Da Oldenburg all'accesso aperto:
quale futuro per le riviste scientifiche?

di Simona Turbanti

Il lavoro, realizzato nell'ambito del progetto di ricerca Acceso abierto a la ciencia en España, finanziato dal Ministero dell'economia, dell'industria e della competitività spagnolo, nasce da una lunga consuetudine del curatore con i temi relativi all'editoria e alle riviste scientifiche, all'open access1. Ernest Abadal, docente presso il Departament de biblioteconomia, documentación y comunicación audiovisual dell'Università di Barcellona, ha coordinato l'attività del Gruppo di ricerca che ha riguardato principalmente tre settori: riviste scientifiche, repository, politiche.
Il volume è suddiviso in tre parti; nella prima, la più estesa, si affronta il tema delle riviste scientifiche nella sua interezza, a partire dalle origini stesse dei periodici scientifici fino al sistema di valutazione dei pari e all'evoluzione nei sistemi di acquisto; la seconda sezione del libro è dedicata a un'analisi della situazione spagnola, fondata su dati estratti da vari database e risultati di interviste; con la terza parte si fa riferimento alle tendenze future innescate dal modello dell'accesso aperto, dall'adozione di social media e metriche alternative oppure da novità introdotte dalle riviste. Seguono una ricca bibliografia, la nota biografica degli autori dei vari saggi e, a chiudere, un indice analitico.
Come dichiarato nella Presentazione

La monografía que aquí presentamos quiere abordar de manera global la situación actual y los principales retos que tiene en estos momentos la edición de revistas científicas y, en especial, de las revistas científica españolas2.

Ad aprire la prima parte del lavoro, il saggio di Angel Borrego – La revista científica: un breve recorrido histórico – che delinea il contesto storico in cui, nella seconda metà del XVII secolo, nascono le prime riviste a carattere scientifico, Journal des sçavans e Philosophical transactions. Sino ad allora, per l'esattezza il 1665, gli scienziati comunicavano tra loro per mezzo di scambi epistolari che, oltre ad essere lenti e coinvolgere un ristretto numero di persone, non permettevano l'emergere di osservazioni critiche (solitamente si spediva il risultato della propria ricerca agli studiosi con i quali i rapporti erano buoni e che difficilmente lo avrebbero contestato). Una tendenza comune consisteva nel rendere indecifrabile il contenuto delle lettere, in modo da non mettere in pericolo quella che Robert K. Merton, più di sessanta anni fa, definì la «priority rule» all'interno di un ambiente competitivo come quello scientifico.
Con la pubblicazione delle prime due testate scientifiche – Journal des sçavans, fondata da Denis de Sallo a periodicità settimanale e il cui primo numero uscì il 5 gennaio 1665, e Philosophical transactions, promossa da Henry Oldenburg, segretario della Royal Society, che vide la luce il 6 marzo dello stesso anno – si gettano le basi della comunicazione scientifica moderna. Sin dalla sua costituzione la Royal Society volle mettere fine alle dispute tra studiosi circa la priorità della scoperta, e alle conseguenti accuse di plagio, creando un registro nel quale venivano annotate le teorie/osservazioni compiute dai membri della società, il nome dello scopritore e la data, pratica, peraltro, ancora oggi esistente sotto forma di pubblicazione della data di ricezione dei manoscritti da parte dei comitati editoriali delle riviste. Oldenburg assegnò il ruolo di registro alla nuova rivista: pubblicando per primo nei Philosophical transactions l'autore rivendicava a sé la «priority rule»3. Per far ciò occorreva superare del tutto il ricorso, da parte degli scienziati, a messaggi 'in codice' e a rendere pubblico, ossia pubblicare, le proprie scoperte nella rivista che, in tal modo, sarebbe stata alimentata senza fatica. Nonostante l'idea innovativa e imprenditoriale, presto ricalcata da altre riviste inglesi, il ricavo economico per Oldenburg fu scarso.
Grazie all'aumento delle società scientifiche crebbe anche il numero delle riviste (oltre settecento titoli intorno al 1800 e più di un migliaio a metà del secolo seguente); inoltre, dal 1850 il governo britannico iniziò a finanziare l'attività della Royal Society con la conseguente crescita della testata che, verso la fine del secolo, si suddivise in due serie, Philosophical transactions A e B. Un'altra tappa fondamentale fu la fondazione, da parte di un membro della Royal Society nel 1869, della rivista più 'impattata' dei giorni nostri, Nature.
Anche a causa della scarsa redditività la pubblicazione delle testate rimase in mano alle società scientifiche per molto tempo, sino alla seconda metà del XX secolo, quando si affermarono nuovi settori di ricerca, quali la fisica nucleare, la ricerca spaziale e la biologia molecolare, e con essi nuove riviste; nel frattempo, l'inglese era diventato la lingua franca della scienza.
In questo contesto si inserì lo spunto innovativo di Eugene Garfield che portò alla realizzazione degli indici citazionali4, il primo dei quali, lo Science citation index, nel 1963. Borrego ricorda come l'adozione degli indici citazionali abbia facilitato l'identificazione dei core journal da utilizzare nella valutazione della ricerca dando vita al sistema che Jean-Claude Guédon chiama «mercato anelastico»5. La posizione di forza acquisita da alcune riviste indusse la 'crisi dei prezzi' delle stesse a partire dalla metà degli anni Settanta dello scorso secolo. Nel frattempo il numero dei titoli pubblicati in costante aumento e l'intensificarsi delle reti di collaborazione tra gli studiosi provocarono un quadro della comunicazione scientifica più dinamico, ma certamente assai complesso.

Vengono, infine, sinteticamente riportati alcuni dati interessanti sull'accesso aperto: del 17% circa di articoli pubblicati in tutto il mondo immediatamente disponibili in accesso aperto6, il 10% si trova nelle riviste open access con costi di pubblicazione (APC, Article processing charges), il 2,5% nelle riviste ibride e il restante 5% nei periodici senza alcun costo. A ciò si aggiunge un altro 5% degli articoli in libero accesso sulla piattaforma dell'editore dopo un periodo di embargo, generalmente inferiore a dodici mesi. Inoltre, circa il 15% degli articoli pubblicati su riviste in abbonamento è depositato ad accesso aperto in archivi istituzionali e pagine web conformemente alle politiche editoriali, a fronte di un 9% di copie 'illecite' (che non rispettano cioè le politiche editoriali) presenti nei social network come ResearchGate.
Segue un accenno alle tendenze future, dai megajournal, «títulos en acceso abierto que publican grandes cantidades de manuscritos que presentan resultados empíricos creíbles, independientemente de su valor potencial»7 al tentativo di mettere in relazione le pubblicazioni con i dati 'grezzi' su cui esse si basano, al microarticle rappresentato da contributi molto brevi frutto di ricerche interessanti ma incomplete o di un esperimento fallito.
Di particolare interesse sono gli ultimi due paragrafi del contributo di Borrego, dedicati all'evoluzione dell'articolo scientifico e alle conclusioni. Un'analisi condotta nel 2002 sui contributi delle riviste, dalle loro origini fino all'inizio del XXI secolo, ha mostrato i cambiamenti stilistici e sintattici manifestatisi a partire dal XVIII secolo (la progressiva scomparsa dei pronomi personali e la preferenza per la forma passiva, l'incremento nell'uso di abbreviazioni tecniche e di dati numerici in forma di tabelle e grafici, la sostituzione di un linguaggio conciso rispetto a uno stile più 'carico', il ricorso sempre più frequente alle citazioni, l'utilizzo delle affiliazioni per gli autori, ecc.)8. Secondo gli autori di questa indagine le trasformazioni avvenute nella struttura e nel linguaggio degli articoli scientifici avrebbero reso questi ultimi il testo ideale da pubblicare in formato digitale spingendo sempre più verso la comparsa di nuovi contenuti nativamente sul web.
Al di là di queste evoluzioni, o forse grazie anche ad esse, la rivista scientifica continua a rivestire un ruolo di primo piano nella comunicazione scientifica: «publicar en una revista prestigiosa continúa siendo el principal objetivo de los investigadores en cualquier disciplina y país»9.

Il secondo contributo della prima parte del volume, dal titolo La situación de las revistas a nivel internacional, è firmato da Miguel Navas e contiene un quadro internazionale dell'evoluzione delle riviste scientifiche. Si fa, innanzitutto, presente che la distribuzione delle riviste nelle varie zone del mondo è assai disomogenea (da una rilevazione del 2004 il 90% delle testate indicizzate nel database citazionale ISI, il predecessore dell'attuale Web of science, risulta concentrata nel Nord America e in Europa). I paesi facenti parte del cosiddetto BRICS10, dove vive il 40% della popolazione mondiale, stanno 'scendendo in campo'.
Vengono mostrati i dati relativi alla distribuzione delle riviste nelle varie realtà geografiche prendendo come fonte sia Ulrich's periodicals directory, sia i due database citazionali internazionali Web of science e Scopus.
Navas illustra quindi le differenze nella distribuzione delle riviste per settore disciplinare evidenziando come il grado di indicizzazione nel Journal citation reports non rispecchi il numero di testate esistenti; infatti, nonostante quasi la metà delle riviste nel mondo appartenga alle aree di medicina, scienze sociali e scienze umane, in JCR la quantità di riviste di chimica, fisica e matematica indicizzate è assai più elevata. Anche il fattore 'lingua' incide pesantemente: se prima della Seconda guerra mondiale il tedesco e il francese giocavano un ruolo centrale, attualmente l'inglese predomina nettamente con l'oltre 64% di riviste esistenti pubblicate in questa lingua, percentuale che sale a più del 94% se si considerano le testate indicizzate nel Journal citation reports.
Esistono database alternativi ai dominanti Web of science e Scopus, come Latindex per l'area dell'America Latina, dei Caraibi, spagnola e portoghese11, SciElo per le medesime aree e alcuni stati del sud Africa12.
Viene, infine, fornito qualche dato interessante sugli editori. Gli editori di riviste scientifiche nel mondo – tra società accademiche, case editrici universitarie ed editori commerciali – erano duemila nel 2005 ed erano responsabili rispettivamente del 30%, 4% e 64% degli articoli pubblicati (dati tratti da JCR). Il 33% di questi editori era di area anglofona e pubblicava la metà dei titoli mondiali. Ma ciò che fa riflettere è che la grande maggioranza (73%) dei duemila editori era rappresentato da case editrici senza scopo di lucro che pubblicavano soltanto il 20% del numero totale delle riviste. Al contrario, nelle mani di quattro grandi aziende occidentali (Taylor & Francis, Elsevier, Wiley-Blackwell e Springer) si concentra l'oltre del 20% del totale delle testate scientifiche mondiali arrivando, a livello di singoli articoli, addirittura al 50% dei lavori indicizzati in Web of science nell'arco cronologico 1973-2013. Le società accademiche e le case editrici universitarie continuano comunque ad essere fondamentali per la comunicazione scientifica gestendo molte riviste, pur poco incisive sul mercato globale.
Navas conclude ricordando che, nonostante il predominio di nazioni come Stati Uniti, Regno Unito, Paesi Bassi e Germania, da vari anni si registra nei paesi emergenti un aumento di produzione e il numero totale delle riviste continua a salire confermando, quindi, la loro funzione prioritaria all'interno della comunità accademica.

María Francisca Abad è l'autrice del terzo saggio del volume (El proceso de revisión por pares) incentrato sul meccanismo alla base delle riviste scientifiche e «uno de los pilares fundamentales del proceso de comunicación científica»13.
La peer review ha un triplice scopo: selezionare i contenuti in base alla politica editoriale della rivista, garantire che i risultati offerti siano basati su ricerche la cui metodologia soddisfi gli standard di qualità e riproducibilità richiesti e, infine, migliorare lo stile espositivo dei lavori presentati. Nella storia delle riviste scientifiche il primo esempio fu il comitato creato nel 1731 dalla Royal Society of Edinburgh con il compito di selezionare i contributi che sarebbero stati pubblicati nei Medical essays and observations, seguito circa venti anni dopo da un comitato in seno alla Royal Society di Londra e ai Philosophical transactions. Il compito di questi primi 'pari' consisteva soprattutto nel valutare il tipo di lavoro e non la sua bontà.
La fondazione di un comitato di esperti non avvenne in maniera organica per tutti gli editori scientifici fino alla metà del XX secolo. Come sottolineato dall'autrice, occorre considerare non solo le difficoltà tecniche concrete nel distribuire le copie degli articoli ai revisori fino all'invenzione della macchina da scrivere, sul finire dell'Ottocento, e soprattutto della fotocopiatrice Xerox nel 1959, ma anche quelle che furono le reali 'molle' per l'introduzione un processo di revisione dei pari, ossia la crescita esponenziale della conoscenza scientifica dopo la Seconda guerra mondiale e il carattere sempre più specialistico e multidisciplinare della ricerca. A livello pratico, l'uso della posta elettronica e il passaggio di numerose riviste al formato digitale ha favorito e accelerato ulteriormente il processo.
Abad descrive poi le fasi in cui si articola la peer review moderna, gli obblighi dei revisori nei confronti degli autori, degli editori e dei lettori delle riviste. Si illustrano quindi i lati critici del processo suddividendoli in mancanza di affidabilità delle revisioni, pregiudizi dei revisori, errori di tipo etico. Un altro limite imputato alla revisione è il tempo che essa richiede e il ritardo che spesso causa alla diffusione/pubblicazione di un contributo.
In merito alla open peer review, tema assai dibattuto all'interno delle comunità scientifiche, viene chiarito un punto importante: nonostante la revisione aperta sia legata al movimento dell'accesso aperto, le due cose non procedono di pari passo. Il primo esempio di open peer review risale, infatti, al 1959, quando la rivista Current antropology introdusse l'open peer commentary, mediante il quale i lavori scientifici venivano pubblicati insieme a commenti di circa millecinquecento parole redatti da esperti del settore. Alla fine del secolo scorso il British medical journal, rivista che ha giocato un ruolo importante nell'evoluzione della revisione, decise di rendere visibile agli autori l'identità dei revisori fino all'adozione, nel 2014, di un modello completamente aperto che prevede la pubblicazione dell'intera vicenda editoriale di ciascun contributo, dalle versioni precedenti del manoscritto fino ai commenti firmati dai revisori e alle risposte degli autori ai commenti di revisori ed editori.
Il contributo di Abad si conclude con un paragrafo dedicato ai meccanismi di revisione preliminare e di post pubblicazione. La prima è resa possibile dai repository ad accesso aperto che contengono le versioni preprint, mentre la possibilità per la comunità scientifica di discutere intorno a opere già pubblicate, rappresentata sin dall'origine delle riviste scientifiche, dall'invio di lettere all'editore, è oggi praticabile mediante sistemi ad hoc di commento degli articoli, quali blog scientifici, social media di ambito accademico (ResearchGate, Academia.edu, Mendeley, solo per citarne alcuni) e strumenti social non specificatamente rivolti alla comunicazione scientifica come Twitter14.
In conclusione, nonostante sia soggetta a bias e possano essere senz'altro migliorati gli strumenti con cui viene attuata, al momento attuale la peer review rimane l'unico sistema funzionante in grado di assicurare la qualità nel processo di produzione della ricerca scientifica.

Segue il corposo saggio dal titolo Evaluar revistas científicas: un afán con mucho presente y pasado e incierto futuro di Emilio Delgado López-Cózar.
L'incremento dei titoli esistenti nelle varie discipline scientifiche ha determinato una forte competizione tra gli editori; ogni rivista cerca di attrarre i migliori autori ed essere, quindi, appetibile per i lettori, innescando così un meccanismo rischioso che porta a misurare il valore di un articolo – e, quindi, dei suoi autori e delle istituzioni che lo hanno prodotto – sulla base del prestigio della rivista stessa. Da qui è scaturita «una auténtica obsesión por confeccionar clasificaciones y jerarquías de revistas, que justifican por sí mismas esa necesidad de valorar las propias revistas»15.
López-Cózar ripercorre i principali passi che hanno condotto alla valutazione delle riviste, da Paul e Elsie Gross16 i quali, negli anni Trenta del secolo scorso, identificarono le testate di area chimica che una biblioteca universitaria all'avanguardia doveva possedere a partire dai riferimenti bibliografici citati nel Journal of American Chemical Society, a Alfred N. Brandon17, che negli anni Sessanta, stilò una lista di libri e riviste essenziali in una piccola biblioteca medica, sino ad arrivare a Eugene Garfield. L'autore mette in evidenza come Garfield fosse consapevole del fatto che la qualità degli indici citazionali dipendesse strettamente dalla qualità delle riviste.
La valutazione delle riviste interessa, per motivi diversi, tutti gli 'attori' della comunicazione scientifica: studiosi, lettori, editori, bibliotecari, sviluppatori delle banche dati bibliografiche, responsabili della ricerca e delle politiche della scienza. I criteri con cui le testate vengono valutate sono riconducibili a due ambiti principali: la rivista come mezzo di comunicazione scientifica e la rivista come istituzione sociale rappresentativa di una comunità scientifica.
Lo scopo delle misure adottate nel primo gruppo consiste nel verificare se la rivista riesca o meno a trasmettere adeguatamente i contenuti scientifici; essa deve, quindi, essere pubblicata regolarmente, adottare un formato standardizzato e una struttura adeguata nella componente fisica e in quella logica (qualità editoriale di una rivista). La qualità editoriale si basa, secondo Delgado López-Cózar, su alcuni elementi, tra cui il rispetto rigoroso delle scadenze di pubblicazione, l'adozione del processo di revisione dei pari, l'implementazione di un sistema automatizzato per la gestione dei manoscritti, l'applicazione di un sistema di controllo che coinvolga tutti i soggetti che ruotano intorno alla rivista per la verifica della qualità della rivista stessa, la professionalizzazione della gestione del processo editoriale, l'esistenza di un comitato editoriale della rivista di buon livello. Naturalmente, la presenza di questi fattori non determina la qualità dei contenuti, anche se la qualità del processo editoriale può condizionare il contenuto stesso della testata.
Altri parametri da tenere in considerazione sono la visibilità della rivista – assicurata dall'indicizzazione nei database citazionali o di settore, nei motori di ricerca dedicati all'ambito accademico e in quelli generali, negli OPAC delle biblioteche – e la sua accessibilità ad accesso aperto. A questo proposito, viene sottolineato come l'indicizzazione in Web of science e Scopus non sia, da sola, un indicatore attendibile del livello di qualità di una rivista; l'inclusione nei database citazionali risponde, infatti, a logiche formali.
Anche l'uso della rivista rappresenta un fattore importante. Purtroppo, però, questo tipo di indicatore non è ancora standardizzato né impiegato su larga scala e non sono molte le riviste che offrono dati pubblici sull'utilizzo dei loro articoli. Analogamente è assai difficile stabilire l''impatto' di una rivista, a partire da quello tradizionale di tipo bibliografico a quello educativo (in materia di istruzione e formazione) e professionale, fino all'impatto esercitato nell'intera società (politico, sociale ed economico).
Dopo la descrizione e l'analisi degli indicatori bibliometrici il saggio di Delgado López-Cózar prosegue affermando che solo attraverso la classificazione degli articoli è possibile classificare le riviste che sono gli aggregati di questi ultimi. Nel far ciò occorre tenere conto di alcune caratteristiche di una testata, quali il suo grado di specializzazione, la dimensione della comunità scientifica cui si rivolge, i ritmi di pubblicazione e uso delle informazioni, il tipo di contributi editi, la dimensione della rivista, la copertura del database usato per la valutazione. Esiste anche la 'qualità percepita' di una rivista, rilevabile mediante questionari.
L'aspetto centrale nella valutazione di una rivista dovrebbe essere l'analisi della qualità del contenuto, assai difficile da misurare. Se, infatti, qualsiasi studioso è in grado di valutare la qualità di un singolo contributo, applicare questo giudizio all'intero contenitore non è un'operazione automatica: «Pero, claro, las revistas son agregados de artículos particulares, y la calidad no puede sumarse sin más; esto es, el todo no es la simple suma de las partes»18. Secondo l'autore occorre attendere una specie di «semantométrica» in grado di analizzare semanticamente i contenuti delle riviste, andando a toccare un argomento molto interessante che meriterebbe un approfondimento in altre sedi.
La capacità di attrazione di una rivista nei confronti dello scienziato che vuole rendere pubblico il proprio lavoro è misurabile attraverso vari indicatori: la quantità di articoli ricevuti (che deve essere commisurata con i già menzionati fattori relativi al grado di specializzazione e alle dimensioni della comunità scientifica o professionale di riferimento), il tasso di accettazione/rifiuto dei manoscritti, la diversità geografica e istituzionale degli autori, il numero di articoli risultanti da progetti di ricerca finanziati. La durata della vita di una rivista costituisce un altro elemento che vale la pena prendere in considerazione, pur anch'esso influenzabile da variabili che non hanno a che vedere con la qualità della testata.
Delgado López-Cózar passa, quindi, ad analizzare il secondo contesto, ossia la rivista come istituzione sociale rappresentativa di una comunità scientifica e, quindi, la rivista come risposta ad un bisogno cognitivo e sociale.
Ci si basa sugli indicatori bibliometrici quali il numero di articoli pubblicati e la loro distribuzione nelle varie sezioni del journal, gli autori maggiormente presenti e le loro affiliazioni, le reti di collaborazioni tra gli autori, i temi più rappresentati, i riferimenti bibliografici e le citazioni.
A conclusione del suo saggio, l'autore ricorda che i criteri esaminati per la valutazione delle riviste scientifiche presentano ognuno punti di forza e criticità e l'adozione di un metodo di misurazione anziché un altro dipende dalle finalità valutative.
Ciò che gli editori non dovrebbero mai dimenticare è la natura delle riviste come mezzo di comunicazione scientifica: le riviste esistono grazie a e per i loro autori e lettori. Il loro compito consiste nell'assicurare agli autori che i loro lavori saranno valutati con rigore e onestà, curati e ampiamente diffusi, così che i lettori possano essere sicuri che le informazioni alla base sono originali, attuali e rilevanti. Il cambiamento del mezzo su cui le riviste si basano, dalla carta stampata al formato elettronico, sta portando a un processo di 'decostruzione' dal contenitore/rivista al singolo contenuto/articolo cui ci si potrebbe chiedere se seguirà un processo simile nell'unità di misura della valutazione scientifica, dal journal all'articolo.

Il contributo di Lluís Anglada, La adquisición de las revistas, amplia il quadro fin qui offerto dai vari saggi affrontando il tema dell'acquisizione delle riviste. Fino alla fine del secolo scorso si procedeva acquistando uno o più titoli direttamente dall'editore; in seguito alla comparsa di ditte aggregatrici come EBSCO e Sweets, si interpose una figura intermediaria che comprava le riviste per le biblioteche fornendo, in qualche caso, anche un servizio di controllo dei fascicoli effettivamente ricevuti19.
Come noto, nel caso delle pubblicazioni seriali è fondamentale che la struttura disponga di un budget fisso che consenta la continuità negli acquisti. La 'crisi dei prezzi' manifestatasi dalla metà degli anni Settanta dello scorso secolo e giustificata dagli editori con motivi vari (l'incremento di contenuto per le riviste cartacee, la diminuzione dei singoli abbonati e dei ricavi pubblicitari in quelle elettroniche)20, ha indotto le biblioteche a stanziare più fondi per le riviste a scapito di altri comparti e servizi. Parallelamente aumentava il numero delle testate e diveniva sempre più importante per gli studiosi pubblicare su riviste prestigiose nel proprio settore.
Anglada ricorda che i primi tentativi di commercializzare riviste in formato digitale risalgono ai primi anni Novanta; l'accesso a queste riviste non era ancora online, ma tramite CD-ROM. La transizione al nuovo ambiente digitale fu rapida ma graduale e, nelle fasi iniziali, l'accesso al formato elettronico fu offerto in aggiunta alle copie cartacee. Peraltro, le riviste sono cambiate meno di quanto era prevedibile; la forma degli articoli e i meccanismi per valutarli e pubblicarli sono, infatti, ancora molto simili a quelli utilizzati nel contesto cartaceo.
Si è poi arrivati agli acquisti tramite consorzi (big deal). Se la critica più diffusa sugli acquisti consortili è rappresentata dall'acquisizione, all'interno di un grande 'pacchetto', di informazioni non utili per la propria istituzione, è innegabile però che questa forma contrattuale abbia garantito un importante contenimento dei prezzi.
Con il movimento dell'open access, mediante la via d'oro (gold road), si è assistito allo spostamento dei costi dal lettore verso l'autore21.
Secondo l'autrice stiamo vivendo una fase di transizione e sarebbe auspicabile raggiungere un accordo con gli editori in modo tale che i fondi attualmente destinati alle sottoscrizioni degli abbonamenti vengano in qualche modo convertiti per il finanziamento della pubblicazione ad accesso aperto. Sono convinta che proprio questo sia il nodo più difficile da sciogliere e la scommessa meno facile da vincere.

La seconda e terza parte del volume curato da Abadal, dato il loro carattere, si prestano a una consultazione diretta dei dati presentati, inerenti non soltanto alle riviste spagnole.
La seconda sezione si apre con il saggio di Remedios Melero (El perfil de las revistas científicas españolas respecto al acceso, derechos de explotación y reutilización de sus contenidos). Viene, innanzitutto, spiegato che due sono le condizioni per considerare una risorsa 'aperta': l'accesso gratuito e libero (o quasi) da barriere che ne impediscano il riutilizzo per scopi responsabili; la gratuità non è quindi sufficiente da sola.
Esistono tre variabili per valutare il grado di apertura degli accessi: l'assenza di barriere economiche, i permessi di riutilizzo e i titolari dei diritti di sfruttamento.
Vengono dunque presentati i risultati di uno studio analitico sulle riviste scientifiche spagnole; la base per l'analisi della tipologia dei journal è stata fornita da Dulcinea22, un database finalizzato ad identificare le politiche editoriali delle riviste spagnole creato per supplire alle lacune di SHERPA/RoMEO23.
Il quadro che emerge evidenzia l'esistenza di riviste, per lo più gratuite, in diverse aree disciplinari – soprattutto nelle scienze sociali e umane – prodotte da istituzioni pubbliche (università, centri di ricerca, società scientifiche, associazioni professionali); prevale l'uso di licenze aperte ed è in aumento il tipo Creative commons, pur nel tipo CC BY NC ND che non permette il riutilizzo commerciale né la realizzazione di opere derivate.

Nel contributo Los modelos de negocio de las revistas científicas en España di Melba G. Claudio-González e Anna Villarroya vengono esposti i dati derivanti da un'indagine sui modelli economici delle riviste spagnole condotta tra la fine del 2012 e gli inizi del 2013 presso circa 1300 responsabili di testate presenti in Dulcinea.
Madrid, la Catalogna e l'Andalusia sono le regioni che pubblicano la maggior parte delle riviste scientifiche; soprattutto riviste accademiche concentrate nel settore artistico e nelle scienze umane e sociali (68% del totale). Per quanto riguarda il formato delle riviste, la metà è pubblicata sia in formato digitale che in formato cartaceo, quasi il 30% solo in forma elettronica e il 20% esclusivamente su carta. La lingua di circa il 5% delle riviste è l'inglese, mentre per il 40% lo spagnolo si unisce all'inglese in proporzioni variabili. La maggioranza delle riviste spagnole si appoggia su sostegni istituzionali e oltre il 75% indica i costi di produzione come la spesa principale. Le riviste si basano fortemente sul lavoro volontario; d'altra parte, il duplice ruolo di redattore scientifico e di amministratore assunto frequentemente dagli editori ostacola una seria professionalizzazione dell'attività.
I modelli di business rilevati sono quattro: un modello di business orientato verso l'accesso aperto e la diversificazione delle entrate; un modello orientato verso l'accesso aperto con una struttura economico-finanziaria fortemente dipendente dagli aiuti istituzionali; un modello orientato verso l'accesso aperto con prevalenza di aiuti istituzionali e spese elevate in servizi esterni; un modello di business tradizionale con una struttura di reddito dipendente dalle quote di sottoscrizione.

Segue un contributo a più mani – Marta Somoza, Javier Guallar, Josep-Manuel Rodríguez-Gairín, Ernest Abadal – dal titolo Presencia de revistas españolas en bases de datos internacionales nel quale si indaga la presenza di testate spagnole in tre tipi di database: i due database citazionali internazionali, DOAJ24, alcune banche dati multidisciplinari e specializzate.
Per lo studio sono stati utilizzati i dati riportati in MIAR (Matriz de información y análisis de revistas)25, un progetto sviluppato nel 2004 da ricercatori del Departament de biblioteconomia i documentació dell'Università di Barcellona al fine di quantificare la presenza delle riviste scientifiche spagnole in banche dati internazionali, che a gennaio 2017 rilevavano circa tremilaquattrocento riviste.
I risultati mostrano una considerevole presenza di riviste scientifiche spagnole nei database internazionali. Oltre il 10% delle riviste in otto discipline – tra cui matematica, chimica, geologia e ingegneria industriale, ma non le scienze umane e sociali – è presente negli indici di Web of science più selettivi (SCI, SSCI e AHCI).
La situazione in Scopus è ulteriormente positiva: sono rappresentate numerose discipline, tra le quali spiccano veterinaria, matematica, chimica, ingegneria civile e informatica con una copertura di oltre il 50% delle loro riviste, e anche l'area socio-umanistica è maggiormente presente. Gli autori evidenziano come, tra le riviste di scienze umane e sociali, quelle di ambito giuridico siano agli ultimi posti in Web of science, Scopus e DOAJ e come il grado di penetrazione dell'accesso aperto sia elevato in alcune discipline – architettura, ingegneria industriale, elettronica e informatica – mentre rimanga basso in altre (giurisprudenza, scienze mediche e sanitarie).

Come già accennato, la terza parte del volume è dedicata alle tendenze future.
Ad aprire, Las revistas científica en el contexto del acceso abierto di Ernest Abadal. Secondo l'autore le riviste open access si trovano oggi dinanzi a tre grandi sfide: l'aumento del loro numero per raggiungere un'egemonia nel sistema; il superamento del dibattito sulla loro qualità; il consolidamento dei canali di finanziamento per il sostegno economico.
Dopo aver chiarito che «El acceso abierto persigue la máxima difusión, uso y reutilización de contenidos científicos, lo que no interfiere para nada en los sistemas de revisión de la calidad de las publicaciones científicas (ya sea el peer review de las revistas o la actividad de los índices y las agencias de evaluación)»26, Abadal fornisce un quadro generale delle riviste ad accesso aperto basato sui dati presenti in Ulrich's e in DOAJ.
Viene poi riassunto il dibattito che ruota attorno alla qualità dei titoli disponibili in open access, riportando i dati sulla percentuale di riviste open access presenti in Web of science e Scopus e descrivendo il fenomeno delle riviste predatorie, usato talvolta per criticare le testate ad accesso aperto. I principali canali di finanziamento per le riviste ad accesso aperto sono il pagamento delle tasse (APC), i finanziamenti pubblici e i consorzi di utenti27.
Abadal sottolinea, infine, come l'aumento della quantità e della qualità delle riviste scientifiche open access dipenderà dalle politiche di supporto che saranno attuate e rimanda a tre directory internazionali in cui sono censite le politiche seguite dalle maggiori istituzioni accademiche e agenzie di finanziamento della ricerca: Sherpa / Juliet, ROARMAP, Melibea28.
Il saggio si conclude con una riflessione sulle due 'vie' dell'open access – green e gold – sulla scia del dibattito originato dall'uscita del Rapporto Finch nel 2012 in cui si sostiene l'opportunità di adottare esclusivamente la via d'oro29. In Spagna la priorità è data invece alla 'via verde' che prevede l'archiviazione dei prodotti della ricerca nei repository.
A oltre quindici anni dalle prime dimostrazioni pubbliche a favore dell'accesso aperto (Budapest open access initiative), si può ritenere che il movimento di trasformazione del modello di comunicazione scientifica sia riuscito – purtroppo, aggiungerei, non dovunque e non con la stessa forza – a convincere la comunità accademica e la società dei vantaggi che comporta. Naturalmente, per ottenere un avanzamento nel percorso è necessaria una leadership forte, attualmente garantita dalla Commissione europea, e lo sviluppo di nuovi modelli di finanziamento.

Redes sociales y altmetrics: nuevos retos para las revistas científicas
è il titolo del saggio di Candela Ollé e Alexandre López-Borrull incentrato sul ruolo dei social network. Nella prima parte del capitolo vengono descritti sei social media, alcuni generali e altri di ambito accademico (ResearchGate, Academia.edu, Mendeley, Twitter, LinkedIn, Facebook); di ogni piattaforma sono illustrate le caratteristiche principali e, talvolta, le metriche 'proprietarie' (RG score). Sono mostrati anche i risultati di una vasta indagine internazionale del 2014 sull'uso delle reti sociali presso gli studiosi che dimostrano un buon livello di consuetudine con questi strumenti30.
Può forse essere utile accennare al fatto che un'indagine simile, svolta a fine 2013 in Italia su un campione di oltre 6000 partecipanti, ha messo in luce non soltanto una scarsa considerazione dell'utilità dei social media nella didattica (solo un terzo del totale li ritiene efficaci), ma anche disinteresse e scetticismo nei confronti di questi strumenti, ritenuti costosi in termini di tempo e non supportati dalle istituzioni31.
Nella seconda parte del saggio, dopo aver introdotto le metriche alternative o altmetrics32 e averne illustrato le potenzialità, Ollé e López-Borrull si soffermano sui vantaggi che le riviste possono derivare dalla presenza nelle piattaforme social: visibilità, maggiore impatto, dinamismo delle comunità scientifiche che ruotano attorno alle riviste, elaborazione di una strategia specifica per i social network e di nuovi canali (per esempio, quello audiovisivo) per la diffusione dei contenuti, revisione dei pari mediante gli strumenti social, disseminazione dei set di dati associati agli articoli pubblicati sulle riviste.
Gli autori concludono il loro contributo sottolineando che «las métricas alternativas tienen que convencer todavía a toda la comunidad científica de que son una aportación válida para evaluar la ciencia»33 e che questa sarà la sfida dei prossimi anni per gli editor delle riviste scientifiche.

Alexandre López-Borrull chiude il volume con Cambios y tendencias en la publicación de revistas científicas.
Le riviste scientifiche vengono definite, con un'efficace metafora, «specie viventi che, come tali, vengono create e scompaiono»34. Descrivendo il processo di trasformazione cui esse sono state sottoposte dagli anni Novanta del secolo scorso in avanti, con l'affermarsi degli ejournal, l'autore sottolinea la negatività di mantenere la doppia versione, su carta e in formato elettronico, che non solo ha comportato investimenti maggiori da parte dei fruitori, ma ha spesso frenato la realizzazione di servizi a valore aggiunto della rivista e, soprattutto, l'innovazione nei nuovi formati.
Vengono, quindi, illustrate le principali novità nella pubblicazione delle riviste scientifiche, a partire dai megajournal, testate interamente elettroniche che mirano a pubblicare il maggior numero possibile di articoli. Grazie all'adozione di criteri di revisione basati 'soltanto' su accuratezza e solidità dei contenuti, ma non sul carattere innovativo o l'importanza, i tempi di pubblicazione risultano più rapidi e diviene minore la 'pressione' per esercitare selettività in base all'impatto previsto. La prima 'mega rivista' è stata PLOS ONE35, fondata nel 2006; nel 2013 ha oltrepassato i 13.000 articoli editi. Secondo López-Borrull, se da una parte l'indicizzazione nell'ISI Journal citation reports e un alto fattore di impatto hanno contribuito alla crescita della rivista, dall'altra quest'ultima ha influenzato l'impatto; va tenuto, inoltre, conto del ruolo giocato dalle metriche alternative a livello di singolo articolo. Dopo un rallentamento nel ritmo di pubblicazione (il numero di articoli pubblicati è sceso, nel 2015, a poco più di 28.000), dovuto a fattori di vario tipo, è stata annunciata l'intenzione di apportare alcuni cambiamenti funzionali in PLOS ONE.
Altri megajournal sono comparsi sulla scia di PLOS ONE, tra cui SAGE open36 nel 2011 e IEEE access37 due anni più tardi. È interessante notare come per il terzo titolo ricordato dall'autore, Springerplus fondato nel 2012, sia stata dichiarata la cessazione a distanza di quattro anni38 motivata, tra le altre cose, dalla nascita nel 2015 del gruppo Springer Nature39, titolare di un altro megajournal nato nel 2011(Science reports)40. Quest'ultima 'mega rivista' potrebbe, secondo alcuni studiosi, sorpassare PLOS ONE in termini di articoli editi grazie un maggior impact factor, una linea meno restrittiva nella diffusione dei dataset e alla rapidità nel processo di pubblicazione.
Inevitabilmente, anche tra i megajournal si assiste, purtroppo, al fenomeno dell'editoria predatoria. A livello di citazioni, secondo uno studio, le riviste tradizionali contengono un maggior numero di articoli poco citati rispetto a quelli presenti nei megajournal.
Uno spunto interessante è fornito dall'idea di realizzare una 'mega rivista' nel settore delle scienze del libro e del documento (uno degli acronimi proposti è PLoLIS - Public library of library and information science) che, a parere di alcuni, avrebbe ricadute positive sulla disciplina – una maggiore collaborazione accademica e attivazione di progetti europei, lo spostamento dell'impatto dal livello della rivista a quello del singolo articolo, una riduzione nel numero delle riviste con la conseguente ottimizzazione dei costi e degli sforzi – accompagnate inevitabilmente anche da rischi e svantaggi, quali un 'oligopolio', la perdita di ricchezza linguistica e culturale, un'efficace conservazione del materiale pubblicato in precedenza. In futuro, dovranno certamente essere analizzati gli effetti dell'affermarsi delle 'mega riviste' sui journal tradizionali.
López-Borrull passa poi a descrivere le interazioni tra le riviste e i dati della ricerca. Esistono tre modi con cui gli studiosi possono diffondere i dati scientifici:
1) pubblicazione come 'oggetti' indipendenti all'interno di un repository dei dati della ricerca: se gli archivi sono realizzati e manutenuti correttamente, questa modalità garantisce la conservazione e il corretto trattamento dei dati, nonostante ci sia il rischio di un collegamento non efficace tra i dati e le conclusioni che derivano;
2) pubblicazione contestuale agli articoli (enriched publication): si tratta della strategia ottimale, attuata da PLOS. Nelle enhanced publication, invece, le informazioni pertinenti all'articolo sono ad esso collegate;
3) pubblicazione autonoma dei dati sotto forma di data paper in un data journal o su una rivista tradizionale: viene esteso il modo classico di concepire gli articoli sino a delineare un possibile approccio futuro tra archivi di dati e riviste. Un data paper è una pubblicazione finalizzata a descrivere i dati anziché soffermarsi su un'indagine o riportarne le conclusioni, limitandosi a includere i dati senza le ipotesi, i risultati o i commenti; di conseguenza, un data journal è una rivista specializzata nella pubblicazione di data paper.

Questo tipo di riviste sono generalmente ad accesso aperto (ma con APC) e caratterizzate da un'elevata eterogeneità disciplinare in aree scientifiche che ricorrono massivamente ai set di dati, come la fisica, la biologia e le scienze della terra. Solitamente, la revisione dei set di dati è certificata mediante l'assegnazione di un DOI ed è proprio «el apartado de la revisión es clave para considerarlas revistas»41. Il rovescio della medaglia è rappresentato dal rischio di 'gonfiare' il numero di pubblicazioni degli studiosi mediante la frammentazione della ricerca, pratica che parrebbe riconducibile al 'metodo' chiamato salami slicing42.
In un contesto dominato dal numero di citazioni e dall'impatto è prioritario stabilire cosa e come citare; in questo senso, la Joint declaration of data citation principles ha stabilito che «data should be considered legitimate, citable products of research. Data citations should be accorded the same importance in the scholarly record as citations of other research objects, such as publications»43. Inoltre, Elsevier ha sviluppato tre nuovi tipi di articoli – data articles, software articles e materials and method articles – pubblicati in tre nuove riviste scientifiche, rispettivamente Data in brief, SoftwareX e MethodsX; è plausibile ipotizzare che questi journal trovino, in futuro, una loro collocazione nell'ecosistema scientifico.
López-Borrull si chiede, poi, se esista una struttura alternativa per l'articolo scientifico che non sia quella assunta nel corso degli anni costituita da alcuni elementi fissi, quali parte introduttiva, metodologia, risultati, discussioni, conclusioni e riferimenti bibliografici; su questo 'scheletro' viene costruito il paper in tutte le discipline scientifiche, pur con alcuni lievi differenze da un'area ad un'altra, con il fine di rendere noti novità, progressi, conferme, confutazioni.
Alcune riviste hanno ideato visualizzazioni innovative per gli articoli; il progetto Article of the future di Elsevier intende superare le versioni in PDF o HTML simili, nelle impostazioni, alla versione cartacea e, per far ciò, vengono aggiunti all'articolo molti altri contenuti arricchiti e collegati all'interno di un design pulito e intuitivo. Un altro contributo interessante alla visualizzazione e al formato degli articoli sono i graphical abstracts promossi da alcune riviste, vale a dire rappresentazioni visive concise della ricerca presentata.
Nell'ultima parte del saggio viene sviluppato il tema delle 'nanopubblicazioni' e delle metriche al livello del singolo contributo: secondo alcuni studiosi, le 'nanopubblicazioni' – le più piccole unità di ricerca pubblicabili di un articolo o di un set di dati – diffonderebbero piccole parti di informazioni ad alto valore aggiunto indipendentemente dall'articolo e potrebbero essere seguite e collegate ai loro dati originali di ricerca. Come sottolineato dall'autore, al di là del concreto successo di questa iniziativa che probabilmente coinvolgerà solo alcune discipline, è interessante è la prospettiva di disseminazione di unità più piccole della ricerca a cui si attribuisce la citabilità e la tracciabilità per verificare il loro impatto sulla comunità scientifica. L'ingresso di questi nuovi 'nanoprodotti' all'interno della comunicazione scientifica potrebbe peraltro favorire un rapporto reale tra social network e riviste scientifiche.
Il saggio e l'intero volume si chiudono ponendo una serie di spunti.
Se, da una parte, alcuni editori predicono la fine delle tradizionali riviste scientifiche, in quanto troppo lente, limitate, potenti, statiche, costose e dipendenti da un modello errato di business, altri propongono, sulla scia di Bauman

una «publicación líquida» para solucionar los problemas detectados en el sistema de comunicación científica, y apostaban por los objetos de conocimiento científico (SKO), unos objetos que podrían evolucionar (dinámicos), hechos a partir de la colaboración y que serían moldeables, apilables y ajustables44.

Secondo questa visione la rivista 'tradizionale' scaturirebbe da una selezione di quegli 'oggetti'
ordinati in base a criteri tematici o di altro tipo che, «como piezas de un juego de construcción»45 darebbero vita a set dinamici potenziati dai social media.
López-Borrull conclude affermando che, tra tutte le proposte avanzate, l'idea della 'mega rivista' collegata ai repository appare la più dirompente. In un contesto come quello informativo attuale, dominato da una mole crescente di dati, il passaggio da migliaia di journal contenenti pochi articoli a poche riviste con migliaia di contenuti è naturale; il presupposto, alla base, che deve rimanere valido è l'esistenza del processo di peer review e la valutazione delle istituzioni. Per il resto, solo il tempo svelerà la forma che assumeranno gli articoli e, soprattutto, l'effettiva realizzabilità di un nuovo modello di comunicazione scientifica che sostituisca le attuali riviste assumendone, però, integralmente i requisiti.

Numerosi sono gli spunti offerti da questo lavoro che copre temi a cavallo tra le scienze del libro e del documento, la sociologia della scienza e la scientometria. La ricostruzione storica delle trasformazioni delle riviste scientifiche, il ruolo di registro che assunsero sin dalla loro nascita al fine di rivendicare la «priority rule» di un'idea o di una scoperta fino a divenire il veicolo principale di trasmissione della conoscenza, oltre ad essere un tema interessante per quanti si occupano di storia della scienza, costituisce a mio parere un terreno di cui tutti gli studiosi dovrebbero essere consapevoli.
In una 'società della valutazione' come quella attuale – e non soltanto in ambito accademico, basti pensare agli insistenti sondaggi che quotidianamente ci vengono somministrati per giudicare la bontà di servizi sociali e commerciali – conoscere i meccanismi con cui si è arrivati a stabilire parametri, misure e strumenti può rappresentare l'unica via per apportare correttivi a un sistema che, al pari di tutte le procedure valutative, è imperfetto e migliorabile. Tenendo conto del fatto che non esiste, per definizione, un indicatore perfetto e di quanto complesso sia l'oggetto che si intende 'misurare', la scienza, sono convinta che siano altrettanto infruttuose un'adesione entusiastica e incondizionata, da una parte, e una posizione di rifiuto tout court dall'altra.
Se è naturale monitorare l'andamento dei servizi elargiti dalle strutture per le quali i ricercatori lavorano che, nel caso delle università si concretizza in due direzioni (ricerca e didattica, quest'ultima scarsamente considerata nelle procedure valutative), diventa invece illogico e controproducente ai fini del miglioramento degli stessi servizi basare il giudizio unicamente su un unico indicatore. Anche la più quotata rivista scientifica non è in grado di garantire sempre e in modo inconfutabile la qualità di un contributo, ma questo non significa – né può portare ad affermare – che la qualità dei journal sia un fattore che non incide sulla bontà dei contenuti: il vaglio scrupoloso dei revisori e un efficiente funzionamento editoriale rappresentano senza dubbio un controllo e, allo stesso tempo, un mezzo per garantire e/o aumentare il valore di un lavoro.
In conclusione, l'esistenza di riviste affidabili è una condizione indispensabile per la comunicazione scientifica e il progredire della scienza; esse sono lo snodo tra studiosi, lettori e il resto della società e, proprio in virtù di questa funzione, hanno assunto un'importanza crescente nel corso dei secoli assicurando agli editori margini di profitto e interessi notevoli. Senza sbilanciarsi in previsioni assai difficili circa la forma che assumeranno le riviste e gli articoli scientifici del futuro, credo che non dovremmo dimenticare mai che questi 'oggetti' esistono grazie a e per i loro autori e lettori.

Note

Oggetto dell'articolo è una riflessione su Revistas cientifícas: situación actual y retos de futuro, Ernest Abadal (ed.). Barcelona: Edicions de la Universitat de Barcelona, 2017. Pubblicato anche online ad accesso aperto, con licenza pubblica Creative commons Attribuzione-NonCommerciale–NonOpereDerivate 4.0 Internazionale: http://www.publicacions.ub.edu/ficha.aspx?cod=08744.
Ultima consultazione siti web: 31 marzo 2019.

[1] Ernest Abadal aveva già trattato in numerose sedi il tema delle riviste scientifiche, inclusa AIB studi (cfr. Ernest Abadal; Javier Guallar; Lluís Codina, Sistemi di documentazione della stampa periodica: quali sono e come valutarli?, «AIB studi», vol. 54 (2014), n. 1, p. 75-86, DOI: 10.2426/aibstudi-9486. Traduzione del testo spagnolo Sistemas de documentacioìn de prensa ¿cuaìles son y coìmo evaluarlos?

[2] Ernest Abadal, Presentación. In: Revistas cientifícas: situación actual y retos de futuro, Ernest Abadal (ed). Barcelona: Edicions de la Universitat de Barcelona, [2017], p. 14.

[3] Robert K. Merton, Priorities in scientific discovery: a chapter in the sociology of science, «American sociological review», 22 (1957), n. 6, p. 635–659. «We begin by noting the great frequency with which the history of science is punctuated by disputes, often by sordid disputes, over priority of discovery. During the last three centuries in which modern science developed, numerous scientists, both great and small, have engaged in such acrimonious controversy» (ivi, p. 635). Si veda anche Michael Streven, The role of the priority rule in science, «The journal of philosophy», 100 (2003), n. 2, p. 55-79.

[4] Tra i contributi recenti esistenti nel panorama italiano: Nicola De Bellis, Introduzione alla bibliometria: dalla teoria alla pratica. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2014; Chiara Faggiolani, La bibliometria. Roma: Carocci, 2015; Simona Turbanti, Strumenti di misurazione della ricerca: dai database citazionali alle metriche del web. Milano: Editrice bibliografica, 2018. In particolare, sull'opera di Garfield, il sistema della comunicazione scientifica e l'accesso aperto, si veda il primo capitolo dal titolo La citazione bibliografica nella comunicazione scientifica moderna in Fabio Venuda, La citazione bibliografica nei percorsi di ricerca: dalla galassia Gutenberg alla rivoluzione digitale. Milano: UNICOPLI, 2012, p. 11-47.

[5] Cfr. F. Venuda, La citazione bibliografica nei percorsi di ricerca cit., p. 26 e Simona Turbanti, L'editoria scientifica e la valutazione / Scientific publishing and research assessment, «Il capitale culturale», 17 (2018), p. 59-69: p. 65-66, DOI: http://dx.doi.org/10.13138/2039-2362/1909.

[6] Borrego trae i dati da un rapporto del 2015, Monitoring the transition to open access: a report for the Universities UK Open Access Co-ordination Group, https://www.acu.ac.uk/research-information-network/monitoring-transition-to-open-access. Da segnalare che, a dicembre 2017, è stato pubblicato un nuovo report (https://www.universitiesuk.ac.uk/policy-and-analysis/reports/Documents/2017/monitoring-transition-open-access-2017.pdf) e può essere interessante confrontare i dati a due anni di distanza dalla precedente rilevazione.

[7] Angel Borrego, La revista científica: un breve recorrido histórico. In: Revistas cientifícas cit., p. 30.

[8] Alan G. Gross; Joseph E. Harmon; Michael Reidy, Communicating science: the scientific article from the 17th century to the present. Oxford; New York: Oxford University Press, 2002.

[9] A. Borrego, La revista científica cit., p. 34.

[10] Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica; l'acronimo diventa BRICKS se si include la Corea del sud.

[11] Cfr. http://www.latindex.org/latindex/inicio.

[12] Cfr. http://www.scielo.org/php/index.php.

[13] María Francisca Abad, El proceso de revisión por pares. In: Revistas cientifícas cit., p. 53.

[14] Per una descrizione e 'catalogazione' dei vari social, oltre che per un'analisi del tipo di metriche che si possono ricavare da strumenti di questo tipo, mi permetto di rimandare a Simona Turbanti, La visibilità – e l'impatto? – nel Web ai tempi dei social: i principali strumenti di altmetrics, «AIB studi», 56 (2016), n. 1, p. 41-58, DOI: http://dx.doi.org/10.2426/aibstudi-11410.

[15] Emilio Delgado López-Cózar, Evaluar revistas científicas: un afán con mucho presente y pasado e incierto futuro. In: Revistas cientifícas cit., p. 74-75.

[16] I coniugi Gross sono ritenuti gli antesignani della bibliometria, cfr. Paul L. K. Gross, Elsie M. Gross, College libraries and chemical education, «Science», 66 (1927), n. 1713, p. 385-389.

[17] Alfred N. Brandon, Selected list of books and journals for the small medical library, «Bulletin of the Medical Library Association», 53 (1965), n. 3, p. 329-364, https://www.ncbi.nlm. nih.gov/pmc/articles/PMC198289/?page=1. Come nota l'autore, l'opera di Brandon ha avuto venti edizioni ed ha rappresentato un riferimento valido sino al 2003.

[18] E. Delgado López-Cózar, Evaluar revistas científicas cit., p. 96.

[19] In realtà, in questa ricostruzione manca un passaggio fondamentale; l'acquisizione diretta delle riviste presso l'editore ha coesistito a lungo con l'acquisto tramite intermediari commerciali, dalle piccole librerie specializzate sino a ditte di dimensioni maggiori per poi arrivare ad aziende internazionali come EBSCO e Sweets. Per una sintesi efficace sull'evoluzione nella relazione tra le fasi della ricerca scientifica e i livelli di intermediazione, si veda PierFranco Camussone; Diego Ponte, La comunicazione scientifica nell'era digitale: il conflitto tra innovazione e tradizione, «Mondo digitale», 44 (2012), n. 4, p. 1-13.

[20] In base ai dati dell'Association of Research Libraries, nel periodo 1986-2000 il costo medio di un abbonamento a una rivista è cresciuto del 226%.

[21] Tramite la copertura delle spese di pubblicazione da parte dell'autore (APC).

[22] Per maggiori informazioni si veda https://www.accesoabierto.net/dulcinea/.

[23] «SHERPA RoMEO is an online resource that aggregates and analyses publisher open access policies from around the world and provides summaries of self-archiving permissions and conditions of rights given to authors on a journal-by-journal basis», http://www.sherpa.ac.uk/romeo/index.php?la=en&fIDnum=%7C&mode=simple.

[24] Directory of open access journals, cfr. https://doaj.org.

[25] Cfr. http://miar.ub.edu.

[26] Ernest Abadal, Las revistas científica en el contexto del acceso abierto. In: Revistas cientifícas cit., p. 187.

[27] Come esempio di questa terza via di finanziamento viene portato l'esempio di SCOAP3 (Consorzio Sponsoring per Open Access in Particle Physics Publishing), cfr. https://scoap3.org/.

[28] Per maggiori informazioni si veda, rispettivamente, http://v2.sherpa.ac.uk/, https://roarmap.eprints.org/, https://www.accesoabierto.net/politicas/.

[29] Working Group on Expanding Access to Published Research, Accessibility, sustainability, excellence: how to expand access to research publications. Report of the Working Group on Expanding Access to Published Research Findings. 2012, https://www.acu.ac.uk/research-information-network/finch-report-final. Il Rapporto è stato pubblicato in versione aggiornata l'anno successivo: Accessibility, sustainability, excellence: how to expand access to research publications: a review of progress in implementing the recommendations of the Finch Report. 2013, https://www.psa.ac.uk/sites/default/files/page-files/Finch%20Working%20Group%20Report%2C%20Oct%202013.pdf cui ha fatto seguito il Report del 2015 Monitoring the transition to open access cit. Per una descrizione del Rapporto originario del 2012, oltre che per altre questioni, si veda Andrea Capaccioni, La monografia ad accesso aperto e gli sviluppi dell'open access, «JLIS.it», 10 (2019), n. 1, p. 59-71: p. 66, DOI: 10.4403/jlis.it-12516.

[30] Richard van Noorden, Online collaboration: scientists and the social network, «Nature», 512 (2014), n. 7513, http://doi.org/10.1038/512126a. Mi permetto di esprimere una riserva circa l'opportunità di includere tra gli strumenti social Google scholar e Microsoft academic che sono, piuttosto, motori – o 'rami' di motori – di ricerca specifici per la letteratura scientifica che non presentano i caratteri tipici delle reti sociali.

[31] Stefania Manca; Maria Ranieri, I social media vanno all'università? Un'indagine sulle pratiche didattiche degli accademici italiani, «Journal of education, cultural and psychological studies», 10 (2014), p. 305-339: p. 330, DOI: 10.7358/ecps-2014-010-manc.

[32] S. Turbanti, La visibilità – e l'impatto? – nel Web ai tempi dei social cit.

[33] Candela Ollé; Alexandre López-Borrull, Redes sociales y altmetrics: nuevos retos para las revistas científicas. In: Revistas cientifícas cit., p. 218.

[34] Alexandre López-Borrull, Cambios y tendencias en la publicación de revistas científicas. In: Revistas cientifícas cit., p. 221 (traduzione mia).

[35] Per maggiori informazioni cfr. https://journals.plos.org/plosone/.

[36] Cfr. https://journals.sagepub.com/home/sgo.

[37] Cfr. https://ieeeaccess.ieee.org/.

[38] Per i motivi della chiusura si vedano questi post del 13 giugno 2016 nel blog SpringerOpen: http://blogs.springeropen.com/springeropen/2016/06/13/a-few-words-on-sound-science-megajournals-and-an-announcement-about-springerplus/ e http://blogs.springeropen.com/springeropen/2016/06/13/faq-about-springerplus/.

[39] Si veda in proposito un articolo pubblicato nella sezione Press releases del sito di Springer: https://www.springer.com/gp/about-springer/media/press-releases/corporate/springer-nature-created-following-merger-completion/256626.

[40] Cfr. https://www.nature.com/srep/.

[41] A. López-Borrull, Cambios y tendencias en la publicación de revistas científicas cit., p. 231.

[42] In ambito editoriale con salami slicing si intende la scomposizione dei risultati derivanti da una ricerca in molteplici unità/pezzi pubblicabili. Sul tema mi limito a citare: Committee on Publication Ethics (COPE), Cases: Salami publication. 2005, <http://www.publicationethics.org/case/salami-publication> (ultima consultazione: 01/03/2019); Ian Norman; Peter Griffiths, Duplicate publication and 'salami slicing': ethical issues and practical solutions, «International journal of nursing studies», 9 (2008), n. 45, p. 1257–1260; Vesna Šupak Smolèiæ, Salami publication: definitions and examples, «Biochemia medica», 23 (2013), n. 3, p. 237-241; Vikas Menon; Aparna Muraleedharan, Salami slicing of data sets: what the young researcher needs to know, «Indian journal of psychological medicine», 38 (2016), n. 6, p. 577–578, DOI: 10.4103/0253-7176.194906.

[43] Data Citation Synthesis Group, Joint declaration of data citation principles, M. Martone editor. San Diego CA: FORCE11, 2014, https://doi.org/10.25490/a97f-egyk (ultima consultazione: 01/03/2019).

[44] A. López-Borrull, Cambios y tendencias en la publicación de revistas científicas cit., p. 236.

[45] Ididem.