L'evoluzione del restauro librario:
un bilancio a cinquant'anni dall'alluvione fiorentina

di Melania Zanetti

L'ingresso di acqua, fango, nafta nei locali della Biblioteca nazionale centrale di Firenze (BNCF) conseguente all'esondazione del fiume Arno il 4 novembre 1966, compromise gravemente oltre un milione di unità bibliografiche. Ciò costrinse la direzione e il personale della biblioteca a fare fronte a quella catastrofe in assenza di esperienze analoghe nel passato e, ancor più, di consolidati principi di conservazione. Buona parte delle riflessioni teoriche e delle modalità di intervento sul materiale librario che caratterizzeranno il settore del restauro nei decenni successivi, sono nate proprio a Firenze e hanno risentito di conseguenza del contesto determinato dall'alluvione fiorentina.
;In precedenza pochi altri disastri avevano messo a così dura prova la salvaguardia del patrimonio librario. Tra questi, l'incendio della Biblioteca universitaria di Torino del 1904, in aiuto della quale era accorso Franz Ehrle, il gesuita prefetto della Biblioteca vaticana; lo stesso che, nel 1898, aveva organizzato nella città svizzera di San Gallo una Conferenza internazionale sulla conservazione dei manoscritti1. Questa conferenza viene sovente ricordata come la data d'inizio del moderno restauro del libro. In realtà, essa promosse soprattutto la riproduzione fotografica dei manoscritti, tant'è che Ehrle potrebbe essere considerato una sorta di antesignano dell'attuale digitalizzazione. A San Gallo le riflessioni relative al restauro in senso stretto ebbero scarso seguito e non incisero sul suo assetto teorico. Molto pragmaticamente, Ehrle aveva chiesto ai convenuti di presentare alcuni esemplari di manoscritti danneggiati per favorire una discussione su tematiche concrete. A questo scopo, aveva programmato i lavori affrontando in primo luogo le problematiche dei manoscritti in pergamena compromessi da insetti o da inchiostri ferrogallici; quindi quelle dei palinsesti e da ultimo dei manoscritti cartacei. Nonostante le buone intenzioni di Ehrle - che, tra l'altro, raccomandò di analizzare gli inchiostri dei manoscritti di diversa origine - la discussione non andò in quel momento molto oltre uno scambio di opinioni personali sui trattamenti allora in uso in alcuni dei dodici paesi rappresentati a San Gallo2. Alla fine, in buona sostanza, si prese atto dello stato della questione ribadendo la necessità di studi ulteriori sulle diverse tecniche d'intervento.
Anche per quanto riguarda la documentazione fotografica, che Ehrle invitava a eseguire sistematicamente, in particolare prima di procedere a qualsiasi intervento di restauro, non mancarono le perplessità, sia per il costo ancora assai elevato delle pellicole, sia per le osservazioni dell'insigne storico ed epigrafista Theodor Mommsen, presidente onorario della Conferenza. Egli sottolineò infatti l'opportunità di limitare le riprese fotografiche ai soli casi che presentavano un interesse oggettivo per la ricerca, evitando che aspetti decorativi o inclinazioni sentimentali condizionassero le scelte3. Un'ultima considerazione riguarda la delegazione italiana, assente alla Conferenza senza giustificazioni apparenti, tanto più che nel progetto originario essa si sarebbe dovuta svolgere a Milano, probabilmente in Biblioteca Ambrosiana. Il cambio di programma dipese dai problemi di ordine pubblico che, proprio a Milano nel maggio 1898, si erano verificati in seguito alle rivolte determinate dal raddoppio del costo del pane, represse con estrema durezza dal generale Bava Beccaris. Nonostante i quattro mesi trascorsi da quei fatti, la loro eco doveva essere ancora talmente viva da sconsigliare qualsiasi iniziativa straordinaria nella città lombarda, nonché i movimenti dei responsabili delle biblioteche.

Tornando all'incendio del 1904, Ehrle collaborò al recupero dei manoscritti della Biblioteca universitaria sia personalmente con un immediato sopralluogo, sia spostando a Torino uno dei migliori restauratori del laboratorio vaticano.
Il riferimento a questa vicenda non è casuale poiché il frangente dell'incendio generò certe azioni che indussero in prospettiva un'evoluzione simile, mutatis mutandis, a quella determinata dall'alluvione del 1966. Il fatto che si trattasse della biblioteca dell'università fece sì che alcuni scienziati - in particolare il medico Piero Giacosa e il chimico Icilio Guareschi - si attivassero per cooperare con i bibliotecari e soprattutto con i tecnici allo scopo di rendere più rigorosa e consapevole l'azione di questi ultimi sul materiale librario. Nonostante in quegli anni il positivismo fosse, quantomeno come corrente filosofica, ormai nella fase declinante, la fiducia riposta in particolare nell'aiuto che poteva venire dalla chimica animò la proposta di un restauro cosiddetto 'scientifico', che riteneva di mutuare dalle scienze della natura gli indirizzi che avrebbero dovuto guidarlo. Questa tendenza ha prevalso per gran parte del secolo XX e, anche alla sua luce, si può spiegare la nascita dell'Istituto di patologia del libro, nonché - seppure in un ambito diverso - quella dell'Istituto centrale del restauro.
In altre parole, una tappa cruciale per gli sviluppi successivi della conservazione libraria è certamente, assieme alla Conferenza di San Gallo, proprio l'incendio della Biblioteca universitaria di Torino. Anche in quell'occasione, Franz Ehrle non fece mancare l'apporto delle competenze che aveva acquisito in Biblioteca vaticana, per le quali è stato giustamente considerato un indubbio punto di riferimento dell'epoca.
Le vicende torinesi influenzarono anche la conservazione archivistica e qualche anno più tardi, nel 1909, venne costituita una Commissione per lo studio del miglior sistema di restauro e conservazione dei documenti antichi negli archivi di Stato4. Illuminante la composizione della Commissione: Franz Ehrle, prefetto della Biblioteca vaticana, presidente; Ignazio Giorgi, 'prefetto' della Biblioteca Casanatense, membro, insieme a Icilio Guareschi, ordinario di chimica a Torino (nonostante fossero trascorsi cinque anni, l'eco dell'impegno per i manoscritti incendiati torinesi era evidentemente ancora vivissima) e a Luigi Schiaparelli, ordinario di paleografia a Firenze. Fatta eccezione per il chimico e il paleografo, gli altri membri erano bibliotecari e già questo offre una significativa chiave di lettura del rapporto del settore archivistico con le tematiche della conservazione che, in buona sostanza, vennero delegate a studiosi esterni agli archivi.
Nel 1938, la fondazione a Roma dell'Istituto di patologia del libro affonda con tutta probabilità le sue radici nel contributo che Giacosa e Guareschi tentarono di apportare al restauro in seguito all'incendio di Torino. Se nei risvolti pratici tale contributo non fu così rilevante, esso si rivelò assai significativo dal punto di vista metodologico poiché il fondatore Alfonso Gallo rese istituzionale, all'interno di un organismo ministeriale, il rapporto della conservazione libraria con le scienze della natura.
Non c'è dubbio che l'intuizione di Alfonso Gallo costituì una sorta di fuga in avanti a livello internazionale seguita, soltanto molti anni dopo, da qualche altro paese europeo. Sarebbe certo interessante, in una diversa sede, ripercorrere il settantennio (1938-20075) di vita dell'Istituto di patologia del libro. Nel quadro del presente lavoro, poiché le vicende storiche sono funzionali soltanto a introdurre il contesto nel quale si collocano gli avvenimenti fiorentini, ci si limiterà a porre in luce qualche aspetto delle relazioni che intercorsero tra l'istituto romano e la BNCF in seguito all'alluvione del 1966 e ai significati che, anche grazie a quest'ultima, assunse il restauro del libro in Italia.

Molto si è scritto e detto dell'alluvione fiorentina e degli eventi che segnarono gli anni 1966-1970, dominati dalla figura del paleografo Emanuele Casamassima, direttore della BNCF dal 1965 al 1970. Il fatto che Casamassima sia stato e sia tuttora considerato, anche a livello internazionale, l''eroe dell'alluvione', rende appieno il ruolo che egli giocò, nonostante le difficoltà determinate dai sentimenti di reciproca disistima che appesantirono i suoi rapporti con la burocrazia ministeriale, sentimenti testimoniati anche dalle 'schede'6 di Francesco Barberi, suo amico e collega bibliotecario, in quegli anni ispettore del Ministero della pubblica istruzione.
L'irrompere dell'Arno a Firenze ebbe come effetto inatteso quello di accendere un interesse a livello internazionale sulle sorti del patrimonio storico-artistico travolto e, nello specifico, di convogliare sul recupero del materiale librario non solo giovani volontari e professionisti richiamati a Firenze dall'appello del direttore Emanuele Casamassima ma anche fondi stanziati, tra gli altri, dal governo statunitense, da quello australiano, dal Centro nordico e dal Comitato svizzero e tedesco e che contribuirono a creare il Centro di restauro della BNCF.
«Il compito più importante e specifico che il gruppo britannico doveva assumersi fu quello di progettare e organizzare un 'sistema' di restauro funzionante e completo»7: un lavoro, appunto, sistematico su una grande quantità di volumi tutti compromessi da danni riconducibili agli effetti delle acque sporche che li avevano impregnati e alle conseguenze dei metodi di asciugatura adottati in emergenza:

People at the moment of the flood doing things that they immediately thought were useful like removing the cover, but gave no thought to identifying the cover, no thought to marking
it so we've got many unrelated fragments which will be very difficult to relocate8.

Il primo risultato di questa operazione fu quello di modificare il senso stesso dell'intervento. Fino ad allora, il restauro librario in Italia si era concentrato di preferenza - anche per la domanda originata dal mercato antiquario - su unità bibliografiche di riconosciuto pregio storico-artistico, sviluppando l'impiego di materiali e tecniche adatti a ripristinarne le qualità estetiche e funzionali per riportare i bei volumi quanto più possibile all'aspetto originario9. Per contro l'alluvione fece sì che gli interventi si indirizzassero verso finalità eminentemente pratiche, cioè verso la restituzione alla consultazione di opere che venivano dotate di legature in grado di garantire funzionalità e durabilità. Fu questo ad orientare la scelta dei materiali e delle tecniche che, pur tenendo conto delle peculiarità storiche degli originali, si distaccarono sostanzialmente dal modus operandi corrente in quel periodo in Italia. Diverse personalità concorsero allo sviluppo di questo contesto che trasmise l'impulso fondamentale all'evoluzione, anzi alla vera e propria rivoluzione, che successivamente investì la conservazione e il restauro del libro in Italia. Accanto alla figura di Casamassima, sempre accuratamente tratteggiata, quella di Luigi Crocetti - che peraltro occupa un ruolo di primo piano nella storia delle biblioteche italiane - mantiene in genere una posizione più defilata10. Eppure egli si fece carico di incombenze cruciali nella gestione del restauro fiorentino almeno fino al 1972 in qualità di responsabile del Centro di restauro presso la BNCF, affiancato dal direttore tecnico Anthony Cains. Furono loro ad esprimere una nuova consapevolezza riguardo alla necessità di collaborazione tra bibliotecario e restauratore sin dall'analisi delle condizioni dei volumi e fino alla progettazione degli interventi necessari per il loro recupero:

Non crediamo che un'unica persona possa riunire in sé tutte le conoscenze necessarie a un'esatta descrizione dello stato del libro e a un'esatta prescrizione di ciò che si deve fare.
É indispensabile un lavoro d'équipe11,

nonché precise considerazioni sul fatto che «I bibliotecari sono responsabili delle prescrizioni 'finali'» e che «tutte le prescrizioni, ma in particolar modo quelle 'finali', sono decise in strettissima associazione da bibliotecari e tecnici, che lavorano assieme»12. Di tutte le fasi del restauro, quelle finali, che riguardano la legatura da proporre per il libro recuperato sono ritenute, evidentemente, di cruciale importanza13.
Quanto alla professionalità del restauratore, si pone l'accento sulla

rinunzia alla figura del restauratore 'tuttofare', all'artigiano che riceve in consegna un libro ed esegue da solo tutte le operazioni di restauro da cima a fondo. Noi pensiamo che una simile figura sia destinata a scomparire [...] a favore di 'sistemi' organizzati, nei quali le prerogative e le caratteristiche del tipo tradizionale del restauratore siano divise tra il 'conservatore' vero e proprio e i restauratori specializzati14

cioè i tecnici. Va da sé che il termine «tuttofare» appare inteso in senso negativo, auspicando con tutta evidenza una cesura tra i compiti del «conservatore» (figura che nella sede fiorentina si identifica con quella del bibliotecario) e quelli dei «restauratori specializzati» laddove la specializzazione che si vorrebbe elogiare si traduce di fatto in una riduttiva parcellizzazione dell'intervento di restauro in singole mansioni (la collazione, lo smontaggio del volume, i trattamenti per via umida, gli interventi sulle carte, la cucitura e la realizzazione delle legatura) ciascuna affidata a reparti diversi del Centro. A questa organizzazione del lavoro - che stabilisce un'artificiosa separazione nelle diverse fasi dell'intervento di restauro - concorrono due fattori affatto peculiari della situazione fiorentina. Il primo è quello della produttività: poiché il lavoro era gestito da una cooperativa esterna alla biblioteca (Coop LAT), esso doveva produrre un reddito agli operatori e, a questo scopo, si mise a punto un'organizzazione di tipo tayloristico in grado di assicurare il completamento degli interventi.
Il secondo fattore è legato all'assenza di figure professionali in grado di dominare nel suo complesso l'intero processo del restauro. Naturalmente, tutto questo anche in forza del fatto che la formazione dei restauratori non disponeva ancora di percorsi alternativi all'apprendimento 'in bottega' né di alcun presupposto teorico a fondamento dell'operatività. Da qui la loro connotazione, sin dall'inizio, di 'operatori' del restauro, vale a dire esecutori di interventi alla cui progettazione non partecipavano. La progettazione dell'intervento, la visione d'insieme del recupero del materiale compromesso dall'alluvione non poteva essere affidata ai restauratori, se non nella figura di un direttore di laboratorio qual era Anthony Cains che affiancava il vero dominus, quantomeno formale, del restauro vale a dire il bibliotecario Luigi Crocetti. L'emergenza condusse all'opzione - forse l'unica possibile in quella evenienza - di limitare la formazione degli addetti a una sola delle molteplici fasi dell'intervento. Sicché, per anni, ci furono operatori impegnati esclusivamente nel lavaggio, altri nelle integrazioni delle carte, altri ancora nella realizzazione di nuove legature.
Nonostante il presupposto espresso da Crocetti, da Cains e da molti dei collaboratori internazionali, i quali consideravano ciascun libro come un unicum le cui specificità dovevano essere attentamente valutate, la prassi seguiva necessariamente altre strade. Malgrado i buoni propositi, la grande quantità di volumi bisognosi di intervento radicale perché slegati per poter essere messi ad asciugare dopo il recupero dall'acqua, produsse l'ideazione prima, e la cristallizzazione poi, di modelli di legature 'di conservazione'. Standardizzate con il fondamentale obiettivo di poter essere realizzate sulla scorta della sola perizia tecnica per restituire al volume un'apprezzabile solidità, esse rinunciavano in concreto all'obiettivo di restituirgli un'individualità mutuata dall'originale. Non è estraneo a questa scelta lo stesso Casamassima, che qualche anno prima aveva scritto:

Nel caso di rifacimento totale della legatura, alla massima “Bisogna [...] attingere a modelli che si adattino al tempo, al luogo e al tipo dell'opera cui si deve dare veste”, si contrappone un diverso principio [...]: la creazione di una legatura puramente funzionale; la quale cioè soddisfi tutte le esigenze di consolidamento e di conservazione del volume, ma non abbia alcuna pretesa estetica, alcuna bellezza15.

Alla maturazione di altre vicende, innanzitutto politiche e poi culturali, si deve comunque la decisiva evoluzione della conservazione del patrimonio librario. Si è già accennato al costante conflitto tra Casamassima e la burocrazia ministeriale romana, conflitto che coinvolse anche Crocetti, considerato l'alter ego del direttore nel campo del restauro. Tale conflitto si interruppe solo con il loro allontanamento dalle biblioteche statali, mentre quello con la Cooperativa LAT - che aveva assunto buona parte dei volontari intervenuti nel recupero del patrimonio della Biblioteca e alla quale, nel frattempo, era stata affidata da Casamassima e da Crocetti la gestione del restauro nella BNCF - si protrasse ancora fino al 1975. In quell'anno, Giovanni Spadolini, fiorentino, diede vita al Ministero per i beni culturali e ambientali; tra i numerosi compromessi legati alla creazione del dicastero, ci fu quello dell'ingresso, praticamente ope legis, di tutte le maestranze della Cooperativa LAT operanti all'interno della BNCF.
A questo punto, il neonato ministero si trovava con quasi duecento operatori del restauro librario sparsi tra Roma e Firenze e ritenne opportuno avviare una serie di corsi di aggiornamento allo scopo di uniformarne la professionalità.
Il primo corso si svolse a Roma, presso l'Istituto di patologia del libro - alla cui denominazione il nuovo Ministero aveva aggiunto l'attributo 'centrale' (quindi d'ora in avanti, ICPL) - e fu invitato Armando Petrucci, allora professore ordinario di Paleografia e diplomatica presso l'Università di Roma, a tenere un seminario sul tema paleografia e restauro. Va considerato che, se il bibliotecario era il dominus minor del restauro librario, il dominus maior era il paleografo, innanzitutto perché i restauri più importanti erano quelli dei manoscritti medievali e poi perché l'obiettivo fondamentale del restauro era la salvaguardia del testo. Petrucci era perciò l'interlocutore ideale per comprendere quali potessero essere le linee evolutive della conservazione e del restauro librario. Durante il seminario egli narrò la sua esperienza di bibliotecario presso la Biblioteca Corsiniana di Roma, ma fondamentali furono le parole con cui chiuse la sua relazione:

Il restauratore deve assumersi le responsabilità della propria cultura che è vasta e organica. Deve evitare di renderla subalterna abbandonando questa soggezione culturale che ha ormai fatto il suo tempo e che va smascherata. Se mi consentite l'uso di un'espressione ormai abusata: il re è nudo! D'altra parte ve ne sarete già accorti: giorno per giorno, nel vostro lavoro, quando ponete quesiti o proponete scelte e l'altra parte - la controparte - non risponde, svicola, finge una conoscenza che non ha. È vero: io, a molte delle vostre domande, non so rispondere16.

Sulle prime questa generosa dichiarazione dei propri limiti, unita all'affermazione che i restauratori dovevano imparare a contare sulle proprie forze senza continuare a chiedere indicazioni tecniche ai paleografi, ai bibliotecari, agli archivisti, sconcertò gli astanti. Da quell'esortazione, però, i conservatori (cioè i bibliotecari preposti ai fondi antichi) e i restauratori iniziarono a guardare al libro da un altro punto di vista, in apparenza paradossale: un oggetto (un 'manufatto archeologico17') nel quale il testo aveva, per quanto atteneva alla conservazione, una funzione ausiliaria rispetto alle tecniche e ai materiali utilizzati per la sua manifattura. In effetti si conservano e si restaurano i materiali, non il testo. Sicché era su quelli - e sulle tecniche impiegate per assemblare quei materiali - che doveva concentrarsi l'attenzione. Erano quelli che si dovevano studiare, 'riconoscere' storicamente, senza tuttavia fare a meno del testo, che rimaneva la bussola storica: lo studio del testo e delle forme che esso aveva assunto nei secoli aveva infatti una lunga tradizione alle spalle, mentre l'archeologia del libro muoveva i primi, e ovviamente incerti, passi.
Era l'autunno del 1976 e dovettero trascorrere ancora quattro anni prima che le idee che erano state abbozzate in quella sede potessero svilupparsi. L'occasione venne da un'iniziativa di Nazzareno Pisauri, allora giovane funzionario della Regione Emilia Romagna il quale, nel giugno 1980, organizzò a Bologna un seminario sulla metodologia e le tecniche della conservazione e del restauro del materiale bibliografico e archivistico. A quel seminario vennero invitati alcuni tra i protagonisti dell'esperienza fiorentina: Emanuele Casamassima, Carlo Federici, Gisella Guasti, Claudio Montelatici e Libero Rossi.
L'anno successivo vide la luce un volume che raccoglieva i frutti di quell'incontro, il cui titolo Oltre il testo: unità e strutture nella conservazione e nel restauro dei libri e dei documenti era estremamente eloquente; in esso si esprimeva per la prima volta chiaramente il legame tra archeologia del libro e restauro18.
In tale legame risiede la rivoluzione che ha investito la conservazione in biblioteca nei decenni successivi, e da tale legame si svilupparono i molteplici significati che il restauro ha assunto ai giorni nostri e la sua trasformazione da intervento di ripristino di volta in volta estetico e/o funzionale del libro in intervento mirato a rallentare i processi di degradazione che ne compromettono progressivamente la 'lettura' storica integrale, nel massimo rispetto possibile delle componenti originali che lo caratterizzano. Sulle tecniche e sui materiali utilizzati nella manifattura del libro antico e moderno, infatti, si concentrano gli studi dell'archeologia del libro. Se l'interesse della codicologia - disciplina di più antica tradizione - resta in sostanza la storia del testo, l'obiettivo primario dell'archeologo del libro sta nella ricostruzione della produzione della carta, della pergamena, degli inchiostri, ma anche delle assi lignee, dei cuoi e di tutte le altre componenti delle legature medievali, moderne e contemporanee nel tentativo di ricomporre quella cultura materiale dalla quale trae origine l'oggetto-libro. Occorre sottolineare che le prime ricerche di archeologia del libro vennero promosse soprattutto dai paleografi della scuola franco-belga nella convinzione che le analisi dei materiali avrebbero fornito un valido aiuto all'euristica della storia dei testi manoscritti. Ma queste ricerche necessitavano di competenze tecniche delle quali quegli studiosi erano privi; d'altra parte, l'osservazione dell'oggetto fisico richiede una formazione del tutto diversa da quella paleografica ed è comprensibile che essa sia stata presto abbandonata dagli storici della scrittura. Il primo effetto dell'irruzione dell'archeologia del libro in questo campo ha tuttavia comportato l'incremento dell'attenzione verso le componenti materiali del libro, che fino a quel momento erano state del tutto trascurate19.
Nel 1985 si avviò il censimento delle legature medievali conservate nelle biblioteche italiane. L'impresa non venne concepita e sviluppata negli ambiti universitari, nei quali fino a quel momento si erano svolte le ricerche di storia del libro manoscritto e a stampa, ma - per la prima volta - in un ente il cui fine istituzionale era la conservazione, l'ICPL.
Anche per effetto del censimento delle legature medievali, che prevedeva la registrazione puntuale delle componenti materiali dei codici e degli incunaboli sottolineandone l'importanza per la ricerca storica legata alla produzione, alla circolazione, alla fruizione libraria, si accese lentamente la riflessione sulla ricaduta che interventi di restauro e di legatoria poco consapevoli potevano avere sul valore storico di questi manufatti. Statuito che la conservazione riguarda soltanto la materia dei libri e non il testo il quale, essendo immateriale, si trasmette egregiamente mediante riproduzione, appare evidente come essa possa esercitarsi correttamente solo coltivando salde radici storiche, le uniche che consentono di riconoscere e decrittare il valore culturale dell'oggetto da conservare. Oltre alla conoscenza della cultura materiale che ha presieduto alla manifattura degli antichi libri e documenti, il restauro in particolare ha necessità della ricerca scientifica, sia per la caratterizzazione dei materiali originali e del loro livello di degradazione, sia per l'individuazione di nuovi materiali, prodotti e tecniche che possano contribuire a migliorare la qualità degli interventi in termini di riduzione della loro invasività e di incremento dell'aliquota di reversibilità. Ultime ma non minori vengono le abilità manuali dalle quali il restauro non può certo prescindere e che anzi costituiscono ai giorni nostri l'eredità soggetta a più rapida dissipazione. Di questa interdisciplinarietà l'operatore specializzato nel recupero funzionale del libro - figura nella quale è possibile identificare coloro che intervennero a Firenze subito dopo l'alluvione - non avvertiva il bisogno, ma essa diviene indispensabile al restauratore che riconosce nel libro il bene culturale e interpreta il restauro come atto critico caso per caso20.
Come accennato, la consapevolezza che ciascun libro e ciascun documento che pertenga al patrimonio culturale sia un unicum anche quando il testo appare identico si era già affacciata nell'esperienza fiorentina21, rimanendo tuttavia nei fatti piuttosto un assunto teorico per le impellenze legate alla necessità di ripristino dei volumi alluvionati. Solo a partire dagli anni Ottanta - allorché venne statuita l'imprenscindibilità del rapporto tra conservazione e archeologia del libro - si svilupparono in Italia modalità di intervento progressivamente meno invasive, tali cioè da interferire il meno possibile con le strutture originali del manufatto. E ancora oggi esse si orientano preferibilmente su interventi in situ considerando eccezionale l'opzione di slegare i volumi, ampiamente praticata in precedenza. Anche in questo caso, il restauro non può più risolversi in una somma di operazioni realizzate sui singoli elementi del manufatto senza ricomporre unitariamente l'intervento. L'azione su ogni singolo costituente strutturale determina infatti il risultato: le integrazioni delle carte influiranno sulla cucitura dei fascicoli, e quest'ultima condizionerà i nervi e la distribuzione delle forze e delle resistenze ogni volta che il libro verrà aperto, sfogliato e poi richiuso, con evidenti ripercussioni sulla conservazione del volume nel suo complesso.

La articolata molteplicità dell'intervento di restauro richiederebbe una condivisione consapevole della sua progettazione con i responsabili del patrimonio culturale, archivisti e bibliotecari, per i quali non è tuttavia facile individuare un percorso formativo specificamente indirizzato alle tematiche della conservazione22.
Alcune storture amministrative hanno inoltre condizionato pesantemente lo sviluppo di questa collaborazione. Il restauro dei beni culturali è stato sottoposto alle disposizioni della legge Merloni (l. 11 febbraio 1994 n. 109), che lo ha equiparato a qualsiasi altro tipo di lavoro pubblico e previsto modalità di affidamento che nella pratica hanno comportato quasi esclusivamente l'applicazione del criterio del massimo ribasso economico e nulla o scarsa considerazione della qualità dell'intervento sia nella fase progettuale che in quella di realizzazione.
L'attuazione della legge Merloni ha previsto la redazione, nel 2008, di un Capitolato tecnico tipo per il restauro con smontaggio del libro e del documento, cioè di «un documento omogeneo [...] che assumesse una valenza a livello nazionale, nel quale, fondamentalmente, fossero descritte le operazioni da eseguire con i relativi tempi di lavorazione»23.
L'esito di questo documento è stato di fatto quello di marginalizzare il ruolo di bibliotecari e archivisti, sempre meno coinvolti dalle amministrazioni nel confronto sulla sostanza dei progetti; sicché il restauro si è ridotto sovente a tabelle di calcolo delle tariffe sulla base del Capitolato, operazione che consente di stabilire l'unico aspetto considerato importante: il suo costo.
Vengono così da un verso ignorate le peculiarità che caratterizzano le singole opere e dall'altro azzerate le esperienze curriculari dei professionisti.
Dal punto di vista metodologico, infine, il ricorso al Capitolato determina l'applicazione di tecniche e l'impiego di materiali e prodotti in maniera acritica e - essendo immutato ormai da un decennio - non tiene conto alcuno dei progressi della ricerca scientifica applicata alla conservazione del patrimonio culturale.
Per questa via, il restauro da operazione storico-critica sta retrocedendo a 'pratica standardizzata', alla quale si chiede di essere ineccepibile soltanto formalmente, agli occhi di quella burocrazia contro la quale già si batté, nel ventennio trascorso nelle biblioteche, il civil servant Emanuele Casamassima.

NOTE

Ultima consultazione siti web: 4 luglio 2017.

[1] Margit Smith, Minutes of the St. Gall Conference, «The Abbey newsletter», 22 (1998), n. 7-8, p. 96-99: p. 93; consultabile anche all'indirizzo http://cool.conservation-us.org/byorg/abbey/an/an22/an22-7/an22-702.html. Franz Ehrle, Die internationale Konferenz in St. Gallen am 30. September und 1.Oktober 1898 zur Beratung über die Erhaltung und Ausbesserung alter Handschriften , «Centralblatt für Bibliothekswesen», 21 (1899) p. 27-51.

[2] Parteciparono ai lavori, oltre al Vaticano con Padre Ehrle, i rappresentanti di Baden, Bavaria, Belgium, England, France, Netherlands, Prussia, Saxony, Switzerland, Hungary and Württemberg.

[3] Osservazione riportata in M. Smith, Minutes of the St. Gall Conference cit., p.97.

[4] Centro di fotoriproduzione, legatoria e restauro degli archivi di Stato, Il restauro nei lavori della Commissione istituita nel 1909/10: materiali per una storia della teoria del restauro documentario, a cura di Cecilia Prosperi. Roma: Ministero per i beni e le attività culturali, Dipartimento per la ricerca, l'innovazione e l'organizzazione, 2006.

[5] Nel 2007 vennero soppressi l'Istituto centrale di patologia del libro e il Centro di fotoriproduzione legatoria e restauro degli archivi di Stato. Dalla fusione di ciò che ne restava, nacque l'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario (ICRCPAL).

[6] Elisa Di Renzo, Una biblioteca, un'alluvione: il 4 novembre 1966 alla Nazionale di Firenze: storia di un'emergenza. Roma: AIB, 2009, p. 68.

[7] Luigi Crocetti; Anthony Cains, Un'esperienza di cooperazione. In: La cooperazione internazionale per la conservazione del libro: incontro di studi organizzato dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze, sotto gli auspici dell'Unesco e del Ministero della pubblica istruzione, Firenze, 12-13-14 marzo 1970, «Bollettino dell'Istituto di patologia del libro Alfonso Gallo», 29 (1970), p. 27-57: p. 30. Tra le personalità più incisive nell'ambito della legatoria e della conservazione libraria a livello internazionale, emersero Peter Waters, Roger Powell, Anthony Cains e Christopher Clarkson.

[8] Ivi, p. 54.

[9] Storicamente, il termine restoration si riferisce all'intervento che ha come obiettivo il riportare l'oggetto al suo stato originale, suggerendo un inconcepibile annullamento del tempo e delle trasformazioni intervenute sui materiali e sulle strutture del manufatto. Anche il critico d'arte inglese John Ruskin, che con i suoi scritti contribuì ampiamente nel corso del secolo XIX al dibattito sugli interventi sui monumenti storici, connotò il termine restoration in senso negativo.

[10] Il ruolo di Crocetti in qualità di responsabile del Centro di restauro della BNCF emerge chiaramente nel lavoro Le biblioteche di Luigi Crocetti: saggi, recensioni, paperoles 1963-2007, a cura di Laura Desideri e Alberto Petrucciani. Roma: AIB, 2014, nel quale ben 70 pagine sono dedicate ai suoi interventi nel campo della conservazione.

[11] L. Crocetti; A. Cains, Un'esperienza di cooperazione cit., p. 44.

[12] Ivi, p. 46.

[13] Ricade sotto la responsabilità del bibliotecario anche la valutazione se ci siano casi in cui è opportuno e possibile il recupero e il reimpiego della coperta originale. In definitiva, però, questa evenienza si presenta per una minima parte dei libri alluvionati, che saranno affidati per lo più ai legatori inglesi accorsi a Firenze.

[14] L. Crocetti; A. Cains, Un'esperienza di cooperazione cit., p. 47.

[15] Emanuele Casamassima, Nota sul restauro delle legature, «Bollettino dell'Istituto di patologia del libro Alfonso Gallo», 21, (1962), n.1/2, p. 67-78: p.76.

[16] Lettere per Armando Petrucci, a cura di Luisa Miglio. Spoleto: Fondazione Centro italiano di studi sull'alto Medioevo, 2012, p. 5.

[17] Antonio Maria Adorisio; Carlo Federici, Un manufatto medievale poco noto: il codice, «Archeologia medievale», 7 (1980), p. 483.

[18] Carlo Federici, Archeologia del libro, conservazione, restauro ed altro: appunti per un dibattito. In: Oltre il testo: unità e strutture nella conservazione e nel restauro dei libri e dei documenti, a cura di Rosaria Campioni. Bologna: Istituto per i beni artistici culturali naturali della regione Emilia Romagna, 1981, p. 13-20: p. 13.

[19] Carlo Federici, Un progetto di censimento informatizzato delle legature medievali italiane, «Gazette du livre mèdièval», 8 (1986), n.1, p.10-13. Id., Dalla tecnologia antica al moderno restauro: il censimento delle legature medievali come paradigma di una nuova conservazione, in Problemi del restauro in Italia: atti del Convegno nazionale (Roma, 3-6 novembre 1986). Udine: Campanotto, 1988, p. 91-196.

[20] Il restauratore di beni culturali
definisce lo stato di conservazione e mette in atto un complesso di azioni dirette e indirette per limitare i processi di degrado dei materiali costitutivi dei beni e assicurarne la conservazione, salvaguardandone il valore culturale. A tal fine [...] il restauratore analizza i dati relativi ai materilai costitutivi, alla tecnica di esecuzione ed allo stato di conservazione dei beni e li interpreta; progetta e dirige, per la parte di competenza, gli interventi; esegue direttamente i trattamenti conservativi e di restauro; dirige e coordina gli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro. Svolge attività di ricerca, sperimentazione e didattica nel campo della conservazione.
(Decreto Ministeriale 26 maggio 2009, n. 86).

[21] Christopher Clarkson, Minimum intervention in treatment of books. In: Preprint from the 9th International Congress of IADA, August 15 - 21, 1999, p. 89.

[22] Vale la pena di ricordare che, secondo il Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) la conservazione del patrimonio culturale dovrebbe essere «assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attivitcioà di studio, prevenzione, manutenzione e restauro».

[23] Capitolato speciale tecnico tipo per il restauro con smontaggio dei libri antichi e dei documenti e relativo foglio per il calcolo dei tempi di intervento messo a punto dal Gruppo di lavoro nominato dal Ministero dei beni e delle attivitcioè culturali (Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Centro di fotoriproduzione legatoria e restauro degli archivi di Stato e Istituto centrale per la patologia del libro) http://www.icpal.beniculturali.it/allegati/Capitolato_Speciale_Tecnico_Tipo.pdf.

Bibliografia

[1] Adorisio Antonio Maria; Federici Carlo, Un manufatto medievale poco noto: il codice, «Archeologia medievale», 7 (1980), p. 483-506.

[2] Capitolato speciale tecnico tipo per il restauro con smontaggio dei libri antichi e dei documenti e relativo foglio per il calcolo dei tempi di intervento messo a punto dal Gruppo di lavoro nominato dal Ministero dei beni e delle attività culturali (Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Centro di fotoriproduzione legatoria e restauro degli archivi di Stato e Istituto centrale per la patologia del libro) http://www.icpal.beniculturali.it/allegati/Capitolato_Speciale_Tecnico_Tipo.pdf.

[3] Casamassima Emanuele, Nota sul restauro delle legature, «Bollettino dell'Istituto di patologia del libro Alfonso Gallo», 21 (1962), n.1/2, p. 67-78.

[4] Centro di fotoriproduzione, legatoria e restauro degli archivi di Stato, Il restauro nei lavori della Commissione istituita nel 1909/10: materiali per una storia della teoria del restauro documentario, a cura di Cecilia Prosperi. Roma: Ministero per i beni e le attività culturali, Dipartimento per la ricerca, l'innovazione e l'organizzazione, 2006.

[5] Clarkson Christopher, Minimum intervention in treatment of books. In: Preprint from the 9th International Congress of IADA, August 15 - 21, 1999, p. 89-96.

[6] Crocetti Luigi; Cains Anthony, Un'esperienza di cooperazione. In: La cooperazione internazionale per la conservazione del libro. Incontro di studi organizzato dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze, sotto gli auspici dell'Unesco e del Ministero della pubblica istruzione, Firenze, 12-13-14 marzo 1970, «Bollettino dell'Istituto di patologia del libro Alfonso Gallo», 29 (1970), p. 27-57.

[7] Di Renzo Elisa, Una biblioteca, un'alluvione: il 4 novembre 1966 alla Nazionale di Firenze: storia di un'emergenza. Roma: AIB, 2009.

[8] Ehrle Franz, Die internationale Konferenz in St. Gallen am 30. September und 1.Oktober 1898 zur Beratung über die Erhaltung und Ausbesserung alter Handschriften, «Centralblatt für Bibliothekswesen», 21 (1899) p. 27-51.

[9] Federici Carlo, Archeologia del libro, conservazione, restauro ed altro: appunti per un dibattito. In: Oltre il testo: unità e strutture nella conservazione e nel restauro dei libri e dei documenti, a cura di Rosaria Campioni. Bologna: Istituto per i beni artistici culturali naturali della regione Emilia Romagna, 1981, p. 13-20.

[10] Federici Carlo, Un progetto di censimento informatizzato delle legature medievali italiane, «Gazette du livre médiéval», 8 (1986), n.1, p. 10-13.

[11] Federici Carlo, Dalla tecnologia antica al moderno restauro: il censimento delle legature medievali come paradigma di una nuova conservazione. In: Problemi del restauro in Italia: atti del Convegno nazionale. Roma, 3-6 novembre 1986. Udine: Campanotto, 1988, p. 91-96.

[12] Le biblioteche di Luigi Crocetti: saggi, recensioni, paperoles 1963-2007, a cura di Laura Desideri e Alberto Petrucciani. Roma: AIB, 2014.

[13] Lettere per Armando Petrucci, a cura di Luisa Miglio. Spoleto: Fondazione Centro italiano di studi sull'alto Medioevo, 2012.

[14] Smith Margit, Minutes of the St. Gall Conference, «The Abbey newsletter», 22 (1998), n. 7-8, p. 96-99.