Tra autonomia e centralismo:
Renato Papò e le biblioteche popolari in Sardegna
(1947-1954)

di Giovanna Granata

Introduzione

La realtà bibliotecaria della Sardegna è per la prima volta emersa in maniera consistente all'attenzione nazionale grazie al volume di Balsamo sulla sua esperienza di soprintendente, impegnato, nei primi anni Sessanta, nella promozione della lettura pubblica in quella che risultava allora una zona con le caratteristiche tipiche delle aree sottosviluppate o depresse e che, tuttavia, egli proponeva come caso di studio perché - scriveva - quello che cambia in queste aree è solo l'entità delle difficoltà, mentre i problemi, alla base, sono quelli comuni a tutto il resto del paese1.
La peculiarità del problema sardo era indicata nella debolezza della struttura bibliotecaria su cui basarsi e fare leva per impiantare un servizio di lettura inteso come servizio strategico tra i servizi pubblici. Tale servizio, globalmente carente in molte zone d'Italia, in Sardegna risultava praticamente inesistente anche in una forma vagamente embrionale. Su tutto il territorio dell'isola erano infatti presenti solo 2 governative, 22 comunali, su oltre 350 comuni, e non più di 20-25 popolari, in grado di svolgere effettivamente un servizio bibliotecario2.
L'unica via praticabile per superare tale situazione era suggerita da Balsamo nel Servizio nazionale di lettura (SNL), in quanto tentativo capace di ottenere risultati significativi senza un eccessivo dispendio di risorse, limitando l'impegno economico dei Comuni, per lo più totalmente sprovvisti di biblioteche e spesso in condizioni deficitarie3.
Si è trattato di una soluzione che ha certamente segnato in maniera forte la storia del sistema bibliotecario in Sardegna, innescando un processo che, in pochi decenni, ha profondamente trasformato il contesto isolano4. Tale processo non si è innestato però su una realtà di totale immobilismo e inconsistenza strutturale; nonostante il quadro sconfortante che mette a premessa del suo ragionamento, in realtà, arrivando in Sardegna, Balsamo si è trovato di fronte a una situazione già segnata da precedenti esperienze volte all'impianto di una struttura bibliotecaria ed è, anzi, proprio in discontinuità con tali esperienze che egli ha impostato la propria azione, dirigendola verso la scelta concreta e realistica del SNL.
Non a caso, nelle sue considerazioni sul quadro generale dell'isola affiorano alcune sfumate venature polemiche e si può percepire qualche lieve dissonanza sulla quale vale la pena di tornare, e per contestualizzare più chiaramente il suo operato e per rileggere in maniera più articolata un momento rilevante della storia bibliotecaria italiana.
In particolare, l'elemento che suona, se non stonato, quanto meno un po' incerto rispetto alla chiarezza e alla lapidaria incisività del testo è quello relativo alla situazione delle biblioteche popolari. Nel delineare la realtà bibliotecaria isolana, Balsamo allude alla possibile obiezione che nelle «cifre stampate in qualche pubblicazione»5 le biblioteche popolari, in grado di svolgere servizio pubblico, risultassero più numerose; lascia intendere che sul tema delle popolari esistesse quanto meno qualche contenzioso, supportato da dati un po' più alti rispetto a quelli che egli riportava.
In effetti proprio sul fronte delle popolari in Sardegna, nel secondo dopoguerra, si era sviluppata un'esperienza di una certa vivacità di cui, in veste di soprintendente bibliografico dal 1946 al 1954, era stato animatore Renato Papò (1905-1984).
L'attenzione di Papò per una realtà che era al centro di critiche ormai largamente condivise dalla comunità bibliotecaria non è sfuggita alla ricostruzione della storiografia ed è stata indicata come un tratto di discontinuità rispetto al suo impegno per le biblioteche pubbliche nel periodo in cui fu soprintendente in Veneto6. In realtà, le iniziative di cui egli fu protagonista in Sardegna devono essere interpretate tenendo conto della peculiare situazione della regione e soprattutto delle tendenze autonomistiche che hanno percorso la storia dell'isola a partire dal primo dopoguerra, dove il concetto di autonomia, per usare le parole di Emilio Lussu in uno scritto di molti anni precedente queste vicende, va inteso come capacità e possibilità del popolo sardo, e particolarmente delle masse fino ad allora escluse da ogni forma di partecipazione alla vita politica, di essere artefici del proprio avvenire, di amministrare le proprie risorse, di discutere e risolvere i problemi locali nel loro contesto naturale7.
È proprio in quest'ottica che si viene a caratterizzare il flebile, ma capillare sviluppo delle popolari in Sardegna, quale espressione delle istanze del territorio e dei bisogni delle zone rurali contro i privilegi delle élites concentrate nelle aree urbane, quale embrionale esperienza di decentramento contro soluzioni verticistiche imposte dall'alto. Ed è soprattutto questo l'aspetto che Papò ha colto e valorizzato, incentivando il fenomeno proprio nel momento in cui, nel resto d'Italia, esso sembrava esaurire la sua portata storica. Di fatto, nella sua visione, la connotazione della biblioteca popolare come ?biblioteca per il popolo' è strettamente associata a quella di ?biblioteca locale', fino a perdere così ogni valenza classista.

Verso il Primo Convegno bibliografico sardo, Milis, febbraio 1948

Per ripercorrere le vicende che caratterizzano l'operato di Papò in Sardegna, occorre tuttavia tornare almeno agli anni Trenta del '900, alla situazione che per la Sardegna descrivono le relazioni di Bianca Bruno la quale, alla guida della Soprintendenza bibliografica dopo Arnaldo Capra e Gino Tamburini, aveva cominciato a interessarsi non solo di tutela delle rarità bibliografiche, ma anche di promozione e sviluppo delle biblioteche pubbliche locali8.
I dati di queste relazioni non sono molto diversi da quelli pubblicati nel censimento ministeriale relativo al periodo 1926/27-1931/329, ma sono accompagnati da qualche parola di commento. Risultavano pochissime le biblioteche pubbliche dotate di una qualche stabilità e potenzialmente in grado di offrire un servizio strutturato, «tali da sorpassare il tipo delle biblioteche popolari»10. Una peraltro faticosa indagine sulle caratteristiche di queste ultime lasciava a sua volta emergere un quadro di estrema problematicità: le biblioteche delle scuole elementari erano le uniche che funzionassero, quando esistenti; 1/3 dei comuni non possedeva affatto una biblioteca e, nei casi rimanenti, solo 1/3 aveva biblioteche di una qualche efficienza; per gli altri si registrava una «sequela di miserie»11. In sostanza, le necessità da segnalare erano incomparabilmente più elevate delle possibilità di sostegno da parte del Ministero. La vera questione di fondo, d'altronde, era piuttosto l'analfabetismo e, in quella situazione, ciò che la Soprintendenza poteva fare era ben poco, al più salvare qualche biblioteca, incrementarne altre, ottenere l'appoggio delle autorità locali e aspettare i frutti di questo lavoro12.
Se tale è il quadro che precede la guerra non diversa è la situazione che si trovò davanti Papò, subentrato alla Bruno nell'incarico di soprintendente già dal 1941, ma di fatto presente stabilmente in Sardegna, dopo una lunga pausa legata alle vicende belliche, solo a partire dalla fine del 1946.
Tra i suoi primi atti fu la promozione di un nuovo censimento di tutta la realtà bibliotecaria sarda, censimento che venne anche pubblicato a stampa nel 1948 e che non portò in effetti dati molto diversi da quelli del decennio precedente13. Esso segnalava la presenza di pochissime biblioteche comunali e di circa 220 biblioteche popolari presenti in circa 160 località. Scorrendo la pubblicazione si capisce che esse erano realtà tutt'altro che solide e realmente funzionanti. Siamo in presenza del quadro che rende tanto sconfortato il tono della Bruno, ma dal quale al tempo stesso emerge con evidenza quanto il bisogno di libri e di cultura fosse avvertito anche nelle località più lontane e dimenticate dell'isola.
Nel pressoché totale disinteresse degli enti locali, le popolari erano di fatto le uniche realtà, insieme alla Scuola, a presidiare come potevano un territorio altrimenti abbandonato. Esse lasciavano peraltro registrare anche qualche segnale di fermento che Papò non mancò di cogliere. Il 29 maggio 1947, in risposta a una richiesta di informazioni sulla situazione dell'isola, egli scriveva all'ente Nazionale per le Biblioteche Popolari e Scolastiche (ENBPS) che molte delle precedenti biblioteche popolari erano andate disperse, ma contestualmente segnalava anche che se ne erano costituite di nuove a Milis (Oristano), a Osilo e a Nulvi (Sassari), per lo più sotto la direzione di insegnanti elementari14.
È questo il punto di partenza per una serie di iniziative con cui egli si adoperò per superare in modo costruttivo e propositivo l'approccio attendista della Bruno.
Il punto focale di tali iniziative fu il tentativo di cercare gli interlocutori sul territorio per un lavoro di costruzione dal basso di una struttura bibliotecaria locale e prima ancora per la formazione di una sensibilità diffusa intorno al problema bibliotecario e al tema della lettura. Papò si rese conto che, pur nella loro fragilità, le popolari non erano da vedere né in contrapposizione alla realtà delle biblioteche di tradizione erudita né tanto meno in polemica con le nuove pubbliche ?moderne', ma come espressione della periferia rispetto al centro, come articolazioni di base rispetto alla latitanza degli interlocutori istituzionali, come rivalsa delle piccole realtà dei paesi rispetto a quelle dei grandi agglomerati urbani.

È su questo senso di rivalsa, largamente animato da sentimenti autonomistici, che Papò fece leva nell'affrontare il problema bibliotecario in Sardegna, come emerge chiaramente dall'esame della documentazione inerente la sua attività, a partire da una lettera del 13 novembre 1947 con la quale chiedeva alla Direzione generale accademie e biblioteche un finanziamento per tenere dei «convegni bibliografici in piccole zone ove trattare tutti i problemi inerenti alla istituzione e organizzazione delle biblioteche popolari e alla diffusione del materiale bibliografico di studio»15. Le «piccole zone» cui fa riferimento sono i centri della Sardegna rurale e dimenticata, nella quale forti erano però le istanze di riscatto.
In particolare, l'intenzione era di tenere il primo di questi convegni a Milis con la partecipazione di direttori didattici, insegnanti, parroci e di quanti altri fossero interessati alla diffusione della cultura. La proposta della sede di Milis, a sua volta, veniva a Papò da Cicito Vacca, personaggio che da allora avrebbe svolto un ruolo fondamentale quale soprintendente bibliografico onorario nel tenere i rapporti con il territorio16. Milis era, appunto, un comune agricolo di circa 1.500 abitanti, vicino a Oristano, lontano quindi dal capoluogo cagliaritano, dove era stata recentemente fondata la biblioteca popolare già segnalata all'ENBPS e dove effettivamente, il 28 febbraio 1948, si tenne l'iniziativa che Papò aveva progettato, con un notevole successo in termini di partecipazione.
Ne furono addirittura pubblicati gli atti in un opuscolo a cura del bibliotecario, l'insegnante Luciano Rossi17, la cui introduzione esprime con chiarezza il senso dell'operazione. Il Convegno è esplicitamente presentato come la prima iniziativa che guarda ai paesi, piuttosto che ai «centri di maggiore importanza», e che colma dunque una lacuna grave, rimediando a un torto imperdonabile, commesso da chi nel campo della cultura in Sardegna ha avuto un ruolo preminente, il torto cioè di «svolgere un'azione a tendenza monopolistica in favore delle città». Per questo i milesi tutti, senza distinzione, avevano sentito «l'orgoglio di essere stato il loro paese scelto a luogo dell'importante congresso» che venne ad assumere il significato e anche la ritualità di una festa paesana, non solo per il suo carattere collettivo e aggregativo, ma anche per la quantità di elementi simbolici messi in campo.
Esso si tenne infatti in una sala messa a disposizione nel suo palazzo dal marchese Boyl, il salotto buono del paese dove di solito venivano ricevuti personaggi illustri, come era stato nel caso della famiglia reale, di Gabriele D'Annunzio e di Grazia Deledda. La cerimonia si svolse alla presenza di diverse autorità non solo politiche ma anche militari e religiose, tra le quali il generale Carlo Cassini, comandante militare della Sardegna, l'avvocato Enrico Carboni, deputato alla Costituente e poi senatore della Repubblica, e lo stesso vescovo di Oristano, mons. Fraghì, che addirittura concluse la riunione con una sua benedizione.
Papò vi parlò per circa un'ora, «spesso interrotto da vivissimi e prolungati applausi, [...] per il carattere prettamente patriottico delle sue parole»18, dove il patriottismo era quello di una Sardegna minore, per una volta alla ribalta dell'attenzione. Al centro del suo discorso sulla funzione delle biblioteche popolari mise, infatti, l'assoluta necessità di istituirne in tutti i luoghi della Sardegna, «specie nei piccoli agglomerati»19; e fu ancora su questo aspetto che intervenne anche Cicito Vacca, dopo avere lamentato «come le biblioteche sarde sono accentrate nei grandi borghi, senza alcun beneficio per coloro che, per ragioni della loro attività normale, sono costretti a vivere lontani dai centri stessi»20.
La riunione si chiuse con l'approvazione di un ordine del giorno che Papò si impegnò a portare anche al Convegno per le biblioteche popolari e scolastiche che si sarebbe tenuto a Palermo nel novembre di quello stesso 1948.

Il Convegno per le biblioteche popolari e scolastiche, Palermo, novembre 1948

L'importanza del Convegno di Palermo nella storia bibliotecaria del dopoguerra è ben nota dopo la lucida analisi che ne ha fatto Virginia Carini Dainotti21. Esso registra un momento di crisi e di incertezza dei bibliotecari davanti al disegno ministeriale che impose l'idea dei centri di lettura con i quali di fatto il problema bibliotecario veniva a essere riassorbito in quello scolastico. Il Convegno segnò da questo punto di vista una sorta di débâcle che, in prospettiva, ebbe il merito di costringere i bibliotecari italiani a una più chiara presa di coscienza e a una adesione più decisa all'idea di biblioteca pubblica moderna, ma che certamente rappresentò in quel particolare momento storico un passaggio non felice e in certa misura una sconfitta. Tale sconfitta ha per la Carini una spiegazione proprio nella divisione di vedute dei bibliotecari stessi, ancora incerti e divisi tra chi chiedeva «di por mano ad una costruzione nuova e organica, fondata sulle biblioteche comunali e provinciali», e quanti «proponevano di distribuire i fondi tra le biblioteche popolari esistenti (che pure si sapevano inefficienti e semi-morte non solo per mancanza di fondi)»22.
Questo secondo fronte è indubbiamente quello nel quale si inserisce l'ordine del giorno di Milis. Esso dichiara l'intenzione di sindaci, parroci, autorità scolastiche della zona di impegnarsi perché in ogni centro ci sia una biblioteca popolare, la volontà di non lasciare tali biblioteche alla cura delle iniziative private, ma di voler «prendere sotto la loro tutela le biblioteche dei loro centri»; prevede il prestito reciproco tra biblioteche come mezzo per mantenere il carattere di novità delle raccolte e auspica la collaborazione di tutte le autorità locali per garantire l'efficacia delle biblioteche. In termini concreti, per quanto riguarda la gestione del servizio, l'auspicio dell'ordine del giorno è chiaro: prevede l'affidamento agli insegnanti elementari «con carattere di obbligatorietà e in rapporto alle circoscrizioni scolastiche minori»23.
Si tratta dunque, apparentemente, di una soluzione non lontana da quell'ibrido tra scuola e biblioteca che il Convegno di Palermo faceva sua, tra incertezze e divergenze di vedute24. In effetti, se lo si colloca nel quadro della realtà sarda, appare evidente come l'ordine del giorno di Milis sia animato da considerazioni ben diverse, e sulla vitalità delle biblioteche popolari presenti nella regione e sul senso del rapporto tra biblioteca e scuola, avendo alla base una inoppugnabile constatazione: nei paesi sardi non c'erano bibliotecari ai quali potesse essere sottratto il ruolo di gestione della biblioteca, ma maestri elementari in prima linea contro l'analfabetismo, unici interlocutori dai quali partire per impiantare i primi presidi bibliotecari del territorio.
Le deliberazioni di Milis non riflettono insomma una posizione conservatrice e chiusa nella difesa di istituzioni ormai asfittiche, ma il tentativo di prospettare soluzioni realisticamente percorribili per una realtà oggettivamente ?arretrata' e al tempo stesso desiderosa di riscatto.
È quanto lo stesso Papò mise del resto in risalto per esplicitare la particolarità del suo punto di vista durante l'accesa discussione sviluppatasi a Palermo, nella quale prese la parola proprio dopo l'intervento con cui Stendardo proponeva il suo controverso ordine del giorno in appoggio alla soluzione ministeriale della ?biblioteca popolare nella scuola popolare'. Rispetto ai termini del dibattitto, tutti incentrati sui presupposti ideologici, Papò dichiarava di porsi «sul piano dell'esperienza» e di tener conto della realtà di «una terra nobilissima, ma poverissima», dalle condizioni, profondamente diverse da quelle delle altre regioni d'Italia, cui però «corrisponde da parte degli abitanti una volontà [...] meravigliosa, uno spirito [...] pronto ad aiutare». Tale volontà era appunto emersa nel recente Convegno di Milis il cui ordine del giorno «singolarmente», ben prima che si sapesse quale era la direzione che si sarebbe presa, andava proprio nel senso delle deliberazioni cui si guardava a Palermo, non perché si pensasse a esse come a una soluzione «da colpo di bacchetta magica», ma perché, stante la difficoltà delle biblioteche popolari sarde di sopravvivere per la mancanza di chi se ne potesse occupare, tale soluzione poteva offrire «un primo aiuto, una prima spinta». Solo così, in un secondo tempo, sarebbe stato possibile ottenere quel «qualcosa di più grande, di più preciso, di più ampio, di più ricco, di più organizzato tecnicamente» che era stato descritto nelle diverse relazioni.
Si tratta chiaramente di un punto di partenza e infatti Papò non si fermò al primo risultato raggiunto a Milis, ma continuò a lavorare in stretto dialogo con le realtà locali e, nella sua ricerca di interlocutori, un passo avanti cui arrivò rapidamente fu il coinvolgimento sia dell'Associazione italiana biblioteche (AIB) sia della Regione.

Il Secondo Convegno bibliografico sardo, Oristano, dicembre 1950 e il progetto di legge regionale

Dato il successo del Primo Convegno bibliografico, Papò si adoperò subito per organizzarne un secondo, che si tenne a Oristano nel dicembre 195025. In sintonia con l'esperienza precedente, esso nasceva dalla stretta collaborazione della Soprintendenza bibliografica con il mondo della scuola e, in particolare, era dovuto all'iniziativa dell'Associazione dei maestri cattolici di Oristano, diretta dalla prof.ssa Bonaria Ortu, ispettrice scolastica che era stata presente a Milis, dove aveva portato il saluto del Provveditore. Oltre alle istituzioni scolastiche ed educative, tuttavia, il Convegno vedeva presenti anche l'AIB, la cui sezione locale lo stesso Papò aveva contribuito a fondare, e l'assessorato regionale per l'Igiene, sanità e pubblica istruzione.
Per l'AIB era stato interpellato il suo presidente di allora, Pietro Leo26, che era anche sindaco di Cagliari e che consegnò una breve relazione letta dallo stesso Papò. La relazione, che in apertura faceva esplicito riferimento alle critiche mosse in ambito AIB alla Sezione sarda perché così sensibile al tema delle biblioteche popolari, spiegava il perché di questo interesse, tornando a ribadire i termini del problema, ovvero la particolarità della situazione locale, con poche biblioteche di alti studi o di cultura generale e ben 300 biblioteche popolari e scolastiche.
Per questo - proseguiva la relazione - la Sezione sarda dell'Associazione aveva «il suo più numeroso interesse verso queste biblioteche» e registrava un'adesione altrettanto numerosa da parte di insegnanti elementari e sacerdoti dei più piccoli paesi. «In ogni caso - continuava Leo con una frase dal sapore lievemente autonomistico - la Sardegna può fare da sé».
La soluzione prettamente sarda alla quale egli alludeva era in particolare «la creazione di una organizzazione locale che sostenga, sviluppi e faccia sorgere in ogni paese della Sardegna biblioteche efficaci nell'ambito della riforma proposta dal Congresso di Palermo e creando tra esse utili relazioni», ma con una specificità: il coordinamento della Regione27.
È questa l'idea che infatti era stata sviluppata in un opuscolo pubblicato nel 1949 dalla Sezione sarda dell'AIB a cura di Ilia Muroni e intitolato Il carattere della biblioteca popolare. Nell'opuscolo la Muroni, dopo avere delineato la storia delle popolari sotto l'influsso dei movimenti sociali di matrice anarchica, socialista e cattolica, auspicava per le biblioteche popolari una nuova fase caratterizzata dall'abbandono degli aspetti più strettamente ideologici e politici e quindi astratti, tipici della tradizione ottocentesca, perché - affermava - «lo stabilimento di una biblioteca popolare è in rapporto esclusivo agli scopi da raggiungere i quali sono condizionati dalle possibilità economiche del luogo». Esso doveva dunque avvenire in risposta al territorio e alle sue peculiarità non certo attraverso il vecchio strumento delle Federazioni «a sfondo politico ed unilaterale»28.
Si tratta di una chiusura che pochi anni dopo sarà ribadita da Papò con un netto diniego alla richiesta di Riccardo Bauer relativa alla costituzione di una Federazione delle biblioteche popolari in Sardegna aderente a quella da lui animata29, diniego che ha le sue ragioni proprio nella valorizzazione della dimensione locale, con cui in Sardegna si era sviluppato l'interesse attorno alle biblioteche popolari, testimoniato dal progetto di costituire piuttosto una «Federazione sarda per le biblioteche popolari e scolastiche».
Il discorso di Papò al Convegno di Oristano verteva proprio su questo punto: ciò che doveva caratterizzare le biblioteche popolari non era solo il loro «carattere pratico e pedagogico», ma anche la capacità di rappresentare «la diversità delle istanze locali in rapporto alle attività economiche e alla fisionomia sociale»30. Occorreva dunque assolutamente evitare che esse si trasformassero «in una serie di raccolte uniformi, facendo dimenticare i bisogni tipici dei vari luoghi» e per questo, sul piano pratico la soluzione cui pensare era senza dubbio «un organismo regionale agile e ramificato fino nei più piccoli centri»31.
L'interlocutore di elezione per la proposta sarda, viste le premesse stesse con cui si era venuta articolando, non poteva infatti che essere la Regione nel cui statuto speciale, sancito dalla Costituente nel gennaio del 1948, trovavano finalmente un primo riconoscimento quelle istanze autonomistiche che alimentavano in tutta l'isola le speranze di rinascita.

La Regione fu presente al Convegno di Oristano nella persona di Giuseppe Brotzu32 che partecipò in prima persona con un intervento di notevole interesse.
Dopo avere descritto la situazione di difficoltà delle biblioteche locali ed espresso la consapevolezza che a tale situazione occorreva metter mano «suscitando nuove iniziative, integrandole e riordinandole»33, egli faceva presente le aporie inerenti il fatto che lo statuto all'art. 3 attribuiva alla regione competenza primaria in materia di biblioteche dipendenti da enti locali e che, conseguentemente, il Consiglio regionale aveva appena approvato una legge indirizzata a queste ultime soltanto34. L'impegno della Regione, dunque, non poteva essere che quello di richiamare i Comuni al rispetto delle norme, ben sapendo che però le biblioteche di enti locali erano assai poche e spesso inadeguate al pubblico. Pensare allo sviluppo di biblioteche popolari e scolastiche separate dalle biblioteche degli enti locali sarebbe stato d'altronde impraticabile e avrebbe portato una notevole dispersione di mezzi. La biblioteca, infatti, non poteva che essere unica per ciascun paese, articolandosi eventualmente in tante sezioni «per adempiere alla diffusione della cultura nei diversi ambienti sociali», così che essi potessero integrarsi tra loro come si integrano i ceti diversi nella società, «perché la separazione della cultura tra scolastica, superiore, ecc. è del tutto arbitraria»35.
L'idea di fondo cui Brotzu pensava era evidentemente quella moderna della biblioteca per tutti e, in relazione a questo, la soluzione prospettata era che tale realtà potesse sorgere anche presso la Scuola ed essere gestita da insegnanti, purché regolarmente pagati per questo. Si prevedeva cioè l'ipotesi che alle poche biblioteche comunali si affiancassero, nel ruolo di biblioteca pubblica e per tutti, istituti analoghi in termini funzionali, ma non necessariamente affidati, sul piano istituzionale, alla gestione dell'ente locale.
A tale scopo, per garantire «la migliore possibilità di una organizzazione stabile ed immediata alle Suddette biblioteche», il Convegno votò un ordine del giorno che auspicava l'iniziativa regionale per la costituzione di un Consorzio per le biblioteche popolari e scolastiche, presieduto dallo stesso Assessore, cui affidare lo sviluppo delle biblioteche stesse e la rappresentanza dei loro bisogni sia presso l'ENBPS che presso il MPI36.
Contemporaneamente fu avviato un processo di revisione della legge regionale appena approvata in materia di biblioteche, dato che essa si limitava alle sole biblioteche di enti locali. A poco più di un anno dalla sua entrata in vigore, il 25 agosto 1951, su proposta dell'Assessorato all'igiene, sanità e pubblica istruzione, la Giunta regionale presentò una nuova formulazione della norma che, in accordo con il quadro delineato a Oristano, sottoponeva alla tutela e al finanziamento da parte della Regione non soltanto le biblioteche degli enti locali, ma anche le popolari, purché aperte al pubblico, dotate di inventari e cataloghi, di una sede idonea, di un bibliotecario responsabile.
Si trattava di un elemento strategico per consentire che lo sviluppo ?dal basso' delle biblioteche in Sardegna, quale si era delineato nel fermento di iniziative attorno alle popolari, non sfuggisse al controllo, ma fosse disciplinato, dando vita, secondo gli auspici di Brotzu, a una organizzazione tanto ?immediata', quanto ?stabile'.

L'VIII Congresso AIB, Cagliari, marzo-aprile 1953 e l'impianto del SNL

I risultati del II Convegno bibliografico sardo e il progetto di legge, volto a ottenere che «l'istruzione scenda fino alle classi più umili e ai paesi meno collegati dell'isola», furono illustrati da Papò al VII Congresso dell'AIB tenutosi a Milano e a Lecco nel novembre del 1951, durante il quale egli formulò anche la proposta di tenere a Cagliari il successivo congresso nazionale nel 195337.
Mentre l'approvazione della legge non andò in porto, il congresso AIB si tenne effettivamente a Cagliari tra il 27 marzo e il 1° aprile del 195338. La relazione sulle biblioteche della Sardegna vi fu tenuta da Brotzu che esordì mettendo in evidenza tutte le difficoltà dell'isola, nella quale l'operato della Regione a favore delle biblioteche e l'azione di sensibilizzazione dell'AIB erano cosa recente39. Non mancò però contestualmente di segnalarne il dinamismo, particolarmente nel settore delle popolari che risultavano al momento ben 591 sul totale di 732 e volle anche ribadire l'importanza dei convegni di Milis e Oristano nei quali si era cercato di sollecitare la nascita di un organismo che le raggruppasse e le sostenesse. Ammettendo che questo organismo non esisteva ancora, egli chiedeva che nel caso della Sardegna, in ragione della sua specificità, si potessero dotare di statuti speciali tutti gli enti interessati alla politica bibliotecaria, dalle Soprintendenze ai Provveditorati, allo stesso ENBPS, in modo che essi potessero cooperare con la Regione attraverso la forma dell'autonomia amministrativa.
Tuttavia la relazione di Brotzu non fu praticamente discussa, né poteva esserlo nel contesto del dibattito che si stava allora svolgendo in seno al congresso. Essa veniva tra l'altro proprio dopo il discorso di Enrico Vallecchi sul rapporto tra editoria e biblioteche pubbliche che aveva suscitato un intervento della stessa Carini contro la vecchia e paternalistica concezione della biblioteca popolare40 ed era a sua volta seguito da una relazione di Giorgio De Gregori che tornava sul tema dei centri di lettura, visti come «una ulteriore dispersione di mezzi e di energia» nel trascorso ormai centenario che caratterizzava le biblioteche popolari, «fecondo di discussioni e di utili esperienze [...] ma sterile [...] di risultati concreti»41.
Difficilmente poteva essere preso in considerazione dalla platea il progetto della Regione Sardegna di sostenere le oltre 500 biblioteche popolari presenti nell'isola. Peraltro nel discorso di Brotzu, a differenza di quanto egli aveva affermato a Oristano sulla ?unità della biblioteca', tornava a fare capolino la distinzione tra biblioteche di studio e biblioteche popolari e, malgrado il riferimento esplicito al concetto di autonomia, non risultava del tutto chiara l'idea di fondo che era sottesa al suo discorso, ovvero il tentativo di valorizzare i fermenti di base, sostenere gli sforzi del territorio e incanalarli e coordinarli in maniera efficace, attraverso il coinvolgimento diretto della Regione.
Di fatto, mentre sancì l'avvio della nuova fase operativa fondata sulla realizzazione del SNL, il Congresso di Cagliari segnò contestualmente una battuta di arresto in Sardegna per quanto riguardava le iniziative che avevano acceso l'entusiasmo degli operatori locali e animato la realtà bibliotecaria di base.
Il conflitto tra la prospettiva provinciale entro la quale operava il SNL e quella regionale cui tali iniziative guardavano, non solo sul piano organizzativo ma anche come riferimento di carattere politico, era inevitabile.
Le prime richieste ministeriali per l'avvio in Sardegna delle «reti provinciali di prestito» su modello dell'esperienza varata nella provincia di Cremona datano al 1° agosto42: immediate furono le perplessità. Lo chiarisce bene una lettera di Alberto Guarino, allora Bibliotecario all'Universitaria di Sassari, che il 2 ottobre 1953 scriveva a Papò chiedendo, appunto, se in Sardegna non fosse il caso di ipotizzare una rete regionale anziché provinciale, dato che difficilmente si sarebbe ottenuto il contributo di Comuni e Provincie43. A stretto giro, il 6 ottobre, Papò rispondeva a Guarino concordando con lui sull'analisi della situazione che gli appariva difficilissima: sui Comuni in effetti c'era poco da contare e d'altra parte alla Regione, se non veniva riformata la legge in vigore, mancavano del tutto gli strumenti per operare a livello locale44.
Le stesse perplessità furono espresse anche alla Direzione generale delle accademie e biblioteche: il 23 gennaio 1954, in una comunicazione sulla «rete provinciale di posti di prestito», Papò faceva presente che la Biblioteca universitaria di Sassari e la Biblioteca consorziale Sebastiano Satta di Nuoro stavano provvedendo a organizzare la rete nelle rispettive provincie, interpellando gli enti locali, le biblioteche e gli istituti di cultura popolare. Tuttavia, data la «configurazione unitaria» della Sardegna, sarebbe stato più opportuno affidare alla Soprintendenza il ruolo di coordinamento a livello regionale e collocare i posti di prestito presso le numerose biblioteche popolari esistenti e presso i Centri di lettura, a loro volta collegati con le popolari del luogo. Infatti, «quel che più importa non è istituire subito una qualsiasi rete di posti di prestito, ma organizzare la diffusione di essi in maniera efficace ed efficiente, mediante le opportune intese con le tante autorità ed enti interessati»45.
È chiaro che per Papò il SNL, per come era pensato, interrompeva quel lavoro ?dal basso', di stimolo e di sostegno alle esigenze peculiari delle diverse comunità, che tuttavia, senza il supporto della Regione, egli stesso non avrebbe potuto proseguire. Nello stesso 1954, un anno dopo il Convegno di Cagliari, lasciò infatti l'incarico alla Soprintendenza della Sardegna per passare a quella del Veneto orientale, Friuli e Venezia Giulia.

Verso Balsamo: biblioteche popolari vs. biblioteche pubbliche

Dopo il trasferimento di Papò, fu lo stesso Guarino che, succedendogli nel ruolo di Soprintendente, dovette gestire la fase delicata e complessa di allineamento dell'attività della Soprintendenza alle richieste della politica ministeriale.
A tale scopo, se per un verso egli proseguì nell'attività di sensibilizzazione del territorio attraverso lo strumento dei congressi itineranti, ne dirottò però marcatamente gli ambiti di riflessione verso le tematiche "classiche" della biblioteca pubblica e del SNL. Nel IV Congresso (Ozieri, giugno 1955) il focus fu l'organizzazione della lettura in Sardegna e, in particolare, furono affrontati i problemi dell'unificazione delle iniziative locali, della cooperazione tra biblioteche, della costituzione di reti provinciali46. Nel V Congresso (Ghilarza 1955), in cui fu trattato il tema della biblioteca di comunità, fu posta l'urgenza di organizzare il SNL e ne furono discusse le prospettive di azione in Sardegna47. Seguirono poi, ancora in questa linea, i convegni tenutisi a Sassari e Lanusei (marzo e maggio 1956), a Sorgono, Teulada, Alghero e Olbia (febbraio, aprile e ottobre 1957), a Cuglieri e a Bonorva (maggio e novembre 1958), ad Ales e a Sanluri (febbraio e marzo 1959), fino ad arrivare al Convegno bibliografico tenutosi a Cabras il 28 novembre 1960, alla presenza di Balsamo. Al tempo stesso, pur continuando a segnalare le difficoltà operative per la realizzazione dei posti di prestito provinciali, Guarino iniziò un faticoso lavoro ai fianchi degli enti locali per avviare l'impianto della Rete48.
Nel mutare dei temi e del tenore delle iniziative emerge però un dato di continuità con l'esperienza maturata tra il 1948 e il 1953, ovvero il prosieguo dell'interlocuzione con i personaggi che avevano animato la scena locale, nei quali Guarino cercò un appoggio per l'operato della Soprintendenza. Tra questi spicca in particolare Cicito Vacca, ispettore bibliografico onorario e immancabile animatore dei convegni bibliografici, che, nel corso degli anni, sulla scia delle iniziative condivise con Papò, si ritagliò un ruolo attivo come referente per le biblioteche popolari, intensificando i contatti con l'ENBPS fino a proporsi, nel 1955, come rappresentante dell'Ente stesso in Sardegna. Su questo punto Guarino, che come soprintendente fu interpellato per un parere, si mostrò collaborativo, appoggiando la nomina di Vacca che fu sancita il 3 novembre di quell'anno49.
Si trattava di un ruolo che consentiva all'Ente di finalizzare meglio il proprio intervento e di indirizzare con maggiore cognizione i propri sussidi alle biblioteche associate. Indubbiamente, però, esso rischiava di introdurre un elemento ormai largamente dissonante, anche per la sostanziale autonomia, sia operativa che di vedute, con cui Vacca svolgeva il proprio compito, insistendo nella connotazione ?popolare' delle biblioteche interessate alla sua azione.
La relazione sul proprio operato, che Vacca presentò per il 1959, è a questo proposito indicativa. Indirizzata all'ENBPS e per conoscenza al Soprintendente il 14 gennaio 196050, essa non si limitava a riferire sul suo operato, ma svolgeva anche alcune riflessioni di carattere più generale, riproponendo le considerazioni portate all'attenzione del Convegno di Palermo più di 10 anni prima: l'importanza delle biblioteche popolari come primo passo per «il risveglio» bibliotecario dei piccoli centri isolati, nell'attesa di poter impiantare biblioteche di maggiore importanza e consistenza; la necessità di una legge che mettesse la Regione in condizioni di occuparsi non solo delle biblioteche di ente locale, ma anche di quelle di minore importanza che, come già era successo, avrebbero poi potuto trasformarsi in «fiorenti biblioteche comunali».
Il soprintendente cui la relazione fu trasmessa era ormai Balsamo, la cui reazione a questa presa di posizione fu fortemente critica. Nella lettera del 25 gennaio 1960 con cui egli inviava all'Ente i rendiconti finanziari relativi all'operato di Vacca, i dati della sua relazione erano messi in discussione, sia per quanto riguardava il numero delle biblioteche, secondo Balsamo non realistico e comunque non desumibile dagli atti ufficiali, sia per quanto riguardava la loro vitalità ed efficacia di azione51.
Copia della lettera era trasmessa anche allo stesso Vacca al quale Balsamo rinnovò l'incarico di soprintendente bibliografico onorario, ma con cui i rapporti si guastarono progressivamente. Una comunicazione dell'Ente, che si era rivolto a Vacca come soprintendente bibliografico per la Sardegna, costrinse Balsamo a una secca rettifica in cui si precisava che, in quanto soprintendente onorario egli era un «collaboratore esterno» e non faceva in alcun modo parte del personale in servizio presso l'ufficio52. Ma, soprattutto, il contenzioso sulla situazione bibliotecaria della Sardegna spinse l'Ente a proporre un nuovo censimento e perfino un'ispezione per la quale prese accordi con lo stesso Vacca che si attivò per informare le biblioteche con circolari diramate tramite le Prefetture e l'Assessorato regionale. Balsamo protestò vivamente con l'Ente per l'autonomia con cui Vacca aveva agito, senza alcuna forma di coordinamento con la Soprintendenza53. Vacca da parte sua replicò difendendo il suo operato, ma rassegnando le dimissioni dal ruolo di rappresentante dell'Ente, anche per la «aspra critica» di cui era stato fatto oggetto54.
Il conflitto si chiuse con la mediazione dello stesso ENPBS. Balsamo pretese che l'attività di Vacca si limitasse alle sole biblioteche della provincia di Cagliari, neutralizzando così il suo iperattivismo. Vacca ritirò le sue dimissioni, dopo avere però dimostrato di avere capito "i limiti della propria attività e come essa debba essere svolta nel quadro della più larga attività della Soprintendenza"55.
Tale attività, secondo le indicazioni ispirate dall'esperienza di Cremona, era ormai alacremente indirizzata all'organizzazione del SNL e all'impianto della rete provinciale dei posti di prestito, i cui successi Balsamo sottoponeva col suo volume all'attenzione della comunità bibliotecaria.
Con questo si apriva per le biblioteche sarde una fase di allineamento alle esperienze in corso nel resto del paese che avrebbe consentito di superare il grave ritardo della regione nel settore della lettura pubblica.
Rimane nondimeno interessante e non priva di significato l'intuizione di Papò che, facendo proprie le prospettive dell'autonomia e del decentramento, puntava su un istituto indubbiamente anacronistico, ma nondimeno largamente diffuso a livello locale, per reinterpretarne il ruolo in chiave territoriale e radicarne lo sviluppo entro l'assetto politico-amministrativo che caratterizzava la Sardegna in virtù del suo Statuto speciale. In questo quadro veniva a essere smorzata la netta contrapposizione tra biblioteche popolari e pubbliche, uno dei perni che animavano il dibattito professionale, ed era sostanzialmente prefigurato l'esito organizzativo cui si sarebbe arrivati ben più tardi, dopo il trasferimento delle funzioni statali alle regioni ordinarie nel corso degli anni Settanta.
Si trattava di una visione coerente, tutt'altro che infondata. Se avesse avuto seguito, oggi sarebbe forse possibile delineare in maniera più articolata, in chiave regionale più che nazionale, l'apporto italiano alla storia europea della public library.

NOTE

[1] Luigi Balsamo, La lettura pubblica in Sardegna: documenti e problemi. Firenze: Olschki, 1964 (che a sua volta ripubblicava in parte alcuni saggi già usciti su riviste locali e nazionali tra il 1960 e il 1963), in particolare p. 35. Sull'attività di Balsamo alla direzione della Soprintendenza bibliografica in Sardegna e in genere sul suo impegno per le biblioteche pubbliche si rimanda al saggio di Rosaria Campioni, Luigi Balsamo e le biblioteche pubbliche, «La bibliofilía», CXV (2013), n. 3, p. 437-453.

[2] L. Balsamo, La lettura pubblica cit., p. 5-11.

[3] Ivi, p. 40

[4] Si pensi che, rispetto al vuoto denunciato da Balsamo, le biblioteche pubbliche di enti locali in Sardegna sono oggi 388 e i sistemi bibliotecari territoriali sono una ventina.

[5] L. Balsamo, La lettura pubblica cit., p. 11.

[6] Stefano Trovato, Renato Papò. In: Dizionario biografico dei soprintendenti bibliografici (1919-1972). Bologna: Bononia University Press, 2011, p. 451-466, in particolare p. 453. Sulla storia della biblioteca pubblica in Italia e sulle posizioni che hanno animato il dibattito intorno a questo tema si rinvia ai lavori di Paolo Traniello, tra i quali in particolare La biblioteca pubblica: storia di un istituto nell'Europa contemporanea. Bologna: Il Mulino, 1997 e Id., Storia delle biblioteche in Italia: dall'unità a oggi, Bologna, Il Mulino, 2002, e ai numerosi saggi di Alberto Petrucciani, parte dei quali confluiti in Libri e libertà: biblioteche e bibliotecari nell'Italia contemporanea. Manziana (Roma): Vecchiarelli, 2012. L'atteggiamento critico nei confronti delle popolari nell'Italia del Dopoguerra era frutto della sempre più decisa adesione all'idea di public library, ma anche della diffidenza per il processo di fascistizzazione di cui esse erano state fatte oggetto durante gli anni del Regime. Sulla storia delle popolari durante il fascismo si rimanda ai volumi di Maria Luisa Betri, Leggere obbedire combattere: le biblioteche popolari durante il fascismo. Milano: Angeli, 1991, Adolfo Scotto di Luzio, L'appropriazione imperfetta: editori, biblioteche e libri per ragazzi durante il fascismo. Bologna: Il Mulino, 1996 e alle più recenti considerazioni di Alberto Petrucciani, nel saggio Le biblioteche italiane durante il fascismo: strutture, rapporti, personaggi. In: Das deutsche und italienische Bibliothekswesen im Nationalsozialismus und Faschismus: Versuch einer vergleichenden Bilanz, herausgegeben von Klaus Kempf und Sven Kuttner. Wiesbaden: Harrassowitz, 2013, p. 67-107, in particolare p. 86-95.

[7] Emilio Lussu, Sul movimento autonomistico in Sardegna: a proposito di un articolo dell'on. Dore, «Il solco», 28 (agosto 1921), ora in Id., Tutte le opere. 1, Da Armungia al sardismo, a cura di Gian Giacomo Ortu. Cagliari: Aisara, 2008, p. 17-25, in particolare p. 19.

[8] Sulla complessa serie di funzioni affidati alle soprintendenze tra tutela del patrimonio e incremento delle biblioteche pubbliche, si rimanda a Luca Bellingeri, Tra tutela e promozione: i due volti delle soprintendenze bibliografiche, «Quaderni estensi», IV (2012), p. 105-125 http://www.quaderniestensi.beniculturali.it/QE4/14_QE4_sopr_bellingeri.pd. Nel presente lavoro si è fatto ricorso all'esame della documentazione dell'Archivio della Soprintendenza bibliografica della Sardegna (da ora ASBSar), conservata presso l'Ufficio Beni librari della Regione, che in parte duplica, ma soprattutto integra quanto conservato presso l'Archivio centrale dello Stato, in larga misura già noto. Sugli archivi delle soprintendenze si rimanda a Elisabetta Arioti, Gli archivi delle soprintendenze bibliografiche: riflessioni a margine di alcuni interventi di inventariazione, «Quaderni estensi», IV (2012), p. 135-152, http://www.quaderniestensi.beniculturali.it/QE4/14_QE4_sopr_arioti.pdf

[9] Le accademie e le biblioteche nel sessennio 1926/27-1931/32. Roma: Istituto poligrafico dello stato, 1933, p. 786-789.

[10] ASBSar, Ser. V: Vigilanza.Vigilanza sulle biblioteche non governative. Ispezioni dei soprintendenti, fascicolo 89: Relazioni dei soprintendenti sull'attività dell'ufficio 1933-1968, Relazione esercizio 1933-1934, s.d.

[11] Ivi, Relazione della Soprintendenza, esercizio 1934-1935, 4 agosto 1935.

[12] Ivi, Relazione annuale 1935-1936, 9 febbraio 1937.

[13] Elenco delle biblioteche della Sardegna, compilato dalla dott.ssa Livia Maxia. Cagliari: Libreria Giovanni Cocco, 1948.

[14] ASBSar, Ser. IV: Corrispondenza. Corrispondenza con associazioni bibliotecarie, Fascicolo 46: Corrispondenza con l'ENBPS 1947-1974.

[15] ASBSar, Ser. VIII: Biblioteche non governative. Convegni e congressi bibliografici, Fascicolo 531: Pratiche generali relative a congressi e convegni bibliografici 1947-1958.

[16] Ivi, Lettera di Cicito Vacca, direttore della Biblioteca popolare Giorgio Manca di Milis alla Soprintendenza bibliografica per la Sardegna, Cagliari 14 settembre 1947. Vacca (1909-1988) fu nominato soprintendente onorario con decreto ministeriale dell'8 gennaio 1948 sulla base di una proposta di Papò del 4 dicembre 1947 (ASBSar, Ser. V: Vigilanza. Ispettori bibliografici onorari, Fasc. 90: Nomine, accettazioni, funzioni e corrispondenza relativa 1926-1958). Egli risultava allora in possesso del diploma di abilitazione magistrale, direttore della Biblioteca militare del Presidio di Cagliari nonché della Biblioteca popolare di Milis e ispettore onorario per gli scavi e i monumenti, cfr. ASBSar, Ser. V: Vigilanza. Ispettori bibliografici onorari, Fascicolo 183: Ispettore bibliografico onorario, ins. Cicito Vacca.

[17] Primo Convegno bibliografico sardo (Milis, 28 febbraio 1948), a cura di Luciano Rossi. S.l.: s.n. [dopo il 1948], in particolare p. 3-4.

[18] Ivi, p. 7.

[19] Ivi, p. 6.

[20] Ivi, p. 7.

[21] Virginia Carini Dainotti, La biblioteca pubblica in Italia tra cronaca e storia (1947-1967). Firenze: Olschki, 1969, in particolare p. 13-35. Il convegno si inseriva nel quadro di una ripresa del dibattito attorno al tema della cultura popolare e della promozione della lettura che aveva già visto un momento importante nel Congresso nazionale della cultura popolare, svoltosi l'anno precedente a Milano con la partecipazione di diversi bibliotecari, tra i quali Anita Mondolfo, Enrico Jahier, Francesco Barberi, cfr. P. Traniello, Storia della biblioteca in Italia cit., p. 222.

[22] Ivi, p. 26.

[23] L'ordine del giorno di Milis si può trovare nel fascicolo della rivista «La riforma della scuola», 1949, n. 14, interamente dedicato agli atti del Convegno di Palermo e, in particolare, è letto da Papò sia in uno dei suoi interventi durante la discussione (p. 41-42) che in una apposita comunicazione su Le biblioteche popolari della Sardegna e la loro continuità ed efficacia di azione (p. 47-48). Una copia dattiloscritta con le firme autografe dei partecipanti, protocollata in entrata dalla Soprintendenza bibliografica, in data 2 marzo 1948 è conservata nell'ASBSar, Ser. VIII: Biblioteche non governative. Convegni e congressi bibliografici, Fascicolo 531: Pratiche generali relative a convegni e congressi bibliografici 1947-1958; una ulteriore copia è allegata alla lettera con cui Papò dava comunicazione al Ministero della pubblica istruzione (MPI) dello svolgimento del Convegno di Milis, Cagliari 2 marzo 1948 (Ibidem).

[24] V. Carini Dainotti, La biblioteca pubblica cit., p. 15.

[25] Atti del Secondo Convegno sardo per le biblioteche popolari e scolastiche, Oristano, 16 dicembre 1950, a cura dell'Assessorato dell'igiene e sanità e pubblica istruzione della Regione autonoma della Sardegna, Cagliari, 1951.

[26] Leo subentrò in realtà a Papò alla presidenza dell'AIB dal 1° gennaio 1950, cfr. Alberto Petrucciani, Leo, Pietro. In: Materiali per la storia dei bibliotecari italiani. Comitati delle sezioni AIB dal 1946. Sezione Sardegna, http://www.aib.it/aib/stor/bio/leo.htm.

[27] Atti del Secondo Convegno sardo cit., p. 8-9.

[28] Ilia Muroni, Il carattere della biblioteca popolare. Cagliari: Sezione regionale sarda dell'Associazione delle biblioteche italiane, 1949, p. 5-6.

[29] ASBSar, Ser. VIII: Biblioteche non governative. Convegni e congressi bibliografici, Fascicolo 531: Pratiche generali relative a convegni e congressi bibliografici 1947-1958, Lettera di Renato Papò a Riccardo Bauer, vicepresidente della Società Umanitaria, Cagliari 18 dicembre 1952. Dietro la risposta negativa di Papò c'erano anche preoccupazioni per le implicazioni politiche della proposta di Bauer e infatti alla lettera sono allegate le minute di alcune lettere con cui, in modo riservato, Papò trasmetteva la sua risposta a Brotzu e alle autorità ecclesiastiche dell'isola.

[30] Atti del Secondo Convegno sardo cit., p. 12.

[31] Ibidem.

[32] Giuseppe Brotzu (1895-1976) era medico, professore universitario di igiene e farmacologo di fama internazionale; era stato rettore dell'università dal 1936 al 1944; nel dopoguerra fu consigliere regionale nelle liste della DC e, dal 1949, assessore regionale; in seguito, dal 1955 al 1958, sarebbe stato presidente del Consiglio regionale e, dal 1960 al 1967, sindaco di Cagliari. Dal 1966 al 1958 fu anche presidente dell'AIB succedendo in questo ruolo a Pietro Leo.

[33] Atti del Secondo Convegno sardo cit., p. 7.

[34] Si tratta della Legge regionale 24 novembre 1950, n. 64 Erogazione di contributi per la costituzione, il riordinamento e l'incremento delle biblioteche dipendenti da enti locali che è stata in vigore fino alla promulgazione della attuale Legge regionale 20 settembre 2006, n. 14 Norme in materia di beni culturali, istituti e luoghi della cultura.

[35] Atti del Secondo Convegno sardo cit., p. 8.

[36] Ivi, p. 21.

[37] Renato Papò, La legge regionale sarda sulle biblioteche degli enti locali. In: Il VII Congresso nazionale dell'Associazione italiana per le biblioteche, «Accademie e biblioteche d'Italia», 19 (1951), n. 5/6, p. 257-464, in particolare p. 291-297.

[38] L'VIII Congresso dell'Associazione italiana per le biblioteche, «Accademie e biblioteche d'Italia», 21 (1953), n. 2-4, p. 77-250.

[39] Giuseppe Brotzu, Il problema delle biblioteche in Sardegna, Ivi, p. 141-144.

[40] Virginia Carini Dainotti, [Un'organizzazione nazionale di pubblica lettura], Ivi, p. 131-138, ora in Ead., Biblioteca pubblica cit., p. 193-203.

[41] Giorgio De Gregori, Biblioteche pubbliche e centri di lettura, in L'VIII Congresso dell'Associazione italiana per le biblioteche cit., p. 153-157, in particolare p. 153, 156.

[42] ASBSar, Ser. IX: Servizio nazionale lettura, Fascicolo 541: Istituzione e organizzazione del servizio di prestito in Sardegna 1953-1960, Nota del MPI 1 agosto 1953 a Papò con cui viene inoltrata la circolare ministeriale del 25 luglio che detta le istruzioni della Direzione Accademie e Biblioteche relative alla creazione di una rete provinciale di pubblica lettura.

[43] Ibidem.

[44] Ibidem. Nella stessa lettera Papò fa riferimento al suo prossimo trasferimento dalla Sardegna e al suo contrasto con la Carini «che è la motrice di tutta la macchina», sulla questione della rete dei posti di prestito che in Sardegna non poteva essere organizzata che «a spese dello Stato».

[45] Ibidem.

[46] ASBSar, Ser. VIII: Biblioteche non governative. Convegni e congressi bibliografici, Fascicolo 531: Pratiche generali relative a congressi e convegni bibliografici 1947-1958, Lettera di A. Guarino alla Direzione generale accademie e biblioteche, 22 giugno 1955.

[47] Ivi, Lettera di A. Guarino alla Direzione generale accademie e biblioteche, 3 novembre 1955.

[48] Si veda ASBSar, Ser. IX: Servizio nazionale di lettura, Fascicolo 543: Rete provinciale dei posti di prestito. Cagliari, Nota di A. Guarino alla Direzione generale accademie e biblioteche, 22 settembre 1954, che riferisce sulla azione fin ad allora svolta dalla Soprintendenza per le reti provinciali di prestito a Cagliari, Sassari e Nuoro.

[49] ASBSar, Ser. V: Vigilanza. Ispettori bibliografici onorari, Fascicolo 183: Ispettore bibliografico onorario, ins. Cicito Vacca.

[50] ASBSar, Ser. IV: Corrispondenza. Corrispondenza con Associazioni bibliotecarie, Fascicolo 46: Corrispondenza con l'ENBPS.

[51] Ivi.

[52] Ivi, Lettera di L. Balsamo alla Direzione dell'ENBPS, 18 marzo1961.

[53] Ivi, Lettera di L. Balsamo alla Direzione dell'ENBPS, 7 febbraio 1962.

[54] ASBSar, Ser. V: Vigilanza. Ispettori bibliografici onorari, Fascicolo 183: Ispettore bibliografico onorario, ins. Cicito Vacca, Lettera di Cicito Vacca alla Direzione dell'ENBPS, Cagliari 10 febbraio 1962.

[55] Ivi, Lettera di L. Balsamo a Guido Rispoli, Direttore dell'ENBPS, 11 maggio 1962 e risposta dell'ENBPS a firma di Guido Rispoli, Roma 15 maggio 1962 e 26 aprile 1962.