNI EN ISO e del Common Assessment Framework (2013); Chiara Faggiolani e Anna Galluzzi si soffermano infine sulla valutazione della biblioteca seguendone le vari fasi dalla misurazione dei servizi alla valutazione dell'impatto. Il secondo gruppo di capitoli (9-14) prende in esame i temi legati alle collezioni documentarie e al loro trattamento catalografico e presenta il saggio di Maurizio Vivarelli sulla formazione, lo sviluppo e l'integrazione delle collezioni librarie; nel contributo che segue Carlo Bianchini e Mauro Guerrini si incaricano di introdurre il lettore alla comprensione della moderna teoria catalografica (FRBR, RDA, library linked data, ecc.), mentre Agnese Galeffi si sofferma sugli standard di catalogazione (ISBD, REICAT, RDA) e Paul Gabriele Weston fornisce un aggiornamento sulla riflessione teorica e sull'applicazione pratica, con uno sguardo al Web semantico, dell'authority file e dell'authority data. Questo secondo blocco è completato da due saggi dedicati al libro antico: Lorenzo Baldacchini e Anna Manfron si occupano dei libri rari e di pregio e della loro valorizzazione; Giliola Barbero prende in esame la gestione dei manoscritti in una biblioteca. I capitoli 15-19 trattano dei servizi, tradizionali e soprattutto online, che offre la biblioteca: il lavoro di Gianfranco Crupi si concentra sulla biblioteca digitale e ne fornisce un ampio approccio (definizione, progettazione, gestione, discussione di problemi tecnici), Piero Cavaleri dedica le sue analisi all'impatto del Web sul lavoro del bibliotecario e sull'organizzazione della biblioteca; seguono un'articolata riflessione di Virginia Gentilini sul leggere e sul fare ricerca nel mondo digitale, un'analisi del servizio di consultazione e di reference nelle dimensioni analogica e virtuale (con uno sguardo al futuro) elaborata da Gianna Del Bono e Raffaella Vincenti e il contributo di Laura Testoni che fornisce un'articolata analisi sulla più recente evoluzione dei servizi informativi delle biblioteche con una particolare attenzione riservata all'information literacy. Il volume si chiude con due saggi che affrontano i temi della conservazione dei documenti: Carlo Federici fornisce spunti vari, da alcuni cenni storici a riferimenti ai problemi aperti, nell'ambito del patrimonio bibliografico; mentre Maria Guercio presenta un'articolata disamina della conservazione delle memorie digitali.
Biblioteche e biblioteconomia: principi e questioni si presenta come un'autorevole guida alle principali questioni che riguardano il mondo bibliotecario e la biblioteconomia. I saggi che compongono il volume, anche se in alcuni casi mostrano delle differenze nel modo di trattare le tematiche assegnate, raggiungono appieno gli obiettivi proponendo sintesi aggiornate delle varie questioni e offrendo spunti di approfondimento attraverso bibliografie ragionate e letture complementari. Due parole da ultimo su un confronto credo inevitabile con Biblioteconomia: principi e questioni un volume edito nel 2007 e curato sempre da Solimine e Weston. Diversi aspetti accomunano le due opere: dal titolo alla formula editoriale (una raccolta di contributi) e agli scopi; da un buon numero di autori che hanno fornito contributi all'editore e alla collana. A fronte di tutto va però fatto notare che l'editore continua a proporre entrambi i titoli nel proprio catalogo e che i curatori non fanno riferimento al vecchio testo nel volume che qui recensiamo. Scelte che ritengo siano dettate unicamente dall'intento di far risaltare l'originalità della nuova proposta editoriale.
Andrea Capaccioni
Università degli studi di Perugia,
Dipartimento di Lettere-Lingue, Letterature e Civiltà antiche e moderne
Curioso volume quello scritto da G.G. Chowdhury, docente di Information Science presso l'iSchool@Northumbria e Direttore del Dipartimento di Mathematics and Information Sciences presso la Northumbria University, curioso e complesso. Non è semplice, infatti, riflettere sul concetto di sostenibilità in un volume di biblioteconomia. L'autore declina il tema della sostenibilità riferendolo al dominio dell'informazione scientifica e lo fa affrontando in dodici capitoli le tre diverse dimensioni della sostenibilità: economica, sociale e ambientale.
I primi due capitoli del libro definiscono i contorni concettuali e tematici del dominio della sostenibilità.
La sostenibilità economica è definibile come una crescita economica sostenibile; tra gli indicatori che vengono proposti per valutare la sostenibilità economica l'autore elenca: il capitale umano, il capitale naturale, la qualità della vita, la salute, il benessere ecc.
La sostenibilità sociale, scrive Chowdhury, può essere definita come il miglioramento e il mantenimento del benessere sociale. Tra gli indicatori utili per interpretare la sostenibilità sociale rientrano la democrazia, l'istruzione, la partecipazione, l'equità nell'accesso all'informazione, la sicurezza, i diritti umani, la giustizia sociale ecc. (p. 20).
Da ultimo, ma non per ultimo, Chowdhury affronta il tema della sostenibilità ambientale, del cambiamento climatico nel contesto internazionale.
Le tre dimensioni della sostenibilità sono tra loro fortemente interconnesse. Ad esempio, non può esserci sostenibilità economica a discapito dell'ambiente o del benessere sociale e non c'è sostenibilità sociale senza cura per l'ambiente.
Il terzo capitolo affronta il problema della sostenibilità economica dell'informazione scientifica sottolineando il cambiamento imposto dal passaggio da un modello economico tradizionale e fondamentalmente omogeneo, come quello basato sulla carta, ai modelli economici diversificati del mondo digitale. I più innovativi sono i modelli economici legati al mondo dell'accesso aperto. Ad esempio, il modello delle Article Processing Charges che carica sugli autori il costo della pubblicazione, ma anche i modelli del Community Publishing, dell'Institutional Membership o del Collaborative Purchasing Model (è il caso, ad esempio, di SCOAP3 - Sponsoring Consortium for Open Access in Particle Physics Publishing).
Il mercato dell'informazione scientifica è in crescita nonostante i tagli al budget delle biblioteche. Ad esempio, nel 2012 nel Regno Unito secondo l'associazione degli editori britannici (Publishers Association) le vendite di libri accademici sono cresciute del 4%; sempre nel 2012 le università britanniche spendevano 150 milioni di sterline per acquisto di riviste accademiche. Nel mondo digitale i modelli di acquisto si moltiplicano sia per i periodici sia per le monografie, ma il modello dell'accesso perpetuo resta il più richiesto dalle biblioteche accademiche, seguito dal modello subscription; si diffonde anche il modello del tipo Patron Driven Acquisition, il cui mercato cresce dal 16% al 31%.
Per le biblioteche accademiche la principale preoccupazione resta quella dei costi per la conservazione a lungo termine di ciò che viene prodotto e acquistato in formato digitale. È una preoccupazione che va oltre i problemi di accesso che sono impostati dalle clausole delle licenze di uso e va vista nell'ottica della mission della biblioteca accademica come luogo di accesso, ma anche di conservazione delle risorse. Chowdhury esamina, quindi, i costi di alcuni grandi progetti di biblioteche digitali. Europeana, ad esempio, progetto nel quale l'Unione Europea ha investito 30-35 milioni di euro in più anni.
La sostenibilità economica dell'informazione scientifica è legata strettamente anche alle politiche degli enti finanziatori della ricerca ed al rapporto tra ricerca pubblica, in quanto pubblicamente finanziata, e ricerca privata, in quanto finanziata dai privati.
Nel quarto capitolo l'autore affronta il tema della sostenibilità ambientale dell'informazione.
L'impatto ambientale dell'informazione prodotta in formato digitale è notevole e cresce con la crescita dell'informazione prodotta. Uno studio commissionato dall'Australian Computer Society rilevava che nel 2009 gli utenti dei servizi di ICT in Australia avevano consumato 13.248 milioni di kilowatt di elettricità, generanti 14.248 milioni di emissioni di CO2. La biblioteca digitale fonda sui servizi di ICT. È oltremodo complesso valutare il consumo di energia delle biblioteche digitali, ancor più complesso è misurare i consumi di Internet per ogni attività della biblioteca digitale, dalla creazione dei contenuti alla loro gestione e conservazione, all'accesso e utilizzo. I contenuti digitali possono essere digital o non digital born, si diversificano e includono tipologie diverse di pubblicazioni, oltre i contenuti di tipo testuale, immagini, video, materiale didattico, dati della ricerca ecc.
Chowdhury propone una complessa equazione per calcolare i consumi delle biblioteche digitali che distingue in due tipologie: embodied energy ovvero l'energia che viene consumata da chi produce contenuti digitali; socket energy ovvero l'energia che viene consumata dagli utenti in una sessione di ricerca e di utilizzo dei contenuti digitali.
Non è da trascurare la crescita esponenziale annua della dimensione delle biblioteche digitali. IBM stima che ogni giorno vengano prodotti 2.5 quintilioni di bytes di dati e che la British Library dovrà gestire nel 2018 due pentabytes di dati. La crescita della cosiddetta tecnologia verde o informativa verde e della tecnologia del cloud dovrebbe ridurre i costi di gestione e, forse, anche le emissioni di CO2 delle biblioteche digitali. In modo particolare, sono enormi le potenzialità dell'emergente tecnologia del cloud, intorno alla quale si stanno ancora definendo protocolli e standard. Una criticità per lo sviluppo del cloud è rappresentata dalla difesa della privacy e dalla tutela dei contenuti e dei dati. Ciononostante nel Regno Unito il JISC (Joint Information Systems Committee) raccomanda in un suo rapporto l'adozione della tecnologia del cloud computing per ridurre i costi: «cloud reduce environmental and financial costs; share the load; is flexible; allows the user to access data centres, web applications and service from any location; make experiments more repeatable»(p. 168).
La sostenibilità sociale dell'informazione scientifica è esplorata dall'autore nel quinto capitolo del volume. Indicatori utili per valutare la sostenibilità dell'informazione sono: il diritto all'informazione, la facilità di accesso, l'equità di accesso, i meccanismi per la creazione di un quadro legale di riferimento, i meccanismi per la protezione della privacy ecc.
Con riferimento all'informazione prodotta in formato digitale la sostenibilità sociale è stata affrontata in una serie di studi che si sono concentrati sull'information seeking and retrieval, sull'usabilità, sulla user computer interaction, la web accessibility, il digital divide ecc. La pervasività del web 2.0 e la crescita di contenuti generati dagli utenti fa sì che le biblioteche digitali si arricchiscano di dati di contesto e di dati sugli utenti con nuove responsabilità in termini legali e di protezione della privacy per chi gestisce le biblioteche digitali.
Il digital divide è ancora un problema da affrontare. Si declina in tre dimensioni: il social divide, per fasce di popolazione svantaggiate, il democratic divide, ovvero gruppi politici che agiscono diversamente in rete, il global divide con riferimento alla differenza tra paesi industrializzati e in via di sviluppo. Quanto a quest'ultima dimensione, in Europa solo i 2/3 della popolazione ha una connessione a banda larga ad Internet. Nei paesi emergenti e in via di sviluppo la situazione è di gran lunga peggiore. La tecnologia e la connessione sono un problema per il digital divide; l'altro problema è relativo alla capacità degli utenti di utilizzare i servizi e i contenuti dell'informazione digitale. Di qui la necessità di far crescere gli utenti tramite information literacy, media literacy e transliteracy. Infine, la sostenibilità sociale dell'informazione è anche un problema politico e culturale; è, infatti, legata alle pratiche sociali e culturali di un paese.
Il sesto capitolo del volume tenta di tracciare un confronto tra la sostenibilità dell'informazione prodotta su carta e quella prodotta in formato digitale. Alcuni studi evidenziano come l'impatto ambientale delle pubblicazioni digitali sia inferiore a quello delle pubblicazioni su carta. Per queste ultime all'impatto derivante dalla stampa vanno aggiunti i costi ambientali per lo stoccaggio, i costi di gestione, di conservazione e i costi di trasporto. Un ulteriore costo è rappresentato dalla gestione e manutenzione degli edifici che accolgono librerie o biblioteche.
Anche il formato digitale ha il suo impatto in termini di creazione, di mantenimento e conservazione di ciò che viene prodotto. In realtà tutta l'informazione viene attualmente prodotta in digitale, salvo poi essere convertita in cartaceo. Rispetto al digitale altre due tipologie di costi ambientali da valutare sono: i costi di uso/accesso e quelli di trasferimento dei dati e/o metadati.
Il capitolo settimo e ottavo trattano il tema della sostenibilità del modello open access, tema di estrema attualità e diversamente dibattuto. L'autore esamina i costi gestionali dei repository istituzionali che variano dalle 26.000 alle 210.000 sterline annue, i costi variano in base al numero e alla tipologia di item archiviati e alla tipologia dell'università. Aumentano se il repository viene utilizzato anche per la conservazione a lungo termine delle risorse. Secondo diversi studi la Green Road appare economicamente e socialmente sostenibile, lo è meno se si pensa all'ambiente. L'autore propone di adottare una strategia a favore della creazione di repository nazionali che si sostituiscano alla molteplicità di repository istituzionali - praticamente ogni università britannica ne gestisce uno - per renderli sostenibili.
Ai costi della Green Road si sommano i costi della Gold Road, la strategia Open Access che secondo il Finch report, finanziato dall'Higher Education Funding Council for England (HEFCE) e pubblicato nel 2012, dovrebbe essere considerata preferenziale: il pagamento delle Article Processing Charges richieste da molti editori Open Access viene sostenuto da numerosi enti finanziatori della ricerca (NIH, RCUK, Wellcome Trust) ma rappresenta, comunque, un problema da affrontare. Biblioteche, autori, enti finanziatori dovrebbero negoziare con gli editori, soprattutto con gli editori commerciali, il mantenimento di Article Processing Charges sostenibili.
Un tema diverso ma, comunque, non trascurabile per il futuro della Gold Road è la sostenibilità di tutte quelle riviste ad accesso aperto che sono pubblicate sui portali istituzionali grazie al sostegno e al lavoro degli autori accademici. Per rendere sostenibile l'informazione ad accesso aperto Chowdhury propone un modello integrato per la gestione dei contenuti e dei dati della ricerca centrato sulle diverse tipologie di utenti e su un'architettura centrale dedicata alla conservazione.
Il capitolo decimo si riallaccia idealmente e concettualmente al capitolo quarto. L'autore propone un modello di gestione dei servizi dell'informazione basato sul cloud per affrontare il problema della sostenibilità ambientale dell'informazione. Servizi di questo tipo includono contenuti diversificati: ebooks, ejournals e dati della ricerca; sono sostenuti da un'infrastruttura integrata di conservazione a lungo termine. Servizi di gestione sostenibile dell'informazione sono basati su un modello centrato sull'utente, sull'utilizzo condiviso dell'infrastruttura hardware e delle risorse di rete, sulla creazione di contenuti green, su sistemi green di information retrieval (p. 167).
Il tema dell'information retrieval viene ripreso nel capitolo successivo: nell'immediato futuro le ricerche per il recupero dell'informazione tenderanno, infatti, ad aumentare e a diventare sempre più sofisticate grazie all'applicazione di tecniche e strumenti per il data-mining e il text-mining. La crescita quantitativa nell'utilizzo dell'informazione dovrà combinarsi con uno sviluppo sostenibile dell'information retrieval. Per limitare l'impatto ambientale dei sistemi di information retrieval sull'ambiente è necessario ottenere informazioni e dati su come i sistemi di recupero dell'informazione vengono costruiti e utilizzati. L'utente è chiamato in causa dal momento che le modalità e i tempi di accesso all'informazione hanno un impatto sulla sostenibilità ambientale e sociale dell'informazione stessa.
Gli ultimi due capitoli riprendono più in generale i temi affrontati nel libro. L'autore propone sei azioni utili ad orientare lo sviluppo dell'informazione scientifica e dei sistemi di information retrieval e, quindi, a rendere sempre più sostenibile la creazione e gestione dell'informazione: più ricerca e pratiche professionali in relazione al tema dell'usabilità dell'informazione scientifica e a un'architettura di accesso centrata sull'utente e sulla tipologia del contenuto. Queste azioni permetteranno di aprire i contenuti digitali alle diverse comunità di utenti, contribuendo ad accrescere la facilità di accesso all'informazione stessa ed elevando, quindi, la sostenibilità sociale dell'informazione scientifica; più ricerca e pratiche professionali sui metadati, l'interoperabilità, il data e text mining, il data linking e la mappatura semantica della conoscenza. Queste azioni consentiranno un uso sempre più veloce e granulare dell'informazione digitale, promuovendone la sostenibilità sociale; più ricerca e pratiche professionali in relazione alla produzione di statistiche e alle nuove misure per valutare la qualità dell'impatto e della ricerca. Quest'azione consentirà agli utenti di valutare sempre meglio la qualità dell'informazione scientifica prodotta, aggiungendo valore per gli utenti e per i produttori di informazione; più ricerca e pratiche professionali in relazione alla costruzione di servizi centrati sugli utenti e sulla tipologia di contenuto grazie all'utilizzo delle tecnologie mobili e degli strumenti social. Queste azioni consentiranno di costruire servizi a valore aggiunto intorno all'informazione, promuoveranno un migliore accesso e utilizzo dell'informazione scientifica, facilitando la sua sostenibilità economica e sociale; più ricerca e pratiche professionali in relazione all'integrazione tra dati e pubblicazioni e allo sviluppo di specifiche applicazioni e standard a sostegno della ricerca e dell'innovazione. Queste azioni consentiranno di creare un'informazione scientifica sempre più integrata e miglioreranno l'accesso e le forme di utilizzo della stessa; più ricerca e pratiche professionali in relazione all'integrazione dei servizi di informazione scientifica con il web e con le tecnologie di social networking. Queste azioni accresceranno il valore dell'informazione prodotta e ne promuoveranno l'accesso e l'uso per ampie comunità di utenti.
In conclusione l'autore affronta con maestria e competenza argomenti ai quali le biblioteche e i bibliotecari risultano poco avvezzi e sui quali è necessario elevare il livello di conoscenza e consapevolezza. Ogni capitolo è corredato di una ricca bibliografia di riferimento. La lettura risulta, però, a tratti sconnessa, anche perché l'opera sembra mancare di una struttura organica e gli argomenti tendono a ripetersi nei diversi capitoli affaticando la lettura.
Maria Cassella
Biblioteca Norberto Bobbio, Torino
Il lavoro di Chiara Faggiolani affronta un argomento discusso quasi quotidianamente, su riviste, libri e soprattutto, ormai, sul Web e ne traccia una solida e chiara storia culturale e scientifica interrogandosi anche sul presente e sui suoi possibili sviluppi futuri. L'autrice arricchisce il quadro disciplinare proponendo il proprio lavoro come un percorso introduttivo alla bibliometria «nel tempo e nello spazio», usando le parole dell'autrice (p. 10), che parte dalle questioni definitorie e si sofferma sull'evoluzione storica della disciplina dai primi decenni del Novecento fino ad arrivare all'attualità. Le misure bibliometriche e le loro fonti, ossia le banche dati da cui si ricavano, sono anch'esse analizzate diacronicamente, con una costante attenzione volta al contesto sociale, culturale e tecnologico in cui vengono ideate ed elaborate. La valutazione della ricerca scientifica, naturale destinazione del flusso della misurazione bibliometrica, è oggetto di un'approfondita analisi nella seconda metà del volume. Qui sono posti in particolare rilievo sia la valutazione delle Scienze umane che gli sviluppi futuri della disciplina bibliometrica; essi, infine, sono messi in relazione con i radicali cambiamenti delle forme di produzione e di diffusione della conoscenza.
L'analisi storica parte dagli anni Venti del Novecento, il prima rispetto a Eugene Garfield e Alan Pritchard, e dalla statistical bibliography, cioè l'applicazione di strumenti statistici alle politiche degli acquisti delle biblioteche. La bibliografia statistica viene anche adottata per misurare il progresso delle discipline scientifiche e monitorare i ricercatori più produttivi, per raccogliere dati e fare censimenti con varie finalità. Il caso dei chimici e il loro legame con i primordi della disciplina viene evidenziato, in modo molto interessante, perché dimostra le possibilità applicative di un modello bibliometrico allo sviluppo delle collezioni di una biblioteca accademica. La classificazione dei riferimenti bibliografici ad opera dei coniugi Gross, nel 1927 in California, è finalizzata a stabilire quali articoli scientifici e quali riviste siano necessari per stimolare efficacemente gli studenti in una biblioteca accademica. La loro intuizione di mettere in relazione la qualità dei periodici col numero di citazioni da essi ricevute adotta, implicitamente, la citazione come strumento utile per la costruzione di una raccolta completa per una biblioteca accademica. Garfield fa riferimento al lavoro dei chimici Gross nella fase di progettazione dello Science Citation Index. La sua idea iniziale era di creare uno strumento di supporto ai ricercatori per selezionare gli articoli più rilevanti per le proprie ricerche e, allo stesso tempo, utile alle biblioteche per lo sviluppo delle collezioni; l'indice di citazioni assume successivamente la funzione di strumento valutativo della produzione scientifica.
Le citazioni sono diventate uno degli ingranaggi dell'industria scientifica e culturale, sottolinea Faggiolani, e, di conseguenza, il protagonista della bibliometria è l'articolo di rivista scientifica perché ad esso si possono applicare agevolmente gli strumenti di misura bibliometrica: il numero delle citazioni che un articolo riceve è un indicatore di qualità della pubblicazione e stabilisce, quindi, l'impatto di quel lavoro all'interno della sua comunità scientifica di riferimento. Da questo paradigma si sviluppa l'analisi dell'autrice sul concetto di citazione, sui database citazionali, quelli commerciali e no, e sulla webmetrica. I continui richiami al rapporto tra gli indicatori bibliometrici e la valutazione, tra le attività statistiche di misurazione e il valore reale del lavoro scientifico sembrano voler ricordare, paradossalmente, che è il ricercatore, come persona, il protagonista della ricerca almeno quanto l'articolo di rivista lo è della bibliometria.
La letteratura scientifica prodotta in ambito umanistico, in particolare le monografie, viene tradizionalmente sottoposta a una valutazione qualitativa basata sulla peer review. La necessità di applicare anche a queste discipline dei metodi di valutazione quantitativa, basati sull'analisi citazionale e sull'analisi dell'uso, si scontra con l'assenza di database citazionali pensati e costruiti per queste discipline. Il problema della valutazione quantitativa delle Scienze umane deve essere esaminato tenendo conto della differenza che, fa notare l'autrice, non sta nel metodo ma nell'oggetto della valutazione. La ricerca in ambito umanistico è strutturalmente diversa da quella prodotta nelle scienze dure, per cui l'analisi bibliometrica non può essere usata come unico metro di giudizio.
Alle variabili qualitative e quantitative applicabili alle attività di valutazione se ne aggiunge, infine, un'altra: il radicale mutamento del modo di produzione e di fruizione della conoscenza. Quindi, è assodato che il Web e gli sviluppi dell'informatica permettono di applicare sofisticate tecniche di ricerca ad una quantità di dati non paragonabili a quelli del passato; nello stesso tempo, una nuova organizzazione della scienza promuove una conoscenza basata sulla transdisciplinarità e organizzata in forme non gerarchiche. Il paradigma della scienza caratterizzato da una ben chiara tassonomia delle discipline sta lasciando spazio a un nuovo modo di produrre conoscenza, la scienza mode 2, secondo la definizione di Michael Gibbons et al. del 1994. La scienza va verso il superamento della sua rigida suddivisione in discipline, in base a quanto teorizzato, e quindi, se è vero che i metodi di valutazione qualitativi e quantitativi devono essere sempre applicati parallelamente, Faggiolani propriamente afferma che la valutazione qualitativa dovrà ridefinire un concetto di impatto capace di andare oltre la conta delle citazioni. L'elemento della valutazione dell'importanza, ovvero la capacità di un lavoro di aprire la strada a ricerche future, il valore innovativo di una ricerca scientifica, è del tutto ignorato dalla logica citazionale. Su questo punto si innesta, pertanto, il concetto di cultura della valutazione, di un metodo che non sia mai unidirezionale, come pure auspicano i testi delle convenzioni e degli accordi internazionali puntualmente richiamati dall'autrice che, col lavoro qui presentato, mostra di dominare l'argomento tanto da proporre uno sviluppo futuro della bibliometria come disciplina e come insieme di strumenti utili alla valutazione della ricerca.
Si segnalano, infine, i riquadri inseriti nei vari capitoli, contenenti utili analisi di argomenti citati nel testo, e la bibliografia tematica finale, che consiglia sistematicamente le fonti, le letture di approfondimento e il percorso scientifico di riferimento relativo ai vari capitoli.
Antonella Trombone
Sapienza Università di Roma
Negli ultimi anni il dibattito sul ruolo della biblioteca pubblica nella società contemporanea ha ampiamente interessato non solo bibliotecari e addetti ai lavori, bensì anche amministratori pubblici e semplici cittadini, quotidianamente chiamati a esprimersi sull'utilizzo delle risorse pubbliche in un'epoca di crisi economica e di riduzione della spesa. Il graduale riconoscimento di un ruolo sociale e non solo strettamente culturale delle biblioteche pubbliche all'interno dei contesti urbani da un lato ha progressivamente introdotto in biblioteconomia i metodi della ricerca sociale, dall'altro ha accresciuto l'interesse dei sociologi nei confronti della biblioteca pubblica come spazio privilegiato di espressione delle dinamiche sociali.
In questo filone di interessi interdisciplinari si colloca la pubblicazione del volume I nuovi volti della biblioteca pubblica: tra cultura e accoglienza, che prende spunto e dà conto di una ricerca condotta sulla Casa della Conoscenza di Casalecchio di Reno - a dieci anni dalla sua inaugurazione - da parte di un gruppo di ricercatori del Dipartimento di sociologia e diritto dell'economia dell'Università di Bologna, guidato dal prof. Maurizio Bergamasco. Alla ricerca hanno collaborato attivamente, consentendone la piena riuscita, anche l'Associazione di Volontariato Emiliani nell'ambito del Progetto PaCmAn (Percorsi per Comunità Accoglienti) e la cooperativa Open Group.
In questo volumetto confluiscono competenze e punti di vista diversificati, che aiutano a costruirsi un'immagine sfaccettata dei fenomeni che ruotano intorno alla Casa della Conoscenza. Su questa struttura, collocata in una zona centrale del Comune di Casalecchio e che comprende la Biblioteca comunale Cesare Pavese, la Sala Polivalente Piazza delle Culture, la Sala Seminari, la Sala lettura e lo Spazio espositivo La Virgola, è incentrato il maggior numero dei contributi: in particolare, dopo una breve introduzione di Giovanni Dognini di Open Group, si lascia spazio alle parole degli amministratori di Casalecchio di Reno, il Sindaco Massimo Bosso e l'Assessore Fabio Abagnato (autori del contributo Sulla soglia della Casa della Conoscenza), ai sociologi Giulia Benetti, Maurizio Bergamaschi e Irene Fulceri (che nel loro contributo Casa della Conoscenza: verso uno spazio pubblico accogliente danno conto degli esiti della ricerca), ai volontari del Servizio Civile Nazionale Emeka Obiarinze, Giulia Pancani, Giorgia Raptis (che raccontano i risultati di una ricerca sugli stranieri in biblioteca, Nuovi cittadini in biblioteca: bisogni e consumi culturali degli stranieri), a Leonella Conti, educatrice di strada di Open Group (con il contributo dal titolo Educativa di strada: un'analisi pedagogica di nuovi fenomeni sociali). La pubblicazione è infine arricchita da tre saggi finali, che puntano ad allargare lo sguardo al di là della realtà studiata, nel tentativo di acquisire elementi di confronto con altri contesti; in particolare Cecilia Cognigni presenta L'esperienza delle Biblioteche civiche torinesi, mentre Hélène Certain e Céline Rollet raccontano La biblioteca come luogo di vita: l'esempio della biblioteca Louise Michel, collocata nel XX arrondissement di Parigi; infine Luigi Failla, dottorando in Architettura presso l'Ecole Nationale Supérieure d'Architecture Paris-Malaquais, descrive tre esempi francesi di biblioteche di recente costruzione (la mediateca di Colomiers, la mediateca Gran M di Tolosa e la mediateca Aimé Césaire di Clermont Ferrand) in un contributo dal titolo Cosa chiede la biblioteca all'architettura? Riflessioni sull'architettura delle biblioteche.
Se gli interventi finali - pur interessanti per approfondire e conoscere realtà bibliotecarie vivaci e che puntano sulla sperimentazione - appaiono tendenzialmente più in linea con la letteratura professionale di ambito biblioteconomico fin qui prodotta, sono invece decisamente più originali e stimolanti per un pubblico di bibliotecari gli interventi di sociologi, educatori e volontari incentrati sulla Casa della Conoscenza.
Mi pare in particolare che questi contributi affrontino direttamente alcuni interrogativi cruciali per le biblioteche pubbliche contemporanee, richiamati nell'intervento a firma del Sindaco e dell'Assessore di Casalecchio di Reno: «fino a che punto una struttura culturale complessa è chiamata a rispondere a bisogni sociali, anche acuti, espressi dai suoi abitanti senza condizionare o compromettere la sua mission? Come possono convivere nello stesso luogo popolazioni diverse, con bisogni culturali e sociali diversi e a volte conflittuali? Come è possibile coniugare, in uno spazio fortemente accessibile, bisogni di accoglienza, di sicurezza e di cultura?» (p. 15).
A fronte di domande di non certo facile risposta come queste, mi pare che l'indagine sociologica condotta dal gruppo di lavoro del prof. Bergamaschi con tecniche miste (osservazioni, interviste, focus group) e le testimonianze di educatori e volontari consentano di portare alla luce una serie di fenomeni in buona parte già noti alle biblioteche e ai bibliotecari, ma spesso da questi affrontati e discussi in maniera retorica e senza poter contare su evidenze scientifiche.
Tra i risultati che personalmente ho trovato più interessanti per la riflessione biblioteconomica sul futuro della biblioteca pubblica può essere opportuno richiamare i seguenti:
- innanzitutto, il manifestarsi nei confronti di biblioteche pubbliche di nuova generazione - caratterizzate, come la Casa della Conoscenza, da una bassa soglia di ingresso (con uno spazio di accesso poco identitario antecedente il desk della biblioteca), da una posizione di centralità urbana e dalla varietà nell'offerta di spazi e servizi - di bisogni sociali legati a fenomeni di marginalità o di disagio sociale più o meno gravi, che non trovano risposta in altri contesti;
- l'emergere di situazioni di tensione e di conflittualità all'interno della biblioteca tra singoli e gruppi, dovute sia alle diverse modalità di fruizione, sia al verificarsi di episodi critici (talvolta penalmente rilevanti);
- la constatazione che la compresenza di persone e gruppi di persone molto diverse, portatrici di bisogni eterogenei, non determina necessariamente interazione, né compenetrazione, in virtù della tendenza umana a raggrupparsi tra simili;
- il configurarsi di queste biblioteche a più ampio spettro come «spazio pubblico indifferenziato, luogo di incontro non etichettante, che non costringe gli utenti a riconoscersi all'interno di un target group specifico» (p. 66), e che è dunque preferito anche in presenza nello stesso territorio di strutture specificamente rivolte e pensate per gruppi e categorie di persone con esigenze omogenee (anziani, giovani, stranieri, senza fissa dimora);
- una tendenza a uno uso strumentale e privatistico dello spazio da parte di categorie molto diverse di utenti;
- l'utilizzo della biblioteca - soprattutto da parte degli utenti stranieri - non solo come luogo di informazione culturale, bensì anche come servizio di informazione di comunità: «sono proprio gli stranieri a riconoscere nella biblioteca un compito di ricerca e sistematizzazione di informazioni utili e fattuali, assegnandole un ruolo che appare meno scontato per gli italiani» (p. 95).
Di fronte a questo vero e proprio cambiamento di pelle che sempre più caratterizza le biblioteche di ultima generazione non basta evidentemente affermare che esse sono le nuove piazze urbane, che sono un presidio della democrazia, che si configurano come un servizio essenziale del welfare sociale (prima ancora che culturale) sul territorio, che sono un naturale spazio di integrazione, perché tutto questo deve trovare risposta in nuove strategie di sviluppo, nuove pratiche di servizio e nuove competenze messe in campo da chi ha la responsabilità politica.
Sono dunque comprensibili le tensioni tra la scelta delle Amministrazioni di non definire in modo troppo stringente le finalità culturali di queste strutture e la preoccupazione dei bibliotecari di snaturarsi e perdere identità, o anche di non essere preparati e non avere le competenze per gestire funzioni più ampie e diversificate: «su un versante di biblioteca è chiaro quello che dobbiamo fare, chi siamo, i dipendenti che sono qua tutto il giorno che fanno i bibliotecari, sull'altro invece non c'è nessuno nella quotidianità» (p. 69)
D'altra parte, appare inevitabile che man mano che la biblioteca pubblica si muove verso l'approdo ideale disegnato dal Manifesto IFLA/Unesco essa vada incontro a quel processo di osmosi con il territorio che finisce per farne «il luogo di approdo di numerose derive urbane e di emersione di una domanda sociale, più o meno latente, presente nel territorio. È l'elevata accessibilità che la definisce e che ne fa un luogo di emersione di domande latenti che, altrimenti, rimarrebbero inespresse» (p. 51).
Ora, si tratta a questo punto di decidere se invertire questa tendenza e riaffermare la propria specificità di ruoli e di competenze, scegliendo una strada fortemente identitaria - che però probabilmente vuol dire non cogliere una tendenza che la società sta chiaramente registrando e manifestando - oppure cominciare a riflettere seriamente su come attrezzarsi per un futuro di ibridazione, a questo punto non tanto tecnologica quanto di funzioni e di competenze, esercitando un'adeguata pressione sulle amministrazioni locali per l'attuazione di strategie politiche adeguate e conseguenti. «La biblioteca, non essendo un'istituzione educativa, o meglio addetta al recupero o alla rieducazione, come poteva far fronte a situazioni che andavano gestite con competenze diverse? [...] Evidenziandosi l'esigenza e la competenza di un dialogo efficace e sinergico tra gli operatori in gioco, comprendendo figure e professionalità in alcuni casi non abituate generalmente a dialogare tra loro (es. operatori della cultura e del sociale)» (p. 104-105).
Se i nuovi volti della biblioteca pubblica si collocano tra cultura e accoglienza è responsabilità delle comunità territoriali - oltre che dei bibliotecari - attrezzarsi per progettare un futuro che certo non potrà ripetere pedissequamente il passato né sul fronte strettamente delle politiche culturali né su quello delle politiche sociali.
Anna Galluzzi
Biblioteca del Senato Giovanni Spadolini
Il libro è l'edizione inglese, pubblicata dalla nota casa editrice Facet, di un volume stampato nello stesso anno negli USA per conto dell'ALA.
Si tratta di una bibliografia annotata realizzata da Michael F. Bemis, bibliotecario americano che è stato, fra le altre cose, anche chair of the Material Reviewing Commmittee of the Reference and Users Service Association. L'autore giustifica brevemente le ragioni della sua opera nell'introduzione, spiegando che questa bibliografia nasce dalla sua necessità di avere a disposizione un agile strumento di consultazione aggiornato. Il repertorio infatti include solo opere con copyright a partire circa dal 2000 fino alla prima parte del 2012; altro criterio, non esplicitato, è ovviamente la lingua e il paese, infatti l'elenco comprende solo testi in lingua inglese, americana a dire il vero, e quasi tutti - con rarissime eccezioni - pubblicati negli Stati Uniti. Se la gran parte delle segnalazioni sono monografie non mancano però alcune schede relative a periodici e a risorse web.
Trattandosi di 1589 fra schede annotate e semplici segnalazioni, possiamo ben capire come il criterio di selezione sia stato in effetti fondamentale; su questo aspetto però l'autore non ci fornisce chiari elementi, limitandosi ad alcune indicazioni (attualità del libro, importanza dell'autore, alto numero di citazioni in altre sedi, la presenza di contenuti aggiuntivi come tabelle, grafici e dati) sul perché ha corredato di un breve commento alcune schede mentre per altre ha solo fornito i dati essenziali. Si deve tener presente, dunque, nella consultazione dell'opera, che essa non è certamente esaustiva; dopotutto, un indizio lo si trova anche nel titolo, dove con la parola key guide si vuole indicare probabilmente il carattere selettivo della raccolta.
Il repertorio è diviso in 39 sezioni, in ordine alfabetico, ognuna riguardante un argomento o un'attività legati al mondo delle biblioteche (Administration and management, Cataloguing and classification, Ethics, Humor, ...). In alcune sezioni compaiono anche brevi riquadri con segnalazioni bibliografiche di libri che possono avere un interesse storico nell'ambito dell'argomento trattato.
Corredano poi il testo due appendici: una è dedicata alle varie sezioni, gruppi e capitoli dell'ALA, mentre l'altra riporta un elenco, anche questo non completo, delle associazioni professionali di molti altri stati nel mondo.
In sintesi, il testo, mantenendo la necessaria cautela riguardo alla esaustività e al grado di aggiornamento, può costituire per il bibliotecario e lettore italiano un semplice e agile strumento per un primo approccio alla realtà bibliotecaria angloamericana, per farsi un'idea del tipo di pubblicazioni prodotte e per orientarsi nella letteratura professionale di oltre oceano.
Sara Mori
Istituto Universitario Europeo
Seth van Hooland e Ruben Verborgh sono gli autori di questo libro indirizzato ad introdurre i Linked Open Data (LOD) in biblioteche, archivi e musei, pubblicato contemporaneamente dalle due Associazioni professionali ALA (US) e CILIP (UK),
Gli autori hanno un background informatico, sono entrambi molto giovani, e hanno un'esperienza di ricerca nelle istituzioni culturali. Seth van Hooland è professore associato presso l'Université libre de Bruxelles (ULB), dove dirige il Master in Scienze dell'Informazione. Ruben Verborgh è ricercatore in semantica ipermediale all'Università di Gand - iMinds, in Belgio, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in informatica nel 2014.
Il volume è promosso da un blog (http://freeyourmetadata.org) che fornisce accesso a numerosi strumenti e set di dati per sperimentare e lavorare con i dati collegati. Gli autori hanno anche realizzato un video (https://www.youtube.com/watch?x-yt-ts=1421914688&x-yt-cl=84503534&v=MnM3tHWAsSA) che scherzosamente descrive l'impatto che i LOD hanno o potranno avere sulle biblioteche. Il libro, che si presenta come un libro di testo, si concentra sull'aspetto tecnologico dei LOD e ha un taglio didattico: introduce i lettori a una varietà di strumenti tecnici e tecnologie utili per la creazione di LOD. Il contenuto è strutturato in cinque capitoli che coprono le attività che devono essere intraprese al fine di pubblicare semanticamente i metadati nel Web: 1)modellazione, 2)pulizia, 3)conciliazione, 4)arricchimento e 5)pubblicazione. Ogni capitolo si conclude con un caso di studio che descrive i passi concreti compiuti da un'istituzione, presa ad esempio per spiegare al lettore la soluzione specifica descritta in quel capitolo.
Cosa possono insegnare degli informatici ai bibliotecari? Il messaggio del libro è molto importante, tutti i bibliotecari dovrebbero catturare questa opportunità. Il messaggio dice che c'è un valore nascosto nelle biblioteche: questo è rappresentato dai dati.
Potrebbe sembrare un paradosso! I bibliotecari hanno sempre dato molta importanza ai dati, a cominciare da quelli del catalogo, incluso quelli bibliografici delle banche dati e bibliografie. Eppure, l'approccio ai dati che ora viene suggerito dagli informatici è completamente diverso dall'approccio tradizionale ai dati usato dai bibliotecari. Ora prima di tutto occorre uscire dall'ottica istituzionale - chiamata ottica dei sylos chiusi - adottando il modello standard del Web per l'interoperabilità di dati provenienti da diverse istituzioni. L'interoperabilità tecnica implica che si deve essere in grado di scambiarsi i dati - almeno tra istituzioni culturali, ma non solo - e di ri-usarli sia all'interno che all'esterno dell'istituzione.
Occorre anche attribuire valore al dato e non al singolo oggetto che il dato rappresenta (strings and not things). L'accesso di cui ora ha bisogno l'utente è di più di quello reso possibile dal singolo OPAC. La somma totale dei dati nel Web (chiamato Big Data) è di più della somma delle singole parti componenti, provenienti da cataloghi e banche dati delle istituzioni culturali. Questo è un concetto che è nuovo per i bibliotecari, e che rappresenta un grande cambiamento di mentalità rispetto all'approccio tradizionale. Gli spazi virtuali degli utenti finali per l'accesso ai dati dovranno essere dotati di applicazioni per la presentazione visiva e l'interazione con i dati (ad esempio l'annotazione) creando ambienti partecipativi in cui siano facilitati approcci come crowdsourcing o il gamification anche riutilizzando dati della ricerca scientifica.
In altre parole, i dati hanno valore se sono accessibili nel Web. I bibliotecari hanno ora l'opportunità di rendere visibile questo valore, come mai era stato possibile prima. Tuttavia per ottenere questo risultato, c'è una serie di attività che non sono semplici da realizzare. Questa complessità è quella che viene vista come un ostacolo per applicare i LOD nelle biblioteche, a cominciare dalle risorse umane e organizzative che richiede. Il volume non evidenzia le difficoltà organizzative e strutturali che le biblioteche devono superare per ottenere la pubblicazione dei LOD. Per inserirsi nel flusso di lavoro delle istituzioni culturali, i LOD richiedono alle istituzioni culturali delle strategie che avviano nuove partnership e forme di lavoro collaborativo in team multidisciplinari, con linguaggi diversi da armonizzare. Come si può collaborare tra istituzioni diverse? Come si comparano contenuti simile provenienti da istituzioni diverse? Come si incorporano i LOD nel flusso di lavoro attuale? Come si mettono a disposizione degli utenti i dati che sono interni all'istituzione? Questo aspetto il lettore non lo trova in questo libro.
Il libro invece descrive l'aspetto tecnologico, cioè la parte facile dell'applicazione dei LOD. Sicuramente è una lettura che consigliamo ai professionisti e agli studenti di biblioteconomia, per appropriarsi dei principi teorici e riconoscere gli strumenti necessari per creare i LOD. Un vantaggio del libro è che è molto pragmatico e semplice e accompagna il lettore a capire gli standard e le regole tecniche di cui deve appropriarsi per utilizzare le tecnologie Web. Il bello (o il brutto a seconda delle interpretazioni individuali) di questi standard Web aperti rilevanti per le biblioteche è che ce ne sono molti, come anche i profili applicativi e saper fare la scelta giusta dipende dallo scopo e gli obiettivi di servizio che ci si pone.
Gli standard sono nuovi ma i problemi sono gli stessi di sempre. I problemi che questi standard risolvono in modo innovativo sono quelli ben noti ai bibliotecari come i problemi di de-duplicazione e di aggiornamento e sincronizzazione di dati provenienti da fonti diverse. Come anche i bibliotecari già conoscono il problema della conservazione e della sostenibilità dei contenuti digitali, insieme al sistema delle licenze: questi problemi sono ora estesi ai dati aperti.
Quello che bibliotecari e informatici dovranno fare insieme sarà di concentrarsi sul bisogno degli utenti di accedere ai dati e alle informazioni che ora esistono chiusi e impacchettati secondo i diversi stili istituzionali. Quindi i bibliotecari dovranno creare dati una volta sola, ma poi dovranno renderli disponibili in maniera aperta nel Web semantico, per essere riutilizzati e manipolati per finalità diverse da quelle perseguite al momento della creazione. L'apertura dei dati diviene obbligatoria, almeno nel settore delle istituzioni culturali pubbliche.
Anna Maria Tammaro
Chair IFLA Section Library Theory
Games in Libraries può considerarsi il risultato del Game Making Interest Group all'interno della Library and Information Technology Association di American Library Association presieduto da Breanne A. Kirsch, curatrice del volume e bibliotecaria dei servizi al pubblico nella University of South Carolina Upstate di Spartanburg. Per quanto il volume voglia offrire, da presentazione, introduzione e per alcuni dei saggi presenti, una prospettiva generalista, in realtà viene data per lo più per assodata l'attività di gaming all'interno delle biblioteche pubbliche e viene piuttosto approfondita la possibilità di utilizzare tale strumento all'interno delle biblioteche universitarie, soprattutto utilizzandolo per i programmi di information literacy.
Non mancano diversi saggi che riportano informazioni generali e di contesto sul gaming all'interno di istituzioni educative e bibliotecarie (anche con ridondanze tra un intervento e l'altro), per esempio Changing the Game: Using Badges to Assess Information Literacy Instruction di Andrew Battista (bibliotecario addetto al reference e all'information literacy presso la University of Montevallo in Alabama) propone di sostituire il sistema di valutazione graduato sulla scala a lettere (da A a F) sul sistema a "badge", cioè quelli che all'interno dei sistemi Playstation e Xbox vengono tradotti come "trofei". I trofei sono riconoscimenti, solitamente sotto forma di medaglia o distintivo che i giocatori guadagnano raggiungendo determinati obiettivi all'interno di un gioco. I trofei ovviamente hanno livelli variabili di difficoltà e in svariate occasioni, per ottenerne uno di un livello elevato è necessario (di fatto o esplicitamente) averne ottenuti altri di livello basso o intermedio. A differenza dei voti, i trofei/badge sarebbero una validazione efficace del livello di preparazione raggiunto.
Ma gli interventi più interessanti sono quelli che descrivono in dettaglio esperienze di gaming in biblioteca e di gamification di information literacy. Ad esempio In the Library with the Candlestick: Adapting Clue for the Special Collection Library dove viene raccontato come, per promuovere le collezioni di una biblioteca speciale sottoutilizzata all'interno di un campus, si sia organizzata una sorta di caccia al tesoro adattata dal gioco da tavolo Clue con i bibliotecari come personaggi e sale, arredi e materiali della biblioteca come indizi e puzzle da risolvere. O Searching for Blackbeard's Treasure: Using an Interactive Information Literacy Game to Reach Transfer Student, dove il personale della University of South Carolina Upstate, al fine di fornire un corso di information literacy anche agli studenti che essendosi trasferiti da altre università non ne avevano seguito i corsi tipicamente preparati per studenti all'inizio del percorso universitario, viene ideato un videogioco online (che si può direttamente vedere e provare qui: http://librarygame.uscupstate.edu/) che permette anche agli studenti che non abbiano seguito i corsi organizzati dalla biblioteca di ottenere informazioni fondamentali per il suo utilizzo per i fini formativi richiesti dalla didattica.
Per quanto riguarda l'utilizzo di gioco e videogioco nelle biblioteche pubbliche, pur rimandando a testi come quelli di Eli Neiburger o di Jane McGonigal, non di meno vengono proposte bibliografie e ludo grafie ragionate per suggerire intriganti ibridazioni mediali e in particolare lo scrittore fantasy K. G. McAbee, nel suo intervento, propone un gioco da realizzare in biblioteca utilizzando meccanismi ripresi da noti romanzi e adattati per coinvolgere in un'attività ludica gli appassionati degli stessi. O quello di Jason J. Battles (professore di library technology planning presso la biblioteche della University of Alabama) che analizza gli Alternate Reality Game cioè giochi in cui l'ambiente fisico reale viene interpretato in modo ludico costruendo attorno ad esso un plot immaginario in cui agiscono i giocatori.
In conclusione un testo consigliato soprattutto a chi si occupa di organizzare information literacy in ambienti di educazione superiore, che voglia trovare sistemi di maggiore appeal rispetto alla formazione frontale e che voglia valutare anche nelle descrizioni di chi ha praticamente sperimentato le soluzioni ludiche e video ludiche che descrive, senza dimenticare i caveat per il lavoro e la pianificazione necessari.
Francesco Mazzetta
Biblioteca comunale, Fiorenzuola d'Arda
Il volume di Luciana Cumino, responsabile dei servizi multimediali della Biblioteca civica di Cologno Monzese, fa parte della collana «Library toolbox» che si propone di pubblicare agili volumetti (anche in e-book) sui principali strumenti del mestiere bibliotecario con una particolare attenzione alle tematiche emergenti. L'argomento affrontato e la struttura del libro ben si inseriscono in questa premessa.
Il tema degli e-book in biblioteca è uno dei più attuali negli ultimi anni nel nostro settore, ed è anche uno di quelli forse più ostici per la nostra comunità professionale, composta per una certa quota da colleghi che non hanno dimestichezza con le nuove tecnologie. Ma senza parlare di formati disponibili (ePub, PDF, mobi), controllo dei diritti d'autore (DRM Adobe, social/watermarking), software per la gestione e la lettura degli e-book (Calibre, Adobe digital editions, BlueFire, Aldiko), licenze d'uso, non si può affrontare questo tema. L'aspetto tecnologico va conosciuto e capito da parte del bibliotecario, pena l'impossibilità di organizzare e gestire il servizio di prestito degli e-book in biblioteca. La Cumino fa un'utile e sintetica carrellata di tutti questi aspetti, arrivando a sottolineare il nodo centrale, ovvero la differenza tra libro cartaceo e digitale, tra possesso e accesso, tra bene e servizio. Questo è il vero concetto sul quale si impernia il cambio di paradigma del prestito di e-book rispetto al prestito del libro cartaceo, ed è anche quello che sfugge maggiormente sia agli utenti sia ai professionisti non troppo addentro alla questione. È anche il motivo per cui gli e-book avrebbero un'aliquota IVA più alta (22%) del libro cartaceo, nonostante la recente decisione del Governo italiano di portarla al 4% (cosa che, vista la condanna di Francia e Lussemburgo da parte della Corte europea del 5 marzo scorso, potrebbe scaturire in una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese).
Interessante l'illustrazione dei due progetti sviluppati a Cologno, tra i primi in Italia a indagare gli aspetti organizzativi del servizio di e-book in biblioteca, ovvero Books eBooks (2009, prestito di e-book reader con testi pre-caricati) e Reading? Augmented! (2013, che si è concentrato sulla lettura aumentata e sociale).
Nel capitolo sul digital lending vengono illustrate le principali caratteristiche delle due piattaforme diffuse nel nostro Paese, ovvero MLOL e ReteINDACO, con contenuti, funzionalità principali, business models proposti (per MLOL sono indicati anche alcuni costi), punti di forza e criticità.
Il volume non manca di analizzare luci e ombre del prestito digitale e degli e-book reader. Prima di tutto bisogna partire da un dato: i lettori che utilizzano i servizi digitali delle biblioteche sono pari al 4-5% dell'utenza complessiva, che a livello nazionale è pari a circa l'11% (o 16, a seconda della rilevazione) dei lettori, che come sappiamo nel 2014 sono scesi al 41,4% della popolazione italiana (notiamo, per inciso, che sarebbe stato utile citare le fonti originali dei dati perché contengono interessanti spunti ed elementi di riflessione utili). Le politiche editoriali, inoltre, vanificano i vantaggi del digitale impedendo prestiti simultanei, limitando la disponibilità di titoli in e-book e prevendendo costi più alti del cartaceo. Da notare, infine, il rischio che si corre nel caso in cui l'accordo commerciale piattaforma-editore venga a mancare, con conseguente sparizione del contenuto informativo per la biblioteca e gli utenti (rischio che, aggiungiamo noi, si pone anche se la biblioteca decidesse di cambiare fornitore, perdendo l'accesso ai contenuti e dovendo ripartire da capo quanto a iscrizione degli utenti su una nuova piattaforma, istruzione all'uso della stessa, etc.).
Il volume si rivolge principalmente alle biblioteche pubbliche, visto che l'autrice non affronta altre piattaforme disponibili rivolte più al mondo accademico e di ricerca, e le proposte dei grandi gruppi editoriali scientifici.
Giovanna Frigimelica
Biblioteca del Distretto biomedico scientifico, Università degli studi di Cagliari
Osservando le attività che i bibliotecari svolgono quotidianamente, Phil Bradley, specialista in social media e informatica, dà vita ad un libro essenziale per tutti quei bibliotecari che desiderano fare i conti con una realtà esterna, dentro e fuori dal Web, che si è evoluta e che continua ad evolversi molto velocemente.
Complessità vs immediatezza, dipendenza dalle strumentazioni hardware vs cloud computing, isolamento vs community, i social media hanno cambiato il modo di descrivere bisogni e desideri degli utenti della rete.
Se si desidera comunicare in maniera efficiente, se si desidera indirizzare gli utenti verso l'acquisizione di nuove abilità o semplicemente promuovere un servizio della biblioteca, non si può infatti tralasciare la riflessione intorno ai social media. Sapersi destreggiare tra tool e applicazioni, capire che misurazione approntare per valutare il proprio operato, saper scegliere quale piattaforma adottare in caso di corsi di formazione a distanza: la biblioteca deve essere consapevole del suo stare sul web. Social media non significa infatti solo facebook o twitter quanto piuttosto web-mobile, e-mail marketing, e-learning.
Partendo dalla definizione di social media come di «un gruppo di applicazioni basate su Internet che costruiscono sulle fondamenta ideologiche e tecnologiche del Web 2.0, e che permettono la creazione e lo scambio di contenuti generati dagli utenti», il volume conduce il lettore a riflettere su: come utilizzare i social media per comunicare, come insegnare agli altri ad utilizzarli e come sfruttarli al massimo per promuovere i servizi bibliotecari. Partendo da una panoramica delle diverse varietà e caratteristiche dei social, l'autore offre, attraverso capitoli tematici, un'analisi dettagliata dei motori di ricerca e degli strumenti di bookmarking, delle strategie di marketing e di promozione, dei siti di comunicazione e delle piattaforme di insegnamento e di formazione a distanza, di social media policy. Continuando sulla strada tracciata dal suo precedente e fortunato volume How to use web 2.0 in your library, Bradley invita i professionisti dell'informazione a concentrarsi sulle attività che essi svolgono quotidianamente, prima di passare ad analizzare e spiegare come gli strumenti on-line possano essere loro d'aiuto. Ogni capitolo si chiude con una lunga lista di siti web per approfondire le tematiche trattate.
Tra le cose interessanti da segnalare l'appendice finale, un elenco di disastri nell'uso dei social media, dimostrazione che, se è facile e agevole trovare buone pratiche da osservare e fare proprie per migliorare l'attività quotidiana di comunicazione, lo è sicuramente di più analizzare gli usi sbagliati, esplorando anche ciò che è al di fuori del mondo delle biblioteche. La migliore opzione per riuscire ad essere vincenti nei social media è infatti quella di puntare su una formazione costante dello staff e sulla consapevolezza che la strategia comunicativa digitale non è accessoria rispetto agli altri servizi della biblioteca.
Cristina Bambini
Biblioteca San Giorgio, Pistoia
Che cosa ne è dell'attività culturale oggi, intesa nel suo significato più ampio di apprendimento, produzione e fruizione delle conoscenze? A questo interrogativo, che riguarda in prima istanza il lavoro intellettuale, ma che in realtà, data l'importanza che la conoscenza ha acquisito nella nostra società, interessa tutto e tutti, dà alcune risposte di fondo il libro di Raponi. Di fondo, quindi non per gli addetti ai lavori, ma per tutti, giacché lo scambio di informazioni è la modalità per eccellenza del nostro relazionarci oggi. Diviso in due parti, La cultura digitale e Nuovi spazi per la ricerca, il lavoro di Raponi, rielaborazione della sua tesi di Licenza presso la Facoltà di Storia e Beni culturali della Pontificia Università Gregoriana (relatrice la prof.ssa Maria Silvia Boari), si inserisce in una ormai amplissima letteratura che tiene insieme i temi dell'informatica, dell'informatica umanistica, della comunicazione, della storia del libro, della lettura e della scrittura, della conoscenza (e dell'ignoranza: si pensi al bel volumetto di Giovanni Solimine, Senza sapere: il costo dell'ignoranza in Italia, Roma-Bari, 2014) e quindi della biblioteconomia, della bibliografia, della ricerca e anche della scuola, dell'apprendimento, della didattica ecc., con una sua specifica cifra che non si sbaglierà a definire critica, per l'attenzione rivolta non solo alla descrizione dei mutamenti che caratterizzano operazioni fondamentali come quelle del leggere, studiare e scrivere ai tempi del digitale, ma anche e soprattutto alla valutazione di quei mutamenti, per guidare il lettore ad una presa di coscienza circa le proprie operazioni culturali.
Gli studi sulla comunicazione e sul nesso tra medium e messaggio a partire da McLuhan permettono di evidenziare «come l'attuale tecnologia, internet in primis, largamente utilizzata per leggere e scrivere, sia inserita naturaliter nell'onda lunga di più antichi processi storici e culturali» (p. 5), ciò non significa misconoscere che quella digitale sia una vera e propria rivoluzione tanto rispetto alla galassia Guttemberg, quanto rispetto a quella che lo stesso McLuhan chiamava la nuova galassia elettrica, una rivoluzione in cui gli old media sono stati inglobati e unificati dai cosiddetti new media digitali «in un vero e proprio meta medium, capace di condensare in sé le funzioni di tutti gli altri media» (p. 9). Si è verificata, si sta verificando una convergenza al digitale, con ripercussioni anche nella vita, in cui si assiste ad un movimento dal fisico al virtuale, ad un superamento del biologico in favore del culturale. Cambia anche il rapporto con gli strumenti: «non più un uomo che utilizza gli strumenti, ma un uomo che sempre più entra nel medium, rendendo così la contaminazione tra corpo e tecnologia, tra corpo e strumenti non più un'ipotesi fantascientifica» (p. 13-14). È un uomo integrato, in altre parole, quello che sta vivendo l'attuale nuova fase digitale, in cui si assiste «all'evolversi della rete in un social network, vale a dire in una piattaforma relazionale, che entra a far parte della vita ordinaria degli individui» (p. 14). Vista in questa prospettiva la rete non va verso una temuta spersonalizzazione, al contrario essa genera nuovi modi interpersonali di rapportarsi, le cui potenzialità spesso non sono pienamente attuate e di cui i blog «nella loro molteplice dimensione diaristica, giornalistica e finanche religiosa, wiki, podcast, ambienti simulati di vita come Second life, sono gli spazi privilegiati dove tutto questo può essere realizzato» (p.15). Se relazione e partecipazione sono due modi dello stare in rete oggi, non significa che non ci siano rischi; è necessaria una demitizzazione delle utopie nate in ambito digitale, a cominciare da quelle che sottendono la famosa enciclopedia Wikipedia, la quale, basata su un rovesciamento delle idee che stanno alla base dell'enciclopedia tradizionale, e cioè su un progetto totalmente decentrato e democratico/collaborativo, finisce col negare l'idea stessa di enciclopedia, sottraendole autorevolezza e affidabilità e l'intelligenza collettiva che sembra prendere corpo finisce sempre più col rassomigliare ad una torre di Babele. Occorre in altre parole correre ai ripari, non nascondendosi «i rischi, tipici del web 2.0, di un'informazione senza filtri, con scarsa attendibilità delle fonti, anonimato degli autori e una sempre minore contestualizzazione dei documenti, facilitata dall'operazione del copia e incolla» (p. 18). Ma i rischi non sono solo sul versante del contenuto (e del resto non manca chi ritiene che una matura cultura cooperativa e il numero di utenti connessi abbia praticamente ridotto al minimo questo rischio, cfr. P. Marocchi, Le frontiere del web in XXI secolo, Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2008, vol. IV, p. 769-770), ma soprattutto sul piano stesso dell'accesso e dell'utilizzo con il fenomeno del digital divide. Democratico al suo interno, internet crea esclusioni per chi ne rimane o ne è rimasto fuori. Quindi, verrebbe da dire, la maggior parte del mondo: «l'idea che internet sia di per sé stesso democratico, in quanto accessibile a tutti, resta ancora un mito» (p. 20). È questo un discorso in cui l'analisi può offrire utili strumenti, ma sarà compito degli organismi politici a livello nazionale e internazionale intervenire per evitare che si creino ulteriori diseguaglianze.
Se non c'è un settore dell'operare umano a non essere toccato da internet ciò vale in particolar modo per il mondo della conoscenza (e del resto il mondo della conoscenza sta permeando ogni settore dell'agire umano), sia nelle sue forme più diffuse, quelle del leggere e dello scrivere, sia in quelle più sofisticate della ricerca. Se la storia della lettura e della scrittura, del leggere e dello scrivere hanno preceduto l'avvento di internet, l'avvento di internet certamente ne ha ridestato l'interesse, anche in ambiti non specialistici e, soprattutto, ne sta segnando un capitolo nuovo. L'autore dedica trentacinque pagine del suo libro ad esaminare il leggere e lo scrivere digitale. A fronte del fatto che esistono sia continuità sia differenze (profondissime) in questo ambito tra analogico e digitale, ormai del resto sufficientemente indagate (per tutti si può ricordare il bel libro di G. Roncaglia, La quarta rivoluzione del libro, Roma-Bari 2010), l'autore, colta la differenza fondamentale nella diversa dimensione temporale, lineare quella del manoscritto e del libro tipografico, reticolare quella digitale, e scartata l'ipotesi oziosa della contrapposizione (p. 35), insiste sulla necessità di ri-mediare: «Si tratta quindi di ri-mediare la temporalità della scrittura, della lettura lineare e della formazione riflessiva del testo gutenberghiano, includendola e riequilibrandola nella più estesa realtà temporale dei multimedia» (p. 29; cfr. p. 36), che finisce con l'essere, mi pare, un vero e proprio potenziamento della lettura e scrittura tradizionale senza nulla togliere a ciò che le è proprio e cioè «all'attitudine all'approfondimento, al ragionamento e alla ricerca, irrinunciabili requisiti sempre validi per l'autonomia di pensiero, l'onestà intellettuale e la capacità di analisi» (p. 30). L'autore non menziona a questo proposito le applicazioni informatiche ai testi, sulle linee tracciate dal padre gesuita Roberto Busa, pioniere dell'informatica umanistica, la cui ermeneutica informatica rappresenta un'ulteriore prova (e di grande momento) di ciò che può rappresentare un ri-mediazione dei testi.
Se la screttura definisce, a partire da Derrick de Kerckhove, un'«unione di lettura e scrittura, di cui fanno ampio uso soprattutto i nativi digitali, che si rivelano screttori in senso pieno e non più semplici lettori» (p. 31), l'ipertesto, al di là del suo essere un testo caratterizzato, potremmo dire, da una trama particolare e da un intreccio non lineare, «appare il luogo di incontro tra argomentazione ed intertestualità» nel segno di un'interazione, partecipazione e confronto collettivo in cui all'assoluto privilegio di essere soli davanti allo schermo del computer, corrisponde il poter inviare mail, realizzare il proprio blog, connettersi con i social-network: «lungi dal configurare ipso facto una condizione di isolamento e solipsismo, questa coincidenza tra sé e il mondo è potenzialmente creatrice di ampi spazi 'aperti', fatti di profonda commistione tra discorso privato e pubblico» (p. 55).
La ricerca, il lavoro intellettuale, non v'è dubbio, traggono alimento dalla rete. Ciò è stato anche in passato, è proprio attorno alla comunicazione intellettuale, lo ricordava uno studioso come Paul Dibon, che prende corpo nel XVII secolo la République des Lettres: una fitta rete di scambi epistolari, di incontri personali, di relazioni tra istituzioni come le accademie diede vita a quella che gli storici hanno chiamato rivoluzione scientifica, nella quale certamente ebbe un ruolo di prim'ordine anche la diffusione dei testi grazie alla stampa. Oggi assistiamo a fenomeni senz'altro inediti e a volte di segno opposto, se è vero che la stessa idea di repubblica della scienza è messa in crisi dalla pretesa (non sempre del tutto ingiustificata, e su questo è utile Y. Castelfranchi, N. Pitrelli, Come si comunica la scienza, Roma-Bari 2007) di chi non fa parte del gruppo dei pari grado di intervenire nelle scelte (soprattutto quando entrano in gioco aspetti come la salute, il denaro pubblico o la morale) di progetti scientifici di interesse generale. Ma è soprattutto nella direzione dell'Open Acces (OA) che l'autore individua nuove opportunità per la ricerca. L'autore traccia una breve ma assai utile storia e geografia degli OA (p. 71-84), sottolineando come il movimento dell'OA ponendo al centro l'accessibilità «si fa promotore di un nuovo modello di comunicazione scientifica e si presenta inoltre nettamente contrassegnato da specifiche istanze etiche ed economiche, aspirando al totale coinvolgimento della comunità accademica nelle nuove ricerche finanziate con denaro pubblico, rese disponibili senza alcun costo aggiuntivo» (p. 74). Inutile dire che la ricerca umanistica è in ritardo su quella scientifica nell'attuare i principi e le pratiche dell'OA (p. 82), non si dovrà tuttavia perdere, a parere di chi scrive, quelle che sono le sue peculiarità, le sue tradizioni di studio, cosa che invece sta accadendo anche per la trasformazione dell'università e per il disinteresse della società per tutti quegli studi, non solo umanistici, che non offrano riscontri pratici o di interesse pubblico. Il testo si conclude con un capitolo (p. 85-103), che rappresenta un'ottima, ancorché sintetica, messa a punto delle problematiche che interessano dal suo primo sorgere la biblioteca digitale.
Franco A. Meschini
Università del Salento
Il volume si compone di due parti: una prima teorica nella quale viene presentata l'importanza di avere un piano strategico che permetta un rapido ritorno alla normalità da attuare in caso di emergenza; e una seconda parte in cui sono presentati due esempi di Managing Techmageddon. Il target al quale si rivolge è quello dei bibliotecari accademici.
Punto di partenza sono i quattro punti individuati da Miriam Kahn: rispondere alla notifica (di errore o disastro); identificare il problema; iniziare il salvataggio e avviare il ripristino, in aperto contrasto con quanto tradizionalmente attuato da altri piani di difesa. Il volume vuole guidare attraverso le fasi di costruzione di un piano per ogni disastro tecnologico, individuando quattro suggerimenti: 1. provvedere ad un inventario tecnologico che preveda ogni sorta di rischio; 2. descrivere le procedure per ogni evenienza; 3. identificare un percorso di addestramento per attuare le procedure; 4. programmare update dei sistemi compresi nel piano.
In appendice è possibile trovare esempio di schema da compilare ed un'esercitazione, mentre una comoda bibliografia è fornita in calce ad ogni capitolo.
Punto di fondamentale importanza è la valutazione del rischio che potrebbe incombere sulle raccolte digitali; altro punto focale è l'identificazione dei permessi di accesso e gestione delle collezioni digitali. Necessario è conoscere lo stato di aggiornamento dei sistemi informatici che devono servire al backup.
Fra i documenti suggeriti viene indicato il dPlan, nella sua forma online in modo da poter consultarne le parti, analizzandone sia i vantaggi che gli svantaggi.
Fra le azioni da svolgere nella creazione di un piano di emergenza è la definizione di un team di lavoro che sia ugualmente preparato in tutti gli ambiti d'azione previsti dal piano di emergenza: siano essi disastri legati ai media, alle comunicazioni, etc.
Il capitolo cinque, conclusione della prima parte, è incentrato sull'apporto dato dalle nuove tecnologie di archiviazione come cloud, utili per mitigare le catastrofi tecnologiche.
Questa semplice guida si può rivelare molto utile come base per incrementare le risorse della biblioteca ed evitare (o almeno limitare) i danni dovuti a problemi di natura tecnologica, applicando alcuni semplici accorgimenti.
Rita Bertani
Bologna
Un ampio commento del trascrittore e curatore Fabio Cusimano guida lo studioso alla lettura di un manualetto inedito del XVIII secolo riportato in trascrizione e in un'appendice fotografica, purtroppo non facilmente leggibile per la scarsa qualità della stampa. Il manoscritto, vergato da anonimo rilegatore, è stato ritrovato tra le carte di un manoscritto composito fattizio all'interno dell'Archivio dell'Abbazia di San Martino delle Scale, rinomata sede benedettina nei pressi di Palermo.
Il commento del curatore è volto alla descrizione dell'opera e dei suoi contenuti spingendosi, nel far questo, a descrivere un'evoluzione dell'arte della legatoria nel corso del XVIII secolo («da Jaugeon a Dudin, attraverso Chambers e Diderot», come scrive il curatore nel titolo di un paragrafo); si sofferma poi sulla storia e sulla tradizione libraria del Monastero di San Martino delle Scale, fornendo notizie certamente interessanti e utili, già emerse nel corso di ricerche di studiosi locali tutti dettagliatamente citati nell'apparato di note.
Il manoscritto, consistente in sole 27 carte, vergate da mano unica in scrittura corsiva, è, senza dubbio, un lavoro predisposto da un addetto ai lavori come guida e memento per sé stesso forse e per altri colleghi di lavoro. In apertura un indice, seguito da una serie di capitoli nei quali si affronta la descrizione di tre tipologie di legatura, quella all'inglese, quella all'olandese e quella alla francese; seguono poi alcune indicazioni per la marmorizzazione della coperta, per la predisposizione di tasselli sul dorso, per la decorazione con foglia d'oro. Ancora l'anonimo autore prosegue con una breve descrizione sulla cucitura dei libri, la tintura delle pelli e dei tagli del libro, la manifattura della carta marmorizzata.
Un appunto, come invito all'autore. Le note sono eccessivamente pesanti e spesso ripetitive e ciò toglie piacere alla lettura di un documento certamente pregevole per quanti interessati alla storia della legatura e all'archeologia del libro. Inoltre mi permetto in questa sede di far notare un errore di lettura e trascrizione, laddove si trascrive colla di aneto, al posto, io credo, della diffusa e ampiamente utilizzata colla di amido indicata in alternativa alla più frequentemente nominata colla di pasta e ben distinta dalla colla forte, anch'essa spesso nominata nel manoscritto per usi, come si vedrà dalla lettura del testo, distinti da quelli della colla di pasta.
Simona Inserra
Dipartimento di Scienze Umanistiche, Università degli studi di Catania
Un gioiello. È la parola che esprime concisamente il risultato raggiunto da Manuela Grillo con Leggi e bandi di antico regime, opera pubblicata nel 2014 da Editoriale Documenta in quanto vincitrice del Premio Bibliographica 2013, bandito annualmente dalla Biblioteca di Sardegna, un concorso nazionale rivolto alla pubblicazione delle migliori tesi di laurea, specializzazione, dottorato e master di area archivistica, bibliografica e biblioteconomica d'interesse nazionale o locale. L'opera prende avvio dalla tesi di dottorato in Scienze bibliografiche e archivistiche discussa nel giugno del 2008 all'Università di Udine; analizza la letteratura sul trattamento catalografico del materiale giuridico di antico regime; descrive una parte dell'importante raccolta di leggi e bandi conservata alla Biblioteca nazionale centrale di Roma utilizzando lo standard ISBD con le varianti introdotte per l'Italia dall'ICCU per i bandi, manifesti e fogli volanti; indicizza semanticamente questo materiale antico. L'autrice crea così un link originale tra le esperienze maturate e le conoscenze acquisite negli anni del dottorato di ricerca e del lavoro alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze per la redazione del Nuovo Soggettario. Un cursus ricco e suggestivo, descritto dettagliatamente da Piero Innocenti nel saggio introduttivo al volume (liberamente disponibile all'indirizzo: http://www.academia.edu/8278946/Introduzione_a_M_Grillo_Leggi_e_Bandi_di_antico_regime_-_2014). L'autrice, infatti, mette a frutto le competenze semantiche acquisite in BNCF su un materiale improbabile, quale le leggi e i bandi, tipo di risorsa che, diversamente dal libro, non è destinato alla conservazione in quanto considerata effimera per la sua stessa durata di vita e non era mai stata sottoposta in precedenza a indicizzazione. Grillo dimostra che questa documentazione è, invece, ben descrivibile (e ciò non è una novità; ricorda gli studi precedenti) e indicizzabile (e ciò è una novità). Quel materiale affascinante, controverso e multiforme comunemente definito stampa effimera viene, pertanto, studiato, definito e trattato a tutto tondo, fino all'originale indicizzazione semantica basata su logiche e strumenti thesaurali, alla luce delle possibilità offerte dal Nuovo Soggettario. L'autrice supera in primis la delicata quanto poco difendibile descrizione diversificata del materiale redatta in base al luogo di conservazione (archivio, biblioteca o museo) per focalizzare l'interesse sull'opera in sé, indipendentemente dal luogo di conservazione, secondo ciò che stabilisce (o, più esattamente, prende atto) la metodologia catalografica contemporanea, per esempio, RDA, Resource Desription and Access. Ogni risorsa documentaria è se stessa, al di là della sua conservazione in archivio o in biblioteca; e un utente è interessato a scoprire le risorse documentarie che gli interessano, al di là che siano storicamente o casualmente conservate in un istituto o in un altro. Grillo considera le leggi e i bandi come pubblicazione a stampa, piuttosto che come prodotto archivistico-documentario, raccogliendo l'eminente auspicio di Armando Petrucci che, nell'introduzione a Bononia manifesta: catalogo dei bandi, editti, costituzioni e provvedimenti diversi stampati nel XVI secolo per Bologna e il suo territorio, a cura di Zita Zanardi (Olschki, 1996), ribadisce la necessità di considerare una dimensione bibliografica, e non solo archivistica, nel trattamento e nella conservazione degli effimera. Grillo ha accolto la sfida e ha trattato con criteri bibliografici quel che per tradizione è stato trattato con criteri archivistici. Non si è trattato di un azzardo bensì di consapevole scelta logica nel far prevalere la tipologia di risorsa sulla tipologia del contenitore (archivio, biblioteca o museo). Da ciò il confronto con gli strumenti preesistenti e la testardaggine di voler superare steccati oramai anacronistici e concettualmente datati.
La ricerca si è mossa lungo tre linee direttive, che coincidono con la struttura della pubblicazione:
- una prima sezione dedicata all'analisi tipologica del materiale e alla sua definizione, tramite la ricostruzione di un profilo storico della stampa effimera e l'analisi degli aspetti formali dei bandi a stampa; l'autrice parla della catalogazione del materiale minore e delle esperienze di catalogazione dei bandi in Italia (di cui ha operato un primo censimento delle iniziative che hanno avuto esito di stampa), fino ad approdare alla prospettiva della digitalizzazione;
- una seconda sezione incentrata sulla collezione di bandi, manifesti e fogli volanti conservata presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma; il catalogo analizza i primi otto volumi della collezione delle leggi e dei bandi, con la produzione di 1362 schede, redatte nel rispetto delle ISBD e delle varianti italiane stabilite dall'ICCU per la catalogazione di bandi, manifesti e fogli volanti, edito nel 1999, con l'aggiornamento della scelta della forma dei punti d'accesso secondo REICAT; il catalogo è stato redatto pensando alla prospettiva della digitalizzazione del materiale; un'appendice dedica grande attenzione alle note su un campione pari al 10% del materiale; completa il catalogo un indice delle intestazioni;
- una terza sezione rivolta alle problematiche dell'indicizzazione semantica, prospettandone l'applicazione alle leggi e ai bandi alla luce delle opportunità offerte dal Nuovo Soggettario, che offre rigore e coerenza normativa e applicativa, nonché preziose caratteristiche di modularità e interoperabilità che lo rendono adatto a gestire descrittori rappresentanti concetti antichi e moderni in un unico sistema d'indicizzazione. Della terza, certamente la più interessante, l'Editoriale Documenta ha pubblicato nel 2015 un estratto, dal titolo Indicizzazione semantica di bandi, manifesti e fogli volanti, auspicandone una diffusione più ampia presso tutti coloro che siano interessati all'indicizzazione semantica del materiale antico.
La catalogazione compiuta è chiara e dettagliata, con un'unica criticità: il prefisso i.s. per le intestazioni secondarie è un concetto superato che poteva essere evitato fornendo un elenco unico dei punti d'accesso. La parte sui soggetti rappresenta la parte originale e sperimentale. Grillo assume un approccio interdisciplinare, trasversale, nel proposito di creare una saldatura tra la descrizione archivistica e bibliografica (approccio che viene perseguito all'interno del Master biennale in catalogazione dell'Università di Firenze) e ancor più valido alla luce di ciò che sarà il catalogo del futuro, caratterizzato da una visione organica e integrata dei dati.
Uno dei più bei testi letti negli ultimi mesi per rigore metodologico, spessore della ricostruzione del contesto storico e competenza catalografica. Un gioiello, appunto.
Mauro Guerrini
Università degli studi di Firenze