di Piero Cavaleri
La storia della Classificazione decimale Dewey in Italia è caratterizzata dall'utilizzo di entrambe le edizioni, quella completa - traduzioni italiane delle edizioni inglesi 20a (Dewey, 1993), 21a (Dewey, 2000) e 22a (Dewey, 2009) - impiegata da molte biblioteche di grandi dimensioni o specializzate, e l'edizione ridotta - traduzioni italiane delle edizioni inglesi 11a (Dewey, 1987), 12a (Dewey, 1995) e 14a (Dewey, 2006) - usata tipicamente dalle biblioteche civiche e dai sistemi bibliotecari che le aggregano.
L'utilizzo dell'edizione integrale data a ben prima1 della disponibilità di una traduzione della 20a edizione nel 1993, e anche prima della traduzione dell'11a edizione ridotta nel 1989. Infatti, la Biblioteca nazionale centrale di Firenze ha cominciato a usare le varie edizioni integrali in inglese per assegnare i numeri DDC alle schede della BNI sin dal 19582, procedendo però fino alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso con una impostazione pratica basata su liste di classi realizzate dalla BNI stessa3.
L'ultima edizione integrale cartacea della DDC in inglese è stata la 23a edizione pubblicata da OCLC nel 2011, che in versione italiana non verrà tradotta, essendo stato deciso dall'Associazione italiana biblioteche, editore della DDC in Italia, di realizzare esclusivamente la versione elettronica, la WebDewey. Infatti, la WebDewey assorbe l'intera DDC cartacea, ma in più la amplia con molti numeri costruiti e voci dell'Indice relativo e l'aggiorna continuamente con nuovi numeri.
Quindi possiamo dire che per quanto riguarda l'edizione integrale la storia dell'utilizzo della DDC in Italia è aperta a, speriamo, un luminoso futuro.
Rimane da risolvere, invece, il problema di che cosa fare in tutte quelle biblioteche che hanno utilizzato finora l'edizione ridotta4, specialmente considerando che quella attualmente utilizzata è la 14a edizione che nell'originale inglese è datata 2004, mentre OCLC ha già pubblicato nel 2012 la 15a edizione (Dewey, 2012).
Per affrontare questo problema le considerazioni da fare sono di varia natura: di contenuto, economiche e organizzative.
Sul piano dei contenuti della classificazione dobbiamo partire da alcune considerazioni sul senso che ha nella realtà attuale l'organizzare i documenti, in particolare i libri, all'interno di uno schema classificatorio e di proporre questa organizzazione agli utenti delle biblioteche o, più in generale, a tutti coloro che anche in rete vogliano usare gli strumenti messi a disposizione dalle biblioteche. A mio parere, nonostante l'apparente facilità di accesso alle informazioni, la continua crescita dei documenti pubblicati rende sempre più necessaria l'applicazione di uno strumento di Knowledge Organization (KO) per consentire efficaci processi di individuazione di tutto quanto di rilevante esista e sia disponibile in determinati ambiti disciplinari o su determinati argomenti. Le classificazioni disciplinari si sono dimostrate, in centocinquanta anni di storia, strumenti di KO solidi, ricchi di informazioni e comprensibili negli aspetti sostanziali, anche da chi non li conosce a fondo.
Nel nostro caso partiamo dall'accettazione del principio che rimanga utile organizzare i documenti, specie quelli pubblicati, in classi disciplinari gerarchiche, principio messo in discussione da chi ritiene che la ricerca dell'informazione attraverso algoritmi di information retrieval sia autosufficiente. In ogni caso, anche chi accetta questo principio non può dare per scontato che da ciò discenda automaticamente l'utilità per l'utente di una qualsiasi classificazione.
Visto che il problema fondamentale che le classificazioni possono aiutare a risolvere, oggi, è quello di fornire uno strumento di selezione utile a ridurre l'eccessiva numerosità ed eterogeneità degli insiemi di documenti che vengono proposti dai sistemi di information retrieval testuali, difficilmente potrà risultare utile uno schema classificatorio che in varie parti risulta generico e che offre un numero molto limitato di punti di accesso, come l'edizione ridotta della DDC. Questa edizione offre una quantità di classi, e soprattutto di voci dell'Indice relativo, assolutamente troppo ristretta per essere di reale aiuto sia per gli utenti sia per il bibliotecario di reference, quando il problema è quello di individuare la documentazione rilevante e solo quella riguardo un determinato settore.
Le modalità e i principi su cui basare la costruzione di una versione ridotta di una classificazione disciplinare come la DDC sono discussi ampiamente nel contributo di Rebecca Green e Joan Mitchell5, dove si spiega chiaramente che il processo di derivazione dovrebbe consentire, e in gran parte consente, di non perdere informazioni sugli argomenti delle classi non considerate, che vengono ad essere ricompresi nella classe di più basso livello mantenuta.
Questo però vale solo dal punto di vista teorico. Infatti, se mantenessimo nelle note o nell'indice relativo tutti i concetti compresi nelle classi eliminate, produrremmo note illeggibili e un indice relativo sproporzionato rispetto alle dimensioni delle tavole.
La necessità di mantenere in limiti contenuti le dimensioni della classificazione in edizioni ridotte, necessità che se non rispettata ne inficerebbe l'utilità, si trasforma in un'impossibilità pratica di estendere la classificazione con nuove classi per rappresentare molti nuovi ambiti disciplinari e settoriali. I nuovi argomenti spesso sono argomenti specifici che nella WebDewey, tranne poche eccezioni, sono aggiunti a livelli non previsti nell'edizione ridotta.
Questo porta a due conseguenze.
La prima è la difficoltà di inserire i concetti relativi nelle note e nell'Indice relativo senza appesantire i record dei numeri coinvolti con note contenenti termini caratterizzati da livelli di specificità molto diversi.
La seconda è che gli insiemi documentali che si vengono a creare perché indicizzati con la medesima notazione, pur essendo corretti da un punto di vista dell'astratta logica disciplinare-settoriale top-down, sono composti da documenti che un occhio non esperto nella DDC percepisce come eterogenei per argomenti o quanto meno per specificità.
Confrontiamo, per esempio, le note dello stesso numero nella WebDewey e nella 15a edizione ridotta (usiamo entrambe le opere in inglese perché la 15a edizione ridotta in italiano non esiste6).
Scegliamo un esempio trattato dal contributo di Green e Mitchell7:
23a edizione |
153.9 Intelligence and aptitudes Standard subdivisions are added for either or both topics in heading Class here intellect, intelligence levels, multiple intelligences Class emotional intelligence in 152.4 Class factors in differential and developmental psychology that affect intelligence and aptitudes in 155 |
15a edizione ridotta |
153.9 Intelligence and aptitudes Standard subdivisions are added for either or both topics in heading. Including intelligence tests; comprehensive works on testing and measurement of cognition, of conscious mental processes, of intelligence and personality; aptitude tests; vocational interest tests; superior intelligence Class here intellect, intelligence levels, multiple intelligences Class emotional intelligence in 152.4; class factors in differential and developmental psychology that affect intelligence and aptitudes in 155; class use of aptitude and vocational interest tests for academic prognosis and placement in 371.26; class comprehensive works on vocational interests in 158.6 For personality tests, see 155.2; for educational tests and measurements, see 371.26; for neuropsychological tests, see 616.8 |
Come si può facilmente vedere, pur in presenza di una classe che ha poche classi subordinate che dall'edizione integrale a quella ridotta sono state sussunte in quella superiore, le note di inclusione e di classificare altrove sono cresciute notevolmente. Nel caso di classi con alberi molto più estesi da sussumere queste note divengono impossibili da proporre.
Un ulteriore ostacolo che si frappone alla sussunzione di tutte o quasi tutte le informazioni lessicali presenti nei rami della DDC integrale non mantenuti nella edizione ridotta è la difficoltà riscontrata nell'utilizzo di procedimenti per la loro costruzione automatica quando si voglia procedere oltre un numero molto limitato di livelli subordinati, tipicamente uno solo8. Per non parlare di quelli presenti nelle voci dell'Indice relativo delle WebDewey collegate ai numeri subordinati, che spesso non sono comprese né nell'intestazione né nelle note.
Sicuramente il lavoro fatto per produrre la 15a edizione ridotta usando degli automatismi è molto interessante ma, per come viene presentato nello studio di Green e Mitchell9, non contribuisce a dissipare i dubbi sull'utilità dello sforzo compiuto rispetto alla scelta di strade alternative.
L'edizione ridotta è consigliata per collezioni con meno di 20.000 volumi10, dimensione che, se escludiamo i libri di narrativa di consumo, sicuramente comprende molte biblioteche civiche. Il problema è, però, che queste biblioteche raramente sono realtà isolate che producono e mettono in rete da sole il proprio catalogo. Nella maggior parte dei casi, queste biblioteche offrono le proprie informazioni bibliografiche attraverso cataloghi online gestiti da sistemi e consorzi, che comprendono, invece, centinaia di migliaia di registrazioni bibliografiche.
Le modalità d'accesso all'informazione degli utenti di queste biblioteche si sono, ormai, molto divaricate. Quando gli utenti scorrono gli scaffali trovano un indubbio vantaggio nel non dover interpretare collocazioni con notazioni DDC molto lunghe, ma quando cercano attraverso gli OPAC di sistema ottengono molte volte insiemi di documenti molto ampi ed eterogenei, all'interno dei quali non è facile individuare quelli relativi a specifiche aree.
Questa situazione in cui la rappresentazione catalografica di una collezione di dimensioni contenute avviene attraverso uno strumento collettivo, che ha come ambito di applicazione insiemi di centinaia di migliaia di volumi, non dovrebbe essere equiparata a quella di biblioteche isolate.
A nostro parere, è necessario trovare una soluzione che consenta alla singola biblioteca di piccole dimensioni, che usa l'impianto della DDC anche come schema per la collocazione, di non perdere i vantaggi offerti dalla brevità delle notazioni dell'edizione ridotta, ma di valorizzare il lavoro di indicizzazione, quando la ricerca avviene attraverso cataloghi elettronici o i discovery tool, che fanno riferimento a vaste collezioni anche collettive. In questi ultimi ambienti, gli indici semantici assegnati ai documenti non sono molto discriminanti e risultano spesso inutili (effetto Google: si guardano solo le prime dieci indicazioni).
Il terzo elemento da tenere in considerazione è il costo. L'edizione ridotta non è producibile immediatamente dalla WebDewey. Deve essere realizzata tenendo conto di quanto innovato nella WebDewey, ma è un prodotto autonomo.
I processi per produrre una nuova edizione ridotta possono essere due:
- aggiornare la 14a ridotta italiana, rivedendo tutte le classi sulla base dell'originale inglese della 15a edizione, della 23a edizione integrale e, soprattutto, della WebDewey italiana che dal 2012 ad oggi ha visto apportare degli imponenti aggiornamenti;
- procedere alla creazione di un programma analogo a quello utilizzato dalla redazione inglese per la produzione della 15a edizione ridotta inglese da applicare alla base dati della WebDewey italiana, per poi rivedere i risultati della generazione automatica alla luce della 14a edizione ridotta italiana e della 15a edizione ridotta inglese.
Oltre ad essere molto costosi, entrambi questi processi sono, in questo momento ma presumibilmente anche in un futuro prevedibile, organizzativamente ingestibili per la redazione della WebDewey italiana impegnata a perfezionare e aggiornare la WebDewey italiana e a implementare nuove funzioni del suo software. Sarebbe opportuno prevedere l'organizzazione di una nuova redazione che, prima di cominciare a lavorare, dovrebbe acquisire tutte le competenze relative alla base dati della WebDewey attualmente conseguite dalla redazione di questa. Nel caso della seconda opzione, l'editore dovrebbe anche trovare ingenti risorse finanziarie per sostenere i costi per i programmi necessari a gestire la generazione semiautomatica della riduzione.
Riguardo a questa seconda opzione, va notato che la strada percorsa per la produzione della 15a edizione inglese, per cercare di automatizzare il processo di creazione delle note di inclusione11 e dei termini dell'indice da mantenere, è risultata non solo complessa, ma anche non completamente risolutiva perché rimangono imponenti gli interventi manuali necessari per correggere tutti i casi di non perfetta adeguatezza di quanto prodotto alle necessità di un'edizione accettabile.
Le considerazioni iniziali, che avevano spinto il curatore della DDC a intraprendere lo studio di regole che consentissero la produzione dell'edizione ridotta in modo flessibile ed economico, rimangono senz'altro vere12, ma il lavoro e il tempo che poi sono stati effettivamente necessari per produrre la 15a edizione ridotta in inglese, che peraltro ha un basso indice di utilizzo13, hanno infatti convinto i responsabili del progetto che la stessa sarà l'ultima edizione ridotta inglese della DDC.
Un altro aspetto di cui si deve tener conto per prendere una decisione per la 15a edizione ridotta italiana è che la realizzazione della stessa non può essere fatta all'interno dello stesso software che gestisce la produzione della WebDewey, risultando le classi della prima incompatibili con quelle della seconda. È necessario creare una copia del software gestionale che dovrà essere sempre aggiornata manualmente per seguire i cambiamenti della WebDewey integrale.
Ulteriore complicazione riguarda il database per l'utilizzo delle WebDewey ridotta da parte degli utenti. Andrebbe riprogettato, visti i vincoli diversi nella gestione di intervalli e numeri costruiti, operazione in cui non si è impegnata nemmeno OCLC per la versione in inglese. Infatti, la 15a edizione viene distribuita elettronicamente solo sotto forma di file PDF, anche all'interno degli abbonamenti alla WebDewey integrale, mentre non è disponibile sotto forma di un database ricercabile e navigabile. Anche il costo di un'eventuale edizione a stampa risulta proibitivo. Si tratterebbe di stampare almeno cinquecento copie senza garanzie di venderle, obbligando l'editore a praticare un prezzo molto più elevato di quello che viene ora chiesto per l'accesso per ogni biblioteca alla WebDewey.
Questi elementi fanno propendere per ipotizzare un rimando sine die ad un'eventuale edizione ridotta. Questa decisione avrebbe come conseguenza che tutte le biblioteche e i sistemi bibliotecari che usano la 14a edizione ridotta, o le edizioni precedenti, dovrebbero continuare a usare schemi classificatori sempre più obsoleti e non utili per realizzare i compiti che oggi le biblioteche debbono affidare alla classificazione.
Per fortuna questo può essere evitato.
L'adozione della WebDewey, nella sua estensione completa, può facilmente consentire alle biblioteche civiche e ai loro sistemi di passare a utilizzare uno strumento molto più completo e aggiornato per quanto concerne l'utilizzo dei numeri DDC come indici classificatori, mentre i numeri segmentati, molto più corti, possono essere usati al fine della collocazione specie nelle biblioteche di piccole dimensioni.
Infatti, la stragrande maggioranza delle notazioni della WebDewey offre immediatamente l'indicazione del punto di segmentazione attraverso una barra verticale che separa il numero in due parti: quella a sinistra che può essere usata da sola e quella a destra che può essere omessa senza produrre incoerenze.
Una minoranza delle notazioni è priva di questa indicazione. Si tratta di notazioni che devono essere usate integralmente (perciò nella maggioranza dei casi notazioni che anche nell'edizione ridotta non sarebbero più corte), oppure che possono essere segmentate utilizzando come modello un numero con segmentazione esplicita che viene visualizzato ad un livello più alto della gerarchia, oppure ancora che possono essere segmentate sulla base di una nota di segmentazione data nel numero stesso, o in un numero o intervallo sovraordinato.
Un altro elemento che dovrebbe spingere le biblioteche civiche ad adottare questa strategia è la probabile introduzione nei prossimi anni di uno strumento che consentirà agli utenti di cercare su tutta la WebDewey - intestazioni, voci di indice e note - per poi eseguire ricerche con i numeri prescelti sugli OPAC delle istituzioni abbonate.
Questo strumento ha senso solo se applicato ad una base conoscitiva ricca e continuamente aggiornata come la WebDewey - 60.000 classi e 110.000 voci di indice - mentre sarebbe praticamente inutile se utilizzato per cercare sui pochi elementi lessicali dell'edizione ridotta.
L'insieme di questi elementi fa sì che sia ragionevole ipotizzare che il rimando nella produzione della 15a edizione ridotta in italiano in realtà segni la sua definitiva scomparsa, mentre dovrebbe consigliare tutti i sistemi bibliotecari che la usano per l'indicizzazione del materiale documentario a fare la scelta di passare alla WebDewey, usando la segmentazione per produrre notazioni abbreviate da impiegare come collocazione per le biblioteche più piccole.
Ultima consultazione siti web: 24 ottobre 2016.
[1] A parte le traduzioni parziali di fine Ottocento, nel catalogo della BNCF si trova un primo documento in italiano con autore Melvil Dewey e titolato Dewey classificazione decimale con data dubbia del 1962.
[2] La classificazione in BNI, a cura di Marta Ricci, Maria Chiara Giunti. Biblioteca nazionale centrale di Firenze, 2010, http://www.bncf.firenze.sbn.it/documenti/ClassificazioneinBNI.pdf.
[3] I cosiddetti Schemi BNI o Tavolette. Si veda Maria Chiara Giunti, In SBN con Dewey: il catalogo classificato del Polo della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, «Bollettino AIB», 41 (2001), n. 1, p. 31-46, http://www.aib.it/aib/boll/2001/01-1-031.htm.
[4] La prima edizione ridotta fu pubblicata dallo stesso Melvil Dewey già nel 1894. Sull'evoluzione si veda Biblioteconomia: guida classificata, diretta da Mauro Guerrini, condirettore Gianfranco Crupi, a cura di Stefano Gambari, collaborazione di Vincenzo Fugaldi, presentazione di Luigi Crocetti. Milano: Bibliografica, 2007, p. 598.
[5] Rebecca Green; Joan S. Mitchell, Computer-assisted abridgment of a classification scheme. In: Facets of Knowledge Organization. Proceedings of the ISKO UK Second Biennial Conference, 4th-5th July, 2011, London, edited by Alan Gilchrist, Judi Vernau. Bingley (UK): Emerald, 2012.
[6] Nella WebDewey in italiano la classe 153.9 appare così:
Non esistendo la traduzione della 15aedizione ridotta in italiano, qui sotto diamo una possibile traduzione basata sulle scelte lessicale della WebDewey.
[7] R. Green; J.S. Mitchell, Computer-assisted abridgment of a classification scheme cit.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
[11] Joan S. Mitchell; Rebecca Green, Rethinking the abridged edition. EPC Exhibit 131-36.1. Paper presented at Meeting 131 of the Decimal Classification Editorial Policy Committee (EPC). Dublin (Ohio), 10-12 June 2009.
[12] Ibidem.
[13] Online Computer Library Center, Dewey Decimal Classification (DDC) print study 2014, http://www.oclc.org/content/dam/oclc/dewey/ddc-executive-summary.pdf.
[1] Biblioteconomia: guida classificata, diretta da Mauro Guerrini, condirettore Gianfranco Crupi, a cura di Stefano Gambari, collaborazione di Vincenzo Fugaldi, presentazione di Luigi Crocetti. Milano: Bibliografica, 2007.
[2] Dewey Melvil, Dewey classificazione decimale. S. l.: s. n., 1962.
[3] Dewey Melvil, Classificazione decimale Dewey ridotta, 11a ed., a cura di Benjamin A. Custer, ed. italiana diretta da Luigi Crocetti. Roma: Associazione italiana biblioteche, 1987.
[4] Dewey Melvil, Classificazione decimale Dewey, ideata da Melvil Dewey, 20a ed., ed. italiana diretta da Luigi Crocetti, con la collaborazione di Daniele Danesi. Roma: Associazione italiana biblioteche, 1993.
[5] Dewey Melvil, Classificazione decimale Dewey ridotta, ideata da Melvil Dewey, 12a ed., ed. italiana a cura di Daniele Danesi. Roma: Associazione italiana biblioteche, 1995.
[6] Dewey Melvil, Classificazione decimale Dewey, ideata da Melvil Dewey, 21a ed., ed. italiana a cura del Gruppo di lavoro della Bibliografia nazionale italiana, con la consulenza di Luigi Crocetti. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2000.
[7] Dewey Melvil, Classificazione decimale Dewey ridotta e indice relativo, ideata da Melvil Dewey, 14a ed., ed. italiana a cura della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, curatori Silvia Alessandri, Albarosa Fagiolini, con la consulenza di Luigi Crocetti. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2006.
[8] Dewey Melvil, Classificazione decimale Dewey e indice relativo, ideata da Melvil Dewey, 22a ed., ed. italiana a cura della Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2009.
[9] Dewey Melvil, Abridged Dewey decimal classification and relative index, devised by Melvil Dewey, 15a ed., edited by Joan S. Mitchell [et al.]. Dublin (Ohio): Online Computer Library Center, 2012.
[10] Giunti Maria Chiara, In SBN con Dewey: il catalogo classificato del Polo della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, «Bollettino AIB», 41 (2001), n. 1, p. 31-46.
11] Mitchell Joan S.; Green Rebecca, Rethinking the abridged edition. EPC Exhibit 131-36.1. Paper presented at Meeting 131 of the Decimal Classification Editorial Policy Committee (EPC). Dublin (Ohio), 10-12 June 2009.
[12] Green Rebecca; Mitchell Joan S., Computer-assisted abridgment of a classification scheme. In: Facets of Knowledge Organization. Proceedings of the ISKO UK Second Biennial Conference, 4th-5th July, 2011, London, edited by Alan Gilchrist, Judi Vernau. Bingley (UK): Emerald, 2012.
[13] La classificazione in BNI, a cura di Marta Ricci, Maria Chiara Giunti. Biblioteca nazionale centrale di Firenze, 2010, http://www.bncf.firenze.sbn.it/documenti/ClassificazioneinBNI.pdf.