Per un sistema bibliotecario nazionale:
le biblioteche nei lavori della Commissione Franceschini

di Mauro Guerrini e Tiziana Stagi

La costituzione della Commissione

Per la salvezza dei beni culturali in Italia è il titolo degli atti della Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, nota come Commissione Franceschini, dal nome del presidente Francesco Franceschini, parlamentare veneto della Democrazia cristiana. La Commissione fu istituita con la legge 26 aprile 1964 , n. 3101, e avviò i lavori nel novembre successivo, con la nomina dei membri: sedici parlamentari e undici esperti delle discipline coinvolte. La cerimonia d'insediamento si tenne a Roma l'11 novembre 1964. I parlamentari appartenevano in maggioranza alla Democrazia cristiana (DC) e ai partiti di area socialista, allora al Governo con Aldo Moro, ma era garantita un'ampia rappresentanza del Partito comunista (PCI), all'opposizione2. Tra i membri esperti, in genere chiamati al coordinamento degli otto Gruppi di studio che la Commissione costituì al proprio interno per lo svolgimento dell'attività di indagine nei diversi settori, figuravano: l'architetto e urbanista Giovanni Astengo, coordinatore, con Alfredo Barbacci (architetto, ingegnere e soprintendente) del III Gruppo di studio per i monumenti, centri storici, urbanistica e architettura contemporanea; i giuristi Feliciano Benvenuti, Eugenio Cannada Bartoli e Massimo Severo Giannini, coordinatori dell'VIII Gruppo per la revisione delle norme di tutela; Augusto Campana, bibliotecario e docente universitario, coordinatore del Gruppo V relativo alle biblioteche e archivi, valendosi della collaborazione dei due ispettori generali Francesco Barberi e Renzo Frattarolo; l'archeologa e soprintendente Bruna Forlati Tamaro, coordinatrice del Gruppo IV musei e collezioni; Ettore Onorato, docente di mineralogia, coordinatore del Gruppo VI dedicato agli strumenti e organismi scientifici per la tutela; l'archeologo Massimo Pallottino, coordinatore del Gruppo I archeologia; infine Carlo Ludovico Ragghianti, critico e storico dell'arte, coordinatore, con l'onorevole Maier, del Gruppo VII formazione del personale; strutture e ordinamenti amministrativi3.
Le indagini condotte dagli otto gruppi di studio avevano lo scopo di accertare le condizioni conservative e di gestione delle diverse categorie di bene culturale e si protrassero per quasi due anni, concludendosi con la stesura di relazioni specifiche, pubblicate nel primo volume degli Atti, insieme a buona parte dell'enorme e variegata documentazione raccolta.
I lavori della Commissione Franceschini rappresentano una fonte importante per conoscere lo status delle biblioteche italiane a metà degli anni Sessanta del secolo scorso e la riflessione sui compiti delle biblioteche nell'ambito del sistema della cultura.

Le raccolte bibliografiche come bene culturale

Alla luce dei risultati dei diversi settori e delle proposte che accompagnarono le relazioni dei gruppi, la Commissione avanzò alcune proposte in merito alla revisione delle leggi per la tutela e la valorizzazione e per la riorganizzazione dell'amministrazione dei beni culturali e pubblicò 84 Dichiarazioni, una summa della riflessione teorica sulla tematica dei beni culturali4. La più nota fu l'introduzione di un nuovo concetto di 'bene culturale', che non veniva più identificato con gli oggetti di pregio e valore artistico, ma era ricondotto alla nozione di testimonianza della storia materiale di una civiltà. Secondo questo approccio, anche i libri e i documenti archivistici rientravano tra i beni culturali.
Nel mondo bibliotecario le proposte della Commissione, e in particolare l'inclusione delle raccolte bibliografiche tra i beni culturali, furono accolte con freddezza, se non con ostilità, nella convinzione che si fondassero su un'idea pregiudiziale di biblioteca, le cui molteplici funzioni venivano ridotte a quella conservativa, e su un'inadeguata riflessione sulle sue specificità in confronto alle altre istituzioni culturali5. Angela Vinay, intervenendo al 17° Congresso AIB di Fiuggi del 14-18 maggio 1967 con una relazione dedicata alla Commissione Franceschini, si soffermò in particolare sulle conseguenze negative che la proposta avanzata dalla Commissione di costituzione di un'amministrazione autonoma dei beni culturali avrebbe potuto avere per la natura di servizio pubblico delle biblioteche. Queste considerazioni negative rimasero a lungo associate all'esperienza della Commissione Franceschini all'interno del mondo professionale italiano anche in ragione della difficile battaglia che i bibliotecari e la loro Associazione stavano portando avanti in quel periodo per l'ammodernamento delle biblioteche pubbliche e la loro trasformazione da istituti per la ricerca storica ed erudita locale a centri di più generali servizi informativi.
Emanuele Casamassima si distinse per intelligenza e visione complessiva dei problemi considerando, invece, positivo il riconoscimento perché poneva la catalogazione al centro delle attività dei bibliotecari; egli, infatti, riteneva che una ragione fondamentale delle inefficienze nel servizio delle biblioteche italiane fosse l'insufficiente cognizione del patrimonio da conservare; più in generale, egli considerava che il lavoro della Commissione Franceschini avrebbe favorito l'affermazione di alcuni principi fondamentali per il sistema della conservazione in Italia6.
L'opinione avversa di Angela Vinay (e di altri eminenti bibliotecari) alle decisioni della Commissione ha condizionato per decenni la reputazione del dibattito sul mondo bibliotecario italiano; i lavori della Commissione, all'opposto, hanno rappresentato un momento importante di riflessione per aver offerto un contesto unitario e non rivolto solo ai professionisti, in cui sono stati affrontati i temi e i problemi delle biblioteche italiane. Da quando il lavoro della Commissione è divenuto oggetto di studi nella storia delle biblioteche sono stati riconsiderati il valore e l'attualità di alcune proposte: l'estensione del concetto di bene culturale al libro, la rivendicazione della dimensione scientifica dei bibliotecari rispetto a quella burocratica (il bibliotecario è un professionista e non un impiegato), l'idea di un'amministrazione autonoma non ministeriale alla base dell'organizzazione7.

Le riflessioni e le proposte della Commissione

All'interno del Gruppo per gli archivi e le biblioteche intervennero – tramite elaborati scritti o nell'ambito di incontri diretti – «docenti di biblioteconomia e archivistica nelle università italiane, tutti i direttori di archivi di Stato e di biblioteche statali, e tutti i soprintendenti bibliografici». In un incontro presieduto da Franceschini si svolse una fitta discussione incentrata su uno schema di lavoro proposto da Campana sulle principali questioni del mondo bibliotecario italiano8. Con l'ausilio di una cospicua documentazione, di numerose consultazioni e la raccolta di varie esperienze personali, si giunse alla stesura di «relazioni informative, prima discusse nell'ambito dei singoli Gruppi ed approvate poi dalla Commissione in sedute plenarie»9. Quella sui libri e le biblioteche si trova nella parte I della relazione La tutela e la valorizzazione dei beni librari e dei beni archivistici; in essa, dopo un'ampia introduzione dedicata alla questione, più teorica, dell'inclusione dei beni librari e archivistici nel concetto di bene culturale, si segnalano le «più gravi carenze» e i «più importanti problemi aperti», oltre alle «necessità più urgenti» su un piano generale e su alcune questioni specifiche10. La trattazione offre uno sguardo d'insieme sulla condizione dei beni librari e archivistici in Italia nel loro «organizzarsi in raccolte» pubbliche e private; la considerazione della specifica appartenenza amministrativa per l'articolazione del discorso costituisce, inoltre, più uno strumento tassonomico che un reale punto di partenza.
L'indagine si sofferma preliminarmente sull'organizzazione statale («le strutture generali») in materia di biblioteche e «dei beni librari della nazione», rimarcando come – dopo la costituzione del Ministero della pubblica istruzione (MPI) – fossero trascorsi decenni prima di giungere a una completa definizione «degli organi amministrativi centrali e periferici e di quelli consultivi» e alla precisazione dei loro compiti e delle attribuzioni: ossia, una Direzione generale per le accademie e biblioteche presso il MPI nel 1926, le diciotto Soprintendenze bibliografiche nel 1919, e il Consiglio superiore delle accademie e biblioteche, l'organo tecnico-scientifico di natura consultiva del Ministero formalizzato soltanto nel 194711. Pur riconoscendo i meriti e i risultati dell'organizzazione amministrativa così lentamente configurata in una fase storica dell'azione statale definita «pioneristica», se ne rilevava l'inadeguatezza rispetto alle necessità e ai compiti di un ambito – quello bibliografico, degli alti studi e dell'informazione profondamente – mutato nel secondo dopoguerra. Per la Direzione generale si suggeriva l'urgenza del superamento della «connessione ibrida e innaturale» con le accademie, che si basava su criteri meramente empirici; ciò determinava una paralisi delle attività del corrispondente organo consultivo ministeriale. Le maggiori criticità erano state rilevate per gli organi periferici: le soprintendenze bibliografiche. Nella fase istruttoria era stato soprattutto Francesco Barberi, per oltre dieci anni soprintendente in Puglia e che sull'argomento era intervenuto più volte12, a proporre al gruppo di studio una riconsiderazione complessiva delle funzioni delle soprintendenze che, già impari ad assolvere compiti di tutela e conservazione, erano inottemperanti sul fronte della promozione della lettura e del coordinamento degli acquisti necessari per le biblioteche non statali, in prima linea a dover rispondere alle esigenze di una società in profondo cambiamento da vari punti di vista, compreso quello delle istituzioni scolastiche: basti pensare alla riforma della scuola media che istituiva l'obbligo scolastico fino ai 14 anni. Barberi proponeva che le funzioni della tutela e della «diffusione della cultura» venissero separate e assegnate a due diverse istituzioni. Nella relazione generale sull'indagine si rilevava, inoltre, la necessità di «una revisione organica delle circoscrizioni» territoriali considerato che nella maggioranza dei casi erano «corrispondenti alle regioni tradizionali, ma non senza eccezioni vistose», con il Veneto, l'Emilia e la Sicilia che ne avevano due di contro ad altre che si trovavano a operare su due diverse regioni13.
Tra le criticità considerate dal gruppo di studio vi fu quella relativa agli edifici sedi di biblioteca, nella maggioranza dei casi palazzi storici, di pregio, ma con grandi problemi conservativi e con la mancanza di spazi idonei e sufficienti per i depositi librari. Si rilevò, inoltre, il numero esiguo di edifici nuovi costruiti appositamente per ospitare le istituzioni più grandi e importanti oppure come nei casi di recenti realizzazioni, come quello per la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, avessero prevalso le esigenze estetiche e di monumentalità rispetto a quelle funzionali. Oltre Casamassima, sul tema intervenne in modo ampio e documentato Guglielmo Manfré, direttore della Biblioteca universitaria di Bologna, durante l'incontro dell'ottobre 1965. La questione principale era la mancanza di piani di sviluppo e di una normativa che impegnasse il MPI alla «costruzione, ampliamento e adeguamento degli edifici delle biblioteche» su tutto il territorio. Egli rilevò come quello degli edifici fosse «un punto del tutto trascurato nel bilancio del Ministero della pubblica istruzione per la parte relativa alle biblioteche», se non addirittura inesistente. Nel piano scuola 1965-1970 «non una lira vi è infatti stanziata per la costruzione, l'ampliamento o l'adeguamento degli edifici delle biblioteche». Egli citò come esempi in negativo di interventi edilizi ministeriali il progetto della Nazionale di Roma e dell'Universitaria di Torino, appena avviati, mentre soltanto quattro erano le realizzazioni statali dall'inizio del Novecento: l'Universitaria di Padova (tra il 1905 e il 1913), la Nazionale di Firenze (1911-1935), l'Alessandrina di Roma (1935) e l'Universitaria di Messina (1912)14.
L'indagine dedicò largo spazio alla tutela del patrimonio librario, per la cui attuazione furono considerati strumenti indispensabili inventari, cataloghi e indici. Restava aperta la questione del «pluralismo dei cataloghi», causata da una varietà di forme – cataloghi a volume, cataloghi a schede – nonché dalla distinzione di tipologie di materiale, di fondi speciali, di sezioni di raccolte e, talvolta, paradossalmente, perfino dai progressi compiuti sulla strada della «uniformità e razionalizzazione», come per esempio, l'introduzione di nuovi supporti o l'adozione di nuove regole. La Commissione sollecitava il sostegno del Centro nazionale per il catalogo unico, istituito nel 1951, per assicurare un'organizzazione più efficiente e spedita nella produzione di strumenti bibliografici nazionali, con l'adozione di tecnologie moderne (come appariva la fotoriproduzione), che costituivano l'unica risorsa per tentare di raggiungere «la bonifica, l'unificazione e l'integrazione dei cataloghi di tutte le biblioteche italiane»15. Grandi ritardi erano riscontrati nella catalogazione dei manoscritti e dei libri antichi, come esemplificato dall'esperienza delle due serie di Indici e cataloghi che dimostrava le incertezze, i limiti e l'esiguità dell'intervento dello Stato. Occorreva superare la questione oziosa della «distinzione dei compiti delle biblioteche dello Stato e di quelle più o meno periferiche» e «uscire dalla fase occasionale ed episodica» per promuovere un programma nazionale «di catalogazione scientifica di tutto il materiale speciale o prezioso», a partire da quei fondi ancora non catalogati o con cataloghi incompleti. Se le biblioteche statali avessero mantenuto la loro funzione di pilota, grazie al ripristino del ruolo speciale del bibliotecario conservatore di manoscritti, per la realizzazione di questi strumenti occorreva coinvolgere l'intera rete delle biblioteche, da dotare di personale adeguatamente competente. Si delineava, in nuce, l'idea di un sistema bibliotecario costituito da tutte le biblioteche italiane, non solo da quelle dello Stato. Identica lungimiranza fu mostrata dalla Commissione nella richiesta di una riflessione sulle norme catalografiche adottate in Italia: l'esperienza della Bibliothèque nationale de France e di alcune biblioteche statunitensi dimostrava la necessità di orientarsi verso un «sistema più rapido e agile di inventari sommari» piuttosto che perseguire la «descrizione scientifica, analitica e approfondita».
Osservazioni molto circostanziate sono avanzate anche sul restauro librario. Dopo aver rilevato l'esistenza di pochi laboratori di restauro, situati principalmente presso biblioteche monastiche, si affermava l'urgenza di creare un'articolata rete di officine per gli interventi sulle collezioni, demandando all'Istituto di patologia del libro la funzione di «istituto pilota, unico per l'apprendimento della tecnica e per le ricerche scientifiche». Una pari, preoccupante arretratezza venne rilevata nelle pratiche di restauro librario per quanto atteneva gli standard e protocolli, tanto che fu sollecitata l'adozione di una Carta del restauro riservata ai beni librari da elaborare da parte degli organi tecnici del MPI, riconoscendo il notevole ritardo di questo settore rispetto ad altri comparti nei quali la Carta era stata elaborata sin dagli anni Trenta16. Si tratta di rilievi preziosi che precedettero di poco il dramma dell'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, anticipando questioni riconosciute come principali nella loro urgenza solo dopo l'emergenza e che, com'è noto, comportò la ricerca di soluzioni pionieristiche dal punto di vista tecnico e organizzativo.
Merita una specifica menzione la riforma del deposito obbligatorio degli stampati, la sola problematica a essere inclusa tra le Dichiarazioni finali, a testimonianza dell'importanza attribuita dalla Commissione a una questione ritenuta una precondizione determinante per la realizzazione in termini moderni dei servizi bibliografici nazionali. Il tema era stato ampiamente discusso nei lavori del gruppo di studio, il quale aveva sottolineato l'inadeguatezza delle disposizioni vigenti, senza però riuscire a elaborare una proposta. La discussione si era arenata su posizioni discordi e nelle conclusioni si riconosceva che vi «erano in corso studi e trattative per una nuova regolamentazione della materia, da parte di una speciale Commissione» tecnica istituita presso il Ministero; pareva sufficiente «avere accennato solo in via generale alla situazione di questo importante servizio». Nonostante ciò, la Commissione Franceschini decise di inserire tra le Dichiarazioni una specifica riguardante l'obbligo di consegna alle biblioteche «degli stampati e le impressioni ottenuti con mezzi fisici o chimici, comprese le riproduzioni anastatiche».

Il sistema bibliotecario italiano

La Commissione richiamava, soprattutto, l'attenzione sulla mancanza di un sistema bibliotecario nazionale e sull'urgenza per lo Stato di provvedere a un «assetto organico e uniforme determinato per legge» delle biblioteche, a cominciare da quelle comunali e provinciali. Si ribadiva altresì che tale obbligo traeva origine «dai suoi doveri di tutela del patrimonio culturale nazionale». In realtà, si trattava di razionalizzare e dare attuazione a norme già esistenti adeguandole alle esigenze e ai tempi, come più volte sollecitato in numerose sedute del Consiglio superiore delle accademie e delle biblioteche, i cui pareri vennero acquisiti dalla Commissione17. Si suggerì l'adozione di «una legge semplice e chiara su alcuni punti fondamentali e un regolamento tipo» sul modello di quello dei musei. In questo quadro normativo doveva prevedersi anche una soluzione alle esigenze finanziarie e del personale delle biblioteche appartenenti agli enti locali, necessità che l'indagine aveva fatto emergere in tutta la loro urgenza, gravità e diffusione. Si trattava in particolare della necessità di previsione per le amministrazioni locali di ampi e solidi «erogazioni di bilancio e ruoli organici del personale in rapporto alle effettive esigenze, del divieto di operare gli stralci di bilancio relativamente a queste voci, e corrispondentemente dell'obbligo per gli organi di tutela amministrativa di approvare senza diminuzione tali erogazioni». Si chiedeva, altresì, di considerare in modo corretto lo «stato giuridico e la qualificazione del personale stesso e il divieto di distaccarlo, anche temporaneamente ad altri uffici», nonché la trasparenza sulle «modalità di espletamento dei concorsi»18. Nella relazione si recepivano esplicitamente così gli argomenti che erano stati oggetto di discussione parlamentare nello stesso periodo19. Venivano, altrettanto chiaramente, accolte le istanze più volte sostenute dalla Associazione delle biblioteche italiane (AIB) sin dal Congresso di Cesena del 1954, che condussero alla costituzione di un'apposita documentazione di studio e all'emanazione dieci anni più tardi di un documento programmatico di straordinaria importanza, La biblioteca pubblica in Italia, che definì le linee guida per lo sviluppo del servizio20. Vennero, infine, fatte proprie dalla Commissione anche le politiche dell'IFLA in tema di servizi informativi di comunità e di biblioteche pubbliche, ancora, drammaticamente, lontane dall'essere attuate in Italia.
Se le biblioteche di ente locale rappresentavano per la Commissione il futuro sul fronte della pubblica lettura, quelle delle università, degli istituti pubblici e dei centri ricerca lo erano per le esigenze di aggiornamento degli studi e dell'alta cultura; quest'ultime potevano progressivamente sostituire alcuni compiti tradizionali delle biblioteche dello Stato, per le quali la Commissione rilevava la tendenza ad accentuare il loro originario e fondamentale carattere storico-umanistico. Occorreva una «riduzione realistica» dei compiti delle «vecchie biblioteche» dello Stato e la loro redistribuzione a istituti preposti per seguire «gli sviluppi del sapere scientifico specializzato», come non erano più in grado di fare «le biblioteche di carattere generale»21.

La denuncia di Emanuele Casamassima sui ritardi della Nazionale fiorentina

Fra i documenti pubblicati nella sezione Problemi delle biblioteche nel volume II spicca la relazione sulle condizioni della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, redatta dal direttore Casamassima22. Dopo la premessa in cui si richiama la posizione di preminenza della BNCF, «la maggiore biblioteca italiana» per la tradizione di lavoro di prim'ordine, per le attività bibliografiche di livello nazionale garantite, per le raccolte illustri conservate, si stigmatizzava come «ad una società in intensa, sebbene disordinata, evoluzione, a istanze culturali e scientifiche moltiplicate, la nazionale offre ancora, e non più intatti, i mezzi e l'organizzazione di circa 30 anni or sono». Ciò, rimarcava Casamassima, era avvenuto «a detrimento dei compiti istituzionali della Biblioteca», «compiti secondari, o addirittura estranei a una biblioteca nazionale»23. I risultati dell'esame impietoso della situazione della BNCF vennero quindi esposti partendo dai tre aspetti principali: edificio, personale e mezzi finanziari. Il quadro tracciato era desolante, tanto da assumere i toni della denuncia, una denuncia che assunse nel contesto dell'indagine della Commissione Franceschini un valore paradigmatico della situazione nazionale. Non c'era settore o attività della Nazionale di Firenze in cui non si potessero riscontrare segnali di decadenza; altrettanto grave era la crisi che caratterizzava le altre biblioteche italiane, nell'assenza di un sistema bibliotecario nazionale. Casamassima contestò, innanzitutto, la difficoltà delle biblioteche italiane di stare al passo con le esigenze della ricerca scientifica e in particolare di produrre strumenti bibliografici e catalografici, richiamando un tema riproposto in passato più volte da Giorgio Pasquali in contributi che furono acquisiti tra i materiali della Commissione24. L'affermazione del filologo – «di biblioteche l'Italia ne ha troppe e troppo poche» del 1929 – poteva ancora a suo parere essere assunta quale rappresentazione efficace del tratto fondamentale delle biblioteche italiane: «La grande, insigne ricchezza delle raccolte» e allo stesso tempo «la mancanza di un coerente sistema bibliotecario, di una razionale e adeguata distribuzione delle fonti della cultura». Pur riconoscendo nelle «ricchezze bibliografiche senza pari accumulate nel passato», un elemento distintivo della maggiore biblioteca italiana che – insieme alla tradizione di lavoro di qualità e alle caratteristiche umane e tecniche del personale – le avevano consentito di mantenere una posizione di rilievo nel mondo bibliografico mondiale, Casamassima denunciò l'inarrestabile deterioramento di questi ricchissimi materiali librari per l'usura «ognora crescente» dovuta alla pressione di istanze improprie di una biblioteca nazionale. La mancanza di biblioteche comunali spingeva, soprattutto dal secondo dopoguerra, un'utenza sempre più numerosa e variegata sulle istituzioni con maggiori risorse bibliografiche, il cui scopo primario non era, però, svolgere funzioni di pubblica lettura di base. Inoltre, gli scarsi mezzi finanziari avevano impedito il costante aggiornamento delle raccolte che, se aggiunto all'usura, stava determinando un danno irreversibile. Il ritardo in servizi quali l'acquisto di nuovi libri e la valorizzazione delle raccolte antiche e prestigiose era derivato da una sorta di offuscamento del concetto di biblioteca nazionale, che rendeva necessario il ripristino dei suoi compiti istituzionali: «offrire i mezzi e gli strumenti alla ricerca scientifica; svolgere compiti di bibliografia e documentazione; costituire l'archivio della tradizione culturale e in specie della letteratura nazionale; rappresentare compiutamente la produzione straniera». Casamassima ribadiva che l'altra condizione per la ripresa della BNCF era l'adozione di «un piano di riorganizzazione, di rinnovamento delle strutture, di ampio respiro», nonché la realizzazione di un sistema bibliotecario di livello nazionale. Egli riteneva, inoltre, rilevanti alcune riforme, quali la creazione di un razionale servizio di prestito, basato su un coerente sistema di biblioteche «rispondente ai tempi», e la divisione dei compiti nella programmazione degli acquisti tra le varie biblioteche, a cominciare da una più stretta collaborazione tra le Nazionali di Firenze e Roma. Casamassima riteneva, ancora, che non fosse sufficiente procedere all'incremento quantitativo di biblioteche «destinate alla lettura popolare» e al parallelo potenziamento degli istituti destinati alla ricerca e all'alta cultura, come sembrava suggerire, per esempio, la riflessione di Pasquali. I cambiamenti avvenuti nella società italiana del Dopoguerra rendevano palese l'inadeguatezza del modello basato sul dualismo: biblioteca di ricerca vs. biblioteca popolare. Casamassima suggerì, al contrario, un'organizzazione più articolata del desiderato sistema bibliotecario nazionale, con una precisa suddivisione di compiti tra le biblioteche e un coordinamento territoriale tra le istituzioni di diversa appartenenza amministrativa, come avveniva in Germania. I sistemi regionali avrebbero avuto quale riferimento comune un organismo complesso basato sulla cooperazione tra le due nazionali centrali. La situazione fiorentina era paradigmatica dell'inesistenza di forme di collaborazione tra biblioteche appartenenti alla stessa istituzione o di diversa appartenenza amministrativa che doveva essere superata nella ricerca di un servizio bibliotecario soddisfacente per la ricerca, lo studio, l'informazione e la pubblica lettura. Nessun accordo formale o programma operativo esisteva, infatti, fra la BNCF e le altre biblioteche statali fiorentine per l'incremento delle raccolte o la loro fruizione; né fra la BNCF e il Gabinetto di lettura fondato da Giovan Pietro Vieusseux o con la costellazione di prestigiosi istituti culturali cittadini del mondo degli studi e della ricerca, quale l'Istituto degli studi per il Rinascimento, rispetto ai quali, anzi, la Nazionale subiva le specifiche esigenze. Per stimolare la riflessione sul tema dell'auspicato sistema bibliotecario nazionale all'interno della Commissione, Casamassima cita il documento che il Wissenschaftsrat tedesco aveva pubblicato l'anno precedente, a parer suo utile sia come strumento per l'analisi del contesto italiano, sia per le sintetiche raccomandazioni finali. Il progetto stimolò Casamassima a impegnarsi per organizzare anche in Italia un efficace sistema bibliotecario nazionale. La Germania ai suoi occhi costituiva una realtà nella quale le biblioteche rappresentavano ciò che dovevano essere: un «organismo vivo ed operante nella struttura della società moderna».
Com'è noto, nonostante questi rilievi, Casamassima, nella sua relazione per Franceschini, mise in guardia da possibili facili rimedi o soluzioni, quale per esempio «il solo, improvviso aumento dei mezzi finanziari», ritenendo che si sarebbe tradotto in «un'ulteriore causa di affaticamento e di disordine, provocando un aggravarsi della crisi». Bisognava invece, pensare, proprio sull'esempio tedesco, a un aumento pluriennale dei mezzi finanziari proporzionato e graduale. Allo stesso modo a questi provvedimenti finanziari doveva accompagnarsi un incremento numerico del personale, anch'esso ripartito in più anni, preludio di un maggior equilibrio tra attività gestionali e più specificatamente tecniche; soprattutto era necessario il riscatto dei bibliotecari da quella routine che caratterizzava sempre più la quotidianità del lavoro in biblioteca. Per Casamassima l'inclusione dei libri, dei documenti d'archivio e di qualsiasi prodotto di attività grafica tra i beni culturali proposta dalla Commissione attribuiva una preminenza per i bibliotecari all'attività conoscitiva, scientifica, d'inventariazione e di catalogazione rispetto all'istanza amministrativa e burocratica di gestione, riconoscendo così un primato alla scienza e alla tecnica bibliografica.
L'appello a una maggiore e adeguata considerazione della professionalità e del ruolo sociale e culturale dei bibliotecari non poteva che trovare un terreno fertile all'interno della Commissione, che volle includere negli Atti il contributo di Luigi de Gregori, Il bibliotecario, ideale premessa alla sezione dedicata a Documenti e libri, fonti della cultura. Le parole conclusive di quel contributo scritto all'indomani della seconda guerra mondiale risultavano dopo vent'anni tristemente attuali:

Assai fosco si presenta oggi l'avvenire delle nostre biblioteche [...] ai giovani bibliotecari d'oggi è affidata la sorte di questi ancora invidiabili e preziosi istituti [...]. Le curino, le difendano, le amino sopra tutto, restando fedeli ad una tradizione che s'è finora cercato di mantenere, e sentendosi orgogliosi del loro compito. In questa povera Italia manomessa e oscurata possono ancora le biblioteche offrire il più efficiente contributo a quel prestigio culturale a cui sono estranei confini, partiti, fazioni. [...] ci pensi il Governo, ci pensino i dirigenti di tutti quegli enti o istituti che godono il privilegio di possedere una biblioteca [...] si guardino dall'affidare una tale responsabilità a chi non è capace di sostenerla. Ma poi mostrino anche di apprezzare onestamente il valore del servizio che richiedono. Ai disconoscimenti materiali i bibliotecari, adusati al muto clima dei libri, si son dovuti finora rassegnare, più o meno in silenzio; ma le mutate condizioni di chiunque oggi lavora fanno pensare che una tale rassegnazione possa essere risparmiata anche a loro nei tempi nuovi. Niente, tuttavia, troveranno mai più mortificante dell'incomprensione dell'opera loro, del non sentirsi al posto che loro spetta nella scala dei valori professionali25.

Forse, come riconobbe Angela Vinay nel suo commento alla pubblicazione degli Atti della Commissione, il problema di fondo non era soltanto l'opportunità dell'inserimento delle biblioteche statali in una nuova amministrazione, istituita nel 1975 con la creazione del Ministero dei beni culturali; la questione in quel momento per i bibliotecari italiani era, soprattutto, capire e decidere, «che cosa vogliamo essere, che cosa devono o non devono rappresentare le biblioteche»26.

Note conclusive

L'excursus delineato può essere utile a dare un'idea dell'ampiezza, della serietà e della scientificità con le quali vennero trattati i problemi più generali e urgenti delle varie tipologie di biblioteca italiane negli anni Sessanta, all'interno di un dibattitto che verteva principalmente sui beni culturali. Per la prima volta nel secondo dopoguerra si parlava della necessità di organizzare e far funzionare un sistema bibliotecario nazionale come questione cruciale per la crescita del Paese per il ruolo strategico che le biblioteche avevano sul fronte sia dell'educazione di base, sia degli alti studi e della ricerca e per la diffusione della cultura. Si parlava finalmente di biblioteche al di fuori dei consessi dei professionisti o delle riviste del settore in un'ottica, diremmo oggi, intercompartimentale; se ne parlava per mezzo di una coralità di voci che ancora sorprende positivamente e che gli Atti dei lavori testimoniano: gli organismi internazionali come l'IFLA e l'Unesco, l'AIB, i professionisti del settore, con i più militanti tra costoro in quegli anni, quali Casamassima e Barberi, o che lo erano stati nei decenni precedenti come Enrico Jahier e Luigi de Gregori; un coinvolgimento che abbracciava studiosi come Giorgio Pasquali e Alessandro Perosa.
Per le biblioteche i lavori della Commissione Franceschini hanno rappresentato un riferimento, seppure di sottofondo, nel dibattito sul mondo bibliotecario e per le politiche bibliotecarie dei decenni successivi, fino ai giorni nostri; ciò nonostante essi siano stati oscurati da una parte dalla concentrazione riservata di lì a pochi anni dal mondo della sinistra politica ai temi del decentramento amministrativo e da una idea di bibliotecario più simile a un animatore culturale che a un tecnico; dall'altra, negli ambienti conservatori, dalla difesa di un'amministrazione statale accentratrice e ministeriale lontana dalle politiche illuminate che Luigi Gui tracciava nel 1965 all'interno del più ampio Piano pluriennale per la scuola, sottolineando come i piani di sviluppo, compresi quelli per le biblioteche, presupponessero «la conoscenza dello stato di fatto»; quella conoscenza che si stava acquisendo proprio grazie ai lavori della Commissione Franceschini.

NOTE

[1] Cfr. Per la salvezza dei beni culturali in Italia: atti e documenti della Commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio. Roma: Colombo, 1967. Gli atti sono disponibili online: http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/Studi/franceschini.pdf; http://www.bianchibandinelli.it/pubblicazioni/libri-dal-passato-per-guardare-al-futuro/1967-atti-della-commissione-franceschini. Per altre notizie, cfr.: http://www.beap.beniculturali.it/opencms/opencms/BASAE/sito-BASAE/contenuti/aree/Notizie/Belle-arti/visualizza_asset.html?id=4055&pagename=783. La legge istitutiva della Commissione fu pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana del 26 maggio 1964 e quindi negli Atti della Commissione, vol. 1, p. XIX-XXII. La nomina avvenne con la circolare 20 ottobre 1964, n. 398, Costituzione di una Commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio. Il decreto che nomina il presidente e i componenti della Commissione è del 10 novembre 1964, come si apprende dagli Atti che contengono anche i discorsi tenuti alla cerimonia d'insediamento dal ministro Luigi Gui e dal Presidente della Commissione.

[2] I nomi sono: Tullia Romagnoli Carettoni, senatrice del Partito socialista italiano (PSI), Vittorio Marangone, deputato PSI, Giorgio Bergamasco, senatore del Partito Liberale Italiano (PLI), Guido Bisori, senatore DC, Giuseppe Granata, senatore PCI, Carlo Levi, scrittore e senatore indipendente del PCI, Giulio Maier, senatore socialdemocratico, Luigi Russo, senatore DC, Tiziano Tessitori, senatore DC, Antonio Grilli, deputato del Movimento Sociale Italiano (MSI), Francesco Loperfido, deputato PCI, Roberto Lucifredi, deputato DC, Carlo Scarascia-Mugnozza, deputato DC, Adriano Seroni, deputato PCI e Giuseppe Vedovato, senatore DC.

[3] Risulta tra i membri esterni di nomina presidenziale anche Mino Maccari, che non figura tra i coordinatori dei gruppi di studio. Erano, invece, coordinatori del Gruppo II opere d'arte e oggetti d'interesse storico-culturale, arte contemporanea i politici Vedovato e Levi; cfr. Per la salvezza dei beni culturali in Italia cit., p. XXII.

[4] Le Dichiarazioni, secondo quanto specificato negli Atti, sono «da vedere come proposte per la revisione delle leggi di tutela concernenti il patrimonio culturale nazionale, delle strutture e degli ordinamenti amministrativi, e per i relativi adeguamenti finanziari». Quelle dedicate ai beni librari sono comprese nel titolo VI (Dei beni librari) e riguardano: la definizione di bene di interesse librario (dichiarazione LIV), l'individuazione delle raccolte di beni librari da sottoporre a dichiarazione di bene culturale (dichiarazione LV), la definizione dei soggetti e delle modalità generali per la consegna degli esemplari d'obbligo (dichiarazione LVI) e la fungibilità delle soprintendenze bibliografiche con quelle archivistiche per i beni costituiti da carteggi, documenti, autografi di personaggi illustri (dichiarazione LVII). Per un inquadramento storico del contributo della Commissione nel dibattito più generale dei beni culturali in Italia, cfr. Andrea Ragusa, I giardini delle muse: il patrimonio culturale ed ambientale in Italia dalla Costituente all'istituzione del Ministero (1946-1975). Milano: Angeli, 2014.

[5] Cfr. Angela Vinay, La commissione Franceschini e le biblioteche. In: Angela Vinay e le biblioteche: scritti e testimonianze. Roma: ICCU-AIB, 2000. Esemplare in questo senso è quanto sostenuto in una delle tesi di Viareggio – discusse al XXXIV Congresso dell'Associazione italiana biblioteche, Viareggio, 28-31 ottobre 1987 – in cui si afferma: «Identificare le biblioteche come beni culturali snatura la loro vera funzione di servizi informativi»; cfr. http://www.aib.it/aib/commiss/cnbp/tesi.htm.

[6] Per una trattazione più approfondita su Casamassima e la Commissione Franceschini, si veda Tiziana Stagi, Una battaglia della cultura: Emanuele Casamassima e le biblioteche. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2013.

[7] Cfr. Claudio Leombroni, La Commissione Franceschini e le biblioteche: un futuro incompiuto, «Accademie & biblioteche d'Italia», 9 (2014), n. 3-4, p. 7-19.

[8] Un resoconto dell'incontro è in: Per la salvezza dei beni culturali in Italia cit., vol. II, p. 435-508.

[9] Tra i contributi considerati dalla Commissione vi sono quelli di Luigi De Gregori, Enrico Jahier, Alessandro Perosa, Giorgio Pasquali, Francesco Barberi, Armando Petrucci, Luigi Gui, Ruggero Moscati, Franco Bartoloni, Leopoldo Sandri, Leopoldo Cassese, Giorgio Cencetti.

[10] Cfr. Per la salvezza dei beni culturali in Italia cit., p. 567-672, per le citazioni p. 583; la relazione si articola in tre parti: una introduttiva, una per i beni librari e una per i beni archivistici.

[11] La Direzione generale per le accademie e biblioteche venne istituita con r.d. 7 giugno 1926, n. 944, le Soprintendenze bibliografiche su base regionale dal d.l. 2 ottobre 1919, n. 2074, il Consiglio superiore delle accademie e biblioteche con il d.lgs. 30 giugno 1947, n. 602. Per un inquadramento storico della organizzazione centrale e periferica del MPI si rimanda ai contributi di Flavia Cristiano e Mauro Tosti Croce in Archivi di biblioteche: per la storia delle biblioteche pubbliche statali. Roma: Edizioni di storia e letteratura, 2002.

[12] Si veda, in particolare: Francesco Barberi, Problemi delle soprintendenze, «Accademie e biblioteche d'Italia», 12 (1938), n. 3-6, p. 296-306 e Id., L'avvenire delle soprintendenze, «Accademie e biblioteche d'Italia», 14 (1939-1940), n. 5-6, p. 416-423.

[13] Come la Soprintendenza bibliografica regionale dell'Emilia orientale e Marche, quella di Lazio e Umbria, della Campania e Calabria e della Puglia e Basilicata.

[14] Per la salvezza dei beni culturali in Italia cit., passim. La sede di Castro pretorio della BNCR fu inaugurata nel 1975, mentre il bando di concorso per il suo progetto risale al 1959; i lavori per la costruzione del nuovo edificio destinato a ospitare l'Universitaria di Torino si protrassero dal 1957 al 1973.

[15] Per la salvezza dei beni culturali in Italia cit., p. 605.

[16] Risale al 1932 la prima Carta del restauro emanata dal Consiglio superiore per le antichità e le belle arti, del MPI, che per la prima volta offriva direttive ufficiali in materia di restauro per i settori archeologico, architettonico e storico-artistico; al momento della costituzione della Commissione Franceschini era stata varata la Carta italiana del restauro di Venezia che ne riconsiderava gli intenti alla luce delle raccomandazioni post belliche degli organismi internazionali di nuova istituzione. Per una rassegna della Carta del restauro adottata in Italia nell'ambito non librario cfr. https://www.unirc.it/documentazione/materiale_didattico/597_2010_253_8833.pdf

[17] I voti e i pareri del Consiglio superiore delle accademie e delle biblioteche sono stati pubblicati anche negli atti della Commissione alle p. 11-13 del volume III, nella sezione di documentazione dedicata ai Consigli superiori.

[18] Cfr. Per la salvezza dei beni culturali in Italia cit., p. 620-621.

[19] Il riferimento è alla proposta di legge n. 648 del 18 febbraio 1954, relativa all'istituzione delle biblioteche comunali, consultabile alla pagina http://www.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/06480001.pdf, con la quale si intendeva dare attuazione a quanto già previsto da alcune norme sulla finanza locale dei primi anni Trenta; cfr. Paolo Traniello, Storia delle biblioteche in Italia. Bologna: Il Mulino, 2014, p. 222-224. La Commissione considerò le istanze del mondo delle associazioni professionali, compresa l'AIB, come testimonia la pubblicazione nel volume III degli Atti dell'elenco dei congressi AIB dal 1953 al 1965. La Commissione acquisì, inoltre, la documentazione prodotta da alcune istituzioni internazionali, quali l'Unesco e la FIAB (oggi IFLA), riprodotta nel volume III, p. 75-78 e 141-148.

[20] Associazione italiana biblioteche. Commissione di studio per l'esame di un nuovo ordinamento delle biblioteche degli enti locali in rapporto al funzionamento delle regioni, La biblioteca pubblica in Italia: compiti istituzionali e principi generali di ordinamento e funzionamento, http://www.aib.it/aib/stor/testi/stan1965p.htm; il documento fu approvato al congresso di Spoleto del 1964, relatrice Virginia Carini Dainotti, membri, fra gli altri, Giorgio De Gregori e Renato Pagetti, segretario Luigi Balsamo. Per una riflessione sul contributo della Danotti ai lavori della Commissione di studio si rimanda a Simonetta Buttò, Metodologia dell'impegno professionale: Virginia Carini Dainotti e l'AIB. In: Virginia Carini Dainotti e la politica bibliotecaria del secondo dopoguerra: atti del convegno. Udine, 8-9 novembre 1999, a cura di Angela Nuovo. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2002, p. 52-70.

[21] Per la salvezza dei beni culturali in Italia cit. p. 596-597.

[22] La relazione di Casamassima in una versione parzialmente rielaborata è stata pubblicata negli Atti con il titolo La maggiore biblioteca italiana e le sue esigenze, alle p. 573-580. Il testo integrale della relazione consegnato dal direttore della BNCF a Franceschini nel maggio 1965 è stato pubblicato in Tiziana Stagi, Una battaglia della cultura cit., p. 377-385.

[23] Emanuele Casamassima, La maggiore biblioteca italiana e le sue esigenze. In: Per la salvezza dei beni culturali in Italia cit., p. 573.

[24] In particolare, Giorgio Pasquali, Biblioteche e Postilla, tratti da Giorgio Pasquali, Vecchie e nuove pagine stravaganti di un filologo, Firenze, 1952, riproposte negli Atti alle p. 384-390 del volume III.

[25] Per la salvezza dei beni culturali in Italia cit. p. 596-597.

[26] Da Angela Vinay, La commissione Franceschini e le biblioteche cit., p. 210.

Bibliografia

[1] Barberi Francesco, L'avvenire delle soprintendenze, «Accademie e biblioteche d'Italia», 14 (1939-1940), n. 5-6, p. 416-423

[2] Barberi Francesco, Problemi delle soprintendenze, «Accademie e biblioteche d'Italia», 12 (1938), n. 3-6, p. 296-306

[3] Casamassima Emanuele, La maggiore biblioteca italiana e le sue esigenze. In: Per la salvezza dei beni culturali in Italia: atti e documenti della Commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio. Roma: Colombo, 1976, vol. II, p. 573-580.

[4] Cassese Sabino, I beni culturali da Bottai a Spadolini. In: Cassese Sabino, L'amministrazione dello Stato. Milano: Giuffré, 1976, p. 153-183.

[5] Cristiano Flavia, Dal centro alla periferia: le Soprintendenze bibliografiche. In: Archivi di biblioteche: per la storia delle biblioteche pubbliche statali.Roma: Edizioni di storia e letteratura, 2002, p. XCV-CXLVII.

[6] Leombroni Claudio, La Commissione Franceschini e le biblioteche: un futuro incompiuto, «Accademie & biblioteche d'Italia», 9 (2014), n. 3-4, p. 7-19.

[7] Pallottino Massimo, La stagione della Commissione Franceschini. In: Memorabilia: il futuro della memoria: beni ambientali architettonici archeologici e storici in Italia, coordinamento di Francesco Perego. Bari: Laterza, 1987, vol. II, p. 7-11.

[8] Ragusa Andrea, I giardini delle muse: il patrimonio culturale ed ambientale in Italia dalla Costituente all'istituzione del Ministero (1946-1975). Milano: Angeli, 2014.

[9] Stagi Tiziana, Emanuele Casamassima e le biblioteche, «JLIS.it», 1 (2010), n. 1, p. 195–212.

[10] Stagi Tiziana, Una battaglia della cultura: Emanuele Casamassima e le biblioteche. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2013.

[11] Tosti Croce Mauro, L'amministrazione delle biblioteche dall'Unità al 1975. In: Archivi di biblioteche: per la storia delle biblioteche pubbliche statali. Roma: Edizioni di storia e letteratura, 2002, p. XLII-XCIII.

[12] Traniello Paolo, Storia delle biblioteche in Italia. Bologna: Il Mulino, 2014.

[13] Vinay Angela, La commissione Franceschini e le biblioteche. In: Angela Vinay e le biblioteche: scritti e testimonianze. Roma: ICCU-AIB, 2000.

[14] Virginia Carini Dainotti e la politica bibliotecaria del secondo dopoguerra: atti del convegno. Udine, 8-9 novembre 1999, a cura di Angela Nuovo. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2002.