di Federico Meschini
Immanuel Kant nella Critica della ragion pura, nella sezione dedicata all’estetica trascendentale, definisce tempo e spazio come forme pure della sensibilità e quindi fondamentali per ogni atto di strutturazione conoscitiva della realtà, intesa in senso percettivo e fenomenico. L’impostazione kantiana si basa su una distinzione netta fra questi due aspetti e può portare a vederli quasi in contrapposizione tra di loro; ma studiando le forme di produzione e di gestione di testi e documenti ciò che ci interessa maggiormente è in realtà la loro correlazione e interazione, tanto più stretta e intrecciata quanto più i fenomeni da descrivere diventano complessi.
Sappiamo che oggi l’informazione digitale è sempre più pervasiva e, soprattutto, viene sempre più spesso denotata negativamente come causa di confusione e sovraccarico informativo. Aspetti, questi, che pongono l'accento proprio su una dimensione fisico/spaziale, la stessa che era stata individuata come caratteristica precipua dell'ipertesto, in grado perciò di superare i limiti della linearità, associata con la temporalità o perlomeno con la percezione che abbiamo di essa. La linearità temporale sembra essere alla base dei tradizionali supporti informativi, mentre l’allargamento ‘spaziale’ delle possibilità e dei percorsi sembra alla base delle nuove modalità di produzione e diffusione dell'informazione e, come conseguenza, di nuovi e fruttuosi assetti conoscitivi1.
Per tutti questi motivi diviene fondamentale riconsiderare il rapporto e l’equilibrio dinamico tra tempo e spazio a livello informativo. In questa sede verrà affrontato in un percorso trasversale che, partendo da spunti letterari, avrà come punto di riferimento costante la scrittura e le riflessioni di Italo Calvino, considerate come momento di contatto tra le due culture2 e declinazione narrativa ideale del tema della complessità3, con una particolare attenzione per le Lezioni americane4, connotate da Il castello dei destini incrociati5 e il non altrettanto noto, ma non per questo meno rilevante, saggio Cibernetica e fantasmi6
Risulta evidente la motivazione sottostante queste scelte. I Six memos for the next millennium oltre ad attagliarsi perfettamente alla situazione attuale, scopo alla base della loro ideazione, vanno inoltre a individuare con precisione quei nodi cruciali dell'informazione digitale, la cui diffusione presenta al tempo stesso tratti sia positivi sia problematici. A ormai più di trent'anni dalla loro pubblicazione queste lezioni, oltre a essere frequentemente citate, e non sempre in maniera appropriata (in particolare quella più nota, sulla leggerezza), sono ancora sia oggetto sia spunto di riflessioni di grande interesse7
Degna di nota e di considerazioni ulteriori è così ad esempio l'attenzione che Matteo Nucci rivolge proprio all'aspetto fisico, e perciò spaziale, legato prima ai singoli libri poi all'intera biblioteca dell’autore. Difatti, nella fase di redazione delle lezioni «la mano di Calvino torna a segnare i suoi volumi, cercando rapporti fra i libri che rilegge e le opere che investiga pur di trovare la strada di cui ha bisogno»; vengono riportate a questo proposito le parole con cui la studiosa Laura Di Nicola descrive le sensazioni legate al trovarsi in quel peculiare spazio informativo privato (corsivo mio)
Quel che mi colpì immediatamente fu la disposizione dei libri. Si trattava di una scacchiera del sapere, un sistema mentale in cui doveva trovarsi a suo agio soltanto Calvino, colui che aveva ordinato i volumi in maniera apparentemente incomprensibile. Pensate che Shakespeare appare in cinque sezioni diverse. Temi, lingue, concetti s’intrecciano continuamente. Quel che capivo, man mano che cercavo di entrare nella mente dell’ordinatore era l’importanza della biblioteca fisica che diventa biblioteca ideale. Gli scaffali interiori di Calvino raccontano un perpetuo inseguimento, ossia il senso profondo della sua passione conoscitiva8
La forte relazione tra spazio mentale e spazio fisico e la costruzione di un percorso conoscitivo costantemente in fieri non può non ricordare le parole di Vannevar Bush nel delineare le caratteristiche del precursore dell'ipertesto, il Memex:
The human mind [...] operates by association. With one item in its grasp, it snaps instantly to the next that is suggested by the association of thoughts, in accordance with some intricate web of trails carried by the cells of the brain. [...] trails that are not frequently followed are prone to fade, items are not fully permanent, memory is transitory9
Allo stesso modo la collocazione plurima di Shakespeare richiama la nota classificazione degli animali nell'enciclopedia cinese descritta da Borges, e usata da Luca Rosati per sottolineare sia la rilevanza dell'aspetto epistemologico in ogni schema classificatorio/conoscitivo10, collegato alla questione della coerenza, su cui torneremo in seguito, sia, come conseguenza, la necessità di strutture flessibili, non caratterizzate da un unico principio organizzativo dominante, in grado di coniugare relazioni paradigmatiche e sintagmatiche; le prime sono legate ad aspetti gerarchici di categorizzazione verticale e perciò, in particolare in taluni casi, come la disposizione fisica, una selezione e fruizione di fatto sincronica, mentre le seconde sono caratterizzate da una contiguità diacronica, con una commistione in entrambi i casi di fattori temporali e spaziali11
Nel parlare della circolarità dell’informazione, e prendendo in analisi l’architettura narrativa dell'Orlando furioso, Rosati cita indirettamente proprio Il castello dei destini incrociati. Quest’opera si rifà esplicitamente al poema dell’Ariosto, struttura portante dell'intreccio delle vicende narrate. Se però nell’Orlando le diverse storie, nonostante il forte entrelacement, si sviluppano lungo l’asse sintagmatico, e necessitano di adattamenti come la trasposizione scenica effettuata da Luca Ronconi per recuperare una dimensione paradigmatica12, nel Castello questa duplice dimensionalità viene rappresentata efficacemente grazie a una particolare disposizione delle carte dei tarocchi, in modo da intrecciare i diversi racconti. Da un lato abbiamo quindi il rapporto tra spazialità e linearità nelle narrazioni multiple e dall'altro l'aspetto combinatorio della scrittura e la relativa complessità sottostante. Il saggio Cibernetica e fantasmi è una controparte teorica ideale di quest'opera, in quanto partendo da questi stessi aspetti arriva a una riflessione sul significato ultimo del linguaggio e del racconto.
Infine sia per bilanciare queste riflessioni teoriche sia per introdurre un collegamento alle Digital humanities, la cui interdisciplinarità intrinseca è la collocazione ideale del discorso sviluppato in questa sede, verranno presi in considerazione, per le Lezioni americane e Il castello, alcuni spunti riguardo una loro possibile edizione digitale, non a caso punto di contatto tra informazione documento-centrica e data-centrica e perciò ulteriore luogo d'incontro tra i due princìpi kantiani da cui siamo partiti.
Un esempio interessante di questa interrelazione, a ben vedere tripartita in quanto tra la dimensione spaziale e quella temporale s’inserisce quella informativa, è dato da Carlo Rovelli. Ne L’ordine del tempo il noto fisico descrive come la necessità di sincronizzare gli orologi – con tutti i problemi teorici e pragmatici che ciò comporta, e perciò la definizione a livello globale del dato temporale, precedentemente stabilito su base locale e tramite fenomeni empirici come la posizione del sole – si fa pressoché irrinunciabile proprio in seguito allo sviluppo nell’Ottocento dei mezzi di comunicazione e di trasporto, tra cui il telegrafo e il treno13. La condivisione del tempo è dunque conseguenza di una maggiore facilità di condivisione sia dello spazio sia delle informazioni. Ed è proprio il telegrafo ad aver avuto un ruolo rilevante per lo studio dei concetti che verranno successivamente ripresi e approfonditi da Claude Shannon nella definizione dell’Information theory14, in particolare la nozione di codice comunicativo e il rapporto tra velocità e quantità d'informazione trasmissibile – ecco di nuovo comparire temporalità e spazialità – dato un determinato canale dotato di specifiche caratteristiche fisiche15.
Passando dalla scienza alla letteratura, la cui interrelazione è decisamente meno intuitiva e più ardua da dimostrare della precedente ma non certo meno rilevante, il noto incipit della Recherche di Marcel Proust, «Longtemps, je me suis couché de bonne heure», deriva buona parte della sua efficacia dalla sapiente e ben ponderata scelta dell'avverbio iniziale, di non semplice traduzione in italiano, in cui spazialità e temporalità sono strettamente coniugati; sempre nel suo opus magnum
l’autore ricollega degli aneddoti del passato al ricordo di ogni fermata del treno «transatlantique», oppure nelle ultime cinquanta pagine di Combray, che riportano gli avvenimenti in funzione delle tappe della passeggiata (a Meséglise, a Guermantes)16.
Questa stessa coniugazione di spazio e tempo in Proust, insieme a quella tra tecnologia, e quindi scienza, e letteratura, viene evidenziata e descritta da Italo Calvino nell’ultima, tra quelle compiute, delle lezioni americane, incentrata sulla molteplicità. Nel teorizzare il romanzo contemporaneo come rappresentazione reticolare della complessità del mondo, subito dopo aver preso in esame i casi di Carlo Emilio Gadda e Robert Musil, entrambi contemporaneamente romanzieri e ingegneri e autori di opere incompiute, Calvino nel parlare dello scrittore francese afferma come
La rete che lega ogni cosa è anche il tema di Proust; ma in Proust questa rete è fatta di punti spazio-temporali occupati successivamente da ogni essere, il che comporta una moltiplicazione infinita delle dimensioni dello spazio e del tempo. Il mondo si dilata fino a diventare inafferrabile, e per Proust la conoscenza passa attraverso la sofferenza di questa inafferrabilità17.
Il brano di Proust citato a conferma di questa tesi, tratto da La prisonnière, quinto volume della Recherche, è incentrato sulle «divinità irascibili che governano i telefoni» mentre «Poche pagine più in là assistiamo alle prime esibizioni degli aeroplani» – telefoni e aeroplani sono il salto tecnologico successivo ai telegrafi e ai treni citati da Rovelli – laddove nel precedente Sodome et Gomorrhe «le automobili prendono il posto delle carrozze cambiando il rapporto dello spazio col tempo»18. La sofferenza in grado di condurre alla conoscenza secondo Proust è causata dall'impossibilità di poter toccare tutti i punti che ha occupato e occuperà nello spazio e nel tempo un essere amato, la speranza in un’indicazione, un aiuto per riuscire a raggiungerli senza essere così costretti a procedere per tentativi, passando, senza accorgersene, accanto alla verità.
Questa descrizione presenta dei parallelismi significativi con uno specifico tipo di complessità sicuramente sconosciuta a Proust, ossia quella computazionale, definita formalmente solo all'inizio degli anni Settanta19 e incentrata sui quei problemi in linea teorica risolvibili automaticamente, ma difficili da trattare proprio a causa dell’eccessivo numero di relazioni e di casi da esaminare anche partendo da un numero limitato di elementi, in quanto soggetti a una crescita esponenziale. In particolare la possibilità di toccare tutti i punti e il passare inconsapevolmente accanto alla verità, intesa come la soluzione corretta, sembrano essere dei riferimenti diretti a uno tra i più noti di questi problemi, quello del commesso viaggiatore, incentrato sul trovare il percorso più efficiente in grado di coprire la totalità dei nodi di un grafo; allo stesso modo lo sperare in un'indicazione per poter giungere alla soluzione richiama il concetto di oracolo, una macchina astratta il cui funzionamento interno è sconosciuto ma in grado di risolvere qualsiasi problema20. Infine, tempo e spazio sono i due fattori in base ai quali vengono definite le varie classi di complessità cui appartengono tali problemi, in quanto risorse necessarie alle attività di computazione21.
Calvino, al contrario di Proust, aveva familiarità con queste tematiche e con la branca dello scibile cui appartengono. Non a caso, nella quarta delle Lezioni americane cita il teorema d’incompletezza di Gödel, con riferimento all’opera di divulgazione e interpretazione effettuata da Hofstadter22, sebbene lo definisca come un paradosso e ne citi solo la parte ricorsiva23; evita di menzionare quell’uso combinato di ricorsione e negazione che permise al logico austriaco di dimostrare come nei sistemi formali sufficientemente complessi completezza e consistenza siano mutualmente esclusive. Epperò forse non è un caso che l’ultima lezione, mai conclusa a causa della scomparsa dello scrittore e arrivata a noi sotto forma di bozza e appunti, avesse come titolo Consistency, e seguisse proprio quella sulla molteplicità in cui diversi dei romanzi citati erano per l’appunto incompleti.
Naturalmente – trattandosi di una relazione metaforica e letteraria – la netta divisione logico-matematica tra i problemi non risolvibili, di cui il più famoso è l’entscheidungsproblem, dimostrato negativamente sia da Alan Turing sia da Alonzo Church in due lavori fondamentali per la definizione della teoria della computazione24, e quelli difficilmente trattabili, come il già citato commesso viaggiatore, in questo caso si fa sfumata. Non potrebbe essere altrimenti dato che nel linguaggio naturale gli aspetti qualitativi, riguardanti l'espressività della prima tipologia di problemi, e quelli quantitativi relativi alla seconda si fondono insieme. è possibile inoltre inserire in questo parallelismo anche l'appendice, presente nelle più recenti edizioni, Cominciare e finire, sorta di proto-lezione e che riassume nel titolo una delle caratteristiche fondamentali degli algoritmi, la finitezza. Sebbene non presente tra gli esempi citati da Calvino, un caso esemplare riguardo la tensione verso una maggiore completezza nella rappresentazione della complessità del mondo e il forte rischio di una mancata terminazione è il Manuscrit trouvé à Saragosse di Jan Potocki. I recenti studi critico-filologici hanno stabilito come questa opera esista in una doppia versione: la prima, complessa e incompleta, è del 1804 mentre la seconda, più lineare e conclusa, è del 1810.
La decisione dei curatori di considerare valide entrambe le redazioni, porta a vedere questo romanzo come un «testo costellazione», per usare le parole di Isabella Mattanzi, il cui statuto epistemologico consiste in una relazione dialogica tra differenti condizioni ontologiche; e questo sembra essere una possibile risposta alla domanda implicita posta da Calvino nella quinta lezione:
le due versioni del romanzo corrispondono esattamente a quei due versanti contradditori dello spirito umano che da sempre sembrano coabitare all’interno del pensiero di Potocki: l’immaginazione e la ragione. Alla versione rigogliosa, delirante, labirintica del 1804 si oppone infatti la versione riorganizzata in un sistema facilmente leggibile, fatto di giustapposizioni tra grandi blocchi narrativi, del 1810. [...] La risposta a tutte queste domande così complesse è quindi che in realtà di risposte ce ne sono due, irriducibili e irrisolvibili l’una nell’altra25.
Se in Proust la conoscenza è paradossalmente conseguenza di una consapevolezza sofferta dell'inafferrabilità, intesa in questa sede come intrattabilità, altresì il voler descrivere, e di conseguenza comprendere, la complessità in cui siamo continuamente immersi e cui altrettanto continuamente contribuiamo non può che passare attraverso l'accettazione delle inevitabili contraddizioni presenti, proprio attraverso le proposte per il prossimo millennio. Non a caso tre caratteristiche giudicate come rilevanti della condizione postmoderna, ossia contingenza, ironia e solidarietà26 sono sottese sia al testo delle lezioni sia all'intera opera di Calvino. Inoltre, con uno sguardo retrospettivo, Walt Whitman, cronologicamente tra Potocki e Calvino, già nella prima versione senza titolo della sua poesia più celebre, il Song of myself, pubblicata nell'edizione del 1855 di Leaves of grass, scriveva «Do I contradict myself? Very well then... I contradict myself; I am large... I contain multitudes».
Nel 1853, appena due anni prima del Song of myself, Herman Melville, contemporaneo di Withman, pubblica il suo racconto più famoso, Bartleby, the scrivener, e proprio su questo testo avrebbe dovuto incentrarsi l'ultima e incompiuta lezione. L'icastico e lapidario «I would prefer not to», ciò che Andrea Pazienza avrebbe definito più di un secolo dopo Il segno di una resa invincibile27, sembra avere poco a che fare con la consistenza, se non come richiamo all'inamovibilità del protagonista e alla sua impermeabilità nei confronti di qualsiasi evento o influenza esterna. Certo, la chiusura è una caratteristica essenziale dei sistemi formali in quanto rende possibile l'assenza di contraddizioni e ne permette così il funzionamento, ma questo non sembra essere il caso di Bartleby, la cui fine per inedia è affatto antitetica a questa condizione di stato ottimale. L’ultimo brano del racconto, in cui le righe conclusive propagano il sentimento di pietà provato dall'anonimo narratore nei confronti dello scrivano all'umanità intera, quasi un monito a ricordare come la sua fine sia un qualcosa che riguardi da vicino tutti noi, fornisce una possibile chiave di lettura.
In poche righe si scopre come Bartleby avesse lavorato per diversi anni all'ufficio lettere smarrite, «Dead Letter Office» nel testo in inglese, e di come questo continuo contatto possa averlo fatalmente influenzato. Il dover distruggere il contenuto di queste lettere lo ha messo perennemente di fronte al fallimento di atti comunicativi e del loro potenziale di cambiamento. Anelli di fidanzamento destinati a persone ormai non più in vita, prestiti che non essendo mai arrivati non sono riusciti a cambiare il destino di chi li aspettava, perdono e speranza mai giunti a chi ha continuato a vivere nella disperazione. Questa condizione di per sé già tragica acquista maggior gravità se confrontata con lo scenario attuale, in cui una rete di trasmissione sincronica, globale e di fatto dematerializzata ha depauperato la quasi totalità dei messaggi, il cui numero è aumentato vertiginosamente, di un contenuto effettivo e del relativo potenziale di cambiamento, attuando così uno stato sì di continua comunicazione ma sovente non significativa.
Va però considerato un ulteriore aspetto. L’evento scatenante antecedente la storia di Bartleby è la rimozione da quel compito certo ingrato ma in cui sembrava aver raggiunto uno stato di equilibrio, e il primo punto di svolta nel racconto avviene quando gli viene chiesto di effettuare qualcosa di diverso dall’attività per cui era stato assunto: copiare dei documenti, di fatto replicare e preservare la consistenza, azione in cui si rivela pressoché impeccabile. La richiesta dell’anonimo narratore di controllare le copie di un documento effettuate da un altro degli scrivani è ciò che fa pronunciare a Bartleby per la prima volta la frase che diventerà sia il suo leitmotiv sia espressione della sua weltanschauung, e segna il momento in cui inizierà il suo sprofondare nella più completa apatia; è come se anche solo l'idea di poter trovare una minima incongruenza richieda uno sforzo ormai non più tollerabile, la possibilità di accettare la presenza di contraddizioni, foss'anche per eliminarle e ripristinare così l'ordine, non fosse più permessa, lo sforzo per trovare un nuovo assetto esistenziale non più tollerabile.
L’apatia, il rifiuto nell'effettuare una scelta, è un tratto distintivo riscontrabile altresì in Wakefield, anche lui protagonista eponimo – e nel cui nome ritroviamo congiunti gli aspetti di temporalità e spazialità – di un racconto di Nathaniel Hawthorne, di tre lustri più anziano di Whitman e Melville, amico di quest’ultimo e assieme a loro rappresentante di quel movimento letterario definito come American Reinassance28. Wakefield insieme a Bartleby sarebbe stato anch’egli oggetto dell’incompiuta e ultima lezione di Calvino, in un florilegio di personaggi «che dicevano di no, che scomparivano»29. Queste scomparse, questi rifiuti non sono però sottrazioni di peso, quanto aumenti di gravezza: «Bartleby, ha scritto Celati, è la figura che pone il problema delle sacche di estraneità che si formano all'interno della vita sociale»30, sacche ormai sempre più presenti e invasive in quanto favorite da quell'intreccio coalescente tra reale e virtuale, pubblico e privato attuato dai social media.
Diversi aspetti in questi due racconti presentano un rapporto speculare. Bartleby è ambientato a New York, nel nuovo mondo, mentre Wakefield a Londra, nel vecchio continente. Nel testo di Melville i dialoghi costituiscono una parte fondamentale, a partire dalla frase più volte ripetuta dal protagonista, mentre in quello di Hawthorne sono di fatto assenti, limitati a pochi brevi monologhi interiori. Nonostante entrambe siano narrazioni anonime e in prima persona di eventi passati e molto distanti nel tempo, la prima presenta un narratore omodiegetico e a focalizzazione interna, all’oscuro dei pensieri degli altri personaggi, mentre nella seconda è eterodiegetico e a focalizzazione zero, sebbene affermi di essere venuto a conoscenza della vicenda grazie a un vecchio giornale, e la sua onniscienza nei confronti dei dettagli della storia e dei pensieri del protagonista venga presentata come una serie di supposizioni condivise con il lettore.
Infine una breve quanto intensa riflessione conclude la tragica fine dello scrivano, il cui sviluppo è progressivo e incrementale, mentre in Hawthorne, dopo un'introduzione di poche righe in cui viene di fatto riassunta l'intera storia, la parte restante del testo consiste in continue riflessioni, discussioni e aggiunte di dettagli sul gesto del protagonista: l’allontanarsi senza motivo dalla moglie per andare a vivere in una casa nella strada accanto e rimanere là per vent’anni, per tornare una sera al focolare domestico come se niente fosse accaduto, il tutto descritto come un’innocente burla.
Altrettanto speculare è il rapporto che hanno i due personaggi con l’assenza. Quella di Bartleby è attuata in presenza, occupando continuamente uno spazio fisico – non a caso sono i luoghi a identificare maggiormente i diversi momenti del racconto – ma interrompendo qualsivoglia comunicazione con l’esterno. Wakefield, sebbene assente, continua a pensare alla moglie, a osservarla, e il fugace contatto incidentale che hanno i due viene descritto con grande intensità; è il tempo a connotare il racconto, seppure tramite il filtro di una dimensione mentale e soggettiva, con la compresenza di enormi compressioni di anni e dilatazioni di attimi nelle poche pagine complessive.
Un aspetto in comune è la presenza nella conclusione di una possibile chiave di lettura degli eventi narrati. Se in Melville consisteva nella descrizione di un'esperienza concreta e individuale, benché con una forte valenza simbolica, nel caso di Hawthorne è una riflessione astratta e universale:
Amid the seeming confusion of our mysterious world individuals are so nicely adjusted to a system, and systems to one another and to a whole, that by stepping aside for a moment a man exposes himself to a fearful risk of losing his place for ever31.
L’equilibrio sia individuale sia collettivo, espresso in forma sistemica e perciò complesso e interdipendente, è un qualcosa di così precario e fragile che anche un minimo cambiamento può avere conseguenze inimmaginabili. Cambiamento involontario nel caso di Bartleby, e volontario, seppure non programmato, per Wakefield. Anche il rispettivo finale è contrapposto, tragico per il primo e un ritorno alla normalità, senza nessuna apparente conseguenza, per il secondo.
Viene da chiedersi se questo continuo rapporto di opposizioni non vada letto come un’intenzione da parte di Calvino di far convivere due estremi. Una conferma di questa ipotesi è data dall’ormai noto incipit «Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza»32 e di come successivamente quella che viene dichiarata come una scelta binaria, e perciò esclusiva, diventa una sintesi inclusiva nel descrivere il rapporto esistente tra leggerezza e pensosità, simboleggiato con estrema efficacia dall’agile salto con cui Cavalcanti dimostra come «la sua gravità contiene il segreto della leggerezza». Segni di questa contrapposizione inclusiva sono presenti in tutto il testo delle Lezioni americane: nel parlare di rapidità, ad esempio, viene citato il motto latino Festina lente, affrettati lentamente, e Mercurio viene al tempo stesso contrapposto e bilanciato da Saturno: «sono un saturnino che sogna di essere mercuriale, e tutto ciò che scrivo risente di queste due spinte»33. Per la coerenza l'altro estremo non può che essere un qualcosa in grado di includere, armonizzare e contestualizzare le contraddizioni inevitabilmente presenti nella molteplicità.
Mario Barenghi, in un’analisi genetico-evolutiva sulla struttura e i relativi contenuti delle lezioni americane, conferma questa ipotesi e aggiunge ulteriori spunti di riflessione. Infatti, la proto-lezione Cominciare e finire indica un rapporto dicotomico ascrivibile a tutta la produzione di Calvino34, e che si sarebbe dovuto estendere alle six memos nella loro totalità35. Questo rapporto viene però abbandonato per essere sostituito dal noto elenco di qualità singole, la cui autonomia è tuttavia solo apparente, a causa di un'opposizione sottostante: sebbene queste qualità vengano ascritte a un contesto temporale, un futuro prossimo venturo, si riferiscono, come fa notare Asor Rosa, a «qualità perfettamente fisiche, che meglio si applicherebbero a corpi nello spazio»36.
La contrapposizione annotata per la sesta lezione è «compatto vs fluido»37, mentre il titolo assegnatole in un elenco alla fine del giugno 1985 è Openess38, per diventare successivamente nota come Consistency, in cui i fili lasciati aperti alla fine di Molteplicità sarebbero stati chiusi39, probabilmente riprendendo delle considerazioni già effettuate in un precedente saggio sul tema dell'identità, in cui «La definizione dell’identità qui formulata concilia infatti i principî dell’unicità individuale e dell’interrelazione con l’altro da sé, in un’apertura potenzialmente illimitata al resto dell’umanità, degli esseri viventi, delle cose, del cosmo»40. è il concetto di relazione, la capacità di creare connessioni ad essere fondamentale nel rapporto tra sé e l'altro, tra apertura e coerenza: «Nell’ottica calviniana l’io vale essenzialmente come strumento per organizzare alcune informazioni sul mondo»41.
Sia Bartleby sia Wakefield sono incapaci di stabilire e mantenere un assetto di relazioni consistenti nelle rispettive realtà sociali, New York e Londra, in quel particolare momento storico che vede la loro trasformazione in metropoli, rappresentative di quella molteplicità che porta con sé l’esplosione combinatoria delle possibili connessioni tra persone, fatti e aspetti della società, in cui sia a livello quantitativo sia a livello qualitativo la contraddizione è inevitabile. Questa incapacità costringe entrambi a un solipsismo asfittico in quanto unica soluzione, al tempo stesso salvezza e condanna, per non perdere la loro individualità, evitando così paradossalmente, soprattutto nel caso di Wakefield, la dispersione anonima nella folla.
Il fatto che in entrambi i casi, nonostante le differenze precedentemente elencate, sia un narratore anonimo e borghese a raccontarne la storia, è un indizio non da poco sul ruolo della scrittura in questo compito apparentemente impossibile, verrebbe da scrivere contraddittorio – come testimoniato dalle diverse opere citate incomplete – di far convivere molteplicità e coerenza. Il riferimento alla borghesia è in relazione alla diffusione e all'affermazione del romanzo, nella forma-libro, da sempre identificato con questa classe sociale e il cui compito è al tempo stesso di individuare, includere ed esorcizzare le contraddizioni presenti nella società. La scrittura è sia creazione sia esplorazione di possibilità in cui la stessa forma ha il dovere e il potere di rendere consistente ciò che di base non lo è, come le inspiegabili vicende di uno scrivano indolente o di un marito assente:
L’identità dello scrittore consiste in una combinazione o permutazione o sommatoria di opposizioni pertinenti alla ricognizione del mondo non scritto: l’unica prospettiva che dia senso all’attività della scrittura, sottraendola ai rischi dell’inanità, del ripiegamento rinunciatario su di sé, della resa alle catastrofi42.
Partendo dai titoli delle lezioni Massimo Riva mette rispettivamente in rapporto e in contrapposizione tra di loro Cominciare e Apertura con Finire e Coerenza, quest’ultima nel senso di chiusura, per compiere poi un passo successivo e creare un quadrato semiotico in cui questi quattro elementi – con l’ambivalenza per l'ultimo tra chiusura e coerenza – formano tra di loro un «feeback loop cognitivo» con Beginning che conduce a Ending, per passare a Consistency e da quest’ultima a Opennes, per ritornare poi a Beginning43. L’ipotesi di Riva è che questo quadrato rompa sì una delle regole cardine di Calvino ma permetta di «individuare quella Coerenza che, assommando in sé Apertura e Chiusura, mantiene attiva la serie e la rende infinita; e può essere raggiunta solo esorcizzando una definitiva Chiusura»44.
D’altro canto, provando a fare un’analogia con l’informatica, sono proprio le possibilità offerte dalla scelta binaria, il vincolo calviniano cui probabilmente Riva si riferisce, coniugate con la molteplicità a dare da un lato potere e potenzialità alla rappresentazione digitale e dall’altro ad essere alla base di quell’esplosione combinatoria che caratterizza i problemi complessi. A un livello superiore alla codifica tramite bit e byte, troviamo la capacità di creare strutture dati complesse tramite cui rappresentare le informazioni e le relazioni tra di loro, sia in maniera strettamente lineare sia spaziale, come nel caso di alberi e grafi.
Seguendo questo modello è possibile andare oltre il quadrato descritto da Riva e creare dei percorsi stratificati e intrecciati all’interno delle lezioni americane, basandosi anche sulle loro effettive declinazioni tramite gli esempi concreti presenti nel testo. Solo a titolo di esempio, nel capitolo sulla leggerezza, il parallelismo tra il togliere o aggiungere peso al linguaggio, una scelta binaria rappresentata nel primo caso da Guido Cavalcanti e nel secondo da Dante, apre la porta a diversi percorsi. Il togliere peso conduce all'apertura e alla molteplicità: «In Cavalcanti il peso della materia si dissolve per il fatto che i materiali del simulacro umano possono essere tanti, intercambiabili»45. Dante invece quando si cimenta con la leggerezza dalla molteplicità arriva alla consistenza, in quanto
La sua genialità si manifesta nel senso opposto, nell'estrarre dalla lingua tutte le possibilità sonore ed emozionali e d'evocazione di sensazioni, nel catturare nel verso il mondo in tutta la varietà dei suoi livelli e delle sue forme e dei suoi attributi, nel trasmettere il senso che il mondo è organizzato in un sistema, in un ordine, in una gerarchia dove tutto trova il suo posto46.
Proseguendo con questo parallelismo Calvino osserva come, mentre Dante è in grado di conferire solidità alle riflessioni più astratte (corsivo mio), «Cavalcanti dissolve la concretezza dell'esperienza tangibile in versi dal ritmo scandito, sillabato, come se il pensiero si staccasse dall’oscurità in rapide scariche elettriche»47 con evidenti riferimenti alle rimanenti qualità: esattezza, visibilità e rapidità.
Questo stesso principio si può applicare sia a singoli termini, come appena mostrato, sia a brani più estesi, con eventuali sovrapposizioni e combinazioni, in tutte le cinque sezioni. Nella lezione sulla visibilità l’immaginazione viene definita come un «repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere»48, e questa molteplicità viene poche righe dopo associata alla rapidità in quanto il «procedimento d'associazioni d'immagini [...] è il sistema più veloce di collegare e scegliere tra le infinite forme del possibile e dell’impossibile»49.
Questi semplici esempi mostrano le potenzialità interpretative di un simile approccio; certo laddove il quadrato semiotico di Riva ha il pregio della chiusura, anche per il fatto di posizionarsi a un livello superiore al testo, al contrario questi diversi rimandi e relativi percorsi, rappresentabili tramite un grafo, non possono non ricordare gli aspetti combinatori riconducibili alla complessità. Tale approccio interpretativo offre il destro per una prima riflessione sul possibile ruolo di un'edizione digitale, in particolare grazie alla possibilità di aggiungere annotazioni e collegare in maniera non lineare i vari blocchi. Partendo da un primo livello relativo alla codifica testuale, un'eventuale rappresentazione di questo soprastrato ermeneutico trova una sua ideale concretizzazione tramite l’utilizzo del mark up descrittivo50 e, ancor più specificatamente, del vocabolario sviluppato senza soluzione di continuità da più di trent’anni dalla Text encoding initiative. Questo schema è ormai un componente essenziale nei progetti di digitalizzazione51 e l’adozione dall'inizio degli anni 2000 dello standard XML ne ha fortemente favorito la diffusione, grazie alla vasta disponibilità di strumenti e programmi in grado di supportare questo formato52.
All’interno di questo schema, progressivamente esteso per coprire una gamma sempre più vasta di fenomeni, una sezione specifica è dedicata alla rappresentazione degli aspetti analitici e interpretativi53. Grazie a questo modulo è possibile associare a elementi grammaticali come periodi, frasi, clausole, singole parole o porzioni arbitrarie di testo eventualmente annidate tra di loro, un concetto astratto definito separatamente. Un possibile esempio relativo ai passaggi citati, con diversi livelli di granularità, è il seguente:
Gli elementi <s>
e <w>
marcano rispettivamente un periodo e una parola, mentre <seg>
una porzione di testo arbitraria senza caratteristiche grammaticali ben definite; l’attributo ana ha una funzione di collegamento alla lista di annotazioni interpretative, raggruppate nell'elemento <interpGrp>
e rappresentate tramite i singoli <interp>
, uno per ogni valore delle lezioni. Un potenziale passo ulteriore rispetto alla lista piatta permessa dal vocabolario della TEI è l'utilizzo di un'ontologia esterna, caratterizzata da un'espressività maggiore in quanto in grado di aggiungere proprietà e relazioni ai vari concetti, potendo formalizzare così, ad esempio, il quadrato semiotico teorizzato da Riva54.
La destinazione di questa codifica è un’edizione digitale in grado di offrire funzionalità di visualizzazione e analisi data-driven55, fermo restando la base soggettiva e non deterministica del processo interpretativo relativo alla codifica testuale56. Il continuo processo evolutivo delle edizioni digitali le vede ormai distanti da quelle prime generazioni, certo necessarie e fisiologiche, in cui lo scopo principale era mostrare un testo su di uno schermo, con eventualmente una struttura ipertestuale e funzioni di ricerca full-text.
A ben vedere il titolo del celebre articolo di Ted Nelson sull’ipertesto è una dichiarazione programmatica su quello che dovrebbe essere lo scopo di ogni edizione digitale: mostrare, sia a livello di prodotto sia di processo, quel «complex information processing»57 sottostante ogni attività, dalla creazione alla fruizione, passando per la disseminazione e la conservazione, relativa al patrimonio culturale letterario e linguistico. Ciò è tanto più vero quanto più si abbia a che fare con un testo come quello delle lezioni, caratterizzato, nonostante il non certo elevato numero di pagine, da un'elevata densità concettuale e un alto quantitativo di riferimenti, citazioni e rimandi, il tutto sapientemente combinato tramite un dinamismo antinomico: il concetto di inesauribile potenziale ermeneutico di ogni opera, certo non onnicomprensivo, trova qua una forte attuazione58.
Una visualizzazione tramite un grafo può mostrare la direzione e la concentrazione della presenza di una qualità da un capitolo all’altro; questo stesso procedimento può essere applicato a livello inter- ed extratestuale oltre che intratestuale, esplicitando così il risultato di quel continuo lavoro di ricerca di collegamenti e relazioni effettuato da Calvino nella sua biblioteca e da cui eravamo partiti. Di volta in volta il testo e l’autore in questione possono essere formalizzati attraverso la codifica e collegati al loro periodo storico e contesto culturale di riferimento59.
Parallelamente all’aspetto visivo, e sempre basandosi su questi stessi dati di partenza, un’analisi statistica può mostrare la distribuzione e la ricorrenza dei vari riferimenti, divisi per tipologia, indicando così un'eventuale presenza di schemi ricorrenti tendenti a un possibile modello implicito. In questo modo un’edizione digitale svela la natura di sistema informativo complesso e stratificato sottostante ogni testo, spostandolo dal livello implicito del contenuto a quello esplicito dell’espressione.
Su questo punto vale la pena effettuare una riflessione di più ampio respiro, partendo da una riflessione legata alla visibilità: «Il potere di evocare immagini in assenza continuerà a svilupparsi in un’umanità sempre più inondata dal diluvio delle immagini prefabbricate?»60. Se la conoscenza è creazione di connessioni tra dati precedentemente separati61, cosa avviene quando questo particolare assetto si diffonde su larga scala grazie all'ipertesto e alle piattaforme telematiche? Non esiste un rischio parallelo a ciò che scrive Calvino riguardo la sovrabbondanza di immagini prefabbricate in relazione alla capacità immaginifica? Cosa è più rilevante, sia a livello individuale sia collettivo, il prodotto, ossia la disponibilità di queste connessioni, o il processo, la loro creazione partendo da zero? Un fattore comune è la capacità di valutazione della validità del collegamento. In una situazione di assenza ciò avviene contemporaneamente alla creazione, anzi ne è parte integrante, mentre al contrario, in uno scenario di fruizione ciò avviene a posteriori. Inoltre nel primo caso la modalità di ragionamento è principalmente, ma non certo esclusivamente, deduttiva, mentre nel secondo caso induttiva. Non bisogna dimenticare come la creazione (il processo) di un’edizione digitale (il prodotto), nonostante la natura di sistema informativo deterministico di quest'ultima, abbia una forte componente non deterministica e basata su scelte critiche, e perciò potenzialmente soggetta ad analisi, studi e ulteriori modifiche.
Una vasta disponibilità di collegamenti informativi espliciti ed eteroprodotti è un vantaggio per chi abbia già familiarità con questa modalità cognitiva, seppure a livello intuitivo. Un esempio può aiutare: nel sistema d’istruzione universitario è di norma presente nei docenti, molto probabilmente a causa della continua attività di ricerca, una forte tendenza a organizzare in sistema le nozioni possedute, individuando o creando all'occorrenza un nesso tra due o più informazioni: operazione che può essere letta come un movimento dal basso verso l'alto nella piramide della conoscenza, con i dati all'estremo inferiore e la saggezza a quello superiore, passando, per l’appunto, attraverso informazione e conoscenza62.
Su queste premesse l’ipertesto è stato salutato come una rivoluzione in positivo da chi aveva dimestichezza da un lato con la consapevolezza dell'assetto reticolare della conoscenza e dall'altro con la tecnologia sottostante. In questo côté va inclusa naturalmente una parte considerevole della comunità biblioteconomica: non a caso la biblioteca è il luogo per eccellenza deputato all'attuazione delle connessioni informative potenziali, come ben esemplificato dalle leggi di Ranganathan, in particolare la seconda e la terza sul rapporto tra i libri e i lettori.
Se il problema è il «diluvio delle immagini prefabbricate» (o dei collegamenti), una soluzione è una corrispondente capacità dei fruitori di una decodifica attiva di ciò che viene loro proposto. Nel caso delle edizioni digitali, punta di diamante e forma estremamente raffinata di utilizzo dell'informazione digitale, in quanto ri-mediazione del textual heritage, ciò corrisponde anche a una conoscenza, seppure ad alto livello d’astrazione, dei meccanismi computazionali attraverso i quali un’edizione trasforma i suoi dati in informazione e conoscenza, a causa dello stretto legame esistente tra espressione e contenuto nello strumento informatico.
Ritornando agli aspetti relativi al rapporto tra complessità e narrazione, Calvino ne era ben consapevole grazie soprattutto alla partecipazione all'OuLiPo, luogo d’incontro privilegiato tra letteratura e matematica e alle frequentazioni con Raymond Queneau e Georges Perec, le cui opere si basano su questi princìpi a diversi livelli semiotici. Cent mille milliards de poèmes di Queneau63, sfrutta le potenzialità di separazione degli spazi della pagina tipografica, ossia la sostanza dell'espressione64, per fare sì che i quattordici versi che compongono dieci sonetti possano essere combinati tra di loro tramite il metodo delle disposizioni con ripetizione65, arrivando così all’astronomico numero di possibili poesie dichiarato nel titolo.
Alla linearità della lettura di La vie mode d'emploi di Perec66, uno degli iper-romanzi citati da Calvino, soggiace invece un modello di strutturazione della storia, e quindi la forma del contenuto67, in cui un momento sincronico in ogni ambiente di un palazzo di Parigi, rappresentato tramite una scacchiera di dieci righe per dieci colonne, viene descritto tramite una progressione diacronica basata sul percorso del cavallo, un particolare tipo di tragitto hamiltoniano in un grafo, in cui ogni casella (e nel romanzo ogni ambiente) viene attraversata una e una sola volta tramite il movimento di questo pezzo degli scacchi68. Procedura che può anche essere usata come illustrazione del concetto di procedimento euristico, in cui invece di seguire un metodo rigoroso e ben definito, come nella classica definizione di algoritmo, ci si affida all'intuito e alla creatività con un costante controllo dei risultati parziali ottenuti: come afferma lo stesso Perec, per trovare il percorso poi utilizzato «J’y suis parvenu par tâtonnements, d’une manière plutôt miraculeuse»69.
Un altro aspetto matematico/spaziale riguarda la disposizione di un elenco di quattrocentoventi elementi eterogenei, che vanno da argomenti storici a oggetti di arredamento, passando per luoghi, animali e citazioni letterarie, organizzati in ventuno coppie tematiche di dieci termini ognuna e distribuiti associando entrambi gli elementi di due, o più se necessario, diverse coppie a una particolare casella della scacchiera rappresentante il romanzo. Ogni casella contiene infatti due numeri, utilizzati per selezionare gli elementi di ogni coppia e organizzati in base al modello del quadrato greco-latino, in base al quale il primo numero deve comparire solo una volta nella riga in cui è presente la casella, così come il secondo per ciò che riguarda invece la colonna70.
Il rapporto tra calcolo combinatorio e letteratura è stato affrontato e declinato da Calvino sia sotto un punto di vista pragmatico sia teorico, con il primo caso rappresentato da Il castello dei destini incrociati. Quest’opera, insieme a quelle già menzionate e riconducibili all'OuLiPo e ai racconti di Borges, in particolare El jardín de senderos que se bifurcan ed Examen de la obra de Herbert Quain71, è tra le più citate nel parlare dei precedenti a stampa e perciò dei fondamenti teorici della letteratura elettronica ipertestuale.
Nel caso dello scrittore argentino i temi della non linearità e delle possibili combinazioni simultanee sono presenti al livello della sostanza del contenuto, e il fascino di questi racconti sta proprio nella tensione tra la finitezza della pagina e consequenzialità e brevità della narrazione da un lato, e gli infiniti universi che riescono a evocare, come nel caso del celebre La biblioteca de Babel72.
Ne Il castello dei destini incrociati le due diverse parti incluse nell’opera – a loro volta composte da diverse storie ognuna rappresentata tramite una sequenza di carte dei tarocchi che nelle varie narrazioni si intersecano tra di loro andando a comporre un disegno ordinato – sono state realizzate da Calvino utilizzando due diversi mazzi, il visconteo e quello di Marsiglia, e in base a due diversi procedimenti combinatori, descritti dall'autore nella prefazione73. La stesura del primo testo, Il castello, non pone particolari problemi, mentre il secondo, La taverna, si rivela essere un labirinto dal quale l'autore riesce a uscire solo piegando le regole che si era imposto.
Una prima differenza è tra i due diversi ordini di grandezza, analizzati matematicamente da Odifreddi74. Uno scarto ancora maggiore è però rappresentato dal fatto che nel primo caso l’autore è partito da un nucleo centrale accresciuto progressivamente, con un metodo che computazionalmente si potrebbe definire di approssimazione75. è paradossale, ma perfettamente in linea con il discorso sviluppato fino ad ora, che questo nucleo, in grado di rendere la struttura del testo consistente, sia basato proprio sull’Orlando furioso, opera che secondo lo stesso Calvino «si rifiuta di cominciare, e si rifiuta di finire»76.
La centralità di Storia dell'Orlando pazzo per amore e Storia di Astolfo sulla luna è un’isotopia a più livelli distribuita su elementi paratestuali, strutturali e testuali. Nella prefazione l'autore dichiara come provando a comporre con le carte sequenze ispirate al Furioso, «fu facile così costruire l’incrocio centrale dei racconti del mio “quadrato magico”»77. Nella struttura complessiva le due storie sono tra di loro ortogonali, richiamando così quegli aspetti di linearità e spazialità del poema sottolineati da Luca Rosati. Ultimo elemento il testo stesso, in quanto composto di fatto da due ‘meta’ racconti (rispetto a quelli cui si ispirano) che non presentano una vera e propria conclusione. L’abilità di Orlando sul campo di battaglia viene descritta come un «talento nello scomporre e nell’escludere»78, tema sottostante tutta l'opera, e nella scelta delle carte il paladino «s’era tenuto per sé fin da principio i tarocchi più belli del mazzo»79. Sia Orlando sia Astolfo si trovano il primo «al punto d'intersezione di tutti gli ordini possibili»80 e il secondo «tra le particelle del possibile scartate nel gioco delle combinazioni, le soluzioni a cui si potrebbe arrivare e non si arriva»81. Altri riferimenti sottolineano l'importanza del raccontare e il ruolo dello scrittore, ad esempio come il vedere il mondo all'incontrario renda finalmente tutto chiaro e il vuoto in quanto origine e destinazione di ogni storia.
Al contrario nella Taverna la mancanza di un nucleo centrale altrettanto efficace, e in cui fattori quantitativi e qualitativi si fondono – è evidente come nel Castello sia il potenziale narrativo del Furioso a fare la differenza, e non solo il numero minore di combinazioni possibili – costringe Calvino a continui tentativi e riscritture, non certo dissimili dalle succitate prove ed errori di Perec, «ricominciavo a comporre schemi, a correggerli, a complicarli»82, prima di trovare una possibile sequenza, sebbene meno rigorosa rispetto a quella del primo racconto.
Questa continua attività di combinazione di elementi discreti costituisce un collegamento esplicito tra Il castello dei destini incrociati e le Lezioni americane. Nel capitolo sulla visibilità Calvino scrive come l’idea alla base di quest'opera, la polisemia di una singola carta a seconda della posizione occupata in una data sequenza, provenga dalle numerose ore passate a interpretare, in quanto ancora non in grado di leggere, le singole vignette dei fumetti del Corriere dei piccoli (corsivo mio):
mi raccontavo mentalmente le storie interpretando le scene in diversi modi, producevo delle varianti, fondevo i singoli episodi in una storia più ampia, scoprivo e isolavo e collegavo delle costanti in ogni serie, contaminavo una serie con l’altra, immaginavo nuove serie in cui personaggi secondari diventavano protagonisti83.
Non va trascurato come nelle due ultime frasi lo scrittore anticipi dei concetti alla base della transmedialità84, una delle modalità principali dell’intrattenimento narrativo del secondo millennio. La rilevanza del fumetto in quanto medium si ritrova alla fine della prefazione de Il castello dei destini incrociati: dopo aver dichiarato di essersi finalmente liberato della Taverna – sebbene «Ancora adesso, col libro in bozze, continuo a rimetterci le mani, a smontarlo, a riscriverlo»85 – Calvino parla di un ipotetico terzo testo di quest'opera, Il motel dei destini incrociati, in cui il ruolo del mazzo dei tarocchi viene assolto da una pagina a fumetti: i protagonisti «che hanno perso la parola per lo spavento, raccontano le loro storie indicando le vignette, ma non seguendo l'ordine d'ogni strip: passando da una strip all'altra in colonne verticali o in diagonale»86.
Le stesse tematiche riscontrate in Borges si ritrovano nel Castello nella forma del contenuto, come in Perec, per ciò che riguarda la parte testuale e nella forma dell'espressione grazie alla visualizzazione grafica della disposizione delle carte. Per questo motivo tale testo è anch’esso suscettibile di una trasposizione digitale che valorizzi, formalizzandole, queste caratteristiche.
Rispetto all'edizione digitale delle Lezioni, qui la maggior parte dei rapporti ha una natura intratestuale, nonostante non manchino riferimenti intertestuali, sia impliciti e frammentari, come a Madame Sosotris, alla Wasteland e a T.S. Eliot87, sia espliciti e di più ampio respiro; oltre al già citato Furioso, nella Taverna, tramite il mazzo dei tarocchi vengono riscritti (o ricombinati?) drammi classici e shakespeariani tra cui Edipo, Faust, Amleto e Re Lear. Sempre partendo dalla codifica TEI, un primo passo, oltre alla suddivisione strutturale in racconti del testo, è l’identificazione delle carte che vengono via via citate e il collegamento con la porzione di testo in cui svolgono il loro ruolo nel racconto, non sempre perfettamente incasellabili in quella struttura gerarchica definita come Ordered hierarchy of content objects (OHCO)88. Al primo compito assolve l'elemento <rs>
, referencing string, che permette di associare a diverse varianti di un nome sia una tipologia sia un riferimento a ulteriori elementi interpretativi, come visto in precedenza. E sempre dall’esempio precedente di codifica si può riprendere l’uso dei segmenti arbitrari per collegare il riferimento a una carta alla relativa porzione di testo. Un possibile esempio, tratto dal primo racconto del Castello, la Storia dell'ingrato punito, è il seguente:
Tramite l'attributo corresp
si può collegare la carta con la corrispondente porzione testuale. Eventuali interruzioni e intrecci con i passaggi relativi alle altre carte possono essere gestiti grazie all’attributo di identificazione univoco xml:id
e a quelli appartenenti al modulo di Linking, segmentation, and alignment, tra cui, come dall’esempio riportato, next
90. La destinazione dell’attributo ref
nell'elemento <rs>
può essere un elemento d’interpretazione, come visto in precedenza, o definito tramite uno schema classificatorio apposito nella sezione denominata TEI header91. In entrambi i casi sarà possibile elencare tutte le carte del mazzo ed eventualmente aggiungere informazioni riguardo il loro simbolismo originario, sebbene Calvino abbia dichiarato come nonostante ne fosse a conoscenza, ciò non abbia influito sul processo creativo92.
Per ciò che riguarda l’aspetto iconografico, a un livello visivo l’elemento <figure>
permette di collegare al testo le riproduzioni digitali delle singole carte, ed è auspicabile l’utilizzo di schemi di metadati più specifici rispetto a quelli prettamente testuali dello schema TEI, tra cui il Categories for the description of works of art (CDWA) del Getty93 e il VRA core della Library of Congress94. Rimane aperta la questione relativa all'implementazione effettiva dell'edizione, così come per il caso delle Lezioni. Per ciò che riguarda la logica operativa, le azioni caratterizzanti un'edizione digitale, un framework come eXistDb95 è in grado di gestire le varie manipolazioni e interrogazioni del file TEI/XML tramite i linguaggi XQuery ed Xslt. Inoltre, nell'ambito dell’interfaccia utente sarà necessario l'utilizzo di una libreria Javascript, come l’ormai nota D3.js96, per poter sia replicare la particolare disposizione delle carte sia permettere l'interazione con il testo da parte degli utenti. In questo modo tale edizione permetterà di coniugare l'aspetto documento-centrico con quello data-centrico, ad esempio raggruppando i vari passaggi con in comune il riferimento a una stessa carta, e di mostrare il progressivo processo di composizione del racconto, costituendo così un complemento ideale e un ulteriore stimolo a quel processo di (ri)costruzione mentale di ogni lettore della struttura di un testo complesso.
L'ultimo tassello mancante è Cibernetica e fantasmi, in cui Calvino riflette sulla «narrativa come processo combinatorio», come riportato nello stesso titolo97. In questo saggio vengono citati Shannon, Turing e Von Neumann ma soprattutto viene data una chiave di lettura in grado di far convivere nella letteratura permutazioni, complessità e consistenza. Il rapporto tra spazialità e linearità viene efficacemente descritto dall'attività del narratore della tribù che per descrivere, e soprattutto dare un senso, al mondo esterno crea a partire da un insieme finito di possibili elementi insieme alle loro relazioni «delle storie, costruzioni lineari che presentavano sempre delle corrispondenze, delle contraddizioni»98. La descrizione data di questi elementi, le azioni permesse e le relative limitazioni99, non può non ricordare il modello entità-relazione, sviluppato per facilitare la creazione delle basi di dati relazionali in quanto astrazione concettuale del loro livello logico e incentrato, per l'appunto, sulla definizione delle entità oggetto d'interesse congiuntamente alle loro possibili relazioni100.
Lev Manovich, nel contrapporre database e narrazione, utilizza un approccio semiologico e, basandosi su de Saussure e Barthes, riprende la distinzione tra asse paradigmatico e asse sintagmatico, rapporti in assenza e rapporti in presenza: il database incarna i primi mentre il racconto i secondi: «the database of choices from which narrative is constructed (the paradigm) is implicit; while the actual narrative (the syntagm) is explicit»101. La natura grafica di un modello entità-relazione esplicita la corrispondenza tra l'asse paradigmatico e la dimensione spaziale, in cui le scelte che vengono di volta in volta effettuate vanno progressivamente a comporre la linearità dell'asse sintagmatico. A loro volta le storie nel venire raccontate implicano una dimensione spaziale in quanto «ogni parola acquistava nuovi valori e li trasmetteva alle idee e alle immagini da essa designate»102 grazie a quelli che possono essere definiti come «poteri narrativi, potenzialità che la parola detiene, facoltà di collegarsi con altre parole sul piano del discorso»103.
Il punto centrale è però la definizione di letteratura come «tutta implicita nel linguaggio [...] permutazione d’un insieme finito di elementi e funzioni»104, il cui scopo è «dire continuamente qualcosa che non sa dire, qualcosa che non può dire, qualcosa che non sa, qualcosa che non si può sapere»105 e per fare ciò deve compiere «uno sforzo per uscire fuori dai confini del linguaggio»106.
Per descrivere continuamente il mondo e la sua crescente complessità sottostante, aumentando al tempo stesso il suo potere di rappresentazione, la letteratura può solo utilizzare le permutazioni potenzialmente infinite del linguaggio, sfruttando a tal scopo lo scrittore. Il compito di quest'ultimo è quello di «trovare la strada empiricamente, a naso, tagliando per scorciatoie»107 per riuscire così, grazie a una combinazione appropriata e fino a quel momento non ancora individuata tra tutte quelle possibili, a estendere i limiti precedentemente stabiliti e al tempo stesso inglobare la contraddizione, quel sēmēion antilegomenon che contraddistingue il linguaggio naturale108.
La presenza di problemi apparentemente insolubili se non contraddittori è al cuore stesso della letteratura e più in generale del racconto, come avviene in informatica, ma – a differenza di quanto accade nel caso di quest’ultima – ne costituisce il vero valore. Nei sistemi formali le regole sono insiemi chiusi, i simboli utilizzati veicolano esclusivamente significati univoci109 e soprattutto linguaggio e metalinguaggio non possono coesistere allo stesso livello110. Seguendo questi princìpi viene eliminata la possibilità della presenza di contraddizioni, salvaguardando così la coerenza del sistema. Nel linguaggio naturale tutte queste condizioni vengono infrante, ed è proprio ciò a determinarne le potenzialità espressive, come nel caso della polisemia, o addirittura dell'enantiosemia, il caso in cui un singolo termine può veicolare due sensi opposti e perciò contraddittori. Tale distinzione trova una corrispondenza nella suddivisione tra discipline nomotetiche e idiografiche: tanto più le prime si basano su linguaggi e sistemi formali, quanto più le seconde hanno nel linguaggio naturale, e nella sua potenzialità espressiva, sia il loro strumento principale sia la loro ragione d'essere111.
Come Edmond Dantès, nel racconto Il conte di Montecristo contenuto in Ti con zero, prova a fuggire dal castello d’If immaginando la prigione perfetta, per trovare così «il punto in cui la fortezza pensata non coincide con la vera»112 e in cui perciò la fuga è possibile, allo stesso modo il lettore, per ciò che riguarda le proprie decisioni e le proprie azioni, può basarsi, per analogie e differenze, sugli scenari più o meno complessi che la letteratura e le altre forme di narrazione continuano ininterrottamente a mostrarci e a farci vivere. Oltre a venire riscaldate dalla morte di cui leggiamo – ed è curioso come il climax, il momento di massima tensione in una storia, cui segue il denouement, corrisponda in un rapporto fisico a ciò che in francese viene chiamato ‘petite mort’ – così come egregiamente scritto da Benjamin, le nostre vite vengono arricchite, sia a livello emotivo sia pragmatico, dagli eventi cui partecipiamo per interposta persona.
Nel concludere il capitolo sulla molteplicità e, di conseguenza, le Lezioni americane, Calvino auspica un’opera «in grado d'uscire dalla prospettiva limitata d'un io individuale [...] per far parlare ciò che non ha parola, l’uccello che si posa sulla grondaia, l'albero in primavera e l’albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica...»113. La progressiva diffusione delle piattaforme digitali nelle più svariate attività quotidiane, dalla comunicazione pubblica e interpersonale alla fruizione di contenuti informativi e d'intrattenimento basati su codici comunicativi diversi, alle transazioni commerciali, insieme all'uso di agenti intelligenti come Siri o Google assistant, hanno conseguenze che mi sembra possano essere almeno in parte ricondotte alle osservazioni svolte in questa sede riguardo la dimensione spaziale e temporale del racconto. Se è vero infatti come «our objects acquire histories, annotations, and linkages that may strongly influence retrieval and use»114, ciò è estendibile anche alle nostre azioni, che entrano a far parte di una memoria digitale condivisa, e soprattutto, processabile.
Oltre all’avverarsi del desiderio di Calvino, tutto sembra indicare la vittoria definitiva del lato sincronico, paradigmatico e spaziale: secondo Bruce Sterling «A SYNCHRONIC SOCIETY synchronizes multiple histories. In a SYNCHRONIC SOCIETY, every object worthy of human or machine consideration generates a small history»115. Lo stesso Sterling però subito dopo scrive «These histories are not dusty archives locked away on ink and paper. They are informational resources, manipulable in real time»116. Di primo acchito può sembrare una conferma al periodo precedente, ma in realtà il riferimento agli archivi sottolinea l'importanza della conservazione della memoria, corroborata da una possibilità di accesso immediato, rispetto alle tradizionali operazioni di ricerca.
Elemento costante dei diversi argomenti affrontati in questa sede è la necessità di un equilibrio dinamico tra spazialità e temporalità dell’informazione. In uno scenario in cui la dominante era l’assetto lineare gutenberghiano, le numerose iniziative legate allo strumento computazionale, e in particolare all’ipertesto, erano orientate verso la dimensione spaziale. Ora che lo scenario è di fatto invertito, e soprattutto in contesti in cui la capacità di maneggiare l’informazione è pressoché nulla, è quanto mai necessario recuperare anche una dimensione lineare e temporale. Inutile ricordare che un ruolo fondamentale spetta proprio a istituzioni come archivi e biblioteche, in cui conservazione e disseminazione, temporalità e spazialità, informazione e racconto convivono da sempre strettamente intrecciati.
Ultima consultazione siti web: 30 marzo 2019.
[1] George Landow, Hypertext: the convergence of contemporary critical theory and technology. Baltimore: Johns Hopkins University Press, 1992.
[2] Kerstin Pilz, Mapping complexity: literature and science in the works of Italo Calvino. Leicester: Troubador Publishing, 2004.
[3] Ilaria Filograsso, Calvino, o della complessità, «Italianistica», XXXI (2002), n. 1, p. 133-141, http://www.jstor.org/stable/23934884
[4] Italo Calvino, Lezioni americane. Milano: Mondadori, 1993 (1 ed. Milano: Garzanti, 1988).
[5] Id., Il castello dei destini incrociati. Milano: Mondadori, 1994 (1 ed. Torino: Einaudi, 1973).
[6] Id., Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio). In: Una pietra sopra: discorsi di letteratura e società. Milano: Mondadori, 1995, p. 199-219 (1 ed. Torino: Einaudi, 1980).
[7] Tra i possibili esempi Giulia Zanichelli si basa sulle lezioni americane come strumento di analisi delle criticità dello scenario politico (cfr. Giulia Zanichelli, Italo Calvino ha predetto la crisi attuale: e la sua soluzione, «The vision», 28 giugno 2018, http://thevision.com/cultura/lezioni-americane-calvino/). Nel giugno del 2018, in occasione del trentennale della pubblicazione della prima edizione, la trasmissione di Rai Radio 3 Pantheon ha dedicato cinque puntate, una per lezione, all’argomento, con la partecipazione di noti scrittori tra cui Diego De Silva, Helena Janeczek, Giancarlo De Cataldo, Vanni Santoni e Nicola Lagioia. Quasi fosse una profezia auto-avverante o l’applicazione di una proprietà riflessiva, in quella che è la maggiore età del nuovo millennio, i valori enucleati nelle lezioni americane caratterizzano queste stesse puntate: l'intangibilità della voce, il ritmo deciso e mai rallentato, seppure non certo frenetico, la presenza di una struttura globale ben calibrata tra le diverse parti, letture, approfondimenti o interviste, l’evocatività immaginifica della narrazione orale congiunta alle musiche e suoni di sottofondo e, infine, la pluralità dei racconti e dei punti di vista.
[8] Matteo Nucci, Le lezioni americane di Calvino, trent’anni dopo, «Minima&moralia», 12 febbraio 2018, http://www.minimaetmoralia.it/wp/lezioni-americane-calvino/.
[9] Vannevar Bush, As we may think, «The Atlantic», luglio 1945, http://www.theatlantic.com/magazine/archive/1945/07/as-we-may-think/303881.
[10] Luca Rosati, Architettura dell'informazione. Milano: Apogeo, 2007, p. 2-7.
[11] Ivi, p. 75-77.
[12] Ivi, p. 81-83.
[13] Carlo Rovelli, L’ordine del tempo. Milano: Adelphi, 2017, p. 14.
[14] Claude E. Shannon, A mathematical theory of communication, «The Bell system technical journal», 27 (1979), n. 3, p. 379-423.
[15] Harry Nyquist, Certain factors affecting telegraph speed, «The Bell system technical journal», 3 (1924), p. 324–346.
[16] Jean Clément, Elementi di poetica ipertestuale, «Bollettino ’900», (2001), n. 1, http://boll900.it/numeri/2001-i/W-bol/Clement/Clement_frame.html.
[17] I. Calvino, Lezioni americane cit. p. 121.
[18] Ivi, p. 122.
[19] Stephen Cook, The complexity of theorem-proving procedures. In: STOC '71 Proceedings of the third annual ACM symposium on theory of computing. New York, NY: ACM, 1971, p. 151-158.
[20] Giorgio Ausiello; Fabrizio d'Amore; Giorgio Gambosi, Linguaggi, modelli, complessità. Milano: Angeli, 2002, p. 308.
[21] Ivi, p. 293-294.
[22] Douglas Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: an eternal golden braid. New York: Basic Books, 1979.
[23] I. Calvino, Lezioni americane cit. p. 110.
[24]Alonzo Church, An unsolvable problem of elementary number theory, «American journal of mathematics», 58 (1936), n. 2, p. 345-363. Alan M. Turing, On computable numbers, with an application to the entscheidungsproblem. In: Proceedings of the London Mathematical Society. London: London Mathematical Society, 42 (1936), p. 230-265.
[25] Isabella Mattazzi [et al.], Jean Potocki, manuscrit trouvé à Saragosse, «Allegoria», 59 (2009), p. 169-199: p. 175, http://www.allegoriaonline.it/index.php/i-numeri-precedenti/allegoria-n59/53-il-libro-in-questione/5931/207-jean-potocki-manuscrit-trouve-a-saragosse.
[26] Richard Rorty, Contingency, irony, and solidarity. Cambridge, UK: Cambridge University Press, 1989.
[27] Andrea Pazienza; Marcello D'Angelo, Il segno di una resa invincibile, «Corto Maltese», (1983), n. 3.
[28] Francis O. Matthiessen, American Renaissance: art and expression in the age of Emerson and Whitman. Oxford: Oxford University Press, 1941.
[29] Marco Belpoliti, Ripensare Calvino oltre il cliché della leggerezza, «La stampa», 16 settembre 2015. http://www.lastampa.it/2015/09/16/cultura/ripensare-calvino-oltre-il-clich-della-leggerezza-MTDy3MkuN9XmEGyZw6V1RL/
[30] Id., Le lezioni di Calvino oggi non bastano più, «La Stampa», 12 settembre 2010, http://www.lastampa.it/2010/09/12/cultura/le-lezioni-di-calvinooggi-non-bastano-piu-VsX5VxqPwMWt3ISrhzTZEO/.
[31] Nathaniel Hawthorne, Twice told tales. Project Gutenberg, 2017 (1 ed. Philadelphia: David McKay, 1889), p. 132, http://www.gutenberg.org/ebooks/13707.epub.images.
[32] I. Calvino, Lezioni americane cit. p. 7.
[33] Ivi, p. 60.
[34] Guido Almansi, Il mondo binario di Italo Calvino, «Paragone», XXII (1971), n. 258, p. 95-110.
[35] Mario Barenghi, Preliminari sull'identità di un Norton lecturer, «Chroniques italiennes», 75/76 (2005), n. 1-2, p. 27-44: p. 35. http://chroniquesitaliennes.univ-paris3.fr/PDF/75-76/Barenghi75.pdf.
[36] Ibidem.
[37] Ibidem.
[38] Ivi, p. 34.
[39] Ivi, p. 38.
[40] Ivi, p. 39.
[41] Ivi, p. 40.
[42] Ivi, p. 42.
[43] Massimo Riva, Pinocchio digitale: postumanesimo e iper-romanzo. Milano: Angeli, 2012, p. 120.
[44] Ivi, p. 121.
[45] I. Calvino, Lezioni americane cit., p. 17.
[46] Ivi, p. 20.
[47] Ibidem.
[48] Ivi, p. 102.
[49] Ibidem.
[50] James H. Coombs; Allen H. Renear; Steven J. De Rose, Markup systems and the future of scholarly text processing, «Communications of the ACM», 30 (1987), n. 11, p. 933-947, DOI: 10.1145/32206.32209.
[51] Lou Burnard, The evolution of the Text encoding initiative: from research project to research infrastructure, «Journal of the Text encoding initiative», 5 (2013), http://jtei.revues.org/811.
[52] Sebastian Rahtz, Storage, retrieval, and rendering. In: Electronic textual editing, a cura di Lou Burnard, Katherine O'Brien O'Keeffe, John Unsworth. New York: MLA, 2007. http://www.tei-c.org/Vault/ETE/Preview/rahtz.html.
[53] Simple analytic mechanisms, https://www.tei-c.org/release/doc/tei-p5-doc/en/html/AI.html.
[54] Øyvind Eide, Ontologies, data modeling, and TEI, «Journal of the Text encoding initiative», 8 (2014/2015), http://journals.openedition.org/jtei/1191.
[55] Martin de la Iglesia; Mathias Göbel, From entity description to semantic analysis: the case of Theodor Fontane’s N Notebooks, «Journal of the Text encoding initiative», 8 (2014/2015), http://journals.openedition.org/jtei/1253.
[56] Giuseppe Gigliozzi, Codice, testo e interpretazione. In: Studi di codifica e trattamento automatico dei testi, a cura di Giuseppe Gigliozzi. Roma: Bulzoni, 1987, p. 65-84.
[57] Theodor H Nelson, Complex information processing a file structure for the complex, the changing and the indeterminate. In: ACM '65 Proceedings of the 1965 20th National Conference. New York, NY: ACM, 1965, p. 84-100, DOI: 10.1145/800197.806036.
[58] Quest’ultima affermazione trova conferma nelle parole di Marco Peano, scrittore ed editor per Einaudi, la stessa casa editrice nella quale Calvino ha dedicato molta della sua attività editoriale e redazionale ai ‘libri degli altri’. Nella puntata dedicata all’esattezza, trasmessa il 16 giugno 2018 all’interno del già citato ciclo di Rai Radio 3 Pantheon, Peano racconta come le sue tre differenti letture di questo capitolo, ognuna effettuata a dieci anni di distanza l’una dall’altra e perciò in fasi della vita affatto diverse, gli abbiano sempre ispirato nuove idee, andando a sostituire le precedenti, in particolare per ciò che riguarda la scrittura e di conseguenza la sua attività professionale. Si va dalla convinzione adolescenziale di essere già esatti e perciò sicuri, alla necessità che diventa ossessione di una visione in grado al tempo stesso di allargare lo sguardo e restringere il campo, quasi fosse una struttura frattale, fino alla consapevolezza dell'esattezza come punto cardinale, mai raggiungibile ma necessario.
[59] Un simile procedimento, seppure su un testo di dimensioni notevolmente maggiori ed estremamente frammentato, è stato applicato allo Zibaldone di Giacomo Leopardi, vedi Silvia Stoyanova, Giacomo Leopardi’s Zibaldone as a digital research platform: a methodological proposal for its semantic reconstruction and discursive mediation. In: The mechanic reader, a cura di Fabio Ciotti, Francesco Stella. Pisa: Pacini, 2015, p. 100-108.
[60] I. Calvino, Lezioni americane cit., p. 103.
[61] Jean-François Lyotard, The postmodernist condition: a report on knowledge. Minneapolis: University of Minnesota Press, 1984, p. 51-52.
[62] Russell Ackoff, From data to wisdom, «Journal of applied systems analysis», 16 (1989), p. 3-9.
[63] Raymond Queneau, Cent mille milliards de poèmes. Paris: Gallimard, 1961.
[64] Roland Barthes, éléments de sémiologie, «Communications», 4 (1964), p. 91-135: p. 105-106, http://www.persee.fr/doc/comm_0588-8018_1964_num_4_1_1029.
[65] Marco F. Barozzi, La matematica come struttura letteraria: la combinatoria, «Archimede», 3 (2016), p. 160-165.
[66] George Perec, La vie mode d'emploi. Paris: Hachette, 1978.
[67] R. Barthes, éléments de sémiologie cit., p. 105-106.
[68] Marta Macho Stadler, La vita istruzioni per l’uso di Georges Perec, http://www.xlatangente.it/upload/files/La_vita_istruzioni_per_l_uso.pdf.
[69] George Perec, Quatre figures pour La vie mode d’emploi, «L'Arc», 76 (1979), p. 50-54.
[70] M. Macho Stadler, La vita istruzioni per l’uso di Georges Perec cit.
[71] Jorge Louis Borges, Ficciones. Buenos Aires: Editorial Sur, 1944.
[72] Ibidem.
[73] I. Calvino, Il castello dei destini incrociati cit., p. V-XI.
[74] Piergiorgio Odifreddi, Se una notte d'inverno un calcolatore. In: La regola è questa: la letteratura potenziale, a cura di Raffaele Aragona. Napoli: Edizioni scientifiche italiane, 2002, p. 146-160. Nel caso della Taverna la non differenziazione tra le 78 carte del mazzo marsigliese comporta 78! possibilità differenti, un quantitativo approssimabile a 10120, un numero superiore a quello delle particelle dell'universo conosciuto, 1080, (ivi, p. 8) e lo stesso delle possibili partite a scacchi, definito altresì come numero di Shannon. Al contrario nel Castello, oltre a partire da un quantitativo inferiore di carte, 72, «si devono anzitutto scegliere i 12 narratori tra le 36 figure, e poi le storie fra le rimanenti 60 carte» (ibidem). La prima parte è una disposizione di 36 elementi 12 a 12, il cui risultato va moltiplicato per 60! Seppure «si rimane anche in questo caso su numeri astronomici» (ibidem), in realtà questo calcolo va effettuato diversamente. Le carte utilizzate come narratori appartengono di fatto solo alle figure degli arcani minori, quindi il primo fattore diventa una disposizione di 16 elementi a 12 a 12.
[75] David Harel, Algorithmics: the spirit of computing. Harlow, UK: Pearson Education Limited, 2004, p. 87-89.
[76] M. Riva, Pinocchio digitale: postumanesimo e iper-romanzo cit., p. 121.
[77] I. Calvino, Il castello dei destini incrociati cit., p. VII-VIII. Questo approccio cambia infatti la vertigine dell’enumerazione. Le due carte utilizzate come narratori per Orlando e Astolfo, il re di spade e il cavaliere di bastoni, con tutta probabilità sono state scelte appositamente da Calvino. Quindi le scelte dei narratori rimanenti diminuiscono a una disposizione di 14 elementi a 10 a 10. Allo stesso modo delle restanti 60 carte, solo 32 vanno considerate fattorialmente, in quanto vanno tolte le 28 utilizzate per le due storie; teoricamente queste ultime vanno considerate rispettivamente come disposizioni di 60 elementi a 16 a 16 e di 44 elementi a 12 a 12, ma la presenza di numerosi arcani maggiori – ben 14 su 28, quindi il 50% laddove di partenza sono 22 su 60, poco più di un terzo – fa sospettare come questa tipologia sia stata privilegiata nella scelta e quindi avente un peso maggiore rispetto alle altre carte, riducendo perciò il numero delle scelte possibili.
[78] Ivi, p. 30.
[79] Ivi, p. 31.
[80] Ivi, p. 33.
[81] Ivi, p. 37.
[82] I. Calvino, Il castello dei destini incrociati cit., p. X.
[83] I. Calvino, Lezioni americane cit., p. 105.
[84] Henry Jenkins, Cultura convergente. Milano: Apogeo, 2007.
[85] I. Calvino, Il castello dei destini incrociati cit., p. X.
[86] Ivi, p. XI. J.M. De Matteis, noto sceneggiatore di fumetti, in un post su Facebook, http://www.facebook.com/jmdematteis/posts/879477922261623, nel ricordare Stan Lee, il fondatore dell'universo Marvel, all’indomani della sua scomparsa, affronta un’annosa questione sul suo ruolo creativo. Nei primi anni di vita della casa editrice, per ottimizzare i tempi di produzione, Stan Lee creò il cosiddetto ‘metodo Marvel’: invece di fornire al disegnatore una sceneggiatura completa gli veniva dato un soggetto di poche pagine in base al quale, e con un forte apporto creativo, avrebbe disegnato tutte le tavole necessarie, in cui, una volta pronte, i dialoghi sarebbero poi stati aggiunti da Lee, cfr. Davide Costa, Il Metodo Marvel per scrivere una sceneggiatura a fumetti, «N3rdcore.it», 19 ottobre 2018, http://n3rdcore.it/il-metodo-marvel-per-scrivere-una-sceneggiatura-a-fumetti/. Questa grande libertà concessa ai disegnatori è stata sfruttata in numerose querelle, tra cui la più famosa con Jack Kirby, nel ridimensionare l’effettivo apporto dello sceneggiatore. Nell’effettuare un’analisi equilibrata, De Matteis esprime lo stesso concetto di Calvino sullo stretto rapporto tra ordine e senso (corsivo mio): «I’ve heard tales of Stan actually cutting pages of artwork up and then pasting them back together – changing the order and meaning of those pages – so that he could tell the story his way.» La rilevanza data al fumetto, sia nelle riflessioni di Calvino sia in questo saggio, acquista maggiore chiarezza prendendo in considerazione ciò che ScottMcCloud ha teorizzato su questo medium e le sue specificità, e in particolare sulla rappresentazione temporale del racconto attraverso la spazialità, punto dal quale eravamo partiti: secondo McCloud «in the world of comics, time and space are one and the same», cfr. Scott McCloud, Understanding comics: the invisible art. Northampton, MA: Tundra Publishing, 1993, p. 100. Questo rapporto di stretta simbiosi che sfocia nell’identità non può non richiamare molto di ciò che è stato scritto riguardo l’ipertesto, e la relazione tra questa forma documentale/conoscitiva/tecnologica e il fumetto andrebbe considerata maggiormente, cfr. Licia Calvi, Hypertext and comics: towards an aesthetics of hypertext. In: HYPERTEXT '01 Proceedings of the 12th ACM Conference on Hypertext and Hypermedia. New York, NY: ACM, 2001, p. 135-137, DOI: 10.1145/504216.504253. Infine, nel concludere questa riflessione parentetica, va ricordata la figura di Gianni de Luca, pressoché coetaneo di Calvino, che tra il 1975 e il 1976, un paio d’anni dopo la pubblicazione de Il castello dei destini incrociati, adatta tre storie di Shakespeare su Il Giornalino in cui, basandosi sulla tecnica del poliptico, usa la tavola come uno sfondo unico su cui distribuire l’azione, annullando la divisione in vignette. La progressione temporale dei personaggi è giustapposta spazialmente senza soluzione di continuità, dando così alla pagina al tempo stesso un effetto di dinamicità e dilatazione, tanto straniante quanto affascinante, cfr. Lorenzo Barberis, Ci sono più cose in cielo e in terra: l’Amleto di De Luca, «Come un romanzo», 15 dicembre 2016, http://www.lospaziobianco.it/comeunromanzo/amleto/.
[87] I. Calvino, Il castello dei destini incrociati cit., p. 60.
[88] Steven J. De Rose [et al.], What is text really?, «Journal of computing in higher education», 1 (1990), n. 2, p. 3-26, DOI: 10.1007/BF02941632.
[89] I. Calvino, Il castello dei destini incrociati cit., p. 9.
[90] http://www.tei-c.org/release/doc/tei-p5-doc/en/html/SA.html. Strutture più complesse di porzioni testuali non consecutive e frammentate possono essere gestite con altri elementi e attributi presenti in questo modulo, come ad esempio join
e link
e i relativi joinGrp
e linkGrp
.
[91] http://www.tei-c.org/release/doc/tei-p5-doc/en/html/HD.html.
[92] I. Calvino, Il castello dei destini incrociati cit., p. VII.
[93] http://www.getty.edu/research/publications/electronic_publications/cdwa/.
[94] http://www.loc.gov/standards/vracore/.
[97] I. Calvino, Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio) cit., p. 199.
[98] Ivi, p. 200.
[99] «Le figure di cui il narratore disponeva erano poche: il giaguaro, il coyote, il tucano, il pesce piranha [...]» (ibidem); «Le azioni che queste figure potevano compiere erano anch’esse limitate: nascere, morire, accoppiarsi, dormire, pescare [...]» (ibidem); «Lo svolgimento delle storie permetteva certe relazioni tra i vari elementi e non altre, certe successioni e non altre: la proibizione doveva venire prima della trasgressione, la punizione dopo la trasgressione [...]» (ivi, p. 200-201).
[100] Peter Pin-Shan Chen, The entity-relationship model: toward a unified view of data, «ACM transactions on database systems», 1 (1976), n. 1, p. 9-36, DOI: 10.1145/320434.320440.
[101] Lev Manovich, The language of new media. Cambridge, MA: The MIT Press, p. 231.
[102] Ivi, p. 201.
[103] Ibidem.
[104] Ivi, p. 211.
[105] Ibidem.
[106] Ibidem.
[107] Ivi, p. 209.
[108] Tullio De Mauro, Prima lezione sul linguaggio. Roma-Bari: Laterza, 2002, p. 67.
[109] Ivi, p. 79-80.
[110] Ivi, p. 91-93.
[111] Nella striscia Impostor di xkcd, http://xkcd.com/451/, questa stessa suddivisione viene ironicamente rappresentata tramite il tempo necessario – lo stesso fattore usato nella definizione delle classi di complessità – per capire se una persona sia o meno un esperto di un determinato campo; si va dai pochi secondi dell'ingegneria o della linguistica a qualche minuto nella sociologica, per arrivare a un tempo indefinito, e viene lasciato intuire in potenza infinito, per la critica letteraria.
[112] Ivi, p. 219.
[113] I. Calvino, Lezioni americane cit., p. 135.
[114] Gary Marchionini, From information retrieval to information interaction. In: Advances in information retrieval: ECIR 2004: lecture notes in computer science, a cura di Sharon McDonald, John Tait. Berlin-Heidelberg: Springer, 2004, vol. 2997, p. 1-11: p. 3, DOI: 10.1007/978-3-540-24752-4_1.
[115] Bruce Sterling, Shaping things. Cambridge, MA: The MIT Press, 2005, p. 45.
[116] Ibidem.