di Chiara Faggiolani e Anna Galluzzi
Ecco che cosa ho pensato: affinché l'avvenimento più comune divenga un'avventura
è necessario e sufficiente che ci si metta a raccontarlo. È questo che trae in inganno la gente:
un uomo è sempre un narratore di storie, vive circondato delle sue storie e delle storie altrui,
tutto quello che gli capita lo vede attraverso di esse e cerca di vivere la sua vita come se la
raccontasse. Ma bisogna scegliere: o vivere o raccontare.
(Jean-Paul Sartre)1
L'idea che avevamo quando abbiamo messo in cantiere questo articolo era un po' diversa da quella che effettivamente ci ha animato nella stesura delle pagine che seguono. Renderne conto può essere utile ad inquadrarne in modo chiaro l'obiettivo.
Circa due anni fa abbiamo iniziato a lavorare a una ricognizione delle indagini qualitative svolte dalle biblioteche pubbliche italiane negli ultimi anni, a partire dal presupposto che questa metodologia2 - sempre più diffusa nel nostro settore per approfondire il punto di vista degli utenti e conoscerne i bisogni e le aspettative - oltre ad aver prodotto interessanti risultati, avesse generato una importante quantità di "dati". Dati che, come noto, sono di tipo testuale.
Nella primavera del 2016 abbiamo costruito un corpus testuale a partire dai "dati grezzi" raccolti nell'ambito di tutte quelle indagini di cui eravamo venute a conoscenza e per le quali avevamo ottenuto l'autorizzazione a utilizzare i testi: 219 tra interviste in profondità, focus group e osservazioni realizzati nell'ambito di 8 indagini3.
Abbiamo sottoposto il corpus ad analisi e i primi risultati si erano rivelati a nostro avviso molto interessanti. Dalle "conversazioni" erano emersi alcuni "universi di senso" legati all'idea di biblioteca, trasversali ai diversi contesti bibliotecari analizzati: 1) la biblioteca vissuta come spazio sociale e culturale, risorsa per la città ma anche 2) un profilo tradizionale di biblioteca pubblica associato al piacere della lettura; 3) una idea più vicina ad una funzione classica di luogo di studio per studenti e 4) una visione problematica di biblioteca come luogo di conflitto e manifestazione di disagio.
In particolare ci era saltato agli occhi come quest'ultima visione fosse speculare alla prima. Ancora una volta nei dati trovavamo il riflesso della coesistenza di molteplici identità4 in linea con la frammentarietà e l'eterogeneità che caratterizza il panorama bibliotecario nel nostro paese.
Avevamo anche potuto osservare come addetti ai lavori e utenti nell'esprimersi prediligessero concetti molto diversi: più ideologici i primi, più legati alle funzioni i secondi: «per gli utenti la biblioteca è un luogo in cui si fanno delle attività in funzione fondamentalmente strumentale e utilitaristica rispetto ai propri bisogni»5. Addentrandoci nei mondi lessicali di utenti e bibliotecari nelle conclusioni riassumevamo che il "voler essere" dei bibliotecari si andava a contrapporre al "voler fare" degli utenti.
Questi risultati erano emersi dall'applicazione del metodo di analisi di dati testuali noto come analisi automatica dei testi (di seguito AAT)6: tale metodo ci aveva consentito di "rappresentare" il contenuto dei 219 testi oggetto di analisi - per un totale di circa 330.000 parole7 - e di 'estrarre' da essi informazioni di interesse attraverso misure quantitative.
I dati testuali prodotti con tecniche qualitative erano stati analizzati con un metodo quantitativo, con l'obiettivo di mitigare l'influenza del contesto di ciascuna indagine ovvero di andare oltre gli obiettivi specifici che le avevano animate, concentrandoci essenzialmente sui racconti, sulle storie, sulle parole8.
L'idea che in prima battuta aveva stimolato la stesura del presente articolo era, dunque, quella di approfondire questo tipo di approccio e di rendere conto dettagliatamente delle scelte metodologiche della nostra ricerca, con l'obiettivo di: a) rendere la ricerca stessa eventualmente replicabile e b) presentare le potenzialità di un metodo di analisi di dati ancora poco diffuso nel nostro settore9. Per farlo abbiamo coinvolto sei esperti provenienti da ambiti disciplinari diversi, li abbiamo intervistati per approfondire il metodo da un punto di vista interdisciplinare e prenderne in esame i punti di forza e le criticità.
In corso d'opera abbiamo sentito l'urgenza di cambiare parzialmente direzione. Negli stessi mesi in cui stavamo lavorando all'analisi dei dati testuali abbiamo assistito al proliferare di alcuni fenomeni che ci sono sembrati avere un denominatore comune: una sorta di conferma di una "svolta narrativa" che sta caratterizzando il nostro settore (in Italia) da quasi un decennio.
Con questa espressione - narrative turn - si fa riferimento al successo dell'approccio narrativo che si è manifestato nel campo delle scienze umane a partire dagli anni Novanta del secolo scorso. Una svolta che ha rapidamente conquistato le scienze sociali e non solo, come dimostra l'importanza acquisita dallo storytelling come mezzo di comunicazione ma anche come strumento di pensiero e comprensione della realtà: «Le storie sono divenute così convincenti che alcuni critici temono che diventino un sostituto pericoloso dei fatti e degli argomenti razionali. [...] Storie seducenti possono essere volte in menzogne o in propaganda. Le persone mentono a se stesse con le proprie storie»10.
La "svolta narrativa" ha investito il nostro settore da qualche anno ma è soprattutto nell'ultimo periodo che si stanno consolidando narrazioni della biblioteca - pubblica in particolare - che si nutrono di un patrimonio quasi mitico e che parlano all'immaginario delle persone per sviluppare il loro senso di appartenenza e coinvolgerle nella definizione di un sentire comune. Un esempio interessante sono a nostro avviso le conferenze tenute recentemente in Italia da David Lankes11, nelle quali lo studioso ha proposto una visione molto suggestiva del lavoro che i bibliotecari sono chiamati a svolgere: "Librarians transform communities by weaving together the brilliance of its people. The result is called a library"12.
Si tratta di un approccio caratterizzato dalla volontà di trasmettere messaggi fortemente motivanti, sempre positivi e memorabili. Ma in che modo è possibile tradurre i valori narrati in dati di fatto? O al contrario quanto essi partono dai dati di fatto? È possibile che questo tipo di narrazione abbia un legame stretto con un certo modello di biblioteca?
Come esito di queste domande, l'obiettivo del presente contributo si è ampliato.
La biblioteconomia sociale ha, tra gli altri, il ruolo di produrre un sistema informativo per le biblioteche, saper spiegare e comunicare al mondo il ruolo della biblioteca, a partire possibilmente dai dati di fatto e attraverso un metodo scientifico rigoroso capace di produrre modelli stabili e sostenibili. Solo in questo modo sarà possibile realizzare una convergenza tra svolta narrativa e progettualità, tra visione politica e realizzazioni concrete, tra finalità ideali e risultati.
A partire da questo presupposto, abbiamo dunque deciso di rendere conto delle caratteristiche del metodo che abbiamo utilizzato nella nostra ricerca, ma inserendolo in una cornice più ampia che è quella disciplinare.
Per arrivare a questo approfondimento metodologico ci siamo però innanzitutto chieste se i fenomeni descritti sono specifici della nostra contemporaneità o sono una tendenza - diciamo così - endemica della disciplina e della professione, destinata a ripresentarsi con nomi e forme diverse - ma sostanza simile - nel tempo e nello spazio.
Alla ricerca di un modello sostenibile
La riflessione su ruolo e funzioni della biblioteca è un esercizio che attraversa tutta la storia delle biblioteche, ma è diventata particolarmente centrale a partire dal secolo scorso. Sono stati il processo di crescente differenziazione tipologica e l'espansione culturale e geografica della public library, nata nel mondo angloamericano nella seconda metà dell'Ottocento, a mettere sempre più al centro dell'attenzione dei bibliotecari la costante ricerca di uno spazio di senso della biblioteca nella società.
Questa ricerca scaturisce anche dal fatto che, nel dibattito biblioteconomico, si oscilla continuamente tra un'idea della biblioteca come agenzia sociale secondo l'interpretazione di Shera13 (ossia una struttura al servizio delle finalità sociali fissate delle istituzioni) e un'idea della biblioteca in generale - e della public library in particolare - come istituzione dotata di un bagaglio proprio di valori che vanno al di là delle contingenze sociali e che la biblioteca è chiamata diffondere all'interno della società.
Si tratta dunque di comprendere se le biblioteche siano legate a doppio filo a un determinato insieme di valori e di presupposti ideologici, oppure possano declinarsi nel tempo per rispondere a modelli e obiettivi sociali diversi, o ancora si collochino da qualche parte a metà strada tra questi estremi.
Quello che si osserva è che, in momenti storici delicati sul piano economico e sociale, la spinta a ripensare l'identità della biblioteca - se non addirittura a trasformarla in qualcosa di completamente diverso - emerge in maniera più forte sia all'interno della professione che all'esterno, fors'anche nella consapevolezza - ribadita da Shera - che l'esistenza della biblioteca pubblica risiede nelle potenzialità economiche di una società e che, senza risorse eccedenti la sussistenza, nessuna comunità manterrebbe una biblioteca14.
In queste fasi si insegue una maggiore rispondenza del servizio bibliotecario alle esigenze della comunità e parallelamente si riscoprono e si ribadiscono i presupposti ideologici della biblioteca. Spesso questo dibattito si traduce nell'elaborazione di modelli che si auspicano meglio rispondenti al contesto.
Lo strumento della modellizzazione si propone di accorpare realtà diverse in categorie riconoscibili e con caratteristiche comuni e di individuare i percorsi del passato e le tendenze in atto. Modellizzare significa dunque costruire modelli della realtà, per meglio perlustrarla e conoscerla nelle sue componenti essenziali, decostruendone in modo significativo la complessità strutturale e ricomponendola in un quadro pertinente di relazioni interne.
Un modello è però una semplificazione della realtà, che ci consente di avere a disposizione una cornice di riferimento e di lettura delle specificità del contesto, allo scopo di prendere delle decisioni e di adottare delle soluzioni15.
In conclusione, nell'uso della modellizzazione è necessario essere consapevoli del fatto che si tratta di uno strumento di analisi e di rappresentazione della realtà necessario ma per certi versi pericoloso, nella misura in cui da un lato tende ad appiattire la realtà e a produrre una visione superficiale della stessa, dall'altro consente di cogliere gli elementi di continuità e di costruire letture d'insieme.
Il concetto di "impressionabilità"
È per effetto di un uso semplificato e non consapevole dei modelli che le espressioni e gli aggettivi nel tempo individuati per rappresentare la biblioteca contemporanea hanno spesso finito per banalizzare contenuti anche importanti, anziché essere strumento di conoscenza e di approfondimento.
Il fatto che, negli ultimi decenni e in particolar modo negli ultimissimi anni, si siano alternate - con una frequenza quasi imbarazzante - parole ed espressioni riferite alla biblioteca pubblica, spesso proposte come l'unica e risolutiva interpretazione della realtà, ha certamente reso gli studiosi e i bibliotecari più accorti molto diffidenti rispetto ad esse. Si è parlato nel corso del tempo di biblioteca virtuale, biblioteca di qualità, biblioteca ibrida, biblioteca digitale, piazza del sapere, biblioteca social, biblioteca partecipata, biblioteca bene comune, biblioteca postmoderna, biblioteca sociale
16, e anche di biblioteca di nicchia, reference library, biblioteca-libreria, biblioteca-spazio urbano, biblioteca esperienziale17.
Nella fase che stiamo attualmente vivendo, se si considerano nel loro insieme i contributi che compaiono nella letteratura scientifica e professionale, nonché le riflessioni pubblicate in varie forme sul web, tra le numerose interpretazioni con cui si è fatto riferimento in questi anni alla biblioteca appaiono fortemente accreditate e popolari due espressioni: quella di biblioteca partecipata o partecipativa e quella di biblioteca sociale18.
Si tratta, per la verità, di due concezioni della biblioteca che sono in qualche modo collegate, in quanto entrambe focalizzate sul rapporto della biblioteca con le persone che compongono le comunità di riferimento. Nel primo caso si sottolinea in particolare l'importanza di coinvolgere i membri della comunità nella vita della biblioteca, dalla fase di progettazione a quella di gestione dei servizi e delle attività; nel secondo caso, si riconosce il ruolo della biblioteca come spazio fisico di aggregazione, capace di rispondere non solo a bisogni informativi, formativi e culturali, bensì anche a bisogni più propriamente sociali in funzione complementare e talvolta alternativa ad altre strutture pubbliche e private sul territorio.
Intorno a questi modelli si sono andati costruendo teorie19, metodi20 e strategie politiche21 che in modi differenti fanno riferimento alla necessità della 'partecipazione e consultazione pubblica', talvolta esplicitamente con funzioni comunicative, altre volte con un intento presuntamente conoscitivo che però presta facilmente il fianco a critiche per la mancanza di scientificità e rigore metodologico.
Si tratta, evidentemente, di segnali di un fervore che sta attraversando in questi ultimi anni la disciplina biblioteconomica nonché la professione bibliotecaria, e che va accolto con favore.
D'altra parte, in queste fasi della vita delle biblioteche, quando ci si muove tra rischio di marginalizzazione e attivismo, il pericolo di rimanere vittime - più che in altri momenti - di «mode e riporti rozzi»22 è particolarmente elevato. Alberto Petrucciani parla a questo proposito di "impressionabilità"23, un concetto che ha a che fare con la tendenza a innamorarsi di modelli, slogan, soluzioni, parole chiave provenienti da altri contesti, dandone quasi per scontate la validità e l'applicabilità.
Talvolta, questa "impressionabilità" nasce da una visione preconcetta della biblioteca o da un auspicio ad essa relativo che non ha necessariamente un riscontro nello stato reale delle cose.
Si sfocia in questi casi in un approccio ideologico che è riemerso a più riprese nelle maglie della disciplina e della professione nel corso del tempo.
Il fascino della library faith
L'ideologia bibliotecaria è stata oggetto di riflessione in America fin dal secondo dopoguerra, in particolare in uno dei rapporti finali della Public library inquiry24. Nel volume dal titolo The public library in the political process di Oliver Garceau, che si incentra sul rapporto tra public library e processo politico, l'autore usa l'espressione library faith in riferimento al generale consenso sul potere del libro e della lettura e al presunto ruolo svolto dalla public library nel mantenimento dell'assetto democratico:
From its beginning the library has been closely connected with the American conception of democratic progress. It has offered opportunity [...] for everyone to increase his knowledge and therefore his position in the world. It has been considered a part of our technological resources, allowing the talented to perfect their skills and contribute to their own and the community's advancement. The library, among other purposes, was created as a source of knowledge for an informed citizenry, upon whose collective judgment the success or failure of responsible democracy rests25.
La Public library inquiry mise in discussione forse per la prima volta i presupposti della library faith, o quantomeno ne portò alla luce una serie di contraddizioni sia sul piano teorico-concettuale sia rispetto alla realtà quotidiana delle biblioteche che emergeva dalla ricerca.
A questo proposito Oliver Garceau fece notare che i veri nemici della public library sono - in ogni epoca - l'apatia del pubblico e la almeno parziale imponderabilità del suo impatto sociale, fattori che se da un lato inevitabilmente ridimensionano la portata della visione politica rappresentata dalla library faith, dall'altro la rendono indispensabile come strumento retorico e di comunicazione:
No one opposes the library; almost everyone approves it. But with equal unanimity no one wants to pay much for it. What the librarians are working against is apathy within, as well as without the library.
[...] the character of its influence is imponderable; it cannot be made clear and incontrovertible. Its value to the community can only be measured by its effect upon the minds of individuals and the growth of their personalities. It is an article that can be sold on the political market only by the eloquence with which it can explain the inexplicable26.
Ancora Garceau sottolineava che la biblioteca è chiamata a cercare un equilibrio dinamico tra la propria visione politica ideale e le realizzazioni concrete, in quanto continuare a riproporre alte finalità ideali per sostenere il valore sociale della biblioteca può trasformarsi in un'operazione di auto-giustificazione fine a se stessa lì dove queste finalità restino lontane e sganciate da azioni e risultati.
È forse anche per questo che, nonostante i suoi numerosi meriti e pur avendo influenzato significativamente la professione bibliotecaria, la Public library inquiry non fu ben compresa nei suoi risultati e nelle sue raccomandazioni, né tantomeno ben accolta. Qualcuno la definì «the obituary of the public library»27, in quanto distrusse la fiducia tradizionalmente presente nella comunità bibliotecaria in merito al proprio ruolo e lasciò i bibliotecari scioccati e demoralizzati.
Fu così che - dopo il dibattito sviluppatosi nei primi anni dall'uscita dei rapporti dell'indagine - la comunità bibliotecaria prima ne tentò una rilettura più favorevole, poi, approfittando di nuove sfide e stimoli provenienti dal contesto, "decise" di ignorarli.
A distanza di circa settant'anni dalla Public library inquiry e nonostante a più riprese studi e ricerche abbiano messo in evidenza l'indimostrabilità della library faith ovvero il suo limitato riscontro nella realtà28, questo approccio concettuale è rimasto centrale come strumento di advocacy e come motore ideologico per la professione.
L'identificazione della professione con la library faith perpetua una non sempre positiva sovrapposizione di più piani: quello concettuale, quello strategico-politico e quello operativo delle biblioteche e dei bibliotecari; dunque fa sì che i bibliotecari non siano pienamente consapevoli della eventuale distanza tra i contenuti dell'ideologia e la realtà effettiva delle biblioteche.
Per sfuggire alle insidie dell'"impressionabilità" e della library faith e per trasformare la "consultazione pubblica" in una fonte effettiva e non inquinata da scorie ideologiche, l'unica strada che la disciplina e la professione possono intraprendere è l'adozione di un apparato di strumenti basato sul metodo scientifico, allo scopo di entrare nelle conversazioni ed estrapolarne il senso vero, nonché la conseguente e necessaria aderenza ai risultati di ricerca, anche quando questi contraddicano le aspirazioni - pur legittime e auspicabili - dei bibliotecari.
La svolta narrativa e le sue declinazioni
«Sono morte le ideologie, hanno trionfato le storie. Che sono ideologie mascherate»29: in un un'epoca in cui si parla di declino delle ideologie 30 la narrazione è diventata protagonista, svolgendo in buona parte la stessa funzione, ossia quella di costruire un patrimonio mitico comune. L'arte di raccontar storie - lo storytelling - è una tecnica che attraverso le suggestioni dello stile narrativo comunica contenuti che possono essere profondamente ideologici31. Come ricorda Bruner:
La narrativa, pur essendo un evidente piacere, è una cosa seria. Nel bene e nel male, è il nostro strumento preferito, forse addirittura obbligato per parlare delle aspirazioni umane e delle loro vicissitudini, le nostre e quelle degli altri. Le nostre storie non solo raccontano, ma impongono a ciò che sperimentiamo una struttura e una realtà irresistibile, addirittura un atteggiamento filosofico32.
Questo è l'esito della svolta narrativa che ha investito le scienze umane e sociali: «gli ultimi 15-20 anni rappresentano il momento narrativo delle scienze umane [...] . Antropologi, sociologi e psicologi riscoprono l'importanza della narrativa»33. Si parla, dunque, di narrative turn, per intendere un cambio di paradigma che esalta il ruolo dei racconti nella vita delle persone, nella formazione della cultura, nella comprensione dei fenomeni34.
Questa "svolta" è iniziata nel nostro settore in Italia da quasi un decennio e in quest'ultimo periodo è arrivata a una fase di consolidamento. Con un intento semplificatorio potremmo dire che sono due le strade in cui questo approccio si sta declinando:
Storytelling e advocacy
Nel primo caso - lo storytelling - sono le "emozioni" ad essere mobilitate nel percorso narrativo, una strada certamente molto efficace in quanto questo tipo di approccio nelle sue diverse declinazioni sembra riuscire là dove il discorso razionale purtroppo non può arrivare: la pancia delle persone, siano esse bibliotecari, amministratori o utenti. Scrive Annette Simmons, autrice di un noto best seller sullo storytelling:
People don't want more information. They are up to their eyeballs in information. They want faith - faith in you, your goals, your success, in the story you tell. It is faith that moves mountains, not facts. Facts do not give birth to faith. Faith needs a story to sustain it - a meaningful story that inspires belief in you and renews hope that your ideas, do indeed, offer what you promise37.
Isolando il concetto di "fede", già ampiamente emerso, e tornando all'esempio di Lankes è interessante osservare come, a proposito del lavoro del bibliotecario, il termine che viene utilizzato sia "missionario":
What you need in your communities, your villages, your towns, your cities, is not a worker, but a missionary - literally, a person on a mission. A missionary that is focused on helping their communities make smarter decision through knowledge creation. Let me simplify that - through learning. The mission of a librarian is to help communities make smarter decisions38.
Le "informazioni" non sono così fondamentali, la fede smuove le montagne, non i "fatti". I fatti non fanno nascere la fede. La fede ha bisogno di una storia che la sostenga, una storia significativa che sia credibile. Questo tipo di approccio riguarda chiaramente la promozione di una certa visione della biblioteca e non è difficile intravedere una relazione tra questa e il consolidamento di quei modelli di biblioteca "sociale" e "partecipata" sopra citati.
Lo stesso Lankes fa riferimento a questo modello quando dice: «I want to talk about libraries, and more importantly, librarians. I want to talk about libraries in a new way - not as institutions, or collections, but as a platform for weaving communities together, and proactively working to define and then fulfill community aspirations»39.
La narrazione come strumento di comprensione e conoscenza
Nel secondo caso, la narrazione è utilizzata nelle attività di indagine come strumento per cogliere e raccogliere l'esperienza di chi racconta, intesa come attività cognitiva e come modo di ricostruzione del mondo in cui vive e dei significati che vi attribuisce40.
I risultati che emergono dall'analisi nella nostra ricerca in corso, ma anche quelli emersi da ricerche sul campo condotte individualmente negli anni passati41, non ci hanno mai trasferito una visione univoca del problema: la frammentazione che caratterizza il panorama bibliotecario italiano soprattutto in relazione ai differenti livelli di servizio, la quasi totale mancanza di dati sull'impatto delle biblioteche, in generale l'assenza di un "sistema informativo"42, rendono impossibile il disegno di un unico modello.
L'identità della biblioteca pubblica che emerge dai racconti delle persone è (ed e? sempre stata) molto diversificata, come dimostrano anche le considerazioni presentate nel paragrafo precedente.
La sensazione in sintesi è che mentre lo storytelling stia lavorando nella direzione del consolidamento di una visione univoca, dalle ricerche sul campo stiano emergendo visioni piuttosto differenziate e il dubbio che nasce è che le due declinazioni di cui si è detto stiano andando incontro ad una pericolosa frattura.
Comprendere il senso e i significati: analizzare le parole
«Chi vuole acquisire o verificare conoscenze non può non passare, talora anche, talora esclusivamente, attraverso parole e testi»43. Se vogliamo tradurre la naturale e umana propensione alla narrazione in uno strumento capace di incrementare la comprensione del fenomeno biblioteca e consideriamo, dunque, le storie come "dati" è evidente che esse necessitano di una forma di codifica e di elaborazione.
È qui che introduciamo due diversi approcci metodologici all'analisi dei dati testuali:
dai linguisti specialisti negli studi stilometrici o di autenticità dell'autore agli psicologi e antropologi interessati alle analisi di contenuto sia su testi che su materiali provenienti da indagini sul campo (interviste, storie di vita, focus group), dai sociologi che si occupano di discorso politico o di indagini qualitative agli specialisti di comunicazione orientati al marketing e al linguaggio veicolato sui principali tipi di media47.
Qui ci concentriamo su questo secondo approccio, non con l'obiettivo di spiegare "come si fa"48, ma di mettere in evidenza come esso possa contribuire a non cadere in quella frattura di cui si parlava nel paragrafo precedente.
Come anticipato, abbiamo chiesto la collaborazione di cinque studiosi provenienti anche da ambiti disciplinari diversi ma tangenti a quello biblioteconomico, oltre al parere di Giovanni Di Domenico, docente di Biblioteconomia presso l'Università degli studi di Salerno. I cinque studiosi sono: Costantino Cipolla, docente di sociologia presso l'Università degli studi di Bologna; Massimo Coen Cagli, direttore scientifico della Scuola di Roma di Fund-raising; Stella Iezzi, docente di statistica sociale presso l'Università di Roma Tor Vergata; Marco Muscogiuri, direttore artistico di Alterstudio partners e docente alla Facoltà di ingegneria edile-architettura del Politecnico di Milano; Rosa Maria Paniccia, docente di psicologia sociale presso la Sapienza, Università di Roma49.
Per motivi di spazio e per rimanere coerenti con gli obiettivi di questo articolo abbiamo deciso di non rendere conto delle visioni emerse dalle singole interviste e di tralasciare le considerazioni più strettamente relative all'impostazione metodologica della nostra ricerca50. Focalizziamo invece l'attenzione su tre aspetti che sono emersi con prepotenza dalle interviste e che - ci siamo rese conto in fase di analisi - chiamano in causa proprio la frattura tra le due vie della narrazione sopra descritte:
AAT: approccio esplorativo e modellizzazione
Un modello, come si è accennato, è una rappresentazione semplificata di fenomeni complessi - fisici, matematici, sociali, linguistici - che ne vuole descrivere le caratteristiche per poterne prevedere gli effetti. La modellizzazione ha una relazione molto stretta con l'analisi dei dati: essa non si configura come una attività puramente teorica ma prevede una interazione con la realtà attraverso l'osservazione e la sperimentazione.
I modelli sono la quintessenza della realtà, l'insieme dei tratti comuni che emergono dall'analisi di situazioni reali, «sono "ferri del mestiere", utili per comprendere le realtà applicative evitando di "reinventare la ruota" ogni volta. Certamente, però, un ferro del mestiere non è nulla senza l'expertise di chi lo usa, lo cala nella realtà, lo contestualizza alle esigenze»51. In questo delicatissimo passaggio entra il ruolo della narrazione, poiché essa stessa può essere considerata una «forma di modellizzazione dell'esperienza»52: il modo in cui raccontiamo le cose contribuisce a spiegare agli altri e a noi stessi gli eventi, a legarli tra loro, «producendo la sensazione di una logica che tiene insieme i fatti e ce li fa percepire come non casuali»53.
In questa prospettiva la nostra impressione è che lo storytelling a cui si è fatto riferimento stia contribuendo all'affermazione di un modello di biblioteca che al momento risulta distaccato dai dati e che quindi, potrebbe non essere pienamente aderente alla realtà.
Il fatto che certi modelli vincenti dal punto di vista comunicativo possano risultare poco convincenti sul piano del confronto teorico è stato già messo in evidenza:
Il problema, quindi, consiste in primo luogo nella ricerca di una tipologia di modello che sappia, o meglio, che provi a rispondere in modo adeguato alle esigenze di complessità del mondo contemporaneo evitando soluzioni preconfezionate in termini di organizzazione di spazi, servizi e funzioni e, allo stesso tempo, riduzionistiche sul piano della dialettica fra tradizione e cambiamento54.
È compito della disciplina tentare di fornire gli strumenti utili a non cadere in questo errore, facendo chiarezza su quella che deve essere la giusta relazione tra modellizzazione e narrazione, pena il rischio di cadere nella impressionabilità sopra menzionata.Quando utilizziamo le tecniche statistiche di analisi testuale possiamo applicare un approccio prettamente quantitativo che impone ai dati un modello oppure un approccio esplorativo in cui non vogliamo ipotizzare un certo andamento, un certo pattern. Vogliamo cioè che siano i dati a suggerirci qualcosa e che ci diano delle indicazioni rispetto al fenomeno che stiamo studiando.
Lo stesso aspetto è evidenziato da Costantino Cipolla:
La massa di informazioni che si ricava utilizzando queste tecniche è tale che si ritorna a processi di natura induttiva.
Quando utilizziamo questo approccio, rompiamo lo schema narrativo, trasformiamo la narrazione in dati e, dunque, non forziamo i dati - le parole - verso la conferma di un modello, partiamo al contrario dall'analisi delle parole per estrarre un significato ed eventualmente costruire un modello di riferimento. Per comprendere meglio questo aspetto è necessario presentare sinteticamente alcuni passaggi.
La costruzione del senso e i legami tra le parole
Associando le entità fondamentali dell'AAT a quelle statistiche tradizionali56, osserviamo che l'insieme di tutti i testi (per esempio nella nostra ricerca 219 tra interviste e focus group) è assimilabile al concetto di collettivo statistico. Questi costituiscono il corpus di dati, da intendersi come una raccolta di testi omogenea sotto qualche punto di vista: nel nostro caso, ad esempio, l'esito di rilevazioni qualitative svolte dalle biblioteche pubbliche italiane negli ultimi anni.
La parola - come abbiamo già detto la "forma grafica", ovvero una sequenza di caratteri delimitata da due separatori - è l'unità elementare del testo (type) e può essere considerata l'unità statistica sulla quale vengono operate le analisi. Il numero di volte in cui il type appare nel corpus determina le sue occorrenze (tokens)57.
Per intraprendere l'analisi, il primo passo è quello di esaminare il corpus osservando la relazione tra type e token: si definiscono cioè le occorrenze di tutte le forme grafiche nel corpus. La distribuzione statistica è rintracciabile nella lista di frequenza dei type. Questo sarà il vocabolario del corpus.
Il vocabolario presenterà "parole piene" e "parole vuote": le prime fanno riferimento ai termini che hanno un senso in sé e comprendono le forme verbali, i nomi, gli aggettivi e gli avverbi; le seconde sono tra le parole più frequenti e non sono portatrici di significato autonomo. Tra queste gli articoli, le parole finalizzate a funzioni grammaticali ecc.
Un secondo aspetto da osservare è relativo alla frequenza delle parole: essa ha un ruolo estremamente importante anche se non sempre questo costituisce un criterio decisivo di estrazione di conoscenza. Anche le parole incontrate poche volte o una sola (hapax) - perfino le parole assenti, talvolta - possono avere un valore rilevante.
Dopo queste prime analisi fondamentali è possibile interrogare i dati in modi diversi:
Questi strumenti ci offrono la possibilità di produrre una mappa della reale climatizzazione di alcuni aspetti [...] Penso che lo strumento di analisi abbia una potenzialità laddove riesce in qualche modo a isolare dal contesto, che è denso di complicazione, il dato essenziale, cioè di quale tema si sta parlando davvero nelle biblioteche.
Visione confermata da Stella Iezzi:
In termini tecnici noi non facciamo altro che cercare di perdere quelle informazioni ridondanti che non ci permettono la comprensione dei fenomeni. La mappa semantica ha proprio l'obiettivo di focalizzare e di fornire una sintesi dei contenuti. È chiaro che va utilizzato lo strumento più opportuno62.
Analisi automatica dei testi e biblioteconomia sociale
Negli ultimi vent'anni il mondo delle biblioteche è radicalmente cambiato, sarebbe interessante mettere a confronto testi di articoli, di libri o di atti di convegno sugli stessi temi, per vedere quali sono i lemmi che emergono di volta in volta e di conseguenza come è cambiato il modo di intendere la biblioteca e gli universi di significato ad essa attribuiti.
Marco Muscogiuri individua nella capacità di spiegare il cambiamento e di riempirlo di significato il maggiore apporto di questo metodo63. Che è in effetti anche il compito della disciplina che delle biblioteche si occupa. Giovanni Di Domenico64 ci ha fornito un punto di vista preciso in tal senso:
Qui c'è una opportunità. È un'opportunità per la biblioteconomia diciamo nella sua declinazione sociale ma anche per altri campi di interesse della disciplina. Abbiamo la necessità di riflettere sulla crisi di legittimazione che sicuramente la biblioteca - in particolare la biblioteca pubblica - sta attraversando e abbiamo la necessità di ridefinire i confini di senso dentro i quali la biblioteca opera e diciamo incontra le parole, le parole che la descrivono, le parole che la connotano, le parole che la posizionano nella quotidianità di vita delle persone, in generale nella contemporaneità. Avere a disposizione una metodologia che combina tecnologie linguistiche, tecnologie informatiche, modelli statistici, un approccio metrico può essere una straordinaria occasione per ragionare su come viene letta, intesa, percepita e raccontata la biblioteca pubblica.
Partendo da questa considerazione è breve il passo verso una riflessione sulla ricaduta che la trasformazione della biblioteca ha avuto/sta avendo sullo statuto epistemologico della biblioteconomia, per la quale non è stato possibile mantenere inalterata la propria cornice interpretativa. In un articolo di qualche anno fa Anna Galluzzi ed io ci domandavamo «se, cambiando così profondamente le biblioteche, non stia cambiando o debba cambiare anche la disciplina che se ne occupa» e mettevamo in evidenza la ricaduta metodologica di questa considerazione65.
Concludevamo la nostra riflessione, sostenendo la necessità per la nostra disciplina di acquisire gli strumenti delle scienze sociali, della metodologia della ricerca sociale. Spiegavamo così anche il significato dell'aggettivo "sociale" che sentiamo il bisogno di attribuire alla biblioteconomia in questa sua fase evolutiva, a differenza di quanto accade nel mondo anglosassone in cui la connotazione "sociale" «è già dentro il termine Librarianship, tanto che l'espressione Social librarianship non esiste. Non sarebbe che un pleonasmo: la biblioteconomia anglosassone di fatto è già sociale»66.
Le tecniche di cui stiamo parlando in questo contributo rientrano pienamente in questo tipo di ragionamento e rispetto, per esempio, a quelle dell'analisi qualitativa dei dati testuali, citate nel paragrafo precedente, mostrano di essere al nostro ambito ancora più vicine. Le tecniche dell'AAT richiamano un complesso ambito di studi che non è affatto distante da alcuni temi cari al nostro ambito disciplinare. Sono ascrivibili all'AAT, infatti, le tecniche di estrazione delle informazioni da materiali espressi in linguaggio naturale: Information retrieval (IR) e Information extraction (IE). Come ha, infatti, sottolineato Giovanni Di Domenico:
Va detto che nel retroterra del text mining e dell'analisi automatica dei testi, c'è qualcosa di familiare per chi si occupa di biblioteconomia perché si parla di information retrieval, di analisi concettuale dei documenti, di procedure di classificazione. Dovremmo sentirci sicuramente a nostro agio. Esistono applicazioni che guardano la creazione di ontologie, di classificazione semantica dei documenti nei diversi campi scientifici, ecc. Anche questo è un aspetto che ci può interessare.
Al termine di questo percorso un dato emerge in maniera incontrovertibile: la necessità - nata nel più ampio contesto sociale ma ormai diffusa anche nel mondo delle biblioteche - di superare una modalità di rappresentazione della realtà fatta solo di numeri, per passare ad un approccio più narrativo e per ciò stesso più empatico e coinvolgente.
Nel caso specifico delle biblioteche, dopo la prolungata insistenza su una valutazione di performance misurate in termini puramente quantitativi, e la difficoltà a comunicarne i risultati in maniera efficace e produttiva ai propri stakeholders, si è fatto strada un modus communicandi dal volto - per così dire - "umano", ossia incentrato sulle storie delle "persone", capace di innescare processi di immedesimazione e di muovere passioni.
Dentro questa cornice si sono sviluppati - come abbiamo visto - fenomeni differenti, che potrebbero risultare a prima vista facce diverse della stessa medaglia, tutte accomunate dal nuovo protagonismo delle persone: forme di advocacy, strumenti di comunicazione, meccanismi partecipativi, ricerche di tipo qualitativo.
Gli esempi riportati nelle pagine precedenti mettono in evidenza fenomeni che incorporano la narrazione e ne testimoniano la necessità a livelli diversi: dal più ampio e teorico relativo alla disciplina - la biblioteconomia di Lankes ne è un esempio - a quello più applicativo legato alla valutazione, progettazione e programmazione dei servizi.
L'intento di questo articolo è stato quello di portare all'attenzione del lettore le inevitabili differenze ed esserne consapevoli, in modo da poter interpretare questi fenomeni nella maniera corretta e utilizzare gli strumenti a disposizione con cognizione di causa.
È compito primario della disciplina offrire metodi e strumenti scientifici per lo studio e la conoscenza delle biblioteche, nonché per il migliore esercizio della professione. In questo senso, la biblioteconomia sociale può rappresentare la risposta disciplinare alle istanze "narrative" che emergono nel mondo delle biblioteche, in quanto sviluppa e applica metodi scientificamente validi per studiare comportamenti, punti di vista e percezioni della componente umana che caratterizza la vita delle biblioteche (utenti, bibliotecari, amministratori, opinion leader ecc.).
Alcune delle tendenze che abbiamo registrato potrebbero, dunque, certamente avvantaggiarsi dell'applicazione dei metodi e degli strumenti delle scienze sociali di cui fa uso la biblioteconomia sociale, perché solo in questo modo da un approccio impressionistico si potrebbe passare a un approccio scientifico, pur senza perdere nulla in termini di capacità narrativa ed empatica.
L'applicazione rigorosa di questi metodi conferirebbe spessore, dignità e difendibilità ad alcune delle proposte che sono state avanzate in questi ultimi tempi, garantendo quel rafforzamento reciproco tra disciplina e professione che nel nostro settore sarebbe fortemente auspicabile.
D'altra parte, si dovrà anche essere pronti - nel momento in cui si potrà disporre dei risultati di indagini qualitative impostate in modo scientifico - ad accettarne con altrettanta onestà gli esiti, anche quando incompatibili rispetto ai nostri auspici e convinzioni, ovvero quando rappresentino una realtà molto meno univoca di quella che ci aspetteremmo.
Se - come Wayne Wiegand tra gli altri ha messo in evidenza67 - quello tra le biblioteche e la società è un equilibrio dinamico e l'identità di questo istituto è sempre stata molto più varia e diversificata di quanto pensiamo, i bibliotecari hanno certamente la necessità di coltivare i propri valori alimentando il patrimonio ideologico della professione, ma devono anche confrontarsi con la realtà delle loro biblioteche e con le istanze narrative dei loro utenti.
Le storie raccontate dai bibliotecari e quelle raccontate dagli utenti restano però solo storie fino al momento in cui l'applicazione ad esse di metodi interpretativi di tipo scientifico non le trasforma in strumenti effettivi di conoscenza e di azione. Lo storytelling diventa semplice aneddotica se non ha alla base fondamenta solide. Si può parlare un linguaggio accattivante e intessere narrazioni che tocchino le corde emotive, e non solo razionali, dei nostri interlocutori, purché si sia consapevoli che la fase comunicativa è il punto di arrivo di un processo conoscitivo che si deve sempre essere in grado di ricostruire e difendere scientificamente. Si può essere grandi divulgatori e comunicatori solo mantenendo la piena coscienza della complessità del reale. Altrimenti il passo dalla semplicità alla semplificazione è breve. Così come il passo dalla conoscenza all'opinione.
Le storie possono precedere la realtà e prometterla o possono seguirla raccontandola.
Le autrici condividono i contenuti del contributo nel suo insieme. Si precisa che vanno attribuiti a Chiara Faggiolani i paragrafi Introduzione: a partire da alcune evidenze e La svolta narrativa e gli strumenti della biblioteconomia sociale; ad Anna Galluzzi i paragrafi Tra "impressionabilità" e ideologia e Conclusioni.
Le autrici colgono l'occasione per ringraziare tutti coloro che hanno messo a disposizione i risultati delle rilevazioni qualitative e autorizzato al loro utilizzo ai fini di questa indagine, sempre in conformità alle abituali norme di etica della ricerca, in particolare Maurizio Bergamaschi, Giovanni Di Domenico, Marisa Gregori, Franco Neri, Elena Petroselli, Davide Premutico, Claudio Franzosi, Anna Bilotta.
Ultima consultazione siti web: 10 novembre 2017.
[1] Jean-Paul Sartre, La nausea, traduzione di Bruno Fonzi. Torino: Einaudi, 1990, p. 58-59 (La nausée. Paris: Gallimard) [corsivo nel testo].
[2] Per una introduzione alla metodologia e una disamina delle tecniche nel nostro settore si veda Chiara Faggiolani, Ricerca qualitativa per le biblioteche: verso la biblioteconomia sociale. Milano: Editrice bibliografica, 2012.
[3] Per una descrizione dell'impostazione dell'indagine e una presentazione dei primi risultati si rimanda ad Anna Galluzzi; Chiara Faggiolani, Attraverso lo specchio: l'immagine delle biblioteche pubbliche dentro le indagini qualitative. In: Biblioteche sostenibili: creatività, inclusione, innovazione, atti del 59. Congresso nazionale AIB, Roma, 24-25 novembre 2016, a cura di Maria A. Abenante e Pieraldo Lietti, in corso di pubblicazione.
[4] Per identità intendiamo «la sintesi complessa di una certa immagine della propria storia [...], di opinioni circa le proprie possibilità e capacità, di aspettative circa il futuro e in definitiva di convinzioni circa il proprio posto nel mondo». Cfr. Bruno M. Mazzara, Stereotipi e pregiudizi. Bologna: Il Mulino, 2010, p. 141 (e-book).
[5] A. Galluzzi; C. Faggiolani, Attraverso lo specchio cit.
[6] Qui facciamo riferimento alle linee tracciate da Sergio Bolasco, uno dei primi studiosi italiani che si è occupato di analisi statistica di dati testuali. Cfr. Sergio Bolasco, L'analisi automatica dei testi: fare ricerca con il text mining. Roma: Carocci, 2013.
[7] L'indagine prosegue: il corpus testuale si è arricchito nel tempo di nuovi dati raccolti nell'ambito di ricerche qualitative realizzate di recente e verrà sottoposto ad una nuova analisi.
[8] Potrebbe essere considerato un esempio di approccio misto. Sarebbe necessario qui aprire una parentesi su questa terza via per la ricerca sociale. Per una bibliografia di riferimento si veda quella presentata nel volume di Fulvia Ortalda, Metodi misti di ricerca: applicazioni alle scienze umane e sociali. Roma: Carocci, 2013. Il volume offre una trattazione strutturata su questi metodi in italiano, richiamando però esplicitamente i riferimenti internazionali. Cfr. Abbas Tashakkori; Charles Teddlie, Handbook of mixed methods in social and behavioral research. Thousand Oaks, New Delhi: Sage, 2003; Id., Handbook of mixed methods in social & behavioral research, 2nd ed. Thousand Oaks, New Delhi: Sage, 2010. Da notare che i metodi misti non inventano tecniche nuove ma propongono un modo innovativo di accostarsi alla ricerca con la prospettiva di sviluppare strumenti propri. Cfr. F. Ortalda, Metodi misti di ricerca cit., p. 145.
[9] La letteratura è molto vasta, per una applicazione nel nostro settore si veda Chiara Faggiolani; Lorenzo Verna; Maurizio Vivarelli, Text mining e network science per analizzare la complessità della lettura: principi, metodi, esperienze di applicazione, «JLIS.it», 8 (2017), n. 3, p. 115-136, https://www.jlis.it/article/view/12414, DOI: http://dx.doi.org/10.4403/jlis.it-12414.
[10] La citazione è tratta da Lynn Smith, Not the same old story, «The Los Angeles times», 11 novembre 2001, http://articles.latimes.com/2001/nov/11/news/cl-2758 e riportata a p. 16-17 della versione digitale del noto volume di Christian Salmon, Storytelling: la fabbrica delle storie. Roma: Fazi, 2014 (e-book) (titolo originale Storytelling: la machine à fabriquer des histoires et à formater les esprits). A proposito di storytelling la letteratura è vastissima. Un riferimento importante è Peter Brooks, Stories abounding, «The chronicle of higher education», 23 marzo 2001, http://www.chronicle.com/article/Stories-Abounding/26828.
[11] Tra settembre e ottobre 2017 David Lankes - professore e direttore della School of Library and Information Science dell'Università della Carolina del Sud, autore di vari volumi, tra cui L'atlante della biblioteconomia moderna (Milano: Editrice bibliografica, 2014) - ha tenuto in Italia alcuni incontri e conferenze per la rete internazionale "Libraries renaissance: greater expectations", il cui obiettivo è comunicare il valore sociale delle biblioteche (greater expectations) fuori delle biblioteche, ad amministratori, politici e alla società.
[12] La citazione è tratta dalla conferenza che David Lankes ha tenuto a Perugia il 24 ottobre 2017. Dalla stessa sono tratte alcune citazioni che si riportano di seguito. La trascrizione della conferenza è online sul sito personale di Lankes su https://davidlankes.org/category/presents/2017/.
[13] Jesse H. Shera, Foundations of the public library: the origins of the public library movement in New England 1629-1855. Chicago: The shoe string press, 1965.
[14] Ibidem.
[15] Anna Galluzzi, Tipologie bibliotecarie: linee di orientamento metodologico. In: Lo spazio della biblioteca: culture e pratiche del progetto tra architettura e biblioteconomia, a cura di Maurizio Vivarelli; collaborazione di Raffaella Magnano; prefazione di Giovanni Solimine; postfazione di Giovanni Di Domenico. Milano: Editrice bibliografica, 2013, p. 337-344.
[16] Si veda il modo un po' ironico in cui ne parla Virginia Gentilini in Lavorare coi vecchi, «Bibliotecari non bibliofili!», 5 dicembre 2015, https://nonbibliofili.wordpress.com/2015/12/05/lavorare-coi-vecchi/.
[17] Cfr. Anna Galluzzi, Biblioteche per la città: nuove prospettive di un servizio pubblico. Roma: Carocci, 2009, p. 35-90.
[18] Su queste interpretazioni della biblioteca, nella letteratura in lingua inglese il punto di riferimento sono gli scritti di R. David Lankes, in particolare L'atlante della biblioteconomia moderna, a cura di Annamaria Tammaro e Elena Corradini. Milano: Editrice bibliografica, 2014 (The atlas of new librarianship. Cambridge, MA: MIT, 2011). Per quanto riguarda la letteratura in lingua italiana si possono ricordare a titolo esemplificativo, tra le monografie, Antonella Agnoli, La biblioteca che vorrei: spazi, creatività, partecipazione. Milano: Editrice bibliografica, 2014, e anche Cecilia Cognigni, L'azione culturale della biblioteca pubblica: ruolo sociale, progettualità, buone pratiche. Milano: Editrice bibliografica, 2014. Gli articoli su questi argomenti sono numerosi e distribuiti sulle principali riviste di settore, «AIB studi», «Biblioteche oggi», «Biblioteche oggi trends», «JLIS.it», «Bibliotime».
[19] Si vedano ad esempio le teorie biblioteconomiche (la cosiddetta new librarianship) propugnate da David Lankes (https://davidlankes.org/) e le prospettive che secondo lui si aprono per le biblioteche (si sono già citate le greater expectations cui l'autore ha fatto riferimento nelle conferenze italiane).
[20] Si pensi ad esempio alla diffusione anche nelle biblioteche del design thinking (http://designthinkingforlibraries.com/), sperimentazione nella quale sono coinvolte attualmente biblioteche italiane, oltre a biblioteche danesi, americane, portoghesi e romene.
[21] È stato ad esempio da poco lanciata, per iniziativa dell'IFLA, la Global vision discussion (https://globalvision.ifla.org/), che ha lo scopo di comprendere come le biblioteche possono affrontare le sfide del futuro.
[22] Alberto Petrucciani, All'interno e all'esterno delle biblioteche: problemi storiografici. In: La storia delle biblioteche: temi, esperienze di ricerca, problemi storiografici, Atti del Convegno nazionale, L'Aquila 16-17 Settembre 2002, a cura di Alberto Petrucciani e Paolo Traniello. Roma: AIB, 2003, p. 217-230: 227.
[23] Ibidem.
[24] Public library inquiry è il nome con cui è conosciuta l'indagine che nel 1946 l'American Library Association commissionò al Social Science Research Council con lo scopo di effettuare un approfondito ed estensivo studio sulla biblioteca pubblica americana. I sette volumi (in ordine alfabetico di autore) sono: Bernard Berelson, The library's public (1949); Alice I. Bryan, The public librarian (1952); Oliver Garceau, The public library in the political process (1949); Robert D. Leigh, The public library in the United States (1950); James L. McCamy, Government publications for the citizen (1949); William Miller, The book industry (1949); Gloria Waldron, The information film. Furono pubblicati anche altri report, più brevi, su alcuni temi specifici.
[25] O. Garceau, The public library in the political process cit., p. 50, 51.
[26] Ivi, p. 111-136.
[27] Così si espresse Ralph Munn, direttore della Carnegie Library di Pittsburgh citato in Patrick Williams, The American public library and the problem of purpose. New York [etc.]: Greenwood Press, 1988, p. 72.
[28] Cfr. Anna Galluzzi, The library faith: miti e realtà della public library americana, «AIB studi» [in corso di pubblicazione].
[29] Cfr. Tiziano Scarpa, L'ideologia del protagonista, «Il primo amore», 21 novembre 2013, http://www.ilprimoamore.com/blogNEW/blogDATA/spip.php?article1819.
[30] Nel Dizionario di sociologia di Luciano Gallino alla voce "ideologia" leggiamo:
«Complesso di valori e credenze, in parte vere e in parte false, opinioni, atteggiamenti inerenti alla natura dell'uomo e della società, alla loro condizione e funzionamento passati e presenti, al loro divenire [...]. Caratteristica di una I. è l'irrilevanza della verificabilità empirica per le sue componenti cognitive, le credenze, ovvero il loro valore di verità, poiché anche credenze false sono capaci di svolgere una funzione di giustificazione; ma, anche, la necessità di comprendere al tempo stesso un certo numero di credenze vere, affinché le azioni che ne derivano, specie nel capo della politica, siano almeno parzialmente efficaci.»
Cfr. Luciano Gallino, Dizionario di sociologia. Torino: UTET, 1993, p. 337.
[31] Il tema viene approfondito da Christian Salmon in La politica nell'era dello storytelling. Roma: Fazi, 2014.
[32] Cfr. Jerome S. Bruner, La fabbrica delle storie: diritto, letteratura, vita. Roma, Bari: Laterza, 2002, p. 101.
[33] Cfr. Leonardo Piasere, L'etnografo imperfetto: esperienza e cognizione in antropologia. Roma, Bari: Laterza, 2002, p. 167.
[34] La letteratura è vastissima. Qui si fa riferimento soltanto ad alcuni punti di riferimento imprescindibili a partire dalla "crisi delle grandi narrazioni" di cui parla Jean-François Lyotard, La condition postmoderne. Paris: Minuit, 1979 (traduzione italiana La condizione postmoderna: rapporto sul sapere. Milano: Feltrinelli, 2006). Fondamentale è lo sviluppo della psicologia cognitivista in cui si iscrive la riflessione dello psicologo statunitense già citato Jerome S. Bruner. Cfr. J. S. Bruner, Life as narrative, «Social research», 54 (1987), n. 1, p. 11-32; Id., Acts of meaning. Cambridge: Harvard University Press, 1991 (traduzione italiana La ricerca del significato: per una psicologia culturale. Torino: Bollati Boringhieri, 1992). Per Bruner è il modo di pensare narrativo che produce quadri credibili. Cfr. J. S. Bruner, Actual minds, possible worlds. Cambridge: Harvard University Press, 1986. Si veda anche Alasdair MacIntyre, Dopo la virtù: saggio di teoria morale, traduzione di P. Capriolo. Milano: Feltrinelli, 1988 (in particolare, p. 225-269). Altro riferimento importante è Barbara Czarniawska, Narrating the organization: dramas of institutional identities. Chicago: University of Chicago Press, 1997 (traduzione italiana Narrare l'organizzazione: la costruzione dell'identità istituzionale. Torino: Edizioni di Comunità, 2000).
[35] Si deve ad Antonella Agnoli nel 2009 l'introduzione dell'espressione «piazza del sapere» per esprimere una nuova concezione di biblioteche pubbliche come «luoghi di passaggio, di scoperta casuale, di incontro», a disposizione della comunità, fulcro della vita sociale, tese alla partecipazione delle persone. Cfr. Antonella Agnoli, Le piazze del sapere: biblioteche e libertà. Roma, Bari: Laterza, 2009. Si veda anche Ead., Caro sindaco parliamo di biblioteche. Milano: Editrice bibliografica, 2011.
[36] Riferimento fondamentale è Wayne A. Wiegand, Part of our lives: a people's history of the American public library. Oxford: Oxford University Press, 2015. Sul tema dell'identità si veda Giovanni Di Domenico, Un'identità plurale per la biblioteca pubblica, «AIB studi», 55 (2015), 2, p. 235-246, http://aibstudi.aib.it/article/view/11197, DOI: 10.2426/aibstudi-11197.
[37] Cfr. Annette Simmons, The story factor. Cambridge: Perseus Publishing, 2002, p. 3 [corsivo nostro].
[38] La citazione è tratta dalla conferenza che David Lankes ha tenuto a Perugia il 24 ottobre 2017.
[39] Ibidem.
[40] Ovviamente si fa riferimento alla ricerca qualitativa e in particolare alla tecnica dell'intervista in profondità. Un riferimento importante è Alberto Marradi, Raccontar storie: un nuovo metodo per indagare sui valori. Roma: Carocci, 2005. Qui viene descritto un metodo per la ricerca sociale basato sulla conversazione che utilizza le storie come stimolo che l'intervistatore propone all'intervistato per cogliere le sue reazioni e ricostruire i valori di fondo che animano la sua visione sui fenomeni indagati. Così si vuole portare l'interlocutore a «manifestare le proprie effettive posizioni sulle dimensioni investigate senza cercare di proiettare l'immagine di sé che ritiene più gradevole» (p. 183). Si ricorda che anche il metodo design thinking utilizza come tecnica di raccolta dati l'intervista qualitativa.
[41] A titolo esemplificativo si vedano Anna Galluzzi, Libraries and public perception: a comparative analysis of the European Press. Oxford: Chandos Publishing, 2014; Chiara Faggiolani, Posizionamento e missione della biblioteca: un'indagine su quattro biblioteche del Sistema bibliotecario comunale di Perugia. Roma: AIB, 2013.
[42] Possiamo definire "sistema informativo" l'insieme delle risorse e attività finalizzate alla raccolta, elaborazione, conservazione, comunicazione dell'informazione in un'organizzazione. Un sistema informativo di marketing a livello aziendale è quell'apparato organizzativo il cui compito è «tenere l'impresa costantemente allenata ad ascoltare il mercato». Cfr. Chiara Mauri, Il sistema informativo per il marketing: dai dati alle risorse di conoscenza per la gestione delle relazioni con i clienti. Torino: Giappichelli, 2007, p. 13.
[43] Tullio De Mauro, Prefazione. In: S. Bolasco, L'analisi automatica dei testi cit. p. 15-30: p. 15.
[44] Un esempio è l'approccio proposto da Glaser e Strauss negli anni Sessanta del secolo scorso. Cfr. Barney G. Glaser; Anselm L. Strauss, The discovery of grounded theory: strategies for qualitative research. Chicago: Aldine, 1967. Per una applicazione nel nostro settore si veda C. Faggiolani, Perceived identity: applying grounded theory in libraries, «JLIS.it», 2 (2011), n. 1, http://leo.cilea.it/index.php/jlis/article/viewFile/4592/4477, DOI: http://dx.doi.org/10.4403/jlis.it-4592.
[45] Tra i software più utilizzati per l'analisi del contenuto ricordiamo Atlas.ti, NVIVO che si rifanno esplicitamente al metodo della Grounded Theory. Tra i software di maggior rilievo per l'AAT possiamo segnalare TaLTaC2, Alceste, T-LAB, IRaMuTeQ, Lexico3. Per una panoramica si veda Luca Giuliano, Il valore delle parole: l'analisi automatica dei testi in web 2.0. Roma: Dipartimento di scienze statistiche, 2013. Nel caso della nostra ricerca abbiamo analizzato il corpus testuale con IRaMuTeQ (http://www.iramuteq.org).
[46] Il carattere fortemente interdisciplinare del principale convegno internazionale dedicato a questi temi - JADT - "International Conference on the Statistical Analysis of Textual Data", che nel 2018 si terrà a Roma - ne è un chiaro esempio.
[47] Si veda S. Bolasco; Bruno Bisceglia; Francesco Baiocchi, Estrazione automatica di informazione dai testi, «Mondo digitale», (2004), n. 1, p. 27-43: 28.
[48] Per una trattazione esaustiva si rimanda al già citato volume di S. Bolasco, L'analisi automatica dei testi cit., in particolare al capitolo 3 - Unità di analisi, dati e meta-dati (p. 83-110) e al capitolo 4 - Tipi, livelli e fasi dell'analisi automatica dei testi (p. 111-174). Questo fa riferimento all'approccio Analyse des données dalla scuola francese di Jean-Paul Benzécri all'inizio degli anni Settanta. Cfr. Jean-Paul Benzécri, L'analyse des données. 1: La taxinomie. Paris: Dunod, 1973; cfr. Id., L'analyse des données. 2: L'analyse des correspondances. Paris: Dunod, 1973.
[49] Approfittiamo di questo spazio per ringraziare i sei esperti per essersi generosamente prestati a questo scambio di vedute. La caratteristica che accomuna i cinque esperti extra-settore è il punto di vista privilegiato sulle biblioteche maturato attraverso esperienze di carattere fortemente inter-disciplinare. Ricordiamo per esempio una indagine di Costantino Cipolla sul ruolo delle biblioteche come centri sociali e culturali degli anni Settanta (cfr. Costantino Cipolla, Biblioteca ed ambiente sociale: analisi delle strutture bibliotecarie nella provincia di Mantova, «La ricerca sociale», (1976), n. 14, p. 77-107); una indagine di Rosa Maria Paniccia sulle biblioteche di Roma (cfr. Rosa Maria Paniccia; Cecilia Sesto, A research-intervention with the municipal libraries of Rome as a place of social coexistence in the city: librarians and clients' expectations in comparison, «Rivista di psicologia clinica», 1 (2014), p. 266-289); il volume di Massimo Coen Cagli, Fare fundraising in biblioteca: strategie e tecniche per affrontare la crisi finanziaria. Milano: Editrice bibliografica, 2013; i lavori di progettazione di Marco Muscogiuri e la sintesi presentata in Biblioteche: architettura e progetto: scenari e strategie di progettazione. Rimini; Maggioli, 2009; l'approccio fortemente orientato alle scienze umane di Stella Iezzi, autrice di Statistica per le scienze sociali: dalla progettazione dell'indagine all'analisi dei dati. Roma: Carocci, 2009, con la quale ho personalmente collaborato in diverse attività di ricerca.
[50] La traccia di intervista prevedeva nella fase finale un approfondimento delle singole fasi della nostra ricerca: recupero dei dati testuali prodotti in indagini qualitative, eventuale trascrizione di video e audio relativi alle indagini svolte in diverse realtà bibliotecarie, analisi dei dati, restituzione dei risultati. Abbiamo chiesto agli esperti di indicarci le eventuali criticità e i punti di forza. Su questo si è concentrata in particolare l'intervista con Rosa Maria Paniccia che ci ha fornito un interessante punto di vista soprattutto sull'opportunità di analizzare con tecniche automatiche dati di natura qualitativa.
[51] Lucio Macchia, La strategia aziendale nei mercati complessi: dai modelli di base alle visioni di frontiera. Milano: Angeli, 2012, p. 28.
[52] Il riferimento qui è all'approccio semiotico. «[...] La forma narrativa, proprio perché lega e connette logicamente i dati di fatto, agisce come un potente strumento di interpretazione. I dati ricevono un ordine e un senso, dunque risultano letti, definiti, resi significativi. La forma narrativa non tocca i dati di fatto, ma collega i dati a possibili significati». Si veda Guido Ferraro, Semiotica: teoria e tecniche. Milano: Arcipelago, 2005, p. 65 [corsivo nel testo].
[53] Ivi, p. 68.
[54] Cfr. Alberto Salarelli, Per una critica del concetto di modello in biblioteconomia, «Biblioteche oggi trends», 1 (2015), n. 1, p. 99-108. Del resto tutti gli esempi citati non nascono a partire dall'analisi del contesto italiano, eccetto il caso della narrazione de Le piazze del sapere, in cui è comunque significativo l'influsso delle esperienze internazionali, come dichiara l'Autrice nelle prime righe dell'introduzione al libro. Cfr. A. Agnoli, Le piazze del sapere cit., p. IX.
[55] Si potrebbe forse a buon diritto chiamare in causa in questo caso anche il concetto di abduzione, un ragionamento nel quale - posto che le premesse del discorso sono in parte certe e in parte dubbie - la conclusione può essere considerata al massimo probabile. Tutta l'elaborazione concettuale intorno alla library faith si basa su abduzioni di cui un esempio semplificato potrebbe essere il seguente: "Poiché in biblioteca si legge e la lettura è una cosa buona di per sé, la biblioteca è una cosa buona di per sé". La conclusione di questi sillogismi non può dunque essere considerata certa, ma solo probabile, e come tale andrebbe accolta e trattata. Su questo concetto di veda Charles S. Peirce, Collected papers. Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1931-1958.
[56] Cfr. S. Bolasco, L'analisi automatica dei testi cit., p. 206.
[57] I testi vengono sottoposti normalmente ad una serie di operazioni preliminari, sulla base degli obiettivi che guidano la ricerca: a) normalizzazione: standardizzazione del testo operata sulle parole, sulle frasi ecc.; b) POS-tagging: attribuzione di ogni forma alla sua categoria grammaticale; c) lemmatizzazione: trasformazione della forma nel lemma corrispondente.
[58] Queste ci aiutano a riconoscere le "parole tema", ovvero quelle scritte con un font più grande.
[59] I risultati della nostra analisi avevano mostrato come gli utenti fossero prevalentemente concentrati sull'idea della biblioteca come "luogo del fare", rispetto al quale diventano fondamentali gli orari e i giorni di apertura e le attività che all'interno dello spazio biblioteca essi vogliono o hanno necessità di portare avanti, più o meno indipendentemente dall'offerta della biblioteca.
[60] La nostra indagine non è l'unica ad evidenziare la potenza di questo legame. «Le parole, in tal senso, danno conto di una sorta di effetto di rispecchiamento, in base al quale le persone interpretano la biblioteca per come essa è, e non in base a ciò che dovrebbe o potrebbe essere. In tal senso sarebbe interessante valutare, su base comparativa, se le parole associate cambiano quando cambia il modello estetico della biblioteca cui esse sono riferite; ma, all'interno del ragionamento che in questa sede viene proposto, emerge ancora con prepotenza una forte e stretta associazione tra il campo semantico di "biblioteca" e quello di "libro" e di "lettura", e di ciò, credo, non si può non tenere conto». Cfr. Chiara Faggiolani; Maurizio Vivarelli, Leggere in rete: la lettura in biblioteca al tempo dei big data. In: Bibliotecari al tempo di Google: profili, competenze, formazione, Convegno delle Stelline, Milano 17-18 Marzo 2016. Milano: Editrice bibliografica, 2016, p. 101-126. Qui si faceva riferimento ai risultati di La popolazione toscana e le biblioteche comunali: indagine campionaria 2015 [a cura del Settore Sistema informativo di supporto delle decisioni, Ufficio regionale di statistica; iniziativa promossa dal Settore Patrimonio culturale, Siti UNESCO, Arte contemporanea, Memoria; coordinamento del progetto di Claudia Daurù, Lucia Del Grosso, Francesca Navarria e Giancarla Brusoni]. Firenze: Regione Toscana, 2015, http://www.regione.toscana.it/-/la-popolazione-toscana-e-le-biblioteche-comunali.
[61] Una interessante applicazione di tecniche di AAT nel nostro settore è stata sviluppata recentemente dall'Ufficio Servizi bibliografici digitali e innovazione tecnologica dell'Università di Torino, dove l'analisi delle registrazioni degli scambi avvenuti in modalità sincrona tra utenti e operatori (virtual reference) nel periodo 2014-2016 ha permesso la produzione di FAQ (Frequently asked questions) sulla base di conversazioni realmente avvenute. Per un approfondimento si veda Maria Vittoria Muzzupapa; Marco Stefano Tomatis; Franco Carlo Bungaro, Live chat e natural language processing in sinergia per il miglioramento dei servizi bibliotecari, «Biblioteche oggi trends», 3 (2017), n.1, p. 41-53.
[62] Qui Stella Iezzi fa riferimento al rischio di possibili eccessi di automatismo. Nessun approccio di analisi sostituisce il compito di riflettere sul significato dei dati. Questo va sempre ricordato.
[63] Proprio questo tipo di approccio ha mosso una ricerca condotta negli scorsi anni con Giovanni Solimine sulle parole della biblioteconomia. Per una sintesi si veda Chiara Faggiolani; Giovanni Solimine, Lo slittamento di paradigma della biblioteconomia italiana: una analisi metrica della manualistica di settore, «Ciencias de la documentación», 2 (2016), n. 2, p. 19-55.
[64] Giovanni Di Domenico ha lavorato moltissimo su questi temi e richiamare la sua produzione scientifica in questa sede sarebbe impossibile. Si ricordano a titolo esemplificativo il volume Biblioteconomia e culture organizzative. Milano: Editrice bibliografica, 2010 e un articolo comparso su questa stessa rivista Conoscenza, cittadinanza, sviluppo: appunti sulla biblioteca pubblica come servizio sociale, «AIB studi», 53 (2013), n. 1, p. 13-25.
[65] Cfr. Chiara Faggiolani; Anna Galluzzi, L'identità percepita delle biblioteche: la biblioteconomia sociale e i suoi presupposti, «Bibliotime», 18 (2015), n. 1, http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-xviii-1/galluzzi.htm. Facciamo riferimento al ruolo che hanno la questione ontologia, epistemologica e metodologica nella definizione dei paradigmi. Cfr. Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Torino: Einaudi, 1979.
[66] C. Faggiolani; A. Galluzzi, L'identità percepita delle biblioteche cit. Sull'espressione "biblioteconomia sociale" rimandiamo ai riferimenti bibliografici già presentati in quella sede.
[67] W. A. Wiegand, Part of our lives cit., p. 269.