di Waldemaro Morgese
«È una buona cosa che tu legga tutti questi libri invece di stare attaccata
alla televisione. Il cervello ti uscirebbe fuori dalle orecchie come melassa».
Controlla il volume delle Dodici principesse danzanti, poi scansiona la mia carta e me la restituisce.
«I libri mi piacciono di più». Non accenno al fatto che non abbiamo un televisore perché non
abbiamo l'elettricità; i bibliotecari ci trattano ancora come se fossimo persone normali.
Sara Taylor1
I principali prodotti dell'economia del XXI secolo non saranno tessuti, automobili o armi, ma corpi, cervelli e menti. Questa non è soltanto la più grande rivoluzione biologica sin dalla comparsa della vita sulla Terra: dopo quattro miliardi di anni di vita organica definita dalla selezione naturale, questa sarà sostituita dal disegno intelligente della scienza.
Yuval Noah Harari2
Il titolo del diciottesimo workshop di Teca del Mediterraneo (Il futuro delle biblioteche: nuovi ruoli nell'universo digitale) è un assist a favore di quanti ritengono che le biblioteche abbiano un futuro nel nostro Paese e, credo, nel mondo, soprattutto declinato nella galassia del digitale cioè del non cartaceo.
Il programma del workshop individua alcuni snodi significativi: la smaterializzazione dei documenti, lo status lavorativo del bibliotecario digitale, l'informazione free, la qualità del servizio documentario e le nuove potenzialità del catalogo.
Sono tutti temi di grande rilievo, in modo particolare l'informazione free3 e la smaterializzazione dei documenti, che si pongono direttamente sul crinale del passaggio - per usare espressioni di Jeremy Rifkin - dall'era 'industriale' all'era 'collaborativa': orientata «al gioco, all'interazione da pari a pari, al capitale sociale, alla partecipazione a domini collettivi aperti, all'accesso alle reti globali»4.
Riguardo alla smaterializzazione dei documenti bisogna confrontarsi non solo con la virtualizzazione dei testi cartacei, bensì anche con quel fenomeno che Marti Hearst, professoressa a Berkley, ha definito «il declino della parola scritta»:
Le forme di comunicazione che faranno il grande cambiamento culturale saranno l'audio e il video, piuttosto che il testo. Come avverrà? Intanto, ci sarà un'enorme riduzione dell'uso della tastiera: l'inserimento dell'informazione testuale si sposterà verso il dettato audio.
[...] Questo approccio audio avrà successo dove in precedenza ha fallito grazie ai miglioramenti che renderanno più facile l'uso dell'editing, dell'immagazzinamento e del recupero di parole parlate e di miglioramenti futuri della tecnologia di riconoscimento vocale5.
L'informazione libera reclama un dislocarsi delle biblioteche e dei bibliotecari ben oltre l'ambito degli autori e degli utilizzatori dell'editoria scientifica, per lo più universitaria o parauniversitaria: in una siffatta considerazione 'disciplinare' ristretta, infatti, la tenzone fra i sostenitori dell'accesso aperto e i difensori di quello chiuso non avrebbe storia almeno attualmente, dato che - al di fuori dell'ambito scientifico - il modello commerciale dell'editoria è del tutto prevalente mentre le possibilità di veicolazione free restano assolutamente marginali6. Invece l'implementazione free ad ampio spettro e non solo limitata agli ambiti scientifici potrebbe diventare un asset sociale importante per aggiungere un ulteriore argine a quegli aspetti della globalizzazione che si stanno sempre più rivelando come negativi7.
Rifkin, come noto, richiama Jean-Baptiste Say, un economista della prima metà dell'Ottocento, per riportare un punto di vista sullo sviluppo che ormai sembra non più attuale: quello secondo cui il ciclo della produzione-consumo è infinito, nel senso che l'offerta crea sempre la propria domanda; per cui anche nel caso di un'era di innovazione tecnologica (caratterizzata dall'abbattimento del costo del lavoro e anche del prezzo dei beni venduti) il maggiore potere d'acquisto dei salari sopravvissuti dovrebbe tradursi in una più vivace disposizione a consumare e quindi nella presumibile creazione di altri posti di lavoro magari in comparti nuovi, per fronteggiare sul piano produttivo le nuove esigenze di consumo. Sembra invece ormai certo che quanto argomentato dagli economisti classici come Say potrebbe oggi continuare a determinarsi, certo, ma con impatti minimi, mentre il carattere fondante dello sviluppo del XXI secolo sarà sempre più all'insegna dell'aumento della produttività e di una drastica riduzione della forza lavoro, per causa della pervasività delle tecnologie basate sull'intelligenza artificiale8.
Si potrebbe anche sostenere che smaterializzare i documenti (comunque garantire il 'consumo' libero degli stessi smaterializzati o meno) e sviluppare l'informazione free si configurino come una grande operazione globale di sicura efficacia per accompagnare il passaggio epocale alla rifkiniana società 'collaborativa', quella in cui, contrastando le attuali tendenze perniciose della globalizzazione, il problema del significato del lavoro potrebbe essere in qualche maniera risolto in relazione - a parte i pochi detentori delle decisioni strategiche - sia ai 'non più lavoratori' (nel frattempo divenuti sterminati di numero), sia ai lavoratori residuali: presumibilmente coinvolgendo i primi in attività correlate a redditi 'di cittadinanza'; i secondi in attività che consentano di lenirne la condizione di prestatori d'opera costretti ad un lavoro ripetitivo, privo di qualsivoglia contenuto creativo.
Alcuni futurologi, come ad esempio Jacques Attali, credono fermamente nella massima: «i disastri saranno, ancora una volta, i migliori avvocati del cambiamento»9. Un cambiamento che sarà agìto - secondo Attali - dagli «iperumani» o «transumani», che plasmeranno le istituzioni della «iperdemocrazia» (un concetto analogo alla rifkiniana «era collaborativa»):
Mercato e democrazia saranno messi al servizio del lungo periodo. Si svilupperanno, per il benessere di ciascun individuo, beni essenziali (il più importante sarà il buon tempo), e per il benessere di tutti un bene comune (la cui dimensione principale sarà l'intelligenza collettiva).
Poi, anche al di là di un nuovo equilibrio mondiale tra mercato e democrazia, tra servizi pubblici e imprese, i transumani faranno sorgere un nuovo ordine di abbondanza, da cui il mercato sarà a poco a poco escluso a vantaggio dell'economia relazionale10.
Pur nella consapevolezza che le posizioni ora richiamate di Rifkin e Attali sono solo due esempi fra i vari registrabili in tema di sviluppo del futuro, discutibili come lo è ogni incursione di scenario, chi scrive ritiene interessante congetturare che un'era «collaborativa» o «iperdemocratica» del tipo di quella delineata dai futurologi citati, qualora prevalga, si fonderà su valori liberali, vale a dire su sistemi politici basati sul criterio della «non-interferenza», come sottolinea Ottavio Marzocca: «meno esso [il governo] interferisce con la sfera della libertà degli individui, più essa [la qualità di un governo] è un 'buon governo'»11.
Ciò potrebbe verificarsi durante il secolo in corso: quindi non è inutile o giocoso esercizio riflettervi in relazione alla concreta operatività delle biblioteche.
Rispetto a un futuro prossimo venturo così delineato non è peregrino auspicare che le biblioteche divengano sempre più proattive in rapporto ad una fase di grandi cambiamenti che si compiranno, probabilmente, nell'arco di meno di 100 anni. La tradizionale caratterizzazione della biblioteca quale vettore e organizzatrice di knowledge12 dovrebbe dunque 'meticciarsi' con una più spiccata disposizione all'azione civile, per incidere sulle fenomeniche del cambiamento allo scopo precipuo di fare in modo che esso imbocchi il 'verso giusto': cioè la direzione, appunto, dell'iperdemocrazia, perfetto brodo di coltura dell'informazione libera e delle potenzialità positive del digitale nei suoi molteplici aspetti.
La drammaticità ma anche l'imprescindibilità incorporate nel concetto di 'giusto verso' deriva dalla constatazione che i processi di knowledge sembrano invece oggi sempre più centralizzati e verticalizzati, auspice la robotizzazione in corso sul piano tecnologico, le disuguaglianze economiche crescenti e la crescente esclusione di masse sterminate di esseri umani dai luoghi di effettiva formazione delle decisioni13.
Di sicuro un approccio non più neutrale ma attento alle dinamiche morfologiche del cambiamento sociale farebbe sì che l'attuale si caratterizzerebbe compiutamente come un sistema di ecobiblioteche, ove il suffisso 'eco' segnala olisticamente un'attenzione per la propria 'casa' (òikos), quindi per il complesso delle vivaci dinamiche sociali, economiche, culturali, anche ecologiche - identitarie o meno - che investono il territorio di propria operatività. Si tratta in ogni caso di una problematica che è presente da tempo nella discussione biblioteconomica14 ed è da sottolineare che l'incipit più prezioso per ogni biblioteca che intenda diventare 'ecobiblioteca' sia il patrimonio costituito dagli stretti legami che intesse con i suoi utenti, come testimonia un recente bel library book15.
Tutto questo implica, di conseguenza, l'affermarsi più coraggioso e compiuto di bibliotecari empatici con ciò che li circonda, in grado cioè di 'uscire fuori da sé' per condividere criticamente le passioni comuni, le ansie, le speranze, le aspettative, i desideri, la protesta se si vuole; anche per coltivare costruttivamente e in comunanza ideali desiderati per un verso e certezze conquistate per un altro16.
Comunque è condivisibile il punto di vista di quanti sostengono che, pur nella pregnanza e probabile ineluttabilità della conversione digitale e delle novità epocali in corso, non si potrà non continuare per una lunga fase a salvaguardare il valore del tradizionale bagaglio 'analogico' intimamente connesso al ruolo efficace che la biblioteca ha finora svolto a beneficio dell'acculturazione e quindi del benessere dell'umanità17.
Vari osservatori, di recente anche John Palfrey, hanno avvertito il bisogno di ribadirlo. Palfrey, direttore e fondatore della Digital Library of America, nel suo Bibliotech, un'opera del 201518, oltre a sostenere che «le biblioteche fisiche e quelle digitali continueranno a coesistere, di certo per il prossimo futuro e forse per sempre»19, appunta un concetto che sembra oltremodo interessante: la biblioteca non è solo il luogo del sapere ricercato in modo programmato e consapevole, è anche il luogo della serendipità, cioè della scoperta involontaria, inattesa. Il cittadino, insomma, può entrare in biblioteca non solo con un scopo preciso di ricerca, ma anche con la consapevolezza di varcare una soglia che gli dà accesso ad uno scrigno di potenziali conoscenze, impossessandosene, nutrendosene perfino a caso. Uno scrigno che quindi è in fondo un luogo di libera condivisione di conoscenza, meglio ancora se in unione e sinergia con altri cittadini utenti20.
Occorre infatti sempre avere chiari sia la valenza (o mission) non tramontabile della biblioteca quale arena di nutrizione della mente, quindi dispensatrice di knowledge (secondo programmi consapevoli o meno), sia il fatto che i modi tecnici (analogico, digitale, eccetera) della nutrizione sono una variabile contingente, soggiacente allo sviluppo storico: compresa la configurazione degli operatori (i bibliotecari).
Si tratta di una prospettazione che, intanto, ha un riscontro certo in termini geopolitici: perché la transizione digitale è e resterà molto più lenta negli scacchieri del terzo mondo e comunque in tutte le plaghe che non coincidono con i paesi OCSE21, talché essa si configurerà come asimmetrica per una lunga fase.
In effetti l'unica confutazione dell'assunto della perdurante compresenza di fisico e digitale potrebbe valere nel tempo in cui un chip impiantato nel cervello dell'uomo potenzierà le nostre capacità e, trasformandoci in cyborg, ci permetterà di introiettare direttamente scibile vario, sw e big data22, sconvolgendo la bipartizione utente-intermediario23 così fortemente presente da secoli nella biblioteca. Ma questo tempo, se pensiamo a chip impiantati su tutta l'umanità e non su pochi privilegiati, quindi ad una connotazione compiutamente umanistica dello sviluppo scientifico24, è un'ipotesi altamente probabile, come già abbiamo accennato, ma non certo a breve termine.
Vi è un ulteriore profilo di riflessioni da formulare: riguarda in questo caso il rilevante contenuto di 'customizzazione' che le biblioteche sono in grado - da sempre - di esprimere.
Ritengo si debba molto riflettere sulla seguente informazione contenuta in un articolo apparso in un dorso economico:
alla Daimler, negli ultimi anni, il prevalere del modello Toyota, dell'automobile 'on demand', ha costretto i manager ad un ripensamento. Le ordinazioni che arrivano al colosso dell'automobile, sono le più bizzarre: Swarowski sui fari o rifiniture speciali in oro o chissà. Così, nel tratto finale della catena di montaggio delle Mercedes i robot sono stati sostituiti dagli operai. Per venire incontro alle richieste dei singoli clienti ci vuole la mano dell'uomo. I robot non sono abbastanza flessibili. Intelligenti, si potrebbe quasi dire25.
Il paragone è intuitivo, pur trattandosi di un caso non tipico: se la 'customizzazione' oggi - era della diffusa robotizzazione in corso - vale perfino per l'industria automobilistica e costituisce un valore, essa lo è stato da sempre per la biblioteca, luogo della minuta e variegata intermediazione fra biblioteca e utente (cliente) grazie all'azione del bibliotecario e continuerà ad esserlo per un discreto periodo di tempo. Una intermediazione, tuttavia, che in configurazione evolutiva e prima della sua scomparsa non sarà più soltanto informativa, ma anche sociale e civile lato sensu.
In conclusione si potrebbe sostenere come sia oltremodo necessario sviluppare le tecnicalità digitali e favorire le molteplici transizioni nell'immateriale, ma che è auspicabile ciò avvenga applicando un sempre attuale cave, nel senso che la cornice architetturale in cui collocare la biblioteca e il bibliotecario rimanga scandita secondo una sequenza virtuosa che potrebbe suonare così:
- Il bibliotecario e la biblioteca sono preordinati, finalisticamente si potrebbe affermare, a migliorare la vita delle singole persone (e della comunità intesa come insieme di persone)
- Questo fine ultimo è conseguito, dal bibliotecario e dalla biblioteca, attraverso una precipua modalità: 'coltivare' la mente
- Le forme strumentali attraverso cui il bibliotecario e la biblioteca 'coltivano' la mente sono definite nel corso del tempo e costituiscono i cosiddetti paradigmi strategico-operativi.
Gli ultimi tre paradigmi affermatisi sono stati, come a tutti noto sulla base di una periodizzazione che ha riscosso un qualche successo, quello documentale, quello manageriale, quello welfaristico26.
Il prossimo paradigma sarà definito - anzi indotto, vorremmo sperare - dallo scenario socio-economico in corso: potrebbe essere denominato 'comunitaristico', configurato cioè da attenzione attiva per le 'sorti' della comunità27.
Bisogna sottolineare però che questi paradigmi si sovrappongono fra loro alluvionalmente, non sono mai mutualmente esclusivi: ad esempio la transizione digitale delle biblioteche appartiene di certo al paradigma documentale, sostanzialmente al protagonismo dei media informativi e delle potenzialità offerte dalle TIC, un paradigma che sul piano cronologico precede sia quello manageriale sia quello welfaristico, ma che non per questo ha cessato di esplicarsi.
Dunque, aderiamo pure all'appello di Vladimir Majakovskij, che scrisse Voglio il futuro oggi!
Se lo avessimo, con i suoi processi di dematerializzazione e la costruzione di inimmaginabili realtà virtuali, stiamo pur certi che le reti di biblioteche, musei e archivi (anche nelle loro valenze e refertualità fisiche) non perderebbero per un discreto periodo di tempo utilità e scopo, anzi, li guadagnerebbero, specie se i bibliotecari si orientassero a manipolare il knowledge in modo da trasformarlo in potente fattore di ausilio per imboccare il 'giusto verso' in ordine al cambiamento della società28.
Lo scritto è la rielaborazione di un intervento svolto in occasione del diciottesimo workshop di Teca del Mediterraneo, Bari, 7 aprile 2017.
[1] Sara Taylor, Tutto il nostro sangue. Roma: Minimum Fax, 2016, p. 27.
[2] L'intervista allo storico è in: Antonello Guerrera, Da qui all'eternità, «Robinson La Repubblica», 21 maggio 2017, p. 15.
[3] Che in alcuni settori, come il social broadcasting, è di sicuro molto sviluppata: una esemplificazione è stata portata all'attenzione ricordando il boom di streaming dell'incontro di boxe fra Mayweather e Pacquaio, per quanto trasmesso in USA sulle PayTV (cfr. Biagio Simonetti, Copyright: chi ha paura dei social broadcaster, «Il sole 24 ore», 12 maggio 2015. Non si intende qui lodare la pirateria, bensì prendere atto di inarrestabili direzioni di marcia
[4] Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale: come il potere laterale sta trasformando l'energia, l'economia e il mondo. Milano: Mondadori, 2011, p. 294. L'Autore ha approfondito le sue tesi in: La società a costo marginale zero: l'internet delle cose, l'ascesa del commons collaborativo e l'eclissi del capitalismo. Milano: Mondadori, 2014.
[5] Marti Hearst, Il declino della parola scritta. In: Come cambierà tutto: le idee che trasformeranno il nostro futuro, a cura di John Brockman. Milano: Il saggiatore, 2010, p. 327.
[6] Pur se la legge 7 ottobre 2013 n. 112 ha aperto prospettive interessanti nel nostro Paese: cfr. Antonella De Robbio e Fernando Venturini, La biblioteconomia giuridica in Italia, «Bibliotime», 2016, n. 1. In ogni caso, anche sul tema dell'open access alle pubblicazioni scientifiche la situazione attuale evidenzia numerose criticità: cfr. Maria Cassella, L'open access tra passato, presente e futuro, «Biblioteche oggi trends», 2015, n. 1, p. 60-68.
[7] Fa piacere constatare che un magazine culturale italiano abbia voluto ricordare Aaron Swartz nell'anniversario del suo suicidio a 26 anni: tecnologo e attivista digitale Swartz, nato a Chicago da famiglia ebraica, si e distinto per una combattiva militanza radicale a favore della libera condivisione delle conoscenze, convinto che il diritto umano di accedere al Knowledge sia un 'fondamentale' sacro. Cfr. Guido Brera, Il Robin Hood di internet, «La lettura - Corriere della sera», 8 gennaio 2017, p. 12-13.
[8] Per verità Rifkin ritiene che ciò accadrà a partire dalla seconda metà del XXI secolo, mentre fino ad allora vi sarà «un'ultima, finale espansione della forza lavoro di massa» per la necessità di trasformare il sistema energetico globale (ivi, p. 299-300).
[9] Jacques Attali, Breve storia del futuro. Roma: Fazi, 2016, p. 219.
[10] Ivi, p. 220-221.
[11] Ottavio Marzocca, Il mondo comune: dalla virtualità alla cura. Roma: Ecommons, 2015, p. 183.
[12] Si rilegga il sempre valido: Claudio Gnoli; Vittorio Marino; Luca Rosati, Organizzare la conoscenza: dalle biblioteche all'architettura dell'informazione per il Web. Milano: Hops, 2006. Nonché: Piero Cavaleri, La biblioteca crea significato: thesaurus, termini e concetti. Milano: Bibliografica, 2013.
[13] La robotizzazione, oggi trainata anche dagli sviluppi dell'intelligenza artificiale, è un processo inarrestabile: secondo calcoli nel 2018 vi saranno nel mondo 2,3 milioni di automi, alcuni dei quali già in qualche modo intelligenti. Del resto, come sostiene il fisico Stefano Fusi dello Zuckerman Institute (Columbia University): «non c'è motivo per cui una macchina non possa provare emozioni, compresa la paura. Anche se forse robot di questo tipo riusciremo a costruirli tra vari decenni» (cfr. Luca Fraioli, Siete pronti al cervello artificiale?, «Il venerdì di Repubblica», (2017), 28 aprile, p. 65). Le implicazioni di tutto ciò sono al momento poco chiare. Vi è chi da anni teorizza la fine del lavoro, come Domenico De Masi (già in: Il futuro del lavoro: fatica e ozio nella società postindustriale. Milano: Rizzoli, 1999). Di sicuro vi sarà almeno in una prima fase - un consolidamento di élites che controlleranno i processi produttivi e l'impiego delle macchine, sfruttando il possesso dei dati e degli algoritmi per elaborarli. Ma già si apre un ulteriore scenario, che Jerry Kaplan (cfr. Le persone non servono: lavoro e ricchezza nell'epoca dell'intelligenza artificiale. Roma: Luiss University Press, 2016), ha definito «relazione simbiotica o addirittura parassitica con le macchine» (ivi, p. 171): «Gli intelletti sintetici coopereranno con noi finché avranno bisogno di noi. Alla fine, quando sapranno progettare, aggiustare e riprodurre da sé, è verosimile che saremo lasciati a noi stessi. Ci schiavizzeranno? Non proprio più che altro ci alleveranno e ci terranno in riserve, rendendo la vita così piacevole e comoda da minimizzare la motivazione ad avventurarsi oltre i confini» (ivi, p. 192). Un allarme analogo hanno lanciato Stephen Hawking, Frank Wilczek, Stuart Russell e altri in un famoso articolo pubblicato l'1 maggio 2014 su «The independent». Naturalmente potrebbe verificarsi anche uno scenario non di contrapposizione fra umani e macchine umanoidi, bensì di definitiva transizione degli umani e delle macchine in una nuova specie che li comprenda entrambi, i cyborg, vale a dire gli uomini-macchina. Qualunque sia lo scenario, è autoevidente che i cambiamenti in corso sono molto incisivi, aperti a varie soluzioni e di rapidità esponenziale; quasi impongono quindi che i soggetti della attuale filiera del Knowledge si attrezzino per incidere attivamente sui processi in corso ovverosia sulle tendenze inerziali degli stessi. Una esigenza che è anche, più in generale, di Yuval Noah Harari (Sapiens: da animali a dèi: [breve storia dell'umanità]. Milano: Bompiani, 2017): «La sola cosa che possiamo tentare di fare è di influenzare la direzione che stiamo prendendo. Dato che presto potremmo essere in grado di progettare anche i nostri desideri, forse la vera questione che ci troviamo di fronte non è Che cosa vogliamo diventare? ma Che cosa vogliamo volere?. Coloro che non sono spaventati da questo interrogativo, probabilmente non ci hanno riflettuto abbastanza» (ivi, p. 514). Lo storico ha approfondito la sua visione in Homo deus: breve storia del futuro. Milano: Saggi Bompiani, 2017.
[14] Segnalo come esempio gli interventi di Sergio Dogliani, Rossana Morriello, Letizia Valli e Laura Ferraris in: I nuovi confini della biblioteca: verso un servizio culturale integrato che si apre al territorio, a cura di Massimo Belotti. Milano: Bibliografica, 2011.
[15] Raccontare la biblioteca: la Biblioteca (Acclavio) vista da chi la usa, a cura di Claudio Fabrizio. Taranto: Scorpione, 2015.
[16] Con la conseguente necessità di un fine tuning del sistema di formazione e aggiornamento professionale per consentire ai bibliotecari strutturati o intermediati da organismi cooperativi e noprofit, ai bibliotecari free lance e ai bibliotecari volontari (quindi auspicabilmente riunificati in una concezione più avanzata della categoria all'interno del mercato del lavoro) di meglio corrispondere alle nuove esigenze. Interessanti in questo quadro alcune riflessioni di Laura Testoni sulle competenze per il nuovo millennio, per cui si veda: Laura Testoni, Dall'information literacy alle literacy plurali del XXI secolo. In: Biblioteche e biblioteconomia: principi e questioni, a cura di Giovanni Solimine e Paul Gabriele Weston. Roma: Carocci, 2015, p. 499 e seguenti. Né bisogna nascondersi ciò che presumibilmente accadrà - come arricchimento del mercato del 'lavoro' o per meglio dire delle 'prestazioni' - anche nel campo della filiera MAB a medio termine, dopo quanto già accaduto per la sanità e l'assistenza, per il turismo e da ultimo per la sicurezza (cfr. Giovanni Caprara, Robcop? Non è un film, «Corriere della Sera», (2017), 24 maggio, p. 33), vale a dire l'impiego di robot sensibili in biblioteche, archivi e musei: di generazione avanzata, cioè intelligenti, dal momento che vi è necessità in questi casi di interazione forte con l'utenza. Per essere precisi, nel campo museale già stiamo assistendo alle prime esperienze (si pensi, quale uno dei vari esempi, ai robot Asimo, Geminoid e Telenoid operativi presso il Miraikan - Museo nazionale di scienza e innovazione di Tokyo).
[17] La biblioteca in-finita: i luoghi del sapere nel mondo antico, a cura di Roberto Meneghini, Rossella Rea. Milano: Electa, 2014. Un segnale della incertezza con cui procede la digitalizzazione, che comunque si ritiene non arrestabile nel lungo periodo, è la performance congiunturale del mercato degli e-book, attualmente in riduzione di vendite negli USA e anche in Italia.
[18] John Palfrey, Bibliotech: perché le biblioteche sono importanti più che mai nell'era di Google. Milano: Bibliografica, 2016.
[19] Ivi, p. 216.
[20] Puntualizza il concetto di serendipità anche Mauro Guerrini, riferendosi alla biblioteca a scaffale aperto: cfr. Mauro Guerrini, La filosofia open: paradigma del servizio contemporaneo. In: La biblioteca aperta: tecniche e strategie di condivisione. Milano: Associazione Biblioteche oggi, 2017, p. 9.
[21] Vedi: Biblioteca non è un edificio ma una funzione sociale. In: Waldemaro Morgese, Bibliotecari e biblioteche: coltivare la mente allo snodo del XXI secolo. Bari: Edizioni dal Sud, 2016, p. 27-29.
[22] Massimo Gaggi, L'era dell'uomo cyborg, «Corriere della sera», 29 marzo 2017, p. 21.
[23] Complici anche le tecnologie self-service.
[24] Infatti la prospettiva cyborg (uomo-macchina) è ben diversa dalla prospettiva robot (solo macchina). Solo nella prospettiva cyborg l'uomo può continuare a controllare la macchina, inglobando cioè omeostaticamente l'intelligenza artificiale in quella naturale, vale a dire nelle preesistenti capacità intellettuali umane.
[25] Tonia Mastrobuoni, Industria, il mondo in mano ai robot ma il lavoro resisterà all'automazione, «La Repubblica - Affari&Finanza», 6 febbraio 2017, p. 9.
[26] R. David Lankes chiama questi paradigmi «visioni del mondo»: cfr. R. David Lankes, L'atlante della biblioteconomia moderna. Milano: Bibliografica, 2014, p. 25. Si consulti anche la bibliografia che l'A. inserisce in appendice all'opera. Sui paradigmi anche: Chiara Faggiolani; Giovanni Solimine, Biblioteche moltiplicatrici di welfare: verso la biblioteconomia sociale, «Biblioteche oggi», 2013, n. 3, p. 15-19, nonché i commenti contenuti in: Giovanni Di Domenico, La biblioteconomia di Giovanni Solimine, in Percorsi e luoghi della conoscenza: dialogando con Giovanni Solimine su biblioteche, lettura e società, a cura di Giovanni Di Domenico, Giovanni Paoloni e Alberto Petrucciani. Milano: Bibliografica, 2016, p. 11-29.
[27] Un input interessante lo suggerisce R. David Lankes allorché, nell'opera succitata, sostiene essere «una cosa buona possedere valori e principi, ma se non funzionano nella pratica, sono completamente inutili» (p. 110). Ne consegue che ciò che è stato felicemente definito «il sottile gioco fra culturale e sociale» (cfr. Giorgio Antoniacomi, Biblioteca sociale: interrogativi su cui misurarsi: ripensare un modello di lavoro senza nostalgie, «Animazione sociale», 2016, n. 2, p. 38-47), se trova una enfatizzazione della propensione 'sociale', ben può rinviare ad un modello di biblioteca a vocazione comunitaria.
[28] Magari dimostrando simpatia per la massima est modus in rebus: cioè senza essere meri writers «con i loro gesti illegali sui muri e sui vagoni delle metropolitane e dei treni» (Paola Stringa, Che cos'è la disintermediazione. Roma: Carocci, 2017, p. 86), anche perché di Keith Haring non ne nascono ogni giorno, ma di certo - soprattutto - senza essere meri attori o accompagnatori acritici del mainstream.