Leggere lo spazio della biblioteca

di Giovanni Di Domenico

Un'omogenea raccolta di saggi di vari autori, curata da Maurizio Vivarelli1, intreccia intorno alla centralità e multiformità dello spazio bibliotecario rilevanti questioni, che per esempio toccano l'identità della biblioteca, la sua interpretazione, gli orizzonti della biblioteconomia contemporanea. Senza gli obblighi e i limiti (anche di estensione) che una recensione è tenuta a rispettare, in quest'articolo proverò a segnalare i molti spunti offerti dal volume, ma anche a percorrere liberamente alcune piste, collegandole ad altre suggestioni di lettura e a qualche ipotesi di dialogo con gli autori stessi.

Lo spazio bibliotecario in alcuni scritti di area LIS

Allo spazio delle biblioteche e alle sue vocazioni e destinazioni la letteratura LIS non ha sottratto cimenti analitici, tentativi d'inquadramento, definizioni di modelli.
Particolare cura è stata riservata alle biblioteche accademiche e di studio, a proposito delle quali è frequentemente citato un articolo di Scott Bennett, uscito nel 20092. L'autore fissava, in una chiave che possiamo dire «kuhniana», tre paradigmi di riferimento nella progettazione dello spazio bibliotecario (due dei quali di assai lunga durata), corrispondenti all'evoluzione storica del rapporto biblioteca-lettore-risorse documentarie e alle sue discontinuità.
Il primo paradigma è centrato sul lettore e prende forma con lo scriptorium monastico: «The defining feature of a monastery was its cloisters, the space set apart for secluded prayer and reflection and for access to the scriptorium and library. Contemplative and library space are closely interconnected»3.
Il secondo è centrato sul libro, riflette la collocazione a scaffale di collezioni librarie via via più corpose e raggiunge la sua massima espansione nelle biblioteche universitarie, tra la fine dell'Ottocento e buona parte del Novecento.
Le straordinarie innovazioni introdotte dalle tecnologie dell'informazione originano infine, per il nuovo secolo, il radicale passaggio a un terzo paradigma, centrato sull'apprendimento:

The first concern of a learning-centered design practice will be to create spaces that foster intentional learning. In the twenty-first century, we need constantly to affirm that the most important educational function of physical library space is to foster a culture of intentional learning. We must show how the library building is — or can become — a major factor in the transformational trajectory of such learning4.

Su quest'ultimo salto paradigmatico (che investe, partendo dallo spazio, la visione e la missione delle biblioteche all'interno delle istituzioni accademiche, la progettazione dei servizi, la funzione dei bibliotecari, il rapporto con studenti e docenti e così via), consistenti settori LIS hanno molto insistito negli anni seguenti5, trovando una sintesi nel concetto di «learning commons»:

Also referred to as information commons, the concept of the learning commons (LC) is a direct response to the cumulative influence that technology has had on the physical space of the academic library. The LC is a service-focused space, sometimes encompassing an entire floor, which supports student learning by promoting access to information technology, collaboration spaces and individual study spaces, media creation, and tech support6.

Un simile modello di biblioteca 'facilitatrice', di biblioteca capace di confrontarsi con la dimensione sociale dell'apprendimento, è stato messo a punto e affinato con il corredo di indagini di matrice etnografica su percezione e usi dello spazio da parte di studenti e/o ricercatori7, talvolta privilegiando le metodologie di osservazione dei comportamenti e supportandole con applicazioni tecnologiche mobili8.
Parallelamente, e non senza discussioni, sono stati adottati criteri e interventi per il rinnovamento degli spazi, la riconversione sistematica di quelli occupati dagli scaffali, lo sfoltimento delle collezioni fisiche:

Use of library space has evolved in recent years as a result of three significant changes in higher education: the shift from print to digital access, changes in the types of learning activities used to engage students, and the development of collaborative relationships between libraries and other academic units on campus. It is now apparent that new uses for physical space are preferable alternatives to housing seldom used print materials9.

Nel settore delle biblioteche pubbliche nuove concezioni e metafore dello spazio hanno senz'altro inglobato (insieme con una rivitalizzazione dei contenuti e delle pratiche tradizionalmente associati all'accesso e alla lettura) i temi dell'apprendimento digitale e del non book space. Nel frattempo, il luogo biblioteca è stato ripensato anche in ragione di altre esigenze e opportunità (spazio di cittadinanza, spazio relazionale, protagonismo civico, makerspace, partecipazione a iniziative open data per le città digitali ecc.), nonché di diversificati riscontri, d'uso e non uso, con una marcata attenzione per l'impatto, il valore e il ruolo sociale delle biblioteche pubbliche10. Tutto ciò è avvenuto, in area nord-americana e in Europa, nel pieno e a contrasto di una seria e generalizzata crisi di fiducia e legittimazione.
Un saggio di tre autori danesi11, pubblicato pochi mesi fa, riporta la multiforme 'transizione identitaria' della biblioteca pubblica al perseguimento di quattro obiettivi, fondamentali, nel presente e nel futuro, per le comunità e i cittadini: esperienza, partecipazione, empowerment e innovazione. A questi obiettivi gli autori allacciano, in vario modo, altrettante visioni dello spazio bibliotecario: spazio dell'ispirazione, spazio dell'apprendimento, spazio d'incontro, spazio performativo, precisando che

The four spaces are not to be seen as concrete 'rooms' in a physical sense, but rather as possibilities that can be fulfilled both in the physical library and in cyberspace. In an ideal library, these four spaces will support each other, and thereby support the library's objectives12.

Per molti fra i bibliotecari, gli studiosi e gli osservatori, lo spazio fisico della biblioteca merita, tuttavia, di essere valorizzato e promosso in virtù di sue esclusive caratteristiche. Afferma, per esempio, Donald A. Barclay:


Just what is so special about public library space? It is special because it is unique. No space quite like public library space has managed to survive the changes wrought by an increasingly privatized and security-obsessed world13.

Poi aggiunge:

Library space makes it possible for people to learn, socialize, escape, and connect in ways that no other present-day space - private, governmental, or commercial - can14.

E ancora:

Another important aspect of the social value of public library space is that it is inherently local in character. Sure, you may find many of the same books and technologies and services in public libraries across the country, but it is not the case that public libraries are part of some global franchise in which a library in Pekin, Illinois is the carbon copy of a library in Odessa, Florida15.

In A partire dallo spazio ci imbattiamo in alcuni dei soggetti qui richiamati e più volte ripresi in letteratura, ma possiamo apprezzare l'originalità di molte sue pagine nel panorama disciplinare contemporaneo, originalità che è frutto del sapiente innesto di inedite occasioni interpretative sul tronco vivo della nostra tradizione bibliografica e biblioteconomica.

A partire dallo spazio

L'introduzione di Vivarelli chiarisce bene il reale focus del libro: lo spazio della biblioteca (soprattutto della biblioteca pubblica) non va visto soltanto in rapporto ai servizi che in esso si organizzano ed erogano, ma quale elemento costitutivo di un'identità che assume la sua forma nel momento in cui un progetto di biblioteca (per Vivarelli un'architettura di segni materiali e immateriali) incrocia esperienze di percezione, interpretazione e uso.
Il volume si articola in tre sezioni. La prima (Punti di vista) ospita un saggio di Vivarelli (Lo spazio della biblioteca: punti di vista e profili di interpretazione, p. 11-52) e uno di Anna Galluzzi (Scenari e contesti: le parole della biblioteconomia, p. 53-67); la seconda s'intitola Tra spazio fisico e spazio digitale e accoglie contributi di Vivarelli (Lo spazio delle collezioni, p. 71-90), Alfredo Giovanni Broletti (Il canone bibliotecario e l'architettura: aderenze e contraddizioni, p. 91-114), Alessandra Maffiotti (Forme e strutture dello spazio bibliografico in ambiente digitale, p. 115-132) e Chiara Faggiolani (Interpretare la biblioteca con i big data, p. 133-148); nella terza (Sul campo) intervengono Maria Pagano (Lo spazio della biblioteca attraverso una esperienza di microanalisi: i risultati di un'indagine su tre biblioteche toscane, p. 151-234) e ancora il curatore (Dati, valutazione, interpretazione: alcune osservazioni a margine del progetto d'indagine, p. 235-243).
Possiamo assimilare la curatela di Vivarelli a una sorta di regia: insieme con l'introduzione, i suoi tre scritti costituiscono l'ossatura del volume e ne definiscono impianto, argomenti e obiettivi. L'ottica prescelta è necessariamente multidisciplinare, si avvale di diversi linguaggi, i quali, interagendo, possono ridurre la distanza fra le parole e le cose della biblioteca e ricomporne anche quella natura unitaria che gli specialismi non sanno sempre riconoscere.
Non a caso, ne Lo spazio della biblioteca si avvicendano e dialogano visioni architettoniche (la biblioteca progettata, le sue immagini, i suoi cambiamenti); spazio biblioteconomico (rapporto spazio/servizi, ordinamento delle collezioni nelle dimensioni concettuali e fisiche della biblioteca,applicazioni della biblioteconomia sociale); spazio bibliografico (la biblioteca come control zone, sulla scorta di Ross Atkinson, e come collezione locale e remota di oggetti che producono significazione e che, mediante la lettura, generano processi interpretativi); spazio culturale (nel senso di Peter Burke: un ambiente nel quale, storicamente, si elabora e si organizza la conoscenza registrata); infine, spazio semiotico (lo spazio della biblioteca inteso che è testo esso stesso, dichiaratamente esposto a letture e interpretazioni, capace di revocare in dubbio le schematizzazioni più tenaci: «La biblioteca fisica, in quanto costituita da segni che vengono interpretati non è meno immateriale di quella digitale [...]»16).
Ne Lo spazio delle collezioni Vivarelli evidenzia l'assenza (o comunque la scarsa presenza) di queste ultime nel dibattito biblioteconomico odierno, il ridimensionamento che sta subendo la loro funzione fondativa nella vita degli istituti bibliotecari e delle pratiche professionali (per esempio, sia pure con prudenza, in Lankes), lo spostamento d'accento dalla lettura/interpretazione dei testi al possesso di competenze informative. Sono fenomeni che lo spingono a ragionare su alcuni passaggi storici e concettuali nei quali si sono via via consolidati i nessi che hanno legato all'identità della biblioteca le configurazioni documentarie, i criteri di selezione, le tecniche catalografiche e relative tecnologie, fino a raggiungere gli orizzonti e i dilemmi della biblioteconomia contemporanea: accesso vs possesso, just in time vs just in case. Vivarelli si chiede se sia rimasto uno spazio per le collezioni nella disciplina e nella pratica di biblioteca. La sua risposta (confortata da richiami a scritti di Uwe Jochum e Jeffrey Garrett) è affermativa: le collezioni, nel loro esserci concettuale e materiale, rappresentano un'infrastruttura mnemonica che serve a inquadrare e dominare i significati e le conoscenze veicolati dai testi. A corollario di queste affermazioni, egli aggiunge un puntuto rilievo, che colpisce il «mito della “terzietà”» e neutralità della biblioteca:

Io ritengo [...] che potrebbe essere molto più produttivo correlare i “nostri valori”, con uno sguardo di lunga durata, alla peculiarità dell'esperienza nazionale ed europea, con tutte le sue tensioni e contraddizioni, piuttosto che alla neutralità - peraltro illusoria – di un plesso di tecniche la cui vocazione, sia detto con tutto il possibile rispetto, non può che essere pragmatica ed applicativa17.

Per Vivarelli, in conclusione, l'offerta dinamica, creativa e organizzata di collezioni, che siano cartacee e/o digitali, assicura da un lato effetti positivi della biblioteca sulla qualità di vita delle persone e dall'altro la persistenza di «un ampio ed arioso orizzonte di riferimento»18 per un agire biblioteconomico che non resti schiacciato fra i due poli opposti del tecnicismo e dell'attivismo volontaristico.
Dati, valutazione, interpretazione, il suo terzo scritto, commenta gli esiti dell'indagine sulle biblioteche toscane presentati nel dettagliatissimo lavoro di Maria Pagano. È difficile riassumere tutti i risvolti metodologici di quella ricerca, la strumentazione utilizzata, i risultati ottenuti. In estrema sintesi:
- l'indagine ha riguardato la Biblioteca delle Oblate di Firenze, la Biblioteca della Ginestra di Montevarchi, il MMAB (Montelupo Museo Archivio Biblioteca) di Montelupo Fiorentino, in un'ottica anche parzialmente comparativa;
- sono stati combinati diversi metodi di monitoraggio: visite e selezione di ambienti delle tre biblioteche; osservazione dei comportamenti degli utenti (uso dello spazio, uso delle collezioni, modalità di utilizzo); somministrazione di questionari e interviste agli utenti. I questionari contenevano alcune domande pertinenti al modello «classico» (collezioni, catalogo, prestito, reference ecc.), altre al modello «sociale» della biblioteca (promozione della lettura, formazione degli utenti, aspetti socio-relazionali), altre ancora al ruolo del bibliotecario;
- l'autrice sottolinea il manifestarsi fra gli utenti delle tre biblioteche di una netta predilezione per i servizi classici e per i profili tradizionali di competenza professionale dei bibliotecari. E osserva:

Concludendo, questi dati empiricamente ottenuti, e il confronto con altre ricerche analoghe, dimostrano con una certa evidenza che non sempre ciò che la biblioteconomia teorica e predittiva immaginano e ipotizzano sia nella realtà ciò che gli utenti percepiscono: gli utenti italiani sono abituati ad un modello di biblioteca, certamente problematico, e tuttavia frutto della tradizione e fortemente radicato nel sostrato storico del nostro paese [...]19.


Vivarelli prende spunto da questo e da altri studi sul campo per ipotizzare un uso complessivo dei dati raccolti nelle indagini locali simile a quello della microstoria, con lo scopo di «“salvare i fenomeni” che nello spazio della biblioteca si manifestano»20 e di conservare una prospettiva «olistica» di riflessione sullo spazio bibliotecario e sulle relazioni che in esso si danno (un modello di riferimento è la «danza di parti interagenti» in Gregory Bateson). Più in generale, l'autore auspica un possibile superamento della valutazione biblioteconomica orientata al management in una direzione prevalentemente interpretativa, di interpretazione delle «diverse tipologie di fenomeni, che in specifiche situazioni possono essere rilevati e valutati [...]»21.

Anna Galluzzi si misura con i cambiamenti che stanno attraversando e modificando l'identità della biblioteca pubblica e che in qualche maniera ne stanno delegittimando la funzione: sullo sfondo abbiamo gli scenari della crisi (del welfare, della democrazia, della governance pubblica dei servizi). La biblioteca sta cercando, anche confusamente, nuovo slancio: la vorremmo «partecipata», oppure «sociale», ma spesso essa non è sorretta da «opportune politiche di sviluppo, nuove pratiche di servizio e adeguate competenze progettate e messe in campo insieme a chi ha la responsabilità politica del territorio»22. Per altro verso, a parere dell'autrice, assistiamo a una crescita di complessità interna, in cui servizi e usi tradizionali coesistono faticosamente sia con le sollecitazioni della cosiddetta «biblioteca sociale» sia con destinazioni addirittura distanti dalla natura e dalla missione delle biblioteche pubbliche. È una complessità difficile da governare. Si tratta di

Problemi che solo in parte possono essere risolti con un'adeguata progettazione architettonica e biblioteconomica degli spazi e con la costante disponibilità a ripensarli per disinnescare situazioni potenzialmente conflittuali e migliorare la convivenza e l'integrazione tra i pubblici23.

Il ricorso poco controllato alla terminologia disciplinare del momento («biblioteconomia sociale», «biblioteca sociale», «bibliotecario sociale») non ha aiutato a fare chiarezza sul piano teorico e neppure su quello strategico. Per Galluzzi, è necessario sgombrare il campo da ogni ambiguità discorsiva e mantenere la biblioteconomia sociale strettamente ancorata ai metodi delle scienze sociali e all'interesse, che le è peculiare, per la visione che delle biblioteche hanno le persone e le comunità:

In particolare, diventa cruciale per le biblioteche comprendere quale idea della biblioteca prevale nell'immaginario collettivo e nell'opinione pubblica e verificare come al suo interno si relazionano la dimensione fisica e quella digitale della biblioteca24.

Alfredo Giovanni Broletti arricchisce il volume di un inevitabilmente sintetico ma denso excursus storico, accompagnato da puntuali osservazioni, alla ricerca dei punti d'incontro fra evoluzione del linguaggio architettonico, canoni del sapere e modelli, immagini e pratiche della biblioteca. La sua narrazione si snoda dall'antichità alle biblioteche umanistiche e rinascimentali, dall'età barocca alle realizzazioni ottocentesche, dalla nascita della biblioteca pubblica al suo sviluppo e alle più recenti progettazioni (frequentemente connotate, queste, dalla pervasività tecnologica e dalla personalità autoriale degli architetti che le hanno realizzate). Per Broletti, i canoni biblioteconomici registrano oggi un passaggio dai principi di integrazione e partecipazione a quelli di inclusione e condivisione, che maggiormente influenzano gli ambienti digitali e ne sono influenzati.

Ancora la rivoluzione tecnologica e la convergenza al digitale, il loro rapporto con le pratiche di scrittura e lettura, la produzione e condivisione di informazioni e contenuti creativi con le piattaforme e applicazioni social, le ricadute di tutto questo sui servizi e sull'offerta documentaria delle biblioteche: sono le questioni che aprono il lavoro di Alessandra Maffiotti. L'autrice si sofferma, poi, sulla diffusione del linguaggio visivo nel Web, sull'informazione tendenzialmente rappresentata mediante forme grafiche, statiche o in movimento,sull'affermarsi del visual thinking.
Nella seconda parte del contributo si passano in rassegna alcuni dispositivi di visualizzazione, l'augmented shelf e il blended shelf, che consentono di creare connessioni, efficaci per gli utenti, fra ambiente digitale di ricerca documentaria e collezioni fisiche delle biblioteche. Maffiotti propone anche un suo bel progetto, consistente nell'allestimento di uno «scaffale sinestetico», in grado di affiancare e integrare lo scaffale fisico, prolungarne le potenzialità informative, estendere il campo della lettura e ricezione dei contenuti con l'ausilio di specifiche risorse tecnologiche (touch screen, cuffie audio, lettori per e-book ecc.).

Chiara Faggiolani esamina il rapporto fra le biblioteche e i big data, vale a dire quella straordinaria quantità di dati che è variamente generata nello spazio della rete e che è possibile raccogliere, elaborare e analizzare, per ricavarne dapprima informazioni e poi nuova conoscenza. I big data sono fra gli effetti della rivoluzione digitale che possono maggiormente incidere (e che già incidono) sulla comunicazione scientifica oltre che sull'organizzazione sociale e sull'economia. Faggiolani ne descrive le caratteristiche salienti, le potenzialità e indica, persuasivamente e fra i primissimi in Italia,una «duplice direzione [di ricerca]: big data come strumento per le biblioteche e biblioteche come strumento per i big data»25. Il primo aspetto trova significati in ambito valutativo: per esempio, le biblioteche, sempre più orientate a valutare l'impatto che esse determinano o possono determinare sulla vita delle persone e delle comunità, possono sfruttare a fini conoscitivi le tracce digitali (testi, preferenze, immagini, comportamenti di navigazione ecc.) di cui abbondano i social network. Il secondo aspetto da una parte reclama biblioteche pienamente coinvolte nelle attività di conservazione e cura dei big data26, dall'altra biblioteche che trasmettano competenze d'uso e garantiscano opportunità democratiche di accesso a grandi archivi di dati, attraverso la produzione di tassonomie, mappe e impianti catalografici.

Un approccio foucaultiano

Vivarelli fa esplicitamente suo l'approccio di Michel Foucault allo studio dei codici culturali e della struttura epistemica dei saperi storicamente costituiti, segnalando l'esigenza di un analogo punto di vista «archeologico» sulla biblioteca e sulle biblioteche, al fine di restituire le distanze, le divergenze, i molteplici rimandi tra parole e cose, dunque i «discorsi», che oggi perimetrano la dimensione concettuale della biblioteca e la sua identità e descrivono le evidenze empiriche che gli usi e la percezione delle biblioteche impongono:

Alla luce di questo intreccio di tanti possibili “discorsi”, in senso foucaultiano, [...] vorrei verificare la possibilità di individuare non tanto le linee di un modello concettuale, quanto piuttosto di un linguaggio [...] che aiuti a comprendere meglio che cosa accade, fenomenicamente, nello spazio organizzativo ma più ancora antropologico della 'biblioteca' e delle 'biblioteche' e quanto ciò che accade si allinei o diverga rispetto a quanto previsto nei modelli originari [...]27.

Non sono mancati, finora, riferimenti a Foucault in campo biblioteconomico. Peraltro, un recente studio28, condotto sui periodici LIS e imperniato sull'analisi quantitativa e qualitativa delle citazioni riguardanti Le parole e le cose e L'archeologia del sapere29, documenta (e lamenta) occorrenze abbastanza sporadiche e frettolose.
Un'eccezione, tuttavia, va fatta per i lavori di Gary P. Radford, alcuni dei quali firmati con altri autori. Ne ricordo due in particolare. Il primo30, del 2003, prende le mosse da un acuto articolo di Wayne A. Wiegand31, che aveva rilevato la scarsa attenzione nei discorsi LIS per i temi sollevati da pensatori come Michel Foucault, Antonio Gramsci e Jürgen Habermas e da filosofe della scienza come Helen Longino, Margaret Jacob e Sandra Harding, temi ruotanti intorno al nesso conoscenza/potere, «which all agree is never totally objective and never disinterested [...]»32. Wiegand aveva parlato di «tunnel vision and blind spots» a proposito di una disciplina, la library and information science, e di un contesto professionale, la librarianship, scarsamente visibili all'esterno, autoreferenziali e quasi intrappolati nelle loro stesse «formazioni discorsive». Radford richiama quest'ultima categoria, di palese derivazione foucaultiana, e la riferisce agli ordinamenti concettuali e fisici della biblioteca:

Simply put, a discursive formation refers to the ways in which a collection of texts are organized with respect to each other33.

Consider the choices made by a cataloger when allocating books to a subject heading, a call number, and a particular place on the library shelf. How does the cataloger do this task? What in the nature of the preexisting subjects (discursive formations) to which a new book can be assigned a place? What are the rules by which a book is assigned to Philosophy and non to History or Language? When we ask questions like these, we are raising the same kinds of questions that Foucault explores in his archaeology [...]34.

Più avanti, egli utilizza il suo stesso articolo come un esempio di «enunciato» in senso foucaultiano, dunque come un elemento materialmente apparso all'interno di una specifica formazione discorsiva e in grado di generare altri enunciati:

The article/statement has the potential to produce entirely news statements (books, articles, letters, syllabi). There statements, in their turn, will enter into discursive circulation and also have the potential to generate many more new statements, and so on ad infinitum35.

Likewise, this article is also the result of other books, other articles, other statements. The reference list stands as testimony to this36.

Per Radford, che resta fedele alla traccia di Wiegand, una corretta comprensione dei concetti di Foucault può aiutare gli studiosi LIS ad acquisire maggiore consapevolezza circa l'opportunità dia) spingersi oltre le proprie aree di stretta competenza; b) riformulare i propri discorsi in maniera decisamente innovativa. La lezione di Foucault, la sua 'rivoluzionaria' concezione del rapporto tra storia e materialità documentaria, la possibilità di produrre formazioni discorsive e narrazioni mediante nuovi ordinamenti dei documenti/enunciati autorizzano a ripensare il rapporto della library and information science con la propria storia, i propri oggetti e i propri confini:

The goal of an archaeology of LIS along the lines described by Foucault would be to weave a new discursive cloth incorporating statements hitherto considered beyond the pale. It would seek to create new arrangements, new unities, and new ways of talking about the LIS profession [...]37.

Radford è anche fra gli autori di un articolo molto più recente38, centrato sulla nozione di «eterotopia», cui Foucault aveva accennato nell'introduzione a Le parole e le cose e che aveva riproposto in una conferenza del marzo 196739. Il filosofo francese contrapponeva le eterotopie (luoghi reali) alle utopie (luoghi irreali):

Le utopie consolano: se infatti non hanno luogo reale si schiudono tuttavia in uno spazio meraviglioso e liscio [...]. Le eterotopie inquietano, senz'altro perché minano segretamente il linguaggio [...], perché devastano anzi tempo la “sintassi” e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma anche quella meno manifesta che “fa tenere insieme” (a fianco e di fronte le une alle altre) le parole e le cose40.

Le eterotopie sono utopie realizzate, luoghi sociali e culturali che effettivamente esistono in ogni civiltà e che parlano di tutti gli altri luoghi reali, li rappresentano e però li contestano, li rovesciano. Sono eterotopie, per esempio, lo specchio, i cimiteri, le cliniche psichiatriche, le prigioni; sono tali il teatro e il cinema; è un'eterotopia per eccellenza la nave, una grande riserva d'immaginazione, «frammento galleggiante di spazio, un luogo senza luogo, che vive per se stesso, che si auto delinea e che è abbandonato, nello stesso tempo, all'infinito del mare [...]»41; sono eterotopie musei e biblioteche (gli archivi del tempo e della memoria), soprattutto nella cultura occidentale dell'Ottocento:

[...] l'idea di accumulare tutto, l'idea di costituire un luogo per ogni tempo che sia a sua volta fuori dal tempo, inaccessibile alla sua stessa corruzione, il progetto di organizzare così una sorta di accumulazione perpetua e indefinita del tempo in un luogo che non si sposta, tutto ciò appartiene alla nostra modernità42.

Le eterotopie, come le utopie, hanno la proprietà di entrare in rapporto con gli altri luoghi, ma «con una modalità che consente loro di sospendere, neutralizzare e invertire l'insieme dei rapporti che sono da essi stessi delineati, riflessi e rispecchiati»43. Da qui (e con l'ausilio di altre ascendenze letterarie e artistiche, oltre che di casistica biblioteconomica) partono Gary P. Radford e i suoi coautori per accostare le correlazioni reali e potenziali fra lo spazio bibliotecario (della public library, soprattutto), la sua capacità evocativa e le esperienze (per esempio, di serendipità, di avventura) che, nella realtà contemporanea, in esso si manifestano:

[...] the library as place is much more than a room or building that contains a collection of objects; it is a place which makes possible particular kinds of experiences. It is precisely the notion of the experience of being in the library space and the experiences that this space makes possible that is at the heart of Foucault's [...] notion of heterotopia44.

Intelligenti annotazioni su Foucault e le biblioteche sono state avanzate in Italia da Michele Santoro45. Si tratta di un saggio strutturato in tre parti. La prima mostra ciò che nell'elaborazione foucaultiana e nella letteratura biblioteconomica a lui ispirata può permettere di focalizzare l'intreccio che lega alle dinamiche di potere (sorveglianza, controllo, episteme e discorsi dominanti) le forme di trasmissione del sapere e della conoscenza inscritte nelle tradizionali pratiche di biblioteca (reference, organizzazione delle collezioni ecc.). La seconda chiosa i riferimenti alle biblioteche e al mondo dei libri di cui è generosa l'opera di Foucault, specialmente Le parole e le cose (la critica delle tassonomie, il rapporto libri/realtà nel Chisciotte, la visione di un' «enciclopedia assoluta», dunque di una biblioteca universale, in Charles Bonnet) e Un “fantastico” da biblioteca, nel quale Foucault legge La tentazione di Sant'Antonio di Flaubert come rappresentazione, figlia dell'episteme ottocentesca, di un immaginario ormai compiutamente radicato nell'ordine dei libri. La terza e ultima parte del saggio è interamente dedicata all'eterotopia, con opportuni richiami alle problematiche architettoniche, semiotiche e più strettamente biblioteconomiche implicate nell'organizzazione dello spazio e del sapere in biblioteca. Per Santoro, il pensiero di Foucault è stato fonte irrinunciabile per quanti

hanno guardato in maniera non convenzionale alla biblioteconomia e alla scienza dell'informazione, contribuendo a delineare quella visione "postmoderna" della biblioteca che ha caratterizzato in modo significativo l'attuale dibattito professionale47.

Vivarelli si colloca autonomamente nell'alveo di queste letture, mutuando dall'archeologia di Foucault soprattutto la chiave metodologica, al fine di indagare più a fondo la natura degli oggetti (cartacei o digitali) di cui la biblioteca si occupa, confrontarsi con la nomenclatura concettuale che a quegli oggetti si riferisce per rappresentarli e, infine, disegnare la complessa mappa multidisciplinare degli avvenimenti discorsivi che invadono lo spazio bibliotecario. È uno sguardo che l'autore definisce «strabico e divergente»48 e che in A partire dallo spazio risulta già fecondo, per quanto la prudenza obblighi all'assimilazione critica di un metodo non privo di tratti controversi49. Aggiungo che un simile approccio potrà fare comodo alla biblioteconomia se (è così in Vivarelli) sarà votato non alla problematica legittimazione delle sue basi scientifiche, ma alla descrizione e interpretazione delle sue basi fattuali di esistenza.
Studiare le condizioni di possibilità delle conoscenze, dunque il loro attecchimento in un dato campo epistemologico, è cosa che interpella, peraltro, anche la storia della bibliografia, della biblioteconomia e delle biblioteche, anch'essa caratterizzata (come proprio Foucault più volte lascia intendere) da reciproci rimandi con altre configurazioni discorsive dei saperi e da fratture e dislivelli talvolta trascurati e su cui non sarebbe inutile tornare.

Fine della biblioteconomia gestionale?

In più di un saggio (Galluzzi, Pagano, Vivarelli), anche sulla scia di altre, recenti riflessioni50, si coglie l'esigenza di inquadrare criticamente l'evoluzione della biblioteconomia, i cambiamenti di paradigma che essa ha vissuto, il suo attuale statuto disciplinare e le sue prospettive. Il tutto è in rapporto con i fenomeni che investono l'identità contemporanea della biblioteca, le funzioni e l'agire delle biblioteche, il loro precario radicamento nei contesti sociali in trasformazione, le pratiche d'uso che in misura variabile ne occupano gli spazi e - non da ultimi - la percezione e il sentiment che le accompagnano.
Alcuni interrogativi affiorano a proposito della biblioteconomia gestionale, di cui si riconosce la funzione svolta nel passato ventennio (superamento della classica biblioteconomia documentale; potenziamento della strumentazione professionale dei bibliotecari)51, ma alla quale si rimprovera, nel presente, una certa stanchezza, un'inadeguatezza sia teorico-metodologica sia applicativa. Scrive, per esempio, Vivarelli:

[...] ho cercato di mettere in evidenza i limiti derivanti dall'impiego esclusivo delle metodologie e delle euristiche proprie della biblioteconomia gestionale, probabilmente troppo vincolata dalla cornice paradigmatica, pragmaticamente orientata all'efficacia, dei principi delle culture organizzative in essa radicati. Questo linguaggio, ed i suoi frammenti pre e post paradigmatici [...] non mi sembravano sufficienti ed adeguati a dar conto delle tante criticità che investono i singoli modelli di 'biblioteche' (incluso quello della public library) e soprattutto quello di 'biblioteca' [...]52.

In qualche modo connesso all'indebolimento del rapporto fra biblioteconomia e management sta maturando un passaggio di consegne alla biblioteconomia sociale, con un conseguente slittamento di visuale, oggetti, paradigmi: dal confronto con le discipline organizzative agli apporti derivanti dalle scienze sociali (con preminente riferimento alla logica e alle metodologie qualitative della ricerca sociale); dalla centralità del servizio alla centralità delle relazioni; dalla soddisfazione dell'utente al benessere dei cittadini e all'impatto sulle persone e sulle comunità; dalla valutazione come ambiente decisionale all'interpretazione dei fenomeni, dei segni e dei discorsi che prendono forma negli spazi della biblioteca e intorno ad essa. È un passaggio da cui trapela talvolta una cesura epistemologica, talaltra, in senso inclusivo53, un arricchimento/evoluzione della disciplina.
Ha un futuro, allora, la biblioteconomia gestionale? E quale? Una risposta che merita attenzione è in un saggio di Michael M. Widdersheim e Masanori Koizumi54, nel quale è abbozzato un modello che, a proposito delle biblioteche pubbliche, richiama la nozione habermasiana di «sfera pubblica». Com'è noto, Habermas formulò il concetto di Öffentlichkeit (una sfera di mediazione fra società e Stato) all'inizio degli anni Sessanta:

Per sfera pubblica s'intende anzitutto l'ambito della nostra vita sociale in cui si può formare quella che viene chiamata opinione pubblica. L'accesso ad essa è fondamentalmente aperto a tutti i cittadini [...]. I cittadini agiscono come pubblico quando, non sottoposti ad alcuna costrizione, cioè con la garanzia di potersi incontrare e associare liberamente, di poter esprimere e pubblicare liberamente le loro opinioni, discutono di problemi di comune interesse. Quando si tratta di un ampio pubblico questa comunicazione ha bisogno di determinati mezzi di trasmissione e di influenza; oggi i media della sfera pubblica sono i giornali e le riviste, la radio e la televisione55.

Successivamente, questi concetti furono notevolmente ampliati in termini storico-sociali e politici56. Per Habermas, il modello liberale e borghese di sfera pubblica, nato nel XVIII secolo, soffre momenti di declino nelle democrazie di massa basate sullo stato sociale: l'intreccio fra ambito pubblico e ambito privato causa quasi una «rifeudalizzazione» della sfera pubblica e un allentamento o una rimozione delle sue funzioni critiche, sostituite dal consumo culturale.
In un'intervista rilasciata pochi anni fa, egli rileva la mancanza di una sfera pubblica capace di mettere rimedio alla frammentazione e dispersione delle comunità virtuali e dei discorsi nella rete:

Ciò che manca a questi spazi comunicativi (chiusi in se stessi) è il collante inclusivo, la forza inclusoria di una sfera pubblica che evidenzi quali cose sono davvero importanti. Per creare questa 'concentrazione' occorre prima saper scegliere – conoscere e commentare – i temi, i contributi e le informazioni che sono pertinenti57.

Habermas rimpiange, più che altro, le competenze e l'autorevolezza del giornalismo classico, tradendo forse qualche difficoltà ad accettare la portata onnipervasiva della comunicazione digitale, ma solleva una questione che non può lasciare indifferente chi voglia insistere sul ruolo che le biblioteche possono ancora svolgere.
Al suo pensierosi sono del resto ispirati, negli ultimi dieci o quindici anni (dunque soprattutto dopo il 'richiamo' di Wiegand), alcuni studiosi di area biblioteconomica58. Widdersheim e Koizumi sintetizzano così il dibattito sui rapporti tra sfera pubblica e biblioteche pubbliche:

In summary, previous studies found that public libraries support the public sphere in several ways: by enabling citizens to interact with collections and staff; by providing civic training opportunities; by acting as meeting places for citizen discourse; and by selecting, organizing, and promoting discourses. Public libraries, at least in some instances, meet all three conditions of the public sphere: common concern, debate, and openness59.

Tuttavia,

As a result of this review, we concluded that there is not yet a clear and comprehensive model of the public sphere in public libraries that speaks to all of its dimensions and explains how they interrelate60.

Per il loro modello i due autori individuano, allora, sei dimensioni(e relative sotto-dimensioni) della sfera pubblica riconoscibili nelle biblioteche pubbliche:
- criteri nucleari (core criteria) della comunicazione nella sfera pubblica (apertura, discussione, interesse comune), che fissano gli aspetti normativi del discorso pubblico e consentono, perciò, di valutare il grado di «pubblicità» di ogni discorso costruito in biblioteca;
- sfera pubblica interna, riguardante a) discorsi su risorse, funzionamento e servizi della biblioteca, discorsi che questa può intrattenere con diversi gruppi di comunità (intra-library communication); b) discorsi sui rapporti tra la biblioteca e altre organizzazioni pubbliche o private (inter-library communication): tali discorsi non riflettono temi di management interno;
- sfera pubblica esterna, nella quale la biblioteca opera come una piattaforma a supporto del discorso pubblico su temi di natura economica, scientifica, culturale ecc.;
- raccogliere e organizzare il discorso (sviluppo delle collezioni, strutture, organizzazione della conoscenza, risorse umane) in funzione dell'accesso fisico e intellettuale dei membri della comunità alle risorse documentarie;
- attivare processi di legittimazione (valutazione, promozione, uso di nuove piattaforme della comunicazione);
- facilitare il discorso (la biblioteca è un'infrastruttura disponibile per gli scambi di comunicazione politica e culturale fra i cittadini ed è un servizio interattivo di assistenza e consulenza).

Widdersheim e Koizumi identificano anche tre arene della sfera pubblica in biblioteca dentro le quali distribuire le dimensioni individuate, queste ultime nel frattempo distinte in funzionali e discorsive (vedi Figura 1).

ARENA FUCTIONAL DIMENSION DISCURSIVE DIMENSION ARENA NAME
1 Collect and organize discourse Intra-library public sphere Governance and management
2 Perform legitimation processes Inter-library public sphere Legitimation
3 Facilitate discourse External public sphere Commons

Figura 1Dimensions and arenas61

Secondo Widdersheim e Koizumi,

Each arena has distinctive exchanges between the library system and its environment. The governance and management arena acts as a communication channel between private actors and the library system. In the governance and management arena, the library system prompts its environment for feedback. In response, the environment modulates or changes the internal functioning of the system. In the legitimation arena, the library system communicates with private actors and the political system. The library system activates, mobilizes, and stimulates private actors to provide financial and material support. In response, private actors advocate on behalf of the library system to other public and private sector organizations. The commons arena intersects with all entities in the figure: the library system, private actors, the political system, and the media production system. In the commons arena, the library system facilitates the use of its infrastructure62.

In termini habermasiani, le tre arene discorsive della biblioteca sono luoghi in cui si riproduce il «mondo vitale» (riproduzione culturale, formazione d'identità, solidarietà), ma esse possono anche essere accolte nella prospettiva di un agire sistemico63, giacché «As organizations, public libraries operate according to the non-linguistic media of money and power»64.

Concludono Widdersheim e Koizumi:

The public sphere concept is essential for understanding socially just functioning of public library organizations. We believe it therefore serves as a normative as well as empirical model. Moreover, lifeworld and system perspectives of the public sphere in public libraries bring out the society-wide purpose of public libraries. The model we presented is valuable for practitioners because it can help orient library services and strategic planning. The arenas of the public sphere we identified also open up new areas of inquiry for public library researchers65.

Ricondurre alla sfera pubblica anche le tematiche gestionali e di servizio (sebbene, in Widdersheim e Koizumi, nell'ottica accentuatamente 'funzionalista' di un rapporto sistema-ambiente regolato da processi di feedback) permette di integrarle nella produzione sociale di discorso intorno alla biblioteca e di contenere il rischio di un loro appiattimento tecnico-burocratico, quindi di un loro progressivo svuotamento di senso. Nello spazio dell'agire comunicativo, ergo della sua socializzazione, la biblioteca è sia un'organizzazione che interpreta/agisce sia una realtà interpretata/'agìta' dagli utenti, dai cittadini, dalla comunità e da altri attori pubblici e privati. Qui, mi pare, non dovrebbe andare perduto un elemento d'interesse comune alla biblioteconomia gestionale e alla biblioteconomia sociale (e anche alla biblioteconomia documentale, se pensiamo all'uso sociale delle risorse documentarie e dei dati organizzati dalle biblioteche), un elemento sensibile al carattere unitario della disciplina e pronto a possibili approfondimenti.

Attualità di Shera

Anna Galluzzi colloca giustamente la biblioteconomia sociale in un filone di studi (avviato in Italia soprattutto da Paolo Traniello) che ha conosciuto nell'opera di Jesse H. Shera un suo cruciale momento66. La biblioteca – ci ha spesso ricordato Shera - è una creazione sociale, ed è in tal senso che possiamo considerare «sociale» tutta la biblioteconomia. È vero: le basi sociologiche sulle quali egli fondava il rinnovamento della librarianship e della library science67 ci appaiono quasi interamente consegnate alle desuete categorie (istituzione, agenzia, azione) del lontano struttural-funzionalismo di scuola parsonsiana. Eppure, di quella lezione permangono preziosi insegnamenti: non tenere mai separatela storia, la teoria e la pratica della biblioteca dalle ragioni culturali e sociali che ne giustificano l'esistenza e i cambiamenti; indagare in modo continuo il ruolo della biblioteca (e della bibliografia) nei mutevoli processi e ambienti sociali della conoscenza e della comunicazione; affidare al bibliotecario una specifica responsabilità sociale e concepire percorsi consequenziali di formazione. Sono temi (almeno alcuni) che, in forme inedite e rese più complesse dal dominio delle tecnologie digitali e di rete, la biblioteconomia ha tuttora di fronte a sé. I caratteri e i fenomeni che fanno della biblioteca una creazione sociale sono tanti e di varia specie: analizzarli (con un corredo metodologico completo, al quale le scienze sociali forniscono un irrinunciabile anche se non esclusivo apporto)68 credo debba rimanere tra gli scopi primari della ricerca in campo biblioteconomico.
L'«epistemologia sociale» (la nuova disciplina che per Shera avrebbe dovuto occuparsi dei processi intellettuali della società nel loro complesso e che avrebbe dovuto interagire sotto il profilo teoretico e pratico con la biblioteconomia e la professione bibliotecaria)69 ha poi acquisito altre espressioni, che sono maturate, prevalentemente e indipendentemente, in ambito filosofico70. Ora sta emergendo il ruolo-chiave che lo studio della costruzione e dimensione sociale della conoscenza può giocare, insieme con gli strumenti della psicologia cognitiva e della pedagogia, nelle attività educative e di biblioteca finalizzate allo sviluppo dell'information and digital literacy e del critical thinking71. Spiegano Anderson e Johnston:

Greater access to information and greater emphasis on information in our lives, brings with it the challenge of how to establish credibility, reliability and utility. In the public sphere we are also challenged as citizens to negotiate propaganda, misinformation, hoaxes, scams and outright corruption as part of our information practice. Hence our emphasis on epistemology and in particular the concept of social epistemology72.

È una tesi che dichiara apertamente il proprio debito verso il grande biblioteconomo americano:

One thing is clear from Shera's work in the 1960s, and it is that librarianship emerges as a predominantly social activity and a key aspect of his idea of social epistemology. That social activity can be observed in terms of the role and practice of librarians and libraries in providing access to books, knowledge, information, and also in giving user advice on how to gain access to these resources. The social location of library contributions to the organisation of knowledge for access and use can also be considered in terms of the traditional expectation of citizens that libraries are a 'free' public good with the necessary status, funding and accountability to fulfil those expectations73.

Un rinnovato interesse biblioteconomico per l'epistemologia sociale è attuale, anzi urgente: ne possono scaturire riflessioni di non trascurabile rilievo sull'identità della biblioteca contemporanea quale spazio fisico e digitale nel quale la conoscenza socialmente prodotta può essere organizzata, elaborata e condivisa in funzione tanto delle opportunità di accesso quanto delle opportunità di lettura critica, interpretazione, creazione di nuova conoscenza.

NOTE

Ultima consultazione siti web: 31 ottobre 2017.

[1] A partire dallo spazio: osservare, pensare, interpretare la biblioteca, a cura di Maurizio Vivarelli. Milano: Ledizioni, 2016. Il volume è in ideale e stretta continuità con altri, pregevoli scritti del curatore e con lavori da lui coordinati. Vedi, in particolare, Lo spazio della biblioteca: culture e pratiche del progetto tra architettura e biblioteconomia, a cura di Maurizio Vivarelli, collaborazione di Raffaella Magnano, prefazione di Giovanni Solimine, postfazione di Giovanni Di Domenico. Milano: Editrice bibliografica, 2013.

[2] Scott Bennett, Libraries and learning: a history of paradigm change, «Portal: libraries and the academy», 9 (2009), n. 2, p. 181-197, DOI: 10.1353/pla.0.0049.

[3] Ivi, p. 182.

[4] Ivi, p. 192.

[5] Vedi, fra gli altri, Danuta A. Nitecki, Space assessment as a venue for defining the academic library, «The library quarterly», 81 (2011), n. 1, p. 27-59, DOI: 10.1086/657446.

[6] Bernd W. Becker, Advances in technology and library space, «Behavioral & social sciences librarian», 34 (2015), n. 1, p. 41-44: p. 43, DOI: 10.1080/01639269.2015.996496.

[7] Vedi, per esempio, Susan E. Montgomery, Library space assessment: user learning behaviors in the library, «The journal of academic librarianship», 40 (2014), n. 1, p. 70-75, DOI: 10.1016/j.acalib.2013.11.003; Seung Hyun Cha; Tae Wan Kim, What matters for students' use of physical library space?, «The journal of academic librarianship», 41 (2015), n. 3, p. 274-279; DOI: 10.1016/j.acalib.2015.03.014; Kirsten Kinsley [et al.], Graduate conversations: assessing the space needs of graduate students, «College & research libraries», 76 (2015), n. 6, p.756-770, DOI: 10.5860/crl.76.6.756; Francine May; Alice Swabey, Using and experiencing the academic library: a multisite observational study of space and place, «College & research libraries», 76 (2015), n. 6, p. 771-795, DOI: 10.5860/crl.76.6.771; Lesley S. J. Farmer, Library space: its role in research, «The reference librarian», 57 (2016), n. 2, p. 87-99, DOI: 10.1080/02763877.2016.1120620; Jong-Ae Kim, Dimensions of user perception of academic library as place, «The journal of academic librarianship», 42 (2016), n. 5, p. 509-514 DOI: 10.1016/j.acalib.2016.06.013; Michael J. Khoo [et al.], "A really nice spot": evaluating place, space, and technology in academic libraries, «College & research libraries», 77 (2016), n. 1, p. 51-70, DOI: 10.5860/crl.77.1.51; Silas M. Oliveira, Space preference at James White Library: what students really want, «The journal of academic librarianship», 42 (2016), n. 4, p. 355-367, DOI: 10.1016/j.acalib.2016.05.009; Andrew D. Asher, Space use in the commons: evaluating a flexible library environment, «Evidence based library and information practice», 12 (2017), n. 2, p. 68-89, DOI: 10.18438/B8M659.

[8] Vedi Susan Thompson , Using mobile technology to observe student study behaviors and track library space usage, «Journal of access services», 12 (2015), n. 1-2, p. 1-13, DOI: 10.1080/15367967.2015.972754; Beth Daniel Lindsay, Using Google forms to track library space usage, «Journal of access services», 13 (2016), n. 3, p. 159-165, DOI: 10.1080/15367967.2016.1184578.

[9] William H. Weare Jr.; Paul Moffett; John P. Cooper, Preparing for renovation: estimating shelf occupancy to inform decision making regarding the redevelopment of library space, «Collection management», 41 (2016) n. 3, p. 168-181: p. 178, DOI: 10.1080/01462679.2016.1212755. Vedi anche Hannah F. Norton [et al.], Space planning: a renovation saga involving library users, «Medical reference services quarterly», 32 (2013), n. 2, p. 133-150, DOI: 10.1080/0276 3869.2013.776879; Laura Kohl; Claire-Lise Bénaud; Sever Bordeianu, Finding shelf space in an academic library: a multifaceted approach, «Technical services quarterly», 34 (2017), n. 3, p. 268-282, DOI: 10.1080/07317131.2017.1 321378.

[10] Su quest'ultimo punto mi sia concesso di richiamare il mio Funzione sociale e valore delle biblioteche pubbliche: alcuni riscontri recenti della valutazione d'impatto in campo internazionale, «Biblioteche oggi», 35 (2017), n. 5, p. 6-17.

[11] Vedi Henrik Jochumsen; Dorte Skot-Hansen; Casper Hvenegaard Rasmussen, The four spaces of the public library. In: The end of wisdom?: the future of libraries in a digital age, edited by David Baker, Wendy Evans. Amsterdam [ecc]: Chandos, 2017, p. 39-44.

[12] Ivi, p. 41.

[13] Donald A. Barclay, Space and the social worth of public libraries, «Public library quarterly», 36 (2017), n. 4, p. 267-273: p. 270, http://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/01616846.2017.1327767, DOI: 10.1080/01616846.2017.1327767.

[14] Ivi, p. 272.

[15] Ivi, p. 271.

[16] M. Vivarelli, Lo spazio della biblioteca cit., p. 48.

[17] M. Vivarelli, Lo spazio delle collezioni cit., p. 87.

[18] Ivi, p. 88.

[19] M. Pagano, Lo spazio della biblioteca attraverso una esperienza di microanalisi cit., p. 232.

[20] M. Vivarelli, Dati, valutazione, interpretazione cit., p. 242.

[21] Ivi, p. 239

[22] A. Galluzzi, Scenari e contesti cit., p. 60.

[23] Ivi, p. 61.

[24] Ivi, p. 66.

[25] C. Faggiolani, Interpretare la biblioteca con i big data cit., p. 133.

[26] Vedi ivi, p. 144: «[...] affinché i dati siano leggibili/utilizzabili sarà necessario curare/tramandare anche il contesto in cui i dati sono stati generati, poter risalire alla loro fonte e alle possibilità di analisi che vi erano connesse».

[27] M. Vivarelli, Lo spazio della biblioteca cit., p. 15-16.

[28] Scott Hamilton Dewey, (Non-)use of Foucault's Archaeology of knowledge and Order of things in LIS journal literature, 1990-2015, «Journal of documentation», 72 (2016), n. 3, p.454-489, DOI 10.1108/JD-08-2015-0096.

[29] Vedi Michel Foucault, Le parole e le cose: un'archeologia delle scienze umane, con un saggio critico di Georges Canguilhem. Milano: Rizzoli, 1967; Id., L'archeologia del sapere. Milano: Rizzoli, 1971.

[30] Gary P. Radford, Trapped in our own discursive formations: toward on archaeology of library and information science, «The library quarterly», 73 (2003), n. 1, p. 1-18, DOI: 10.1086/603372.

[31] Wayne A. Wiegand, Tunnel vision and blind spots: what the past tells us about the present: reflections on the Twentieth-century history of American librarianship, «The library quarterly», 69 (1999), n. 1, p. 1-32, DOI: 10.1086/ 603022.

[32] Ivi, p. 23.

[33] G. P. Radford, Trapped in our own discursive formations cit., p. 2.

[34] Ivi, p. 4.

[35] Ivi, p. 12.

[36] Ibidem.

[37] Ivi, p. 17.

[38] Gary P. Radford; Marie L. Radford; Jessica Lingel, The library as heterotopia: Michel Foucault and the experience of library space, «Journal of documentation», 71 (2015), n. 4, p.733-751, DOI: 10.1108/JD-01-2014-0006.

[39] Vedi Michel Foucault, Des espace autres (1967), Hétérotopies, http://desteceres.com/heterotopias.pdf, pubblicato precedentemente in «Architecture, mouvement, continuité», (1984), n. 5, p. 46-49 e in una raccolta postuma: Id., Dits et écrits: 1954-1988, v. 4: 1980-1988. Paris: Gallimard, 1994, p. 752-762. Il testo è stato tradotto in italiano da Tiziana Villani e Pino Tripodi: vedi M. Foucault, Eterotopia. In Eterotopia: luoghi e non-luoghi metropolitani. Milano: Mimesis, 1994, p. 9-21.

[40] M. Foucault, Le parole e le cose cit., p. 7-8.

[41] M. Foucault, Eterotopia cit., p. 20.

[42] Ivi, p. 18.

[43] Ivi, p. 13. Foucault detta anche sei principi dell'eterotopia:
1) tutte le culture producono eterotopie;
2) ciascuna eterotopia ha una funzione storicamente determinata all'interno di una società e può assumere forme diverse nel tempo e nello spazio;
3) l'eterotopia può accostare in un solo luogo reale spazi fra loro incompatibili (accade a teatro, nei locali cinematografici e nei giardini);
4) spesso alle eterotopie si accompagnano rotture del tempo tradizionale («eterocronie»): è il caso, anche, delle biblioteche e dei musei;
5) le eterotopie sono governate da sistemi di apertura e chiusura, che corrispondono, talvolta, a pratiche rituali di «purificazione» (hammam musulmani, saune scandinave);
6) in rapporto allo spazio circostante, le eterotopie svolgono la funzione di creare spazi di illusione o spazi di compensazione.

[44] G. P. Radford; M. L. Radford; J. Lingel, The library as heterotopia cit., p. 741.

[45] Michele Santoro, Visioni della biblioteca in Michel Foucault, «Bibliotime», 18 (2015), n. 3, http://www.aib.it/aib/s ezioni/emr/bibtime/num-xviii-3/santoro.htm.

[46] Michel Foucault, Un “fantastico” da biblioteca. In Id., Scritti letterari, traduzione e cura di Cesare Milanese. Milano: Feltrinelli, 2004, p. 135-153.

[47] M. Santoro, Visioni della biblioteca in Michel Foucault cit. Non sono sicuro, però, che si possano comprendere appieno gli indirizzi contemporanei del dibattito biblioteconomico con le categorie del postmodernismo.

[48] M. Vivarelli, Lo spazio della biblioteca cit., p. 30.

[49] Non mancano, peraltro, i detrattori del filosofo francese: vedi, per esempio, Jean-Marc Mandosio, Longevità di un'impostura: Michel Foucault. Salò: Damiani, 2017.

[50] Vedi Chiara Faggiolani, La ricerca qualitativa per le biblioteche: verso la biblioteconomia sociale. Milano: Bibliografica, 2012; Chiara Faggiolani; Giovanni Solimine, Biblioteche moltiplicatrici di welfare, «Biblioteche oggi», 31 (2013), n. 3, p. 15-19; Giovanni Solimine, Nuovi appunti sulla interpretazione della biblioteca pubblica, «AIB studi», 53 (2013), n. 3, p. 261-271, http://aibstudi.aib.it/article/view/9132/9236, DOI: 0.2426/aibstudi-9132; Chiara Faggiolani; Anna Galluzzi, L'identità percepita delle biblioteche: la biblioteconomia sociale e i suoi presupposti, «Bibliotime», 18 (2015), n.1, http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-xviii-1/galluzzi.htm; The identity of the contemporary public library: principles and methods of analysis, evaluation, interpretation, edited by Margarita Pérez Pulido and Maurizio Vivarelli. Milano: Ledizioni, 2016.

[51] Vedi A. Galluzzi, Scenari e limiti cit., p. 64.

[52] M. Vivarelli, Dati, valutazione, interpretazione cit., p. 236.

[53] Vedi A. Galluzzi, Scenari e limiti cit., p. 66.

[54] Michael M. Widdersheim; Masanori Koizumi, Conceptual modelling of the public sphere in public libraries, «Journal of documentation», 72 (2016), n. 3, p. 591-610, DOI: 10.1108/JD-06-2015-0079.

[55] Jürgen Habermas, Sfera pubblica (una voce di enciclopedia). In Id., Cultura e critica, con una nota per l'edizione italiana di Nicola Paoli. Torino: Einaudi, 1980, p. 53.

[56] Vedi, soprattutto, Jürgen Habermas, Storia e critica dell'opinione pubblica. Bari: Laterza, 1971.

[57] Vedi Jürgen Habermas, Habermas su web e sfera pubblica: quello che la rete non sa fare: il filosofo intervistato da Markus Schwering, «Reset», 22 luglio 2014, http://www.reset.it/caffe-europa/habermas-su-web-e-sfera-pubblica-quel lo-che-la-rete-non-sa-fare.

[58] Vedi, soprattutto, John E. Buschman, Dismantling the public sphere: situating and sustaining librarianship in the age of the new public philosophy. Westport; London: Libraries Unlimited, 2003; Id., On libraries and the public sphere, «Library philosophy and practice», 7 (2005), n. 2, p. 1-8, disponibile all'indirizzo http://digitalcommons.unl.edu/cgi/ viewcontent.cgi?article=1010&context=libphilprac.

[59] M. M. Widdersheim; M. Koizumi, Conceptual modelling of the public sphere in public libraries cit., p. 596.

[60] Ibidem.

[61] Ivi, p. 603.

[62] Ivi, p. 604.

[63] In ambito sociale, per Habermas, occorre distinguere tra «mondo vitale» (Lebenswelt) e «sistema». Nel mondo vitale (le cui strutture sono cultura, società, personalità) si esprime un agire comunicativo, che è basato sul linguaggio e sulle relazioni intersoggettive ed è orientato alla ricerca non del dominio, ma di una reciproca comprensione e intesa fra i partecipanti alla comunicazione: dall'agire comunicativo dipende la riproduzione del mondo vitale; il sistema (i cui media sono il denaro e il potere) è invece caratterizzato da un agire strumentale o strategico (finalizzato al successo) e da una propensione a «colonizzare» il mondo vitale. Vedi, soprattutto, Jürgen Habermas, Teoria dell'agire comunicativo. Bologna: Il Mulino, 1986.

[64] M. M. Widdersheim; M. Koizumi, Conceptual modelling of the public sphere in public libraries cit., p. 607.

[65] Ivi, p. 608.

[66] Vedi A. Galluzzi, Scenari e contesti cit., p. 64.

[67] Vedi, in particolare, Jesse H. Shera, Sociological foundations of librarianship. London: Asia Publishing House, 1970; Id., Introduction to library science: basic elements of library service. Littleton (Colorado): Libraries Unlimited, 1976.

[68] Vedi Alison Jane Pickard, La ricerca in biblioteca: come migliorare i servizi attraverso gli studi sull'utenza, introduzione, traduzione e cura di Elena Corradini; prefazione di Anna Maria Tammaro. Milano: Editrice bibliografica, 2010; C. Faggiolani, La ricerca qualitativa per le biblioteche cit.; Lynn Silipigni Connaway; Marie L. Radford, Research methods in library and information science, 6thed. Santa Barbara (California); Denver (Colorado): Libraries Unlimited, 2017.

[69] Vedi Margaret E. Egan; Jesse H. Shera, Foundations of a theory of bibliography, «The library quarterly», 22 (1952), n. 2, p. 125-137; J. H. Shera, Sociological foundations of librarianship cit., p. 108-109; Id., Introduction to library science cit., p. 49.

[70] Vedi Silvia Tossut, Epistemologia sociale, «APhEx», (2016), n. 14, http://www.aphex.it/public/file/Content201606 30_APhEx14,2016-Tossut-Temi-EpistemologiaSociale-BOOZE.pdf. L'autrice, che menziona la pionieristica intuizione di Shera, definisce così la disciplina: «L'epistemologia sociale è una branca dell'epistemologia caratterizzata dallo studio degli aspetti sociali connessi alla formazione di credenze, alla loro giustificazione, e all'acquisizione di conoscenze. Come l'epistemologia in senso generale, anche l'epistemologia sociale si declina in filosofia sociale della scienza e teoria della conoscenza sociale». Vedi anche la voce Social epistemology, in Stanford encyclopedia of philosophy archive, Summer 2015 ed., https://plato.stanford.edu/archives/sum2015/entries/epistemology-social/.

[71] Vedi Anthony Anderson; Bill Johnston, From information literacy to social epistemology: insights from psychology. Amsterdam [ecc.]: Chandos, 2016. Sul rapporto fra pensiero critico e competenza informativa rimando il lettore anche al mio Un'identità plurale per la biblioteca pubblica, «AIB studi», 55 (2015), n. 2, p. 235-246, http://aibstudi.aib.it/ar ticle/view/11197/10500, DOI: 10.2426/aibstudi-11197 (pubblicato in versione inglese, con il titolo A plural identity for the public library. In The identity of the contemporary public library cit., p. 139-152).

[72] A. Anderson; B. Johnston, From information literacy to social epistemology cit., p. XIII.

[73] Ivi, p. 141.