di Luigi Catalani
La diffusione capillare delle nuove tecnologie informatiche ha provocato in ogni ambito della vita lavorativa una trasformazione più o meno accentuata, che ha riguardato in particolare le modalità di gestione e organizzazione del patrimonio informativo specifico di ciascun settore professionale. Si intuisce il motivo per cui nel caso della professione bibliotecaria, che è impegnata da sempre nell'offrire una piattaforma comune e condivisa a tutte le altre discipline, che ad essa si affidano per l'organizzazione e la classificazione dei propri contenuti, tale trasformazione è stata particolarmente profonda. Nonostante le tradizionali discipline e professioni del libro abbiano accettato da tempo la sfida dell'automazione e del digitale, elaborando cataloghi partecipati, collezioni digitali e standard internazionali, esse sono oggi minacciate dalla concorrenza esterna di soggetti commerciali potenti, spregiudicati, per i quali il terreno della gestione delle informazioni è una opportunità di business molto promettente. La sensazione è che su questo terreno si stia giocando una partita particolarmente delicata: i bibliotecari, disorientati al punto da sentirsi quasi accerchiati, registrano con disagio questa 'invasione di campo' da parte di corporation agguerrite come Amazon, Google, Facebook, i cui malcelati obiettivi sono quelli di gestire in prima persona i big data, di imporre un'organizzazione dei contenuti funzionale alla loro vendita, di elaborare una profilazione sempre più raffinata dei propri utenti/clienti, che finisce per mortificare, attraverso suggerimenti per la ricerca e consigli per gli acquisti, non solo il fenomeno della serendipity ma anche il gusto della scoperta (discovery). Il rischio è insomma che la rete dei link a nostra disposizione si restringa piuttosto che ampliarsi, e che le infinite varianti offerte dall'ipertesto digitale si appiattiscano sotto gli effetti di una pericolosa omologazione sociale e culturale1.
Al netto di ogni considerazione più generale sulla distanza sempre più ampia tra la visione libertaria e democratica dei pionieri della rete e l'oligopolio dell'industria digitale dell'informazione, si può affermare con una certa ragionevolezza che l'immissione dei dati in rete ha provocato una apparente semplificazione per l'utenza (il fenomeno della cosiddetta convergenza al digitale) e una evidente complicazione per i professionisti della gestione della conoscenza. Non è un caso allora che sempre più spesso i bibliotecari si incontrino per riflettere sullo stato dell'arte della propria professione, su vecchie e nuove prospettive, sugli sviluppi di un dialogo necessario con soggetti fino a qualche anno fa ritenuti estranei al proprio mondo e oggi riconosciuti, forse a malincuore, come interlocutori obbligati. Una di queste occasioni è stata l'interessante giornata di studio intitolata Dati nella rete: archivi e biblioteche nel Web semantico, organizzata dal Dipartimento di scienze del patrimonio culturale dell'Università degli studi di Salerno, in collaborazione con il Centro bibliotecario di ateneo, e svoltasi il 4 dicembre dello scorso anno presso la Biblioteca centrale E. R. Caianiello del campus di Fisciano. A dimostrazione dell'attualità dei temi discussi, l'evento, patrocinato da AIB, ANAI e ANORC professioni, ha registrato un'ampia partecipazione da parte di bibliotecari, docenti e studenti, provenienti anche dalle regioni limitrofe, che hanno seguito i lavori con grande attenzione. Il tema, particolarmente accattivante, è stato trattato da molteplici punti di vista da parte dei numerosi relatori, che sono riusciti nella non facile impresa di affrontare tematiche complesse con rigore e chiarezza espositiva. Ne è venuta fuori una narrazione a più voci, molto godibile, di un mondo professionale che cambia e che da decenni è impegnato nello sforzo di intercettare le trasformazioni tecnologiche adattandole alle proprie esigenze, cogliendone le opportunità e traendone spunto per aggiornare metodi e pratiche di lavoro2.
Dopo i saluti istituzionali di Marcello Andria, direttore del Centro bibliotecario di ateneo, e Giovanna de Pascale, presidente di AIB Campania, la giornata è stata inaugurata da due presentazioni. Marina Mecheri (Present ICT solutions and services) ha presentato una serie di database digitali e nuove soluzioni software per la fruizione di dati e metadati in ambito culturale che hanno trovato applicazione in diversi contesti (Biblioteche nazionali centrali di Roma e Firenze, Museo Galileo, BEIC, Istituto Luigi Sturzo, solo per citarne alcuni) e che negli ultimi mesi si sono arricchiti di nuovi strumenti, tra cui M.o.d.A. (Multimedia open digital archives) - Teca digitale, un visualizzatore rispettoso dell'interoperabilità e degli standard aperti, sviluppato sulla base del software open source Bookreader, e Portale, un software anch'esso open source per la gestione, la fruizione e la conservazione del patrimonio documentario digitale. La Mecheri ha illustrato poi alcuni dei progetti nei quali è stata coinvolta la Present, tra cui il progetto Magazzini digitali per la messa a regime del sistema per la conservazione permanente dei documenti elettronici pubblicati in Italia, e le attività di digitalizzazione e metadatazione realizzate per il Conservatorio San Pietro a Majella, la Biblioteca oratoriana dei Girolamini, l'Abbazia di Cava de' Tirreni, la Fondazione Eduardo De Filippo e il Teatro San Carlo di Napoli. La presentazione si è conclusa con un interessante focus sugli standard più diffusi nel settore: dai protocolli utilizzati nei diversi portali culturali, ai linguaggi XML applicati ai formati MARC, fino a schema.org, il sistema di marcatura di dati strutturati lanciato dai principali motori di ricerca per aumentare la visibilità delle informazioni, in coerenza con la logica, gli standard (URI, XML, RDF) e le ontologie del Web semantico. La ricca presentazione ha confermato il ruolo cruciale che gli operatori commerciali svolgono sul terreno dell'aggiornamento tecnologico, dell'elaborazione di soluzioni innovative da adattare alle esigenze di archivi e biblioteche. La netta sensazione è che questo ruolo di intermediazione potrà essere svolto con tanta più efficacia quanto più si ispirerà, come in questo caso, ai principi dell'interoperabilità e degli standard aperti. Solo così si eviterà che la proliferazione di soluzioni software produca nuovi compartimenti stagni, stanze digitali chiuse.
Una nitida rappresentazione dell'incessante susseguirsi di servizi e piattaforme per l'accesso all'informazione elaborati negli ultimi lustri dal mondo bibliotecario, in particolare in ambito accademico, è stata offerta da Isidoro D'Auria (Università di Salerno, Ufficio gestione sistemi informativi per le biblioteche di ateneo) e Patrizia De Martino (Università di Salerno, Centro bibliotecario di ateneo), che hanno presentato i progetti del Sistema bibliotecario dell'Università di Salerno per l'evoluzione dei servizi, in un percorso iniziato nel 1999 con l'adozione di ALEPH 500 quale strumento di gestione documentaria, e giunto al lancio del progetto ALMA, che, dopo una fase di pre-implementazione già iniziata, entrerà in produzione nel 2017. Parallelamente ai lavori di conversione di dati da altri sistemi per la realizzazione del catalogo unico, il Sistema bibliotecario salernitano ha sviluppato sistemi per l'accesso e la gestione integrata delle risorse elettroniche, come il Progetto ARIEL3, l'archivio istituzionale ELEA4 e il discovery tool PRIMO che ha creato un punto di accesso unitario per la ricerca e il recupero di tutte le risorse disponibili, comprese quelle contenute nel catalogo. Prodotto da Ex Libris, il progetto ALMA è nato con l'obiettivo di consolidare, ottimizzare ed estendere l'offerta dei servizi bibliotecari e consiste in un sistema di gestione unificata dell'intero ciclo di vita di tutte le risorse (cartacee, elettroniche e digitali). Altri progetti sono condotti in collaborazione con altri sistemi bibliotecari campani e con l'Università di Basilicata: l'implementazione di uno strumento di discovery consortile e la creazione di un catalogo unico virtuale della rete di biblioteche universitarie campane e lucane secondo il paradigma dei linked open data (sul quale si sono poi soffermati poi Tiziana Possemato e Antonella Trombone). ALMA ha rappresentato un'opportunità per focalizzare e realizzare una nuova visione dei servizi erogati, attraverso un progetto di pianificazione che ha previsto investimenti in tecnologie, l'integrazione con sistemi a livello nazionale e una completa reingegnerizzazione dei processi.
Si assiste dunque a un fenomeno interessante, per certi versi sorprendente: se da un lato l'informazione acquista tanto più valore quanto più è granulare, distinta da tutte le altre sulla base di un livello molto avanzato di dettaglio, dall'altro i sistemi che presiedono all'organizzazione e alla fruizione di questa enorme mole di dati estendono il proprio raggio di azione, finendo col coprire un territorio informativo vastissimo, al cui interno convivono risorse di ogni tipo. Non solo: le soluzioni software consorziate accentuano il carattere onnicomprensivo di cataloghi e discovery, offrendo all'utente l'opportunità di trovare la risposta alla propria esigenza informativa con un semplice clic, dopo aver inserito poche parole in un box di ricerca Google alike. E qui ci si avvicina al punto cruciale: tale opportunità potrà rivelarsi illusoria, o quantomeno fuorviante, se i sistemi di gestione dei dati non saranno sufficientemente affidabili e rigorosi e, d'altro canto, se l'utente non avrà sviluppato la capacità di tradurre la propria richiesta in una query efficace, ossia in una interrogazione che non produce rumore informativo oltre quello fisiologico in ogni tipo di ricerca. Le questioni sul campo sono dunque diverse ma collegate tra loro: l'evoluzione dei principali strumenti di lavoro del bibliotecario, l'integrazione con piattaforme diverse, la concorrenza di sistemi di gestione dei dati provenienti da altri settori, le soluzioni tecniche sviluppate e/o adottate per conservare (e, se possibile, rilanciare) la propria centralità nell'ecosistema informativo digitale, infine la formazione degli utenti circa il funzionamento delle nuove soluzioni software, che possono provocare in essi tanto stupore quanto disorientamento. I relatori hanno cercato di offrire una possibile risposta a ciascuna di queste domande.
Il discorso non poteva che partire dallo strumento di mediazione informativa per antonomasia, il catalogo, nell'occhio del ciclone già da qualche tempo, che gli esperti stanno provando a reinventare nel tentativo non facile di preservarne la natura, la peculiarità e il rigore integrandolo in un contesto in cui la ricerca multicampo, i codici di classificazione e le sottigliezze tipiche della tradizione biblioteconomica sono avvertiti come complicazioni inutili, orpelli per addetti ai lavori. Introdotto da Giovanni Di Domenico, che ha coordinato le relazioni che si sono succedute nella seconda parte della mattina, Andrea Marchitelli (Cineca) ha offerto un quadro esauriente dell'evoluzione dei cataloghi dalle origini al Web, invitando l'uditorio a riflettere tanto sulle sue funzioni quanto sulle sue componenti. Il percorso tracciato ha seguito il ridefinirsi di regole e standard per la struttura dell'informazione a partire dalla cosiddetta 'grande tradizione' - costruita nel secolo XIX da Antonio Panizzi5, Charles Coffin Jewett6 e Charles Ammi Cutter7 e nel secolo successivo da Andrew D. Osborn8, dal Rapporto Henkle9, da Eva Verona10 e Seymour Lubetzky11 - fino agli sviluppi più recenti. Gli obiettivi del catalogo individuati da Cutter (mettere ciascun lettore nelle condizioni di trovare un libro, mostrare ciò che una biblioteca possiede di un autore, su un soggetto o su un genere letterario e facilitare la scelta di un libro) si riflettono nelle funzioni del catalogo sancite nel 1961 dai Principi di Parigi, in base ai quali il catalogo deve poter accertare se la biblioteca possiede un certo libro variamente identificato, quali opere di un certo autore possiede e quali edizioni di una certa opera. Successivamente prevalsero gli aspetti normativi su quelli teorici, come nel caso di ISBD, fino a quella che con una certa enfasi Marchitelli ha definito come l'alba di un nuovo giorno, ossia l'elaborazione negli anni Novanta di FRBR (Functional requirements for bibliographic records), con l'obiettivo di adeguare le norme catalografiche alle nuove esigenze dell'utenza12. Ai nuovi requisiti funzionali si sono affiancati i nuovi Principi internazionali di catalogazione (ICP, 2009)13. La pubblicazione, nel 2010, di un nuovo standard catalografico (RDA, Resource description and access) ha consentito finalmente di applicare il modello FRBR nella pratica catalografica14. Registrando nel passaggio da MARC a BIBFRAME la crescente importanza del dato bibliografico, Marchitelli ha evidenziato le tappe intermedie di questo processo nel passaggio dal record piatto al record relazionale, da questo al record FRBR e da questo all'estinzione del record e dello stesso OPAC come lo abbiamo conosciuto, confluito (e diluito) in strumenti di ricerca (e scoperta) più grandi e onnicomprensivi quali i discovery tool15. Ecco il punto: se la diluizione è la diminuzione della concentrazione di una sostanza in una miscela mediante l'aggiunta di un'altra sostanza, cosa accade ai dati catalografici nel momento in cui si mischiano ad altri dati che non hanno la medesima densità informativa? Cosa resta della ricchezza semantica dei dati prodotti dai bibliotecari, della rigorosa serie di interlink, della precisione delle liste di authority, dei vocabolari controllati? Cosa resta del certosino lavoro bibliotecario nel momento in cui si decide di cavalcare la tigre liberando i dati e i metadati bibliografici nel mare aperto del Web semantico?16
Roberto Raieli (Università Roma Tre) ha provato a offrire una risposta rassicurante a questa serie di interrogativi attraverso una riflessione di ampio respiro sulla rete delle risorse informative tra mediazione e disintermediazione, partendo da una 'difesa' del ruolo del catalogo, che continua a mantenere la dignità di principale strumento per l'individuazione e l'accesso ai documenti anche nell'epoca dei web-scale discovery service e dei discovery tool, strumenti evoluti che sollecitano un approfondimento teorico e una problematizzazione. Le questioni legate allo sviluppo dell'accesso non possono essere risolte trasformando le interfacce senza modificare i database, per cui i nuovi strumenti devono essere applicati a nuovi indici di dati strutturati secondo il paradigma del Web semantico. Lo sviluppo delle interfacce di ricerca dovrebbe essere accompagnato dallo sviluppo dei principi e delle pratiche della biblioteconomia e non accontentarsi di seguire le ultime tendenze del Web. I termini in cui Roy Tennant17, Timothy Burke18, Karen Calhoun19 e David Lankes20 hanno posto la questione negli ultimi 15 anni spiegano le ragioni della 'rivoluzione', ovvero i motivi per cui la posta in gioco non è tanto l'aggiornamento delle interfacce, ma l'evoluzione di regole, metodi e principi per allinearli alle nuove esigenze dell'utenza e garantire così la sopravvivenza di un intero settore di professionisti dell'informazione. Anche le Guidelines for online public access catalogue stabilite dall'IFLA21, le Raccomandazioni per miglioramenti urgenti dell'OPAC di John Byrum22 (entrambe del 2005) e le riflessioni elaborate successivamente da Thomas Mann23, Deanna Marcum24 e Jason Vaughan25 indicano come non si debba seguire passivamente la rivoluzione dell'informazione, bensì provare a guidarla o quanto meno ad orientarla, come dimostrano ad esempio gli OPAC sociali, che invitano gli utenti a contribuire all'arricchimento del catalogo26.
La prospettiva dei discovery tool come possibile punto unico di accesso alle risorse è allo stato attuale frenata dalla riorganizzazione ancora parziale delle diverse basi dati (molte delle quali sono ancora silos informativi chiusi) e da una riorganizzazione concettuale della biblioteca che non può certo dirsi completa. La nuova organizzazione dei dati del catalogo e dei database ad esso collegati non può che passare attraverso l'apertura, la granularità e l'interoperabilità dei dati, ovvero l'adozione della filosofia degli open data e della metodologia dei linked data, che permettono una rivalutazione dei principi del trattamento bibliografico e una reale convergenza tra le biblioteche e il Web27. Raieli si è soffermato inoltre su pregi e difetti dell'information discovery in riferimento all'affidabilità dell'informazione e la fluidità delle risorse, che si collocano in uno spazio aperto, non prestabilito, reticolare. Se i rischi sono quelli della decontestualizzazione, dell'eccesso di risultati, della mancanza di schemi comuni e di un mescolamento di risorse indistinte, d'altro canto i web-scale discovery service consentono di aggiungere valore alla ricerca attraverso filtri, faccette e collegamenti sempre nuovi, che estendono in maniera indefinita i confini dell'esplorazione e stimolano la creatività della scoperta. Particolarmente efficace è apparso il richiamo finale al ruolo dell'information literacy: l'implementazione tecnologica deve essere accompagnata da un rinnovato spirito sociale, da un trasferimento di competenze informative a tutti i livelli, da un'accentuata e sistematica azione formativa da parte dei bibliotecari, i quali devono puntare a rendere i propri utenti autonomi nei loro percorsi di ricerca e alleati nell'opera di organizzazione delle risorse informative in rete28.
Dal punto di vista strettamente tecnico e catalografico, è indubbio che la vera, grande novità con la quale i bibliotecari sono chiamati oggi (o nell'immediato futuro) a cimentarsi sia lo standard RDA abbinato alla tecnologia dei linked data29. Sulla cosiddetta 'nuova era' della catalogazione, e quindi sul passaggio, più volte evocato durante la giornata, dal record al dato, ha concentrato la propria attenzione Tiziana Possemato (@Cult). Dopo una sguardo al contesto generale, si è entrati nel dettaglio del modello entità-relazioni di FRBR e dello standard RDA, una nuova linea guida per la descrizione e l'accesso alle risorse, disegnata per il mondo digitale e per l'ambiente online. Identificare e relazionare: questi gli obiettivi principali di uno standard che consente di utilizzare diversi schemi (MARC 21, UNIMARC, Dublin Core), ma con le dovute accortezze, come gli aggiornamenti 9-20 di MARC 21 che registrano le ultime novità approvate per RDA, soprattutto intorno alle diverse relazioni (nome-risorsa, risorsa-risorsa, nome-nome). Il declino del MARC è stato innescato dalla messa a punto da parte della Library of Congress di BIBFRAME (Bibliographic framework as a Web of data), esito di uno studio approfondito sulle funzioni del catalogo, sugli standard di catalogazione e sui nuovi tipi di risorse, e premessa della nascita di un nuovo ecosistema bibliografico30. La Possemato si è poi soffermata su RIMMF (RDA in many metadata formats), un primo esempio di sistema orientato a RDA. Se la vera domanda oggi è, prendendo in prestito le parole di Karen Coyle, come trasformare i nostri dati in modo che essi diventino 'del' Web e non 'sul' Web, la risposta probabilmente sta nell'adozione del Web semantico e dei linked data per la realizzazione di un database globale in cui i dati sono gestiti in un modello generale di base, RDF (Resource description framework), per cui le Proprietà sono relazioni che legano tra loro Risorse e Valori.
Le triple RDF rappresentano una struttura molto semplice, che consente a chiunque di formulare asserzioni su qualsiasi cosa. Nonostante nel Web semantico il record MARC sia considerato una fonte primaria di informazione (per la grande quantità di dati e l'elevato grado di semantica), l'evoluzione dei linked data mette in discussione la centralità del record bibliografico, giacché la semantica ivi contenuta è comprensibile solo all'occhio umano e non alle macchine. Di qui l'esigenza di affidarsi a strumenti quali i vocabolari controllati e le ontologie, e la nuova centralità conquistata dall'authority, che esprime bene l'esigenza, comune a RDA e ai principi dei LOD, di descrivere e identificare un'entità con un alto numero di attributi, allo scopo di creare un oggetto ben identificabile e riusabile in diversi contesti informativi31. La relazione si è conclusa con la presentazione di SHARE (Scholarly heritage and access to research), la piattaforma di accesso ai servizi bibliotecari condivisi da sei università (Napoli Federico II, Napoli L'Orientale, Napoli Parthenope, Salerno, Sannio, Basilicata) che recepisce questi sviluppi tecnologici e catalografici, offrendo agli utenti un catalogo collettivo in linked open data, un sistema di ricerca federata per l'accesso integrato alle rispettive collezioni (analogiche e digitali), piattaforme comuni per l'editoria digitale ad accesso aperto (riviste, libri elettronici, prodotti della ricerca), il riconoscimento reciproco dei rispettivi utenti istituzionali quali utenti interni ai fini dell'accesso ai servizi erogati presso le rispettive sedi32.
Tuttavia non è tutto oro quel che luccica. La necessità di sottoporre a un rigoroso vaglio critico le novità introdotte dalle nuove norme catalografiche emerge dal taglio problematico della relazione di Antonella Trombone (Sapienza Università di Roma, Università della Basilicata), che ha cercato di ridefinire il ruolo del catalogo nel rinnovato universo nella comunicazione bibliografica, a partire da una riflessione sui modelli di dati, documenti e flussi informativi nell'era del Web semantico. Riprendendo i temi del dibattitto internazionale sul catalogo e la catalogazione, la Trombone si è chiesta se sia ancora possibile e necessaria l'elaborazione di regole e modelli catalografici condivisi in un ambiente informativo basato sui motori di ricerca e in un contesto catalografico in cui il tradizionale modello descrittivo è messo sempre più in discussione dai nuovi strumenti di aggregazione di dati eterogenei. Il processo di standardizzazione per il controllo bibliografico universale ha registrato il passaggio dal modello descrittivo rappresentato da ISBD (1974) al modello funzionale di FRBR (1998), che ha disaggregato la risorsa bibliografica33. In realtà, ha notato giustamente la Trombone, i modelli di visualizzazione dei cataloghi online hanno frammentato la struttura del record bibliografico molti anni prima del Web semantico e di RDA, segnando il passaggio dalla frase alla sequenza di campi. Il nodo sta nel fatto che il rinnovato interesse per la teoria catalografica seguito alla pubblicazione di FRBR è stato vanificato dalla mancata applicazione catalografica dei suoi principi, tant'è che il modello più frequente di rappresentazione del modello concettuale FRBR lo si trova attuato negli OPAC di seconda generazione e negli strumenti di discovery piuttosto che nella pratica catalografica, che è rimasta inesorabilmente indietro.
In effetti, l'evoluzione delle norme catalografiche segna il passaggio da 'catalogare' a 'identificare e collegare': se le REICAT (2009) sono ancora un tradizionale codice di catalogazione e si conformano allo standard descrittivo di ISBD, RDA (2010) è uno standard di contenuto compatibile con il Web semantico, che apre la strada alla disgregazione del record bibliografico34. Il cambio di rotta rispetto alla seconda edizione delle Anglo-American cataloguing rules (l'opera di revisione fu completata nel 2005) non può essere più netto: scompare il termine catalogazione, si opta per il termine interdisciplinare 'risorse', scompare la descrizione bibliografica, viene offerto uno strumento di metadatazione utile non solo per le biblioteche ma anche per archivi e musei. Ma il cambiamento più importante sta probabilmente nella netta linea di demarcazione che viene tracciata per distinguere il contenuto dei dati dalla loro presentazione. Quello che somiglia sempre più a un autentico cambio di paradigma (dal Web dei documenti al Web dei dati) ha nel processo di identificazione del dato il suo elemento caratterizzante: gli authority file dei cataloghi bibliografici non sono soltanto strumenti essenziali per la disambiguazione dei punti di accesso ai cataloghi, ma anche strumenti per la gestione e il controllo interdisciplinare dei dati (authority data). In ogni caso, ha ricordato la Trombone, le comunità scientifiche dei beni culturali non possono esimersi dal proporre le strutture di fruizione dei propri dati: finché non si disporrà di una struttura applicativa per i dati bibliografici aperti e collegati (BIBFRAME?) e di una nuova struttura di codifica dei dati in sé, non si potrà andare oltre un'adozione limitata e selettiva dei linked data in campo bibliografico. In altre parole, non siamo ancora nelle condizioni di poter rinunciare all'immenso patrimonio di dati codificato in MARC35.
D'altro canto, che l'adozione di RDA sia un processo tutt'altro che lineare e privo di criticità, lo hanno spiegato bene in altra sede autorevoli esperti del mondo della catalogazione. Alberto Petrucciani ha condotto un'analisi serrata delle indicazioni fornite da RDA per la catalogazione, deducendone la necessità di un ripensamento radicale del testo, frutto di un «connubio tra uno schematismo astratto (quando non una semplice verniciatura di formule alla moda) e il recupero passivo di pratiche molto tradizionali dell'ambiente angloamericano, che spesso risalgono a prima dei Principi di Parigi e quindi portano i segni di un'epoca anteriore al ripensamento teorico della catalogazione»36. Agnese Galeffi e Lucia Sardo hanno evidenziato i limiti di RDA toolkit, uno strumento di lavoro la cui facilità di uso e di apprendimento andrebbe implementata sia dal punto di vista del contenuto sia dal punto di vista della usabilità e della visualizzazione e organizzazione delle istruzioni37. Ad essere messa in discussione non è tanto la qualità o la validità dello strumento, quanto la reale efficacia per il mondo degli addetti ai lavori e il grado di usabilità di questi strumenti da parte di coloro che dovrebbero servirsene nella quotidianità della propria attività di ricerca. L'innesto di una serie di formalismi ed esercizi meccanici sul corpo del lavoro catalografico è dunque per diversi aspetti ancora problematico: nel momento in cui consente di mettere in relazione i rinnovati dati bibliografici con il Web dei dati, questa operazione rischia di mettere in secondo piano la capacità dei bibliotecari di incidere sui processi di produzione culturale. Il rischio è insomma che le biblioteche abdichino al proprio ruolo di incubatrici di sapere38, sostituendo codici di catalogazione che pure hanno conosciuto una rapida evoluzione negli ultimi decenni, con un modello astratto che si traduce in procedure lontane dalle reali esigenze catalografiche.
Valeria Lo Castro (Centro di ateneo per le biblioteche R. Pettorino Università di Napoli Federico II) ha approfondito infine il tema del rapporto tra le biblioteche digitali accademiche e il Web semantico, che sembra preludere alla realizzazione di un portale enciclopedico. Il contesto è quello, ben noto e sviscerato nel corso della giornata, dell'evoluzione 'semantica' del Web e della diffusione della tecnologia dei linked open data, ossia dati aperti, modulari e scalabili, pubblicati sul Web in una modalità machine-readable. Dal punto di vista architettonico il Web semantico si sostanzia in una serie di elementi e di tecnologie già consolidate (URI, XML, RDF, RDFS) e, sul versante concettuale dell'organizzazione dell'informazione, nelle ontologie. Adeguandosi ai nuovi paradigmi della diffusione della conoscenza, le biblioteche digitali universitarie possono rispondere in pieno alla cosiddetta 'terza missione' dell'università, in base alla quale gli atenei sono chiamati ad ampliare la propria comunità di riferimento estendendola oltre la tradizionale comunità accademica. Il modo in cui i nuovi contenuti digitali possono essere resi disponibili attraverso il Web invita dunque a ripensare il ruolo delle biblioteche, delle istituzioni formative e delle forme di creazione e condivisione digitale dei saperi, con l'obiettivo di «costruire la cittadinanza scientifica», riprendendo un'efficace espressione di Giovanni Solimine39. A questo discorso si lega naturalmente quello delle nuove modalità della comunicazione scientifica e quindi il fenomeno dell'open access e dei prodotti della ricerca come beni comuni digitali. L'adozione dei LOD consente la produzione di dati e metadati interoperabili e favorisce l'uso (e soprattutto il riuso) della conoscenza prodotta nelle biblioteche, in linea con quanto previsto dal programma quadro Horizon 2020 della Commissione Europea. All'assenza di un modello unico di biblioteca digitale, dovuta al proliferare di diverse tipologie di collezioni e repositories, si può ovviare cercando di integrare in un unico spazio informativo i documenti, i dati e i metadati presenti nelle diverse banche dati, al fine di intercettare e alimentare la massa critica delle conversazioni culturali che avvengono al di fuori dei luoghi istituzionali. Poiché ormai le biblioteche e le università non sono gli unici centri di produzione e circolazione dell'informazione, diventa essenziale rompere l'isolamento dei silos entro i quali essa è contenuta e costruire percorsi di ricerca personalizzati.
A corredo della sua efficace e ricca relazione, la Lo Castro ha citato due importanti progetti a livello internazionale. Il primo è il Linked data for libraries project (LD4L)40, realizzato da alcune biblioteche universitarie statunitensi (Cornell University Library, Harvard Library Innovation Lab, Stanford University Libraries) grazie al generoso finanziamento della Fondazione Andrew W. Mellon, con l'obiettivo di creare un modello di archivio di risorse informative semantiche accademiche (Scholarly resource semantic information store model) basato sull'adozione sistematica dei linked open data, di BIBFRAME e sulla costruzione dell'ontologia standard VIVO, uno strumento per la rappresentazione delle informazioni sulla ricerca e i ricercatori sviluppato nel 2003 dalla Cornell University. Il secondo è Linked university, un'alleanza di università europee (nessuna italiana) impegnate nell'esposizione dei loro dati pubblici in LOD, che vede coinvolte professionalità bibliotecarie accanto a ricercatori universitari provenienti dall'area informatica. Tali esperienze mostrano come il potenziale dei linked data nel campo della didattica e della ricerca vada ben oltre il beneficio individuale per la singola istituzione, e debba esplicarsi attraverso la realizzazione di reti di dati universitari (Web of university data), realizzate aggregando, integrando e comparando dati, strumenti, pratiche e piattaforme provenienti da istituzioni diverse41.
La giornata di studio ha avuto il merito di offrire ai partecipanti (fra i quali vi erano anche non addetti ai lavori) un quadro esauriente tanto degli sviluppi degli standard catalografici negli ultimi decenni quanto delle tecnologie che i bibliotecari hanno adottato per memorizzare, diffondere e valorizzare il proprio lavoro di trattamento delle risorse documentarie. Nel complesso, i relatori hanno centrato l'obiettivo di divulgare i progressi e le criticità delle proprie pratiche professionali, promuovendo un'immagine aggiornata e per certi versi accattivante del mondo bibliotecario, che pur avendo perduto la tradizionale centralità nel circuito informativo e documentale, presidia un ganglio che potrà rivelarsi decisivo in forza di almeno due suoi tratti peculiari, ovvero la capacità di organizzare le risorse informative in maniera logica e coerente e quella di selezionare e validare le fonti e di favorire collegamenti semanticamente ed epistemologicamente sensati tra diverse tipologie di risorse. Se su alcuni aspetti tecnici è emersa una legittima diversità di vedute (il destino dell'OPAC nel mare magnum del Web, la sopravvivenza della codifica MARC, l'adozione immediata e sistematica di BIBFRAME, l'affidabilità dei discovery tool), pare invece che su un punto fondamentale ci sia concordia: l'esigenza di disseminare la conoscenza, di condividere esperienze e metodi anche all'esterno della propria comunità, di assimilare le evoluzioni del Web per arricchire la dimensione sociale delle biblioteche e dei bibliotecari. Perché quanti più dati aperti e 'linkati' saremo in grado di produrre, quanto più dimostreremo di essere aperti al confronto e alla condivisione con i colleghi di archivi e musei (ma anche con gli informatici, i digital humanist, i wikipediani...), tanto più saremo in grado di dare un futuro alle nostre istituzioni, che o saranno aperte e collegate (linked open libraries) o semplicemente non saranno.
Da questo punto di vista, se dal punto di vista tecnologico la piattaforma federata SHARE rappresenta un'ottima soluzione alla richiesta di un accesso integrato alle risorse (in particolare quelle digitali), dal punto di vista della cultura scientifica, appaiono quanto mai opportuni i richiami, provenienti da più di un relatore, alla necessità di progettare e sviluppare, da parte dei bibliotecari, percorsi di information literacy in grado di trasferire competenze informative ai propri utenti. Attraverso un consapevole e ben calibrato atteggiamento di apertura (tecnologica, sociale, culturale) il mondo delle biblioteche potrà riuscire a trovare quel difficile equilibrio tra due atteggiamenti entrambi sbagliati, ossia una mera posizione di retroguardia, dalla quale qualcuno può illudersi di tenere 'immune' lo specifico bibliotecario da pratiche e influenze esterne, e l'adozione acritica di procedure informatiche che rischiano di lasciare per strada una parte significativa del contributo storicamente offerto dai bibliotecari alla produzione e alla diffusione della conoscenza.
Ringrazio Antonella Trombone per i preziosi suggerimenti e le sue note di lettura.
Ultima consultazione siti web: 24 maggio 2016.
[1] Per un approfondimento sui sistemi di discovery: Marshall Breeding, The future of library resource discovery, Baltimore: NISO, 2015; sul nuovo paradigma dell'informazione e il rapporto tra i bibliotecari, i cittadini e la rete si consiglia la lettura di Paola Castellucci, Sense AND sensibility: l'algoritmo di Google. In: Noetica versus informatica: le nuove strutture della comunicazione scientifica: atti del convegno internazionale, Roma, Tempio di Adriano, 19-20 novembre 2013, a cura di Fiammetta Sabba. Firenze: Olschki, 2015, p. 203-215; Alberto Petrucciani, Convergenza o divaricazione? La crisi dei paradigmi di organizzazione dell'informazione. In: Noetica versus informatica cit., p. 13-38; Id., A che servono i bibliotecari, prima e dopo Google? In: Bibliotecari al tempo di Google: profili, competenze, formazione: convegno, Milano, 17-18 marzo 2016. Milano: Bibliografica, 2016, p. 9-16. Sulle storture del Web 2.0: Osvaldo Duilio Rossi; Gabriele Alese, Rete, cultura e dissenso. In: Noetica versus informatica cit., p. 113-129.
[2] Il dibattito provocato dal libro di John Palfrey. Bibliotech: why libraries matter more than ever in the age of Google. New York: Basic Books, 2015; traduzione italiana Milano: Bibliografica, 2016, è solo l'ultima testimonianza dell'attualità di tali questioni.
[3] ARIEL, http://campania-primo.hosted.exlibrisgroup.com/primo_library/libweb/action/search.do?vid=39USA_V1.
[4] EleA, http://elea.unisa.it/.
[5] Antonio Panizzi, 91 rules for standardizing the cataloguing of books. In: Catalogue of printed books in the British Museum. London: Nichols, 1841, vol. 1, p. v-ix.
[6] Charles C. Jewett, On the construction of catalogues of libraries, and their publication by means of separate, stereotyped titles, with rules and examples. Washington: The Smithsonian institution, 1853.
[7] Charles A. Cutter, Rules for a printed dictionary catalogue. Washington: Government Printing Office, 1876; Id., Rules for a dictionary catalog. Washington: Government Printing Office, 1904. Per utili precisazioni circa le differenti edizioni dell'opera: Alberto Petrucciani, Funzione e struttura del catalogo per autore. Firenze: Giunta regionale Toscana; Scandicci: La Nuova Italia, 1984, p. 8; Rossella Dini, Il parente povero della catalogazione: la descrizione bibliografica dal rapporto Henkle all'incontro di Copenaghen. Milano: Bibliografica, 1985, p. 37.
[8] Andrew D. Osborn, The crisis in cataloging, «The library quarterly», 11 (1941), n. 4, p. 393-411.
[9] Herman H. Henkle, Studies of descriptive cataloging: a report to the librarian of Congress by the Director of the Processing department. Washington: Government Printing Office, 1946.
[10] Eva Verona, Literary unit versus bibliographical unit, «Libri», 9 (1959), n. 2, p. 79-104.
[11] Seymour Lubetzky, Cataloguing rules and principles: a critique of the A.L.A. rules for entry and a proposed design for their revision. Washington: Library of Congress, 1954.
[12] Per un approfondimento del passaggio dal catalogo cartaceo al catalogo elettronico: Paul Gabriele Weston, Il catalogo elettronico: dalla biblioteca cartacea alla biblioteca digitale. Roma: Carocci, 2002.
[13] IFLA cataloguing principles: the statement of International cataloguing principles (ICP) and its glossary, edited by Barbara B. Tillett, Ana Lupe Cristán. München: Saur, 2009.
[14] Carlo Bianchini; Mauro Guerrini, Introduzione a RDA: linee guida per rappresentare e scoprire le risorse. Milano: Bibliografica, 2014.
[15] Per una panoramica più dettagliata: Andrea Marchitelli; Giovanna Frigimelica, OPAC. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2012; Andrea Marchitelli, Orientarsi tra le informazioni in biblioteca: cataloghi, banche dati, motori di ricerca. Milano: Bibliografica, 2015.
[16] Giovanna Granata, A cavallo della tigre? Il catalogo tra Web 2.0 e semantic Web. In: Noetica versus informatica cit., p. 171-185.
[17] Roy Tennant, MARC must die, «Library journal», 127 (2002), n. 17, p. 26-27; Id. Lipstick on a pig, «Library journal», 130 (2005), n. 7, p. 34-37; Id., Fixing library discovery, «Library journal», 131 (2006), n. 11, p. 30-31.
[18] Timothy Burke, Burn the catalog, 20 gennaio 2004, http://www.swarthmore.edu/SocSci/tburke1/perma12004.html.
[19] Karen Calhoun, The changing nature of the catalog and its integration with other discovery tools: final report. Washington: Library of Congress, 2006, http://www.loc.gov/catdir/calhoun-report-final.pdf.
[20] David R. Lankes [et al.], Participatory networks: the library as conversation, «Information research», 12 (2007), n. 4, http://www.informationr.net/ir/12-4/colis/colis05.html; Id., The atlas of new librarianship. Cambridge, Mass.: MIT, 2011; traduzione italiana L'atlante della biblioteconomia moderna. Milano: Bibliografica, 2014.
[21] Guidelines for online public access catalogue (OPAC) displays: final report, recommended by the Task Force on Guidelines for OPAC Displays, approved by the Standing Committee of the IFLA Cataloguing Section.
[22] John D. Byrum, Raccomandazioni per miglioramenti urgenti dell'OPAC: il ruolo delle agenzie bibliografiche nazionali, «Biblioteche oggi», 23 (2005), n. 10, p. 5-14.
[23] Thomas Mann, Il catalogo e gli altri strumenti di ricerca: un punto di vista dalla Library of Congress, «Bollettino AIB», 46 (2006), n. 3, p. 186-206.
[24] Deanna B. Marcum, The future of cataloging, «Library resources & technical services», 50 (2006), n. 1, p. 5-9.
[25] Jason Vaughan, Web scale discovery services. Chicago: American Library Association, 2011.
[26] Antonella Trombone, La gestione del catalogo partecipato: il ruolo dei bibliotecari nelle dinamiche d'interazione tra dati e utenti. In: Bibliotecari al tempo di Google cit., p. 81-86.
[27] Carlo Bianchini, Dagli OPAC ai library linked data: come cambiano le risposte ai bisogni degli utenti, «AIB studi», 52 (2012), n. 3, p. 303-323.
[28] Roberto Raieli, Vecchi paradigmi e nuove interfacce: la ricerca di un equilibrato sviluppo degli strumenti di mediazione dell'informazione (Prima parte), «AIB studi», 55 (2015), n. 1, p. 35-55; Id., Vecchi paradigmi e nuove interfacce: la ricerca di un equilibrato sviluppo degli strumenti di mediazione dell'informazione (Seconda parte), «AIB studi», 55 (2015), n. 2, p. 197-214; Id., Limiti dell'information discovery e necessità dell'information literacy, «Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari», 29 (2015), p. 179-194.
[29] Si veda il recentissimo fascicolo di «JLIS», 7 (2016), n. 2, interamente dedicato allo standard RDA, http://leo.cineca.it/index.php/jlis/issue/view/753.
[30] Bibliographic framework as a Web of data: linked data model and supporting services. Washington: Library of Congress, 2012.
[31] Mauro Guerrini; Tiziana Possemato, Linked data: un nuovo alfabeto del Web semantico, «Biblioteche oggi», 30 (2012), n. 3, p. 7-15; id., Linked data: a new alphabet for the semantic Web, «JLIS», 4 (2013), n. 1, p. 67-90; Antonella Iacono, Linked data. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2014; Mauro Guerrini; Tiziana Possemato, Linked data per biblioteche, archivi e musei: perché l'informazione sia del Web e non solo nel Web. Milano: Bibliografica, 2015.
[32] Scholarly Heritage and Access to Research, http://www.sharecampus.it/.
[33] International Federation of Library Associations, ISBD(M): International standard bibliographic description for monographic publications. London: IFLA Committee on cataloguing, 1974; IFLA Study group on the Functional Requirements for Bibliographic Records, Functional requirements for bibliographic records: final report. München: Saur, 1998.
[34] Alberto Petrucciani, From the FRBR model to the Italian cataloging code (and viceversa?), «Cataloging & classification quarterly», 50 (2012), n. 5/7, p. 603-621; Antonella Trombone, Applicare FRBR è possibile? Le modifiche ai formati UNIMARC, le possibilità applicative delle REICAT e di RDA, «Biblioteche oggi», 31 (2013), n. 9, p. 25-34.
[35] Antonella Trombone, RDA: struttura e funzionamento: cambiamento e tradizione nella nuova normativa angloamericana per la descrizione delle risorse, «Biblioteche oggi», 31 (2013), n. 5, p. 51-65; Ead., New display models of bibliographic data and resources: cataloguing/resource description and search results, «JLIS», 5 (2014), n. 2, p. 19-32; Ead., Da catalogare a identificare e collegare: riflessioni su Introduzione a RDA, «Biblioteche oggi», 32 (2014), n. 7, p. 4-8; Ead., Il progetto BIBFRAME della Library of Congress: come stanno cambiando i modelli strutturali e comunicativi dei dati bibliografici, «AIB studi», 55 (2015), n. 2, p. 215-226.
[36] Alberto Petrucciani, RDA: un'analisi critica alla luce della teoria e della pratica della catalogazione, «JLIS», 7 (2016), n. 2, p. 109-162: p. 155.
[37] Agnese Galeffi; Lucia Sardo, Catalogazione, un male necessario: aspetti critici di RDA, «JLIS», 7 (2016), n. 2, p. 163-197.
[38] A. Petrucciani, RDA cit., p. 156.
[39] Giovanni Solimine, Senza sapere: il costo dell'ignoranza in Italia. Roma: Laterza, 2014.
[40] Linked data for libraries, https://www.ld4l.org/.
[41] Valeria Lo Castro, Web semantico e Linked open data: best practices, prospettive, criticità, «Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari», 28 (2014), p. 207-221. Ead., Linked data nelle biblioteche digitali e di ricerca: una panoramica internazionale, «Biblioteche oggi», 33 (2015), n. 1, p. 36-44.