a cura di Silvana de Capua
Il volume curato da Margarita Pérez Pulido e Maurizio Vivarelli propone la pubblicazione, in inglese, degli atti del convegno L'identità della biblioteca pubblica contemporanea. Principi e metodi di analisi, valutazione, interpretazione = La identitad de la biblioteca pública contemporanéa. Principios y metodo de análisis, evaluación, interpretación, tenutosi a Torino il 12 dicembre 2014 (anche se nell'introduzione del libro erroneamente la data indicata è il 14) e promosso dal Dipartimento di Studi storici dell'Università di Torino e dalla Facultad de Ciencias de la Documentación y la Comunicación dell'Universidad de Extremadura, citati anche in testa al frontespizio del volume.
Come precisato nell'introduzione, l'idea del convegno nasceva dalla presenza di Margarita Pérez Pulido come visiting professor all'Università di Torino e dall'avvio di un progetto di ricerca che ha coinvolto ricercatori italiani e spagnoli, i cui interventi sono ora ospitati in questo volume.
Il volume si articola in quattro sezioni: la prima, History, present and future of the public library, contiene i contributi di Paolo Traniello, Margarita Pérez Pulido e Maurizio Vivarelli; la seconda, Models of analysis, measurement, evaluation, è dedicato ai contributi di Aurora González Teruel e di Chiara Faggiolani; la terza, dal titolo Complexity challenges, vede la partecipazione di Giovanni Solimine, Ernest Abadal, Giovanni Di Domenico e Alberto Salarelli; infine la quarta, Work in progress, contiene i risultati di due ricerche, una svolta da Maria Pagano e l'altra da Ilaria Giglio e Maria Maiorano. L'appendice propone una bibliografia selettiva sulla biblioteca pubblica contemporanea a cura di Maria Senatore Polisetti.
Per quanto riguarda la prima sezione, Paolo Traniello ci conduce immediatamente in medias res, ossia al centro del dibattito che si è sviluppato negli ultimi anni sul futuro della biblioteca pubblica e prova a individuare, attraverso metodi analitici, le tipologie di comportamento degli utenti delle biblioteche pubbliche, concludendo infine con non pochi interrogativi- volutamente lasciati aperti (perché, secondo Traniello, non esiste risposta certa)- su quali di questi usi vadano difesi e quali scoraggiati. A seguire Margarita Pérez Pulido si sofferma sull'idea della biblioteca pubblica come organizzazione etica e su quali siano i principi e le corrette strategie di gestione di questo aspetto importante della biblioteca, soprattutto in funzione della sua sostenibilità futura. Maurizio Vivarelli approfondisce infine il tema dell'identità concettuale e metaforica della biblioteca, a partire dalla ricostruzione del dibattito sui modelli interpretativi, per poi parlare della necessità di ripensare le culture della valutazione e anche i confini della disciplina biblioteconomica; l'obiettivo è ricercare una prospettiva nuova per l'interpretazione della biblioteca pubblica che faccia proprio il paradigma della complessità ed eviti il riduzionismo.
Nella seconda sezione del volume, Aurora González-Teruel e Chiara Faggiolani si soffermano entrambe sulla necessità di andare oltre le metodologie di analisi e di valutazione della biblioteca utilizzate in passato, per accogliere le potenzialità della ricerca qualitativa. In particolare, la ricercatrice spagnola analizza gli strumenti degli user studies e passa in rassegna caratteristiche e finalità della content analysis, della social network analysis e della discourse analysis, tutti metodi utili a conoscere meglio la realtà e il comportamento degli utenti. La Faggiolani invece sottolinea l'importanza di adoperare metodologie miste, adottando dunque in maniera combinata metodi quantitativi e qualitativi; approfondisce l'apporto che le metodologie qualitative possono conferire alle attività valutative e, nell'ultima parte del suo contributo, parla delle prospettive legate all'utilizzo dei big data.
La terza sessione raccoglie la sfida della complessità emersa negli interventi precedenti, proponendo chiavi di lettura e percorsi interpretativi. Giovanni Solimine racconta il cambiamento di paradigma cui la biblioteconomia è andata incontro nel corso del tempo, da quella documentale alla manageriale fino ad arrivare in tempi recenti alla biblioteconomia sociale, come risposta alla trasformazione profonda del contesto nel quale la conoscenza viene prodotta. Allo stesso punto di arrivo giunge Giovanni Di Domenico, il quale però si sofferma analiticamente sul dibattito che ha caratterizzato in questi anni la biblioteca pubblica, con particolare riferimento ai seguenti aspetti: la biblioteca pubblica come laboratorio sociale; il ruolo della biblioteca pubblica rispetto a temi quali l'information literacy, il lifelong learning e lo sviluppo del pensiero critico; la necessità di acquisizione del consenso; e infine il rapporto con il welfare.
Ernest Abadal colloca invece la biblioteca pubblica nel contesto digitale, riflettendo su azioni e strategie che essa potrebbe mettere in atto in riferimento a collezione digitale propria ed esterna, OPAC di nuova generazione e servizi digitali, e si interroga sugli strumenti di valutazione di questa componente digitale della biblioteca.
Infine, Alberto Salarelli si concentra sul significato e l'uso del concetto di modello in biblioteconomia, nonché sui suoi limiti, e conclude il suo intervento sottolineando la necessità di cercare un nuovo tipo di modello per la biblioteca pubblica, che sappia fare proprie la complessità e la molteplicità che tutti gli altri contributi del volume hanno messo in evidenza.
Nell'ultima sezione, dedicata a lavori in corso, Maria Pagano illustra i primi risultati di una ricerca sulle biblioteche toscane, che attraverso l'uso di questionari e di osservazioni naturalistiche nel contesto, e dunque adottando quella metodologia mista di cui parlava Faggiolani, cerca di fare luce sull'uso degli spazi bibliotecari e sui loro significati per gli utenti. Infine, Ilaria Giglio e Maria Maiorano propongono alcuni risultati di una ricerca sulla percezione delle biblioteche pubbliche italiane all'interno delle amministrazioni di appartenenza, attraverso l'analisi dei bilanci sociali degli enti locali di riferimento; le due autrici concludono il loro intervento soffermandosi sulle best practices emerse dall'indagine e facendo delle proposte per il futuro rispetto alla valutazione dell'impatto sociale delle biblioteche.
Alla pubblicazione degli atti di questo convegno si devono attribuire, secondo me, due meriti principali: innanzitutto, aver fatto il punto della situazione sul dibattito relativo alla biblioteca pubblica svoltosi fin qua in Italia e in Spagna, offrendone da un lato una ricca sintesi e anche spunti per una fase successiva di ricerca; in secondo luogo, aver offerto questi contenuti in inglese, consentendo dunque a tale dibattito di entrare in un'arena più ampia. Questo volume può essere dunque l'occasione per comprendere elementi di continuità e discontinuità nel dibattito internazionale riguardo al futuro della biblioteca pubblica, superando quella centratura sui paesi angloamericani che spesso rende in qualche maniera parziale e autoreferenziale la riflessione.
Anna Galluzzi
Biblioteca del Senato "Giovanni Spadolini"
Questi quattro agili volumetti fanno tutti parte della collana «Library toolbox» dell'Editrice Bibliografica, che nasce- per usare le parole della stessa casa editrice- con l'intento di offrire «strumenti del mestiere e proposte operative per il bibliotecario», e «per soddisfare un'esigenza diffusa di brevi guide pratiche».
Il libro di Bianca Verri, come è ben chiaro già dall'indice, è strutturato come una sorta di glossario tematico: A come Avvio, C come Contagio e Comunicazione, L come Libri sono alcuni dei capitoletti (/delle voci) in cui è suddiviso il libro. In questo, oltre che nello stile più vicino alla riflessione teorica che all'illustrazione pratica, si differenzia abbastanza nettamente dagli altri tre volumi. Il libro infatti, più che fornire delle istruzioni o suggerire un metodo per mettere in piedi da zero un gruppo di lettura in biblioteca, riflette sui vari attori in gioco, sui luoghi e sulle dinamiche, seguendo- almeno in apparenza- un ordine alfabetico anziché logico e consequenziale. Si parla quindi di Adulti Abili Alfabetizzati (i destinatari del GdL), di Biblioteca, di Coltivazione e di Conduzione di un GdL, di Formazione, Incontri con l'autore, di Libri, di Rete ecc., e se le riflessioni sono spesso interessanti e ricche di spunti, rimane tuttavia il dubbio di non trovarsi davanti a una cassetta degli attrezzi vera e propria, come ci si aspetterebbe dal titolo del libro e dalla collana, e che la bibliotecaria o il bibliotecario che leggessero il libro per trovare suggerimenti semplici e pratici su come avviare un gruppo di lettura ex novo, terminerebbero forse la lettura senza aver risolto gran parte dei dubbi e delle incertezze di partenza.
Il libro di Caterina Ramonda- un'autorità nel campo delle biblioteche e dell'editoria per ragazzi grazie ai suoi libri, al lavoro di formazione, e alle recensioni sul blog collettivo Le letture di Biblioragazzi- suggerisce una serie di percorsi di lettura da utilizzare con i bambini del primo e secondo ciclo della scuola primaria. Trattandosi di una fascia d'età in cui le competenze di lettura variano enormemente a seconda dell'età e di numerosi altri fattori (conoscenza della lingua italiana, eventuali DSA, attitudini e passioni individuali ecc.), i percorsi sono differenziati e contengono al loro interno libri di livello diverso. Dopo una breve introduzione che raccomanda alcuni accorgimenti da usare quando si organizza un incontro con una classe, si passa velocemente al cuore del libro, costituito da otto bibliografie tematiche (sugli animali, la fiaba, la multiculturalità, storie vere o quasi, classici vecchi e nuovi, libri accessibili, fumetti, i finali a sorpresa) composte da 20 titoli ciascuna, che il bibliotecario potrà variare e integrare a piacere, anche grazie ai preziosi strumenti collocati in fondo al libro, che altro non sono che una sorta di bibliografia ragionata di riviste, blog, case editrici, pagine web di biblioteche ecc.
Per quel che riguarda la revisione del patrimonio documentario- spesso «impropriamente definito scarto», per usare le parole della stessa autrice- il lavoro di Loredana Vaccani è stato ed è tuttora un punto di riferimento per moltissimi bibliotecari. Come fare la revisione del patrimonio documentario è un manualetto agile ed estremamente comprensibile che spiega il concetto di revisione e chiarisce i motivi per cui si tratta di una pratica irrinunciabile nel ciclo (o circuito) di gestione del patrimonio della biblioteca. Seguono alcuni suggerimenti su come valutare i documenti, cosa farne una volta deciso che il loro posto non è più tra gli scaffali della biblioteca, quali sono gli atti amministrativi necessari e quali i vantaggi di una revisione periodica e ben fatta, per poi fornire- in chiusura- alcuni strumenti pratici: da un modello di determina per lo scarto dei documenti a un esempio di regolamento per la vendita dei documenti eliminati, a una griglia di valutazione ecc. Si tratta insomma- proprio come promette il titolo- di un manuale operativo, una guida semplice, breve e comprensibile che spiega quello che di essenziale c'è da sapere sullo scarto, e fornisce in bibliografia le indicazioni utili per chi vorrà, in un secondo momento, approfondire qualche aspetto specifico della questione.
Allo stesso modo, il libro di Tatiana Wakefield è una guida agevole e chiara che spiega come creare e gestire un servizio di newsletter in biblioteca: partendo dal perché- perché optare per una comunicazione via mail all'epoca dei social?- proseguendo con il come- quale gestore scegliere, quali contenuti inserire, lo stile migliore da adottare, la frequenza di invio ecc.- e infine spiegando come e perché è indispensabile tenere sempre monitorate sia la consegna (delivery rate) che il rimbalzo (bounce rate) delle mail inviate. L'autrice accompagna per mano il lettore- sia quello completamente digiuno di questo tipo di strumenti che quello che ne sa qualcosa di più- guidandolo prima attraverso i principali aspetti teorici dell'email marketing, quindi nella loro messa in pratica (il capitoletto Creiamo una newsletter spiega passo dopo passo come creare materialmente una newsletter, dalla scelta del gestore al momento dell'invio). Anche in questo caso la promessa della collana è mantenuta, e una volta terminata la lettura (ossia in un paio di ore al massimo, se ci si riesce a ritagliare un momento di concentrazione totale) chiunque avrà gli strumenti di base per poter mettere in piedi un servizio di newsletter.
Sara Chiessi
Biblioteca Tilane di Paderno Dugnano (Milano)
I valori etici cambiano passando di società in società (come ci insegnano antropologia e sociologia) e di secolo in secolo (come ci insegna la storia). Non fanno eccezione i valori alla base delle deontologie professionali, inclusa quella dei bibliotecari, come ci mostra questo libro di Wallace Koehler, professore americano di biblioteconomia in pensione dal 2014, che li passa in rassegna lungo l'arco di due millenni e di numerosi paesi (soprattutto, ma non esclusivamente, europei e nordamericani), concludendo che «le biblioteche sono essenzialmente istituzioni conservatrici: man mano che i paradigmi sociali mutano, cambiano anche le regole delle biblioteche, ma con un intrinseco ritardo conservatore» (p. 28).
La tesi di Koehler, autore anche di numerosi articoli e indagini sui valori più diffusi fra i bibliotecari contemporanei e le loro associazioni professionali, viene enunciata con chiarezza nelle prime pagine del libro, ma non è preconcetta. Sette degli undici capitoli del volume sono infatti dedicati a seguire, nello spazio e nel tempo, l'evoluzione dell'atteggiamento delle biblioteche rispetto ad altrettanti importanti aspetti dei loro servizi (la custodia dei documenti, la loro catalogazione e classificazione, la loro fruizione da parte dei cittadini, la libertà intellettuale, la democrazia, la proprietà intellettuale e le competenze dei bibliotecari), concludendone ogni volta che gli orientamenti di fondo in materia non sono mai rimasti troppo a lungo immutati e che raramente le biblioteche si sono opposte alle tendenze prevalenti nelle rispettive società o hanno addirittura svolto un ruolo anticipatore, recependo invece quasi sempre piuttosto passivamente ciò che le classi egemoni hanno man mano indicato loro come priorità. La loro lentezza nel far proprie tali indicazioni ha però spesso creato un certo attrito fra i valori dominanti in una determinata società in un determinato momento e quelli che prevalevano nella medesima società nei decenni (se non nei secoli) precedenti e che le biblioteche ancora si attardavano a difendere, producendo un interessante effetto di cuscinetto contro le svolte sociali troppo brusche che mi pare tutto sommato piuttosto appropriato per istituzioni che hanno sempre avuto fra i propri compiti anche quello di far arrivare ai posteri le voci e le intenzioni dei defunti.
In particolare Koehler sottolinea come l'attuale centralità della libertà intellettuale nei codici deontologici delle associazioni professionali di bibliotecari di quasi tutto il mondo non vada considerata come qualcosa di ovvio, che rispecchi l'eterna oggettività e importanza di tale principio, quanto piuttosto come la conseguenza della crescente fortuna, dal secondo dopoguerra in poi, delle democrazie liberali e dei loro valori: l'universalità dei diritti umani e civili, l'assenza di discriminazioni, l'importanza dell'accesso alle informazioni per poter esercitare consapevolmente il diritto di voto, la libertà di parola e di stampa. In precedenza, infatti, le biblioteche non erano quasi mai aperte davvero a tutti e tuttora in certi paesi sono ancora attuali le parole scritte dal presidente della California Library Association Sydney Mitchell nel 1939, riportate da Koehler a p. 141: «nello stato totalitario il bibliotecario diventa un mero agente di propaganda per la disseminazione delle sole informazioni che le autorità si preoccupano di tramandare». D'altronde, come ricorda lo stesso Koehler a p. 139, persino nei democratici Stati Uniti la maggior parte delle biblioteche degli anni Cinquanta del Novecento applicava, senza particolari crisi di coscienza, la segregazione razziale e, circa un secolo prima, l'apertura (finalmente) delle biblioteche anche ai meno abbienti coinvolse in realtà inizialmente solo i maschi bianchi e adulti.
Nel decimo capitolo, che è quello effettivamente conclusivo e precede un undicesimo meramente riepilogativo, Koehler prova a ipotizzare alcune tendenze che potrebbero emergere nei prossimi anni nella deontologia professionale bibliotecaria come conseguenza dei più recenti cambiamenti sociali e tecnologici: una maggiore attenzione alla privacy, una diversa concezione della proprietà intellettuale, un maggior impegno nell'aiutare gli utenti a sviluppare competenze informative critiche e autonome, la lotta al divario digitale e per l'accessibilità dei contenuti informativi da parte delle persone con disabilità, una maggiore considerazione degli aspetti deontologici nella gestione del personale, una vera parità dei diritti e delle opportunità fra bibliotecari di qualsiasi sesso e con qualsiasi colore della pelle, una maggiore internazionalizzazione e un maggior rispetto delle culture indigene. Sono tutti sviluppi sicuramente auspicabili e forse anche probabili, anche perché in buona parte già incipienti, ma non particolarmente radicali.
Personalmente, volendo invece azzardare una previsione più drastica e relativa a un orizzonte più lontano, non mi dispiacerebbe che fra qualche lustro- una volta superata la miope sbandata degli ultimi anni verso servizi e iniziative di qualsiasi tipo, purché attraenti- le biblioteche (se saranno sopravvissute all'attuale crisi di finanziamenti) riportassero al centro dei propri compiti la conservazione dei documenti (sia tradizionali che digitali) allo scopo di permetterne anche alle prossime generazioni la fruizione, per nulla garantita e forse addirittura minacciata dalla dilagante digitalizzazione dell'universo informativo, se condotta senza le necessarie accortezze. In parallelo, i codici deontologici dei bibliotecari potrebbero forse attenuare la centralità della libertà intellettuale intesa in senso generale e talvolta troppo astratto per valorizzarne invece quel particolare aspetto che è legato, appunto, alla conservazione, premessa indispensabile per qualsiasi fruizione. Sia la libertà di espressione che quella di accesso alle informazioni (ovvero le due anime della libertà intellettuale) sono infatti garantite da Internet meglio che dalle biblioteche per quanto riguarda l'immediato presente, mentre la debolezza di Internet riguardo alla persistenza e all'immutabilità sul lungo periodo dei documenti rischia di destinare a un rapido oblio sia le testimonianze di ieri che- ancora di più, paradossalmente- quelle di oggi. Non sempre è un male se la storia si ripete: in questo caso la deontologia bibliotecaria potrebbe ripescare dal proprio passato qualcosa di molto utile per il futuro, sia della professione che della civiltà.
Riccardo Ridi
Università Ca' Foscari di Venezia
I tre ponderosi volumi del Dizionario degli editori, tipografi, librai itineranti in Italia tra Quattrocento e Seicento, nell'elegante veste tipografica che distingue le opere edite da Fabrizio Serra, sono il risultato più importante di una vasta attività di ricerca, finanziata da fondi PRIN 2008 e coordinata da Marco Santoro, avente come oggetto la Mobilità dei mestieri del libro in Italia tra il Quattrocento e il Seicento. Il lavoro di indagine è stato sviluppato da cinque unità di ricerca, afferenti rispettivamente all'Università di Macerata (responsabile Rosa Marisa Borraccini), all'Università di Messina (responsabile Giuseppe Lipari), all'Università della Calabria (responsabile Carmela Reale), all'Università Sapienza di Roma (responsabile Marco Santoro) e all'Università di Verona (responsabile Giancarlo Volpato).
Il gruppo di ricerca così costituito ha potuto realizzare l'imponente opera anche perché formato da studiosi i quali già precedentemente avevano collaborato in diverse occasioni solidamente strutturate. Si ricorda, al riguardo, un progetto Cofin 2003, incentrato sul tema Oltre il testo: dinamiche storiche paratestuali nel processo tipografico-editoriale in Italia; tale iniziativa di ricerca ha portato, tra l'altro, alla nascita della rivista annuale Paratesto. Si segnala, inoltre, il progetto PRIN 2005 sul tema Testo e immagine nell'editoria del Settecento.
Il progetto PRIN 2008 ha fruttato, oltre al lavoro del quale in questa sede si riferisce, anche l'organizzazione di un convegno su Mobilità dei mestieri del libro tra Quattrocento e Seicento tenutosi a Roma dal 14 al 16 maggio 2012 e i cui atti sono stati pubblicati sempre per l'editore Serra nel 2013.
I tre tomi del Dizionario degli editori, tipografi, librai itineranti in Italia tra Quattrocento e Seicento si articolano in 604 voci per un totale di 750 soggetti esaminati, che si suddividono in individui, famiglie e società tipografiche editoriali. Essi sono trascelti in base a tre specificità che li accomunano: aver lavorato nel campo editoriale in Italia, nell'arco cronologico che ha inizio con l'invenzione della stampa per giungere a coprire tutto il Seicento, e avere esplicato la loro attività in almeno due località differenti.
Le voci sono state redatte da 68 collaboratori, esperti di riferimento del settore. All'impianto generale e condiviso delle schede, gli autori hanno portato il personale contributo di ricerche su specifiche fonti archivistiche e bibliografiche, attingendo alla loro personale conoscenza e visione della materia, fornendo in tal modo un ulteriore apporto di approfondimento e originalità all'esito complessivo rappresentano dal Dizionario.
Proprio l'imponente mole dell'opera richiedeva uno strumento efficace di raccordo. Esso è rappresentato dall'importante corredo di indici che arricchisce e implementa la fruibilità dei tre tomi del Dizionario. Si tratta dei tre indici a cura di Alfonso Ricca, uno cronologico, un secondo inerente i luoghi di attività e il terzo relativo ai nomi. In tal modo vengono offerti accessi differenziati alle notizie e una fruizione più agevole di informazioni relative ai tempi e ai luoghi interessati dalla mobilità di tipografi e editori.
È infatti la mobilità degli artieri del libro che rappresenta il fuoco e segna la novità e l'incisività della ricerca confluita nelle voci del Dizionario. L'itineranza, infatti, è una peculiarità nota dell'arte della stampa ai suoi esordi; sino ad ora, tuttavia, non erano state intraprese ricerche sistematiche per verificare l'effettiva consistenza del fenomeno, unitamente all'individuazione delle motivazioni che ne stanno alla base.
Nel panorama bibliografico generale, prima della pubblicazione del Dizionario, non erano disponibili strumenti specifici che avessero come oggetto tipografi, editori e librai itineranti in Italia nel corso dei primi tre secoli della storia della stampa. Era perciò inevitabile ricorrere a studi e fonti assai diversi e dunque dispersi, per ottenere informazioni utili alla ricostruzione dei profili tanto biografici quanto più strettamente professionali di artieri che avevano esplicato la loro attività in sedi differenti sul territorio italiano. In forza delle ricerche compiute sistematicamente per la creazione del Dizionario si è allestito un quadro aggiornato ed esaustivo nei riguardi dei protagonisti itineranti delle arti del libro, sciogliendo incertezze, rettificando e proponendo solide ricostruzioni in merito a mobilità e a parentele, consentendo di definire chiaramente una serie di linee genealogiche.
L'importante novità di fondo rappresentata dal Dizionario consiste proprio nel risultato raggiunto dall'opera corale degli autori di condensare in un'unica sede, in modo articolato e approfondito, i dati inerenti gli spostamenti tra le differenti sedi e le attività ivi svolte, oltre alle motivazioni- laddove ricostruibili- della mobilità stessa degli operatori della produzione libraria. In tal modo la comunità scientifica si dota di uno strumento che dischiude la visuale- con un dettaglio che sorprende e che illumina anche figure ed eventi rimasti sino ad oggi in ombra- su un ampio panorama di storia culturale, professionale e personale potendone apprezzare le interconnessioni e la penetrazione nel tessuto sociale, economico e culturale dei tre secoli esaminati.
Per conseguire questo importante risultato, il metodo euristico impiegato si è basato sul solido ricorso all'analisi delle fonti primarie. In primo luogo, quindi, gli studiosi hanno interrogato i manufatti librari, che veicolano attraverso il frontespizio, il colophon o altre sezioni paratestuali, preziose informazioni su soggetti, luoghi e cronologie. A ciò si aggiunge il ricorso a documenti archivistici, tra i quali rivestono particolare importanza quelli che recano testimonianza degli accordi fra i promotori di una certa pubblicazione, oltre alla valorizzazione dei carteggi e delle molteplici e variegate testimonianze coeve da fonti differenti.
Grazie alle voci del Dizionario si dispiegano e si rivelano una serie di personaggi; non solo i protagonisti alti- così come li definisce Marco Santoro- della produzione scritta, ovvero gli autori e i curatori, ma anche gli artefici materiali che creano il manufatto librario, ne stimano i costi e introiti in virtù della valutazione delle potenzialità dell'assorbimento sul mercato e creano botteghe, che prendono spesso la fisionomia di aziende e precipui luoghi di attività imprenditoriale e artigianale.
Risalta in tal modo non solo l'aspetto culturale e sociale della diffusione della stampa, finora più noto e studiato, ma anche il risvolto economico e gestionale. Un microcosmo- per usare ancora le parole del curatore dell'opera- che accoglie numerosissimi protagonisti dai differenti ruoli, quali stampatori, editori, librai, fonditori di caratteri, disegnatori e artefici di illustrazioni, cartai e altri, ma anche autori, curatori, prefatori, postillatori, dedicanti e dedicatari. Si tratta dunque di un quadro inedito dell'intera macchina di produzione della cultura scritta che anima la cultura (dal recupero dell'antico alla più avanzata innovazione del pensiero), la comunicazione e la circolazione delle idee, come delle correnti artistiche, filosofiche, religiose, politiche.
Venendo all'esame dei dati aggregati che si possono ricavare dalle informazioni contenute nelle singole voci, si deve rimarcare uno tra i risultati conseguiti dalla ricerca svolta. Si tratta del cuore del progetto, che investe l'itineranza dei personaggi coinvolti nell'arte tipografica italiana nei primi tre secoli della sua storia. Al riguardo Santoro, nella sua articolata Presentazione, esamina i periodi nei quali gli spostamenti sono stati più consistenti e le tipologie di attività maggiormente inclini alla mobilità. Si apprende così che il fenomeno della mobilità risulta vistosamente più rilevante nel corso del Cinquecento, interessando il 39% dei soggetti esaminati, certamente in collegamento con l'espansione della stampa, con l'acculturazione e lo sviluppo e la diffusione delle strutture didattiche, tutto ciò sostenuto anche dalle emergenti istanze dei centri locali di dotarsi di officine tipografiche e alle tensioni religiose e politiche che frammentano il quadro socio-politico rimarcando confini e identità. Oltre a ciò, l'indagine individua tra i tipografi i lavoratori più inclini alla mobilità (296 soggetti, senza contare gli editori-tipografi e i librai-tipografi), in particolar modo nel corso del Quattrocento e del Seicento. L'artiere più mobile risulta Cristoforo Scanello che ha rapporti con tipografi di Urbino, Siena, L'Aquila, Bologna, Camerino e Napoli. Si rileva una altissima presenza di stranieri nel corso del Quattrocento: di 76 soggetti non italiani registrati, ben 42 esplicano la loro attività nel XV secolo e 14 a cavallo tra XV e XVI secolo. Questi dati importanti e suggestivi confermano il rilievo dell'impatto dei prototipografi stranieri che in seguito al sacco di Magonza si sono visti costretti ad emigrare, introducendo e disseminando in Italia la nuova arte. Nei decenni successivi gli italiani si sono appropriati della tecnica della stampa, facendola propria e sviluppandola con esiti di eccellenza. Da ciò discende il fatto attestato dalla ricerca, che numerosi italiani hanno esteso l'ambito della propria attività anche Oltralpe.
Altro esito della ricerca riguarda le mete dell'itineranza, i centri maggiormente interessati sia come luoghi di arrivo sia di partenza. Il primato spetta a Venezia, dove, nel corso del Cinquecento, viene pubblicato il maggior numero di edizioni (oltre il 42% di quelle prodotte nel secolo indicato). La città lagunare registra inoltre un numero di artieri in arrivo e in partenza particolarmente consistente, seguita da Roma e da Napoli. Interessante rimarcare come le dieci città che presentano una maggiore mobilità sono le stesse nelle quali è attestata la maggior consistenza della produzione libraria.
I risultati di questa ricerca portano in luce altri profili inerenti la mobilità, che si rivela fenomeno chiave per comprendere l'intero microcosmo librario nel periodo considerato. Infatti viene documentata in modo ampio la natura economico/professionale delle scelte di coloro i quali sono dediti a vario titolo alla produzione e alla diffusione del libro. Pur non venendo certamente meno il profilo delle sollecitazioni e delle inclinazioni culturali e, talvolta, ideologico-politiche insite nell'attività tipografico ed editoriale, sono state individuate efficacemente le strategie imprenditoriali, le necessità professionali e le istanze lavorative sottese alle iniziative produttive e distributive del prodotto stampato. La stessa mobilità si giustifica a volte in ragione di strategie minuziosamente pianificate, altre volte a causa di una mera ricerca di lavoro, la quale risulta a tratti affannosa da parte di piccoli imprenditori, disposti a spostarsi pur di assumere un ingaggio.
In conclusione di questa rapida panoramica di un'opera ingente- che per sua natura è collettore di tante opere singole quante sono le voci che la compongono- si condivide l'auspicio di Marco Santoro che l'iniziativa scientifico-editoriale qui presentata possa fungere da sprone per ulteriori ricerche in merito ai numerosi ambiti di ricerca che si sono dischiusi e che ruotano intorno a temi quali le motivazioni che inducono la mobilità, le influenze che essa ha operato sulle scelte relative alla produzione libraria, il contesto sociale, politico e religioso con il quale si sono confrontati i vari artieri, la struttura e le dinamiche delle grandi famiglie di tipografi e editori- vere e proprie imprese professionali-, i meccanismi concorrenziali fra diversi soggetti, le logiche dei rapporti con le autorità laiche ed ecclesiastiche, il ruolo delle relative corporazioni, la distribuzione dei compiti al loro interno, le tensioni ed i litigi ereditari e di competenze. A ciò aggiungo un auspicio personale e cioè che contributi importanti per l'avanzamento delle conoscenze sul microcosmo legato all'arte della stampa, come questo Dizionario, possano trovare pubblicazione tanto cartacea quanto in formati alternativi, divenendo strumenti ancora più accessibili ed efficaci per chiunque si voglia avvicinare a questo mondo affascinante, consentendo altresì integrazioni e ampliamenti, che potrebbero derivare da future ricognizioni e ricerche.
Marcella Peruzzi
Università di Urbino Carlo Bo
Indici dell'epistolario della famiglia Pennisi di Santa Margherita di Acireale è il titolo dell'importante e corposa monografia edita dall'Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale e curata da Marcello Proietto, Cultore in Storia Medievale e Paleografia Latina e Scienza del Libro e del Documento presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell'Università di Catania, con prefazione di Maria Concetta Gravagno, direttrice della Biblioteca Zelantea di Acireale.
Il volume è composto da 348 pagine ed è il risultato di uno studio accurato e attento dell'autore che ha provveduto in una prima fase all'archiviazione della raccolta documentaria contenente un epistolario di 5460 unità tra lettere, telegrammi, cartoline, biglietti, immagini sacre e in una seconda fase alla stesura del libro. Il testo si suddivide sostanzialmente in due parti. La prima, in cui l'autore spiega i criteri di ordinamento del corpus epistolare che va dal 1894 al 1938, descrive il profilo storico dei componenti della famiglia Pennisi di Santa Margherita e, in particolare, dei coniugi Giuseppe Pennisi e Maria Paternò Castello dei Marchesi di San Giuliano nonché del loro unico figlio Pasqualino. La seconda parte della monografia invece fa un'accurata elencazione dei dieci volumi frutto del lavoro di riordino e di catalogazione svolto dall'autore precedentemente e che riguarda le lettere donate dalla famiglia alla Biblioteca Zelantea negli anni Settanta del secolo scorso, classificati in ordine cronologico, e la rassegna di 124 articoli tratti da periodici locali, tra il 1890 e il 1924.
Il carteggio riveste una grande importanza archivistica tanto per gli aspetti sociali quanto per quelli politici marcatamente presenti. La famiglia Pennisi, artefice delle lettere, è una delle più antiche della città di Acireale e i suoi componenti hanno spesso ricoperto cariche pubbliche importanti. Basti ricordare come il barone Giuseppe, oltre a rivestire la carica di sindaco di Acireale (nel 1905 all'età di 25 anni), ricoprì quella di deputato del Regno d'Italia per quattro legislature, dalla XXIV alla XXVII, a partire dal 1913 sino al 1929. Il fondo è interessante, tra l'altro, per la ricostruzione storica dei componenti della famiglia e per il ruolo sociale di alto livello che i Pennisi hanno raggiunto. Infatti, leggendo le lettere, quasi si respira il clima politico di quegli anni che ha visto più volte Giuseppe Pennisi protagonista, come l'epica battaglia elettorale del 1913 ad Acireale che vide contrapposti, per il seggio alla Camera del Regno, il giovane barone, allora trentenne, e l'onorevole Giuseppe Grassi Voces, già deputato nelle ultime tre legislature del Regno.
Maria di San Giuliano, moglie di Giuseppe Pennisi, è una figura tutt'altro che di secondo piano. Primogenita del celebre Antonino, Ministro degli Esteri del Regno d'Italia dal 1905 al 1914, frequenta il Collegio Trinità dei Monti a Roma al quale deve la sua formazione culturale e sociale che la rende una donna colta e raffinata. Di origine catanese, si integra molto bene nel contesto sociale acese inserendosi nella Congregazione delle Dame di Carità, la cui missione consisteva nel servizio verso i poveri e i diseredati.
Dall'epistolario emerge il carattere fortemente religioso della baronessa oltre che un affetto profondo che la lega al marito, testimoniato da parole piene di malinconia per l'assenza di costui spesso a Roma per motivi di lavoro.
L'ultimo protagonista dell'epistolario è Pasqualino. Dopo gli anni della fanciullezza e dell'adolescenza si reca a studiare Giurisprudenza presso l'Università di Padova e svolge, al termine degli studi, la professione di docente universitario in Diritto Internazionale presso l'Università La Sapienza. Si sposa con la nobildonna francese Ghiselda Bouis e da questa unione nascono quattro figli: Giuseppe, Francesco, Maria Grazia e Lucia.
Il lavoro di stesura del volume da parte di Marcello Proietto è certamente dimostra le qualità dell'autore come studioso, ma è anche segno del grande interesse che egli ha manifestato come cittadino nel conoscere e sviscerare gli aspetti che fanno parte della sua tradizione e della sua origine e che, per questo, sente come propri.
Francesca Savoca
Archivio del Comune di Catania
I due volumi censiscono e descrivono le più di mille edizioni del Cinquecento possedute dalla Biblioteca statale annessa al Monumento nazionale di Montevergine, oggi conservata presso il palazzo abbaziale di Loreto di Mercogliano. La storia di questa antica biblioteca, annessa a uno scriptorium almeno a partire dal XIII secolo, appare senz'altro vivace e interessante, come ben emerge dalla lettura dei volumi e come pure alcuni studi sull'argomento avevano in precedenza messo in luce. Tra questi, vale la pena ricordare il bel volume di Placido Mario Tropeano (La biblioteca di Montevergine nella cultura del Mezzogiorno, Napoli: Berisio, 1970) e le ricerche di Sara Cosi dedicate soprattutto alle liste librarie prodotte a Montevergine in occasione del censimento della Congregazione dell'Indice di fine Cinquecento.
Al catalogo (che conta 1016 edizioni per 1116 esemplari) precede uno stimolante apparato di saggi, dove vengono ripercorse le tappe del lavoro di catalogazione, illustrati i criteri di compilazione e presentati i principali risultati della ricerca. Nella Prefazione (p. 5-8) dell'ex direttore della Biblioteca di Montevergine, P. Andrea Davide Cardin, attualmente sostituito da P. Gerardo Di Paolo, viene contestualizzato il ruolo di Montevergine nella realtà bibliotecaria non solo locale e sottolineato il carattere professionale del catalogo, auspicando giustamente «che gli addetti ai lavori, i bibliotecari, trovino motivo per considerare questo catalogo uno strumento di lavoro, che dunque trovi posto sulle loro scrivanie» (p. 7).
L'Introduzione firmata dal curatore, Domenico De Falco (p. 9-70), è un denso e appassionato viaggio attraverso la storia della biblioteca di Montevergine dalle origini a oggi. L'autore si concentra anzitutto sull'analisi degli inventari e cataloghi superstiti prodotti in età moderna, quindi sulla storia della raccolta, ma non mancano utili riferimenti alla normativa in materia di libri prevista dalle costituzioni di Montevergine (ad esempio la Regola delle Costituzioni del 1599, «che mentre stabiliva che i monaci non potessero possedere alcun bene, neanche i libri, consentiva tuttavia che potessero portarne con sé per necessità legate all'esercizio delle loro funzioni, purché apponessero il proprio nome su quel bene», p. 18-19). Ben ricostruite e documentate risultano le vicende relative alle soppressioni- che hanno generato numerose e gravi perdite (in pratica la disseminazione dei fondi più antichi), ma anche permesso l'assorbimento di carte e libri appartenuti a diversi istituti religiosi- e la storia delle sedi architettoniche nelle quali il materiale archivistico e bibliografico è stato via via collocato. Nella parte conclusiva, intitolata Il racconto della catalogazione, De Falco illustra i criteri di edizione del catalogo- che analizzeremo più avanti- e offre un bilancio complessivo, in termini quantitativi e tematici, della configurazione bibliografica delle cinquecentine di Montevergine, sottolineando come queste costituiscano «una raccolta omogenea», prima di tutto «funzionale alle esigenze di studio dei monaci» (p. 30).
Il saggio di Anna Battaglia (Le note di possesso, p. 71-97) offre una gustosa rassegna delle provenienze e dei possessori riscontrati delle cinquecentine, utilmente corredata da un ricco apparato di riproduzioni (timbri, ex libris, note di possesso). Ne emerge un quadro variegato- anche se non molto consistente dal punto di vista quantitativo- nel quale a sorprendere è anzitutto la scarsissima presenza di note manoscritte direttamente riconducibili alla biblioteca comune dell'abbazia, riscontrate soltanto «su 62 cinquecentine, nelle diverse forme quali Monte Vergine; est Archivi Montis Virginis; Sacri Coenobii Montis virginis de Montis; ad usum novitiorum Monti Virginis; liber nouitiorum Montis Virginis» (p. 30). Un elemento, questo, che se banalmente suggerisce le gravi perdite subite dalla biblioteca negli anni delle soppressioni, dimostra soprattutto un forte grado di variabilità e mutevolezza della consistenza e conformazione della raccolta di Montevergine lungo il corso della sua storia (ma il discorso si potrebbe naturalmente estendere, ad eccezione di rarissimi casi, un po' a tutte le biblioteche religiose italiane). Abbastanza ricco, nel complesso, è il quadro dei possessori delle cinquecentine, appartenute soprattutto a singoli religiosi (il saggio ne segnala 18), ma anche a istituti religiosi diversi da Montevergine (è il caso del fondo proveniente dall'Eremo dell'Incoronata di Sant'Angelo a Scala) o a laici (tra gli altri, ad esempio, alcuni libri appartenuti a Michele Pironti, avvocato e patriota irpino che fu per breve tempo guardasigilli nel III Governo Menabrea). Appare infine molto significativo, come si evince dall'indice dei possessori, che a fronte delle più di mille cinquecentine di Montevergine, siano state riscontrate note di possesso soltanto su 206 esemplari (cioè una percentuale di poco inferiore al 20 %).
I restanti saggi sono entrambi dedicati al tema iconografico e in particolare alle marche tipografiche. Il primo, di Lucia Palmisano (Pastore o zampognaro? Una marca tipografica di Peter Schoeffer il giovane, p. 101-107), analizza la marca presente sul frontespizio degli Epistolarum medicinalium lib. XX del medico ferrarese Giovanni Manardi, pubblicati a Venezia nel 1542 da Peter Schoeffer il giovane (l'edizione, posseduta dalla biblioteca di Montervergine, è stata tra l'altro digitalizzata dalla Biblioteca Casanatense di Roma). L'autrice considera la marca come direttamente collegata all'editore e, attraverso una convincente analisi storico-bibliografica e iconografica, la attribuisce con certezza a Peter Schoeffer il giovane.
Il secondo saggio di Giuseppina Zappella (Nel mondo dei tipografi. Le marche autoreferenziali, p. 109-172) è dedicato al tema delle marche cosiddette autoreferenziali, di cui vengono illustrate approfonditamente caratteristiche e varietà tipologiche: «marche parlanti e allusive, figure simboliche e allegoriche, classiche e mitologiche, emblemi religiosi e santi patroni, oggetti comuni, strumenti scientifici, allegorie e personificazioni» (p. 109). Partendo dall'analisi delle marche presenti nel catalogo e ampliando il discorso a una casistica assai più ampia, Zappella sottolinea l'utilità di queste fonti per una comprensione a tutto tondo della storia del libro e dell'editoria, e dimostra come un attento studio di queste immagini possa aiutare a capire «molto di più rispetto alle fonti tradizionali, proprio attraverso le scelte iconografiche del tipografo, dalle più scontate (iniziali, stemmi, figure parlanti) a quelle più sottilmente intellettualistiche (allusive, emblematiche e allegoriche), che riflettono il mondo spirituale degli artefici del libro» (p. 111).
Il catalogo vero e proprio ha una struttura semplice e lineare, con schede disposte su due colonne. La scheda tipo, mutuata dall'OPAC di SBN, è suddivisa in quattro parti: informazioni relative all'edizione; descrizione degli esemplari; segnalazione dei repertori (molto utili i riferimenti al codice identificativo di SBN e a quello di Edit16, così come le segnalazioni dei link a eventuali edizioni digitalizzate); segnatura dell'esemplare. I criteri catalografici, che seguono le norme ISBD(A) e REICAT, si caratterizzano per l'equilibrio tra i dati descrittivi dell'edizione e dell'esemplare, anche se a questi ultimi talvolta è riservata un'analisi non sempre analitica e dettagliata (la descrizione delle legature non è presente con sistematicità e le note di possesso sono talvolta segnalate senza trascrizione), ma comunque utile specie in vista di eventuali analisi di approfondimento o specifici casi di studio.
Chiude il volume il ricco e indispensabile apparato di indici: Indice delle intestazioni principali e secondarie, a cura di Sabrina Tirri e Stefania Ciardiello (p. 661-682); Indice dei disegnatori, incisori, pittori, a cura di S. Tirri (p. 683); Indice degli editori e dei tipografi, a cura di S. Tirri e S. Ciardiello (p. 685-728); Indice dei luoghi di stampa, a cura di S. Ciardiello (p. 729-736); Indice cronologico delle edizioni, a cura di Lucia Palmisano e S. Ciardiello (p. 737-751); Indice dei possessori, a cura di S. Tirri (p. 753-754).
Enrico Pio Ardolino
Università Sapienza di Roma
Pubblicato dall'editore Viella nella collana «Scritture e libri del Medioevo», diretta da Marco Palma, Incunaboli a Siracusa è un catalogo redatto a più mani adottando una tipologia descrittiva ad oggi mai utilizzata nella tradizione catalografica incunabolistica. Come scrivono gli autori nella premessa, essi si sono «proposti [...] di dar conto degli aspetti testuali e materiali degli esemplari in quanto tali, piuttosto che come rappresentati degli impianti allestiti dai prototipografi» (p. 7), con la volontà prevalente di mostrare le caratteristiche materiali dei volumi giunti sino a noi, dal momento che le caratteristiche legate all'edizione sono note da tempo grazie all'impresa dell'Incunabola Short Title Catalogue della British Library (London: The British Library, http://istc.bl.uk). La specificità dunque di questo catalogo, che lo rende profondamente diverso dai cataloghi di incunaboli editi sino ai tempi più recenti, consiste nel tipo di approccio al manufatto librario e nell'organizzazione e stesura della scheda catalografica che prevede l'intestazione all'esemplare e non, come di consueto, all'edizione.
La scheda catalografica prevede una suddivisione della descrizione in più parti; una prima, dopo l'indicazione della biblioteca di appartenenza e la segnatura di collocazione, nella quale si forniscono i dati tipografici (anno, mese e giorno, luogo di stampa e tipografo, editore quando presente); di seguito i dati relativi alla bibliografia dell'edizione nella quale, in ordine alfabetico, si riportano i repertori che la descrivono, già inseriti nel campo References dell'ISTC (e troviamo in evidenza, in grassetto, i riferimenti all'ISTC e al Gesamktcatalog der Wiegendrucke) e la bibliografia dell'esemplare, nella quale invece si dà conto di studi specifici che hanno riguardato appunto l'esemplare. La descrizione prosegue con le indicazioni dell'autore e/o del titolo e di eventuali altri responsabili della pubblicazione quali curatori, traduttori, commentatori; segue la trascrizione del colophon in edizione interpretativa con scioglimento delle abbreviazioni e apposizione di punteggiatura moderna, e la descrizione interna. Quest'ultima è assai ricca e può risultare complessa ad una prima lettura; in essa si dà conto di tutti gli aspetti testuali degli esemplari, con riferimento alle carte, delle quali viene fornita la numerazione originale a registro e la numerazione progressiva apposta successivamente. La descrizione interna prevede l'individuazione di tutti i testi contenuti nel volume.
Segue la descrizione esterna che interessa tutti gli aspetti materiali degli esemplari; essa prende avvio con la registrazione della consistenza dell'esemplare, prosegue con le indicazioni relative alle dimensioni di una carta specifica (si riportano le dimensioni dello specchio di stampa, con indicazione sia delle misure degli spazi riservati al testo sia di quelli bianchi, il numero delle linee di testo, come da indicazioni elaborate per la stesura dei Manoscritti datati d'Italia; a tale proposito si vedano le Norme per i collaboratori dei Manoscritti datati d'Italia, a cura di Teresa De Robertis, Nicoletta Giovè Marchioli, Rosanna Miriello, Marco Palma, Stefano Zamponi, Firenze: Dipartimento di studi sul Medioevo e il Rinascimento, 2000 e la banca dati http://www.manoscrittidatati.it); si dà conto della fascicolazione, si registra l'impronta e si indica il tipo di carattere, la presenza di illustrazioni e decorazioni, di maniculae e altri elementi paratestuali, note manoscritte e timbri di appartenenza. Queste ultime informazioni sono fornite secondo lo spirito della banca dati MEI, Material Evidence in Incunabula che ha come fine la raccolta e la registrazione di notizie utili per la ricostruzione della storia dei libri stampati nel XV secolo, mediante la collazione di dati specifici raccolti da ciascun esemplare. All'interno del MEI, ogni elemento registrato, dalla legatura alla nota manoscritta, dallo stile di decorazione alla postilla, è trattato come un indizio di provenienza, geograficamente datato e localizzato.
Uno spazio importante della descrizione fisica è dedicato, infine, alla registrazione dei dati relativi alla legatura degli esemplari; delle legature si offre una accurata descrizione che comprende sia le tecniche di manifattura sia i materiali utilizzati, con indicazione di eventuali restauri occorsi nel tempo. Sono descritte le carte di guardia, l'indorsatura quando visibile, la tipologia della cucitura dei nervi e dei capitelli, materiali e tipologie della coperta, decorazione dei tagli, eventuali indicazioni sui restauri eseguiti nel corso del tempo e sulle legature originali, quando documentabili.
Segue una bibliografia nella quale si ha lo scioglimento delle abbreviazioni bibliografiche. Ricco è l'apparato di indici che corredano il testo e che riguardano gli autori, i titoli delle opere e gli incipit, i nomi di persona e di luogo, il nome degli editori e dei tipografi, i luoghi di edizione. Si nota, ed è già stata fatta notare (Elena Gatti in «L'almanacco bibliografico» n. 37, marzo 2016, p. 7-9), la mancanza di un indice dei possessori che potrebbe essere assai utile a completare un lavoro, il cui significato sta, in parte, a nostro avviso, soprattutto nel fornire una serie di informazioni che possono essere utili per chi lavora per ricostruire le vicende storiche delle raccolte librarie, e l'aggregazione dei fondi e per chi nutre specifici interessi nei confronti di un collezionista. Non è semplice, naturalmente, predisporre un indice dei possessori, soprattutto se, come certamente si è verificato, molte attribuzioni sono incerte o interpretate, cancellate e riscritte. Interessante leggere, a pagina 311, l'Addenda et corrigenda ISTC, nella quale sono riportati i 27 esemplari qui descritti e non censiti in ISTC alla data del 30 aprile 2015. Elemento questo che rafforza, ancora una volta e se ce ne fosse bisogno, le motivazioni insite in un progetto del genere volto alla migliore conoscenza del patrimonio librario quattrocentesco. Chiudono il volume 36 tavole in bianco e nero precedute da un indice delle tavole.
Delle sedi di conservazione si offre, a inizio del volume, un breve profilo storico.
Andiamo agli incunaboli: sono 148 gli incunaboli conservati nelle biblioteche siracusane (Biblioteca Alagoniana, Biblioteca provinciale dei Cappuccini, Biblioteca comunale, dalla Biblioteca Paolo Orsi della Soprintendenza per i beni culturali) e in altri centri della provincia (Biblioteche comunali di Avola, Lentini, Noto, Palazzolo Acreide, Biblioteca del Seminario Vescovile di Noto e dei Padri Cappuccini di Sortino) e qui descritti. Gli esemplari delle edizioni catalogate sono apparsi tra il 20 settembre 1471 (si tratta della scheda n. 52, della Biblioteca Alagoniana di Siracusa, il Cicerone di Sweynheym e Pannarzt, la cui prima carta è riprodotta in copertina) al 1500 (data di stampa di sette opere, alle schede 10, 17, 31, 106, 112, 132, 145); si dà infine notizia della presenza di cinquecentine quando legate agli incunaboli. Scorrendo gli indici si noterà che, dal 1471 al 1500, per ogni anno si riscontra almeno un incunabolo, con un incremento sostanziale negli ultimi anni del XV secolo; si nota anche la presenza massiccia di incunaboli stampati a Venezia, ben 117, contro 6 stampati a Brescia, 5 a Lione, 4 a Bologna e a Roma, il resto in altre città prevalentemente italiane, e un solo incunabolo siciliano, stampato a Messina.
Ciò che rende diverso e promettente questo catalogo da ogni altri catalogo pubblicato sino ad ora consiste, a mio avviso, nella registrazione dei dati relativi alla provenienza, dati che ci consentono molte operazioni, tra cui per esempio quella di ricostruire una parte della storia degli incunaboli in questione, la cui presenza nella città e nella sua provincia, come ci spiegano i curatori, sono legate a due fonti principali, la predicazione degli Ordini Mendicanti e il collezionismo dei bibliofili ecclesiastici o laici, tra Settecento e Ottocento.
I tempi sono maturi per riconoscere l'importanza della registrazione e della condivisione dei dati contenuti in ogni esemplare e per studiarlo insieme ai suoi sodali, ossia gli altri incunaboli e, vorrei dire, gli altri libri antichi, conservati in uno stesso istituto. Il territorio delle conoscenze non può che ampliarsi grazie a studi di questo genere che diventano utili, poi, non solo per gli addetti al lavoro, ma anche per quanti, storici, antropologi, sociologi, filologi, seguono specifiche piste di ricerca e possono trovare indizi assai utili e ricchi giacimenti di informazione tra le pagine di cataloghi redatti seguendo la metodologia descritta. Siamo mi sembra, pienamente entrati in un processo nel quale possono ancora ampliarsi e trovare altro spazio di approfondimento tutte le implicazioni sottese alla conoscenza dei manufatti dei primi decenni della stampa manuale, attraverso la predisposizione di strumenti di mediazione della conoscenza e di consultazione sempre nuovi e che non devono temere di essere messi a confronto con i tradizionali strumenti dell'incunabolistica, guide sempre preziose e la cui validità nessuno intende mettere in dubbio.
Ciò che più mi appassiona di questo nuovo approccio è la possibilità, abbandonata la gerarchia di schede principali e schede secondarie, di segnalare ogni apporto autoriale, sia esso collegato all'autore, al prefatore, al commentatore, al traduttore, al dedicatario, al lettore e al possessore (dal privato lettore, percorrendo la strada che ha portato l'oggetto alla biblioteca che lo conserva), all'artigiano legatore o restauratore, mettendo insieme quindi elementi legati all'officina tipografica, all'officina del legatore, a quella più vicina a noi del tempo del restauratore, insieme allo studiolo del lettore o dello studioso che ha avuto il testo tra le mani, lo ha reso proprio con un ex libris, lo ha postillato e sottolineato, ha usato qualche carta per i suoi schizzi annoiati e le sue prove di penna.
Insieme alla trascrizione delle note di possesso mi sembra inoltre interessante la trascrizione dei colophon che permettono al lettore di entrare direttamente nel mondo assai interessante delle officine tipografiche; significativo (ma questo tra tanti altri) per esempio è il colophon del Cicerone già menzionato: «Aspicis, illustris lectori quicunque, libellos, / si cupis artificum nomina nosse: lege. / Aspera ridebis cognomina Teutona; forsan / mitiget ars musis inscia verba virum. / Conradus Suueynheym Arnoldus Pannartzque magistri / Rome impresserunt talia multa simul / Petrus cum fratre Francisco Maximus ambo / huic operi aptatam contribuere domum. MCCCCLXX1, die XX septembris» (p.100-101).
Un'ultima nota. In un momento storico in cui molti repertori si trovano e si costruiscono direttamente in rete, potrebbe sembrare anacronistico insistere con la produzione di cataloghi a stampa; tuttavia se è vero che l'informazione in rete contribuisce a diffondere le notizie in tempo reale, è vero anche che una più sicura conservazione delle notizie stesse è resa possibile dal fatto che esse trovano sede anche in un repertorio cartaceo posseduto, si auspica, da numerose biblioteche.
Simona Inserra
Università di Catania
Il volume di Lorenzo Baldacchini, l'ultimo uscito nella collana Biblioteconomia e scienza dell'informazione dell'Editrice Bibliografica, rappresenta un aggiornamento, al passo con i tempi e i fenomeni, della fortunata precedente opera Il libro antico su cui tanti bibliotecari e studenti di bibliologia si sono formati nel corso di almeno due decenni.
Nel primo capitolo, dal titolo Il campo. Quali manufatti, vengono fornite le nozioni fondamentali che dovrebbero far parte del bagaglio di quanti desiderano occuparsi del libro antico e del suo trattamento catalografico. Ripercorrendo le tappe dell'invenzione della stampa in Europa nella metà del XV secolo si fornisce, innanzitutto, una puntuale spiegazione dell'oggetto libro antico, per poi arrivare a definire cosa si celi dietro l'etichetta di libro raro, utilizzata talora in modo improprio, o comunque non coerente, nell'ambiente bibliotecario e antiquario.
Il lettore inizia, quindi, una sorta di viaggio alla scoperta del libro antico, dalla coperta e le altre componenti della legatura al frontespizio sino ad arrivare al colophon; viene, quindi, illustrata la struttura del libro: la segnatura, di cui sono presentati vari esempi, il richiamo, il registro, il formato, il paratesto (o meglio, «peritesto editoriale»), le illustrazioni.
Il capitolo si chiude con un utile paragrafo dedicato all'eterogeneo materiale costituito da manifesti, bandi, fogli volanti, ecc., «documenti che non è facile definire accorpandoli tutti in una sola categoria, o per meglio dire, [...] materiale che più facilmente può essere nominato che definito» (p. 45). Baldacchini ricorda che questi documenti necessitano di trattamenti differenziati nelle varie fasi di catalogazione, conservazione, fruizione ed evidenzia come, anche in epoca di stampa meccanica «questa seconda gamba della tipografia non solo si è mantenuta viva e vegeta, ma si è arricchita di nuovi prodotti quali biglietti ferroviari, di partite di calcio, menù più o meno storici, deliziosi calendarietti profumati dei barbieri, perfino tessere telefoniche, per la gioia di collezionisti e qualche volta per la disperazione dei bibliotecari, che si ritrovano tra le mani carte, foglietti di ogni tipo, veri e propri pizzini usati come segnalibri nei volumi di qualche collezione privata [...] e hanno qualche difficoltà a trattarli (magari in dubbio se tenerli nei volumi oppure farne una serie a parte?)» (p. 51).
Tutto il capitolo è corredato di immagini che facilitano la comprensione a chi si avvicina per la prima volta al tema alleggerendo il testo denso di concetti.
Segue Una breve storia della descrizione nella quale l'autore ricostruisce, appunto, il percorso della descrizione catalografica a partire dal momento «in cui i libri a stampa cominciarono ad essere oggetto di interesse antiquario, cioè allo stesso modo, su per giù, dei manoscritti» (p. 55). In poche pagine viene tracciata la storia della catalogazione degli incunaboli e delle edizioni del XVI secolo; interessante, a questo proposito, l'accenno alla «primavera bibliografica», secondo la definizione di Morpurgo prima e Fumagalli poi, e all'intervento di Luigi De Gregori al Congresso mondiale delle biblioteche del 1929 che invitava a occuparsi dei libri antichi, in particolare degli «esemplari cinquecentini» (p. 60).
L'interesse nei confronti delle edizioni del Cinquecento, rilevabile nel mercato antiquario già dalla fine dell'Ottocento, a partire dagli anni Venti si accompagnò, infatti, a un'attenzione crescente da parte di bibliografi e bibliotecari italiani. Secondo Baldacchini «la necessità di individuare un oggetto bibliografico così importante e così massicciamente presente nelle biblioteche italiane e di identificarlo immediatamente con una parola piuttosto che con una perifrasi, derivò dunque probabilmente da una esigenza eminentemente pratica» (p. 61-62).
Viene, quindi, dato spazio alla questione del censimento delle cinquecentine in rapporto alla scelta dello standard catalografico da adottare, tema quest'ultimo che divenne predominante a scapito del primo; l'autore ripercorre le tappe principali del dibattito attraverso alcuni grandi protagonisti (in primis Luigi De Gregori e Francesco Barberi) sottolineando efficacemente i vari fenomeni in atto a livello italiano e internazionale. In tale quadro non potevano mancare, naturalmente, precisi riferimenti alla nascita e lo sviluppo di Edit16 da parte di uno dei protagonisti del progetto.
Nel terzo capitolo (Bibliografia analitica e cataloghi) si forniscono alcune nozioni di bibliografia analitica «che risultano di indubbia utilità anche nella realizzazione dei cataloghi» (p. 69); dietro ai concetti di impressione, emissione, stato, edizione, esemplare standard o ideale si celano fondamentali- e complessi- fenomeni oggetto della bibliologia, «quella disciplina [...] che studia i libri (e in genere i documenti tipografici) dal punto di vista del loro aspetto materiale e come testimonianze della storia del processo produttivo del libro a stampa» (p. 73). Pur mettendo in guardia dal rischio, per i catalogatori, di confondere gli obiettivi di questo settore di studio con le finalità della descrizione del libro antico, Baldacchini sottolinea l'importanza di possedere un'adeguata formazione bibliologica per poter lavorare seriamente ai fondi antichi delle biblioteche.
Nella restante parte del capitolo viene affrontato in dettaglio il tema dell'evoluzione di regole catalografiche specifiche per le edizioni antiche a stampa in Italia e all'estero, ricordandone i due principali scopi: consentire, innanzitutto, l'identificazione certa di libri, grazie a elementi non legati esclusivamente alle opere in essi contenute, e giustificare accessi in grado di facilitare l'identificazione di libri caratterizzati da determinati elementi intellettuali e fisici. Utili i dettagliati riferimenti allo standard International standard bibliographic description sul materiale antico nell'edizione del 1991, poi confluito nell'edizione consolidata del 2007, e alla Guida alla catalogazione in SBN-Libro antico (1995), messi a confronto area per area. A chiudere, un interessante paragrafo dedicato alla necessità, nei cataloghi, di prevedere accessi ai responsabili della pubblicazione, stampa, distribuzione, ecc.; l'autore ribadisce il ruolo prioritario delle liste di autorità anche e soprattutto nel contesto attuale dei linked data.
Il quarto capitolo, In Italia: Censimento, SBN (A) e REICAT. Descrizione e accessi. Oggi cataloghiamo così, è incentrato sulle parti dell'ISBD Consolidated edition nella traduzione italiana specifiche sul materiale antico, che l'autore decide di riportare interamente; insieme ad esse, viene presentato un documento prodotto nel Polo bolognese di SBN in attesa dell'uscita della nuova Guida SBN(A)- poi avvenuta sulla piattaforma Mediawiki proprio nel momento in cui il volume di Baldacchini andava in stampa- contenente indicazioni sull'applicazione delle Regole italiane di catalogazione al libro antico. Segue un breve paragrafo focalizzato sui principali strumenti per il libro antico esistenti nel Web.
Nel quinto capitolo, intitolato Nuovi scenari, nuovi approcci, l'autore si concentra sulle nuove filosofie emergenti in ambito catalografico a partire dai Functional requirements for bibliographic records, FRBR, sino a Resource description and access (RDA) e alla Dichiarazione di principi internazionali di catalogazione del 2009, riportata interamente nel testo nella versione italiana. A conclusione di questo capitolo uno «sguardo agli USA», con un accenno all'appendice Bibliographic description of rare books elaborata nel 1981 dalla Library of Congress nella fase di attesa per l'uscita della revisione della seconda edizione delle Anglo-American cataloguing rules, AACR2 (1988) e dell'ISBD(A) rivisto (1991). Baldacchini ricorda come si sia arrivati, in seguito, a un altro documento, Descriptive cataloging of rare books (DRCB), finalizzato a chiarire la differenza tra bibliografia e catalogazione dei libri antichi, utilizzato negli Stati Uniti più dell'ISBD(A) e in alternativa alle AACR2. Vengono citati, infine, alcuni volumi dal titolo Descriptive cataloging of rare materials per i vari materiali (libri- DRCM(B)-, musica, seriali, ecc.) emanati del Bibliographic Standards Committee dell'Association of College and Research Libraries (ACRL), una divisione dell'American Library Association.
La collezione storica delle biblioteche rappresenta il focus del sesto capitolo, Dal libro alla raccolta. L'autore fa chiarezza sul significato di collezione speciale e collezione storica, spesso fatte coincidere in modo improprio non tenendo conto delle stratificazioni alla base della formazione delle raccolte librarie in Italia, e rileva come «definire [...] speciali certe collezioni storiche che spesso sono quelle fondanti (in certi casi perfino eponime) della biblioteca, parrebbe dunque una forzatura» (p. 192). La descrizione complessiva delle collezioni è trattata nell'appendice, di vari anni fa, del già citato DRCM, che viene riportata.
Nell'ultimo brevissimo capitolo, L'era dell'accesso e dell'integrazione. La descrizione e l'accesso alle risorse (RDA), ci si chiede quale possa essere l'orizzonte futuro per la descrizione e l'accesso al libro antico e ai materiali rari; dinanzi all'affermazione, proveniente da più parti, che il ruolo del catalogo potrebbe uscire rafforzato in un'era caratterizzata dal Web semantico e dai dati aperti e collegati, l'autore si dichiara cautamente ottimista. Vorrei aggiungere, a questo proposito, una considerazione personale. Qualsiasi forma assumeranno i cataloghi del domani, credo che occorra non dimenticare che la catalogazione è un processo intellettuale- come del resto ricordato anche dall'autore nelle pagine conclusive- composto da regole e linguaggi controllati. Non può esistere, a mio parere, nessun contenitore di dati bibliografici in assenza di solide norme alla base che garantiscano non soltanto l'agevole reperimento di quei dati nella rete, ma riflettano anche la struttura complessa dell'universo bibliografico.
In chiusura del libro le conclusioni, che includono alcuni esempi pratici SBN, la bibliografia e l'indice analitico.
La descrizione del libro antico di Lorenzo Baldacchini è un'opera certamente utile sia ai catalogatori, per approfondimenti su specifici aspetti, sia a chi voglia acquisire conoscenze sul trattamento catalografico del libro antico e sui concetti fondamentali della bibliologia; il ricco trattato va, come accennato in apertura, a rinnovare e ampliare i precedenti lavori dell'autore grazie ai quali tanti studenti, inclusa la sottoscritta, hanno acquisito non soltanto nozioni tecniche, ma anche quella «consapevolezza critica, senza la quale nessun impegno di carattere intellettuale può essere affrontato, tanto meno quello particolarmente complesso di catalogare libri e materiale antico» (p. 211).
Simona Turbanti
Sistema bibliotecario di ateneo, Università di Pisa;
Sapienza Università di Roma