La digitalizzazione della musica popolare italiana:
la Rete degli archivi sonori di musiche di tradizione orale
alla Biblioteca nazionale centrale di Roma

di Andrea De Pasquale

La Rete, dalle sedi regionali alla Biblioteca nazionale centrale di Roma

La Rete degli archivi sonori di musiche di tradizione orale è un progetto avviato nel 2007 dall'Associazione culturale Altrosud al fine di costituire una rete di archivi sonori che, su base regionale, potesse restituire alle comunità locali documenti particolarmente significativi delle proprie tradizioni culturali, facilitandone la consultazione a studiosi ed appassionati, altrimenti obbligati a faticose peregrinazioni, anche fuori dai confini nazionali, alla ricerca delle “membra disperse” di una significativa eredità culturale1.
L'obiettivo immediato del progetto è stato quello di «riportare tutto a casa» - per dirla con le parole di un musicista e premio Nobel per la letteratura come Bob Dylan profondamente influenzato dal folk americano - riunendo su basi regionali gli esiti di una pluridecennale ricerca sul campo avviata, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, dai padri fondatori della moderna ricerca etnomusicologica ed antropologica e proseguita poi, nei decenni successivi, da molti ricercatori privati che, in solitaria e per lo più senza il sostegno delle istituzioni, hanno continuato a incidere su nastro e a fissare su pellicola suoni e voci in cui si sono incarnate le forme dell'espressività popolare. Un'enorme mole documentaria che, articolata in registrazioni sonore, rilevazioni audiovisive e riprese fotografiche, è, in parte significativa, conservata in strutture pubbliche e private, ma a volte tanto gelosamente custodita da risultarvi piuttosto relegata. Una parte ancora più rilevante di questa documentazione giaceva, amorevolmente custodita, su qualche scaffale di libreria o, più spesso, abbandonata in qualche polveroso scantinato, non potendosi i privati ricercatori che l'hanno realizzata sobbarcarsi anche l'onore di una sua sistemazione e messa in sicurezza, attraverso opportuni interventi di riversamento conservativo e di restauro, indispensabili per una possibile restituzione a una fruizione pubblica2.
Realizzato in collaborazione con le principali strutture di settore, tra le quali l'Accademia nazionale di Santa Cecilia, l'AESS (Archivio di etnografia e storia sociale della Regione Lombardia), il Centro di dialettologia e tradizioni popolari di Bellinzona, l'ex Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari di Roma (oggi Istituto centrale per la demoetnoantropologia) e le Teche RAI, e numerosi archivi privati (tra i quali si segnalano per importanza e ampiezza gli Archivi Rinaldi, Paparelli, Pinna, De Simone e Profazio), il progetto ha portato all'emersione di una notevole mole di materiali (sonori, audiovisivi, fotografici e cartacei) in gran parte sconosciuti agli stessi addetti ai lavori, offrendo una ricostruzione delle tradizioni musicali delle diverse regioni che, dagli anni Cinquanta del Novecento, arriva fino ai nostri giorni.
Sei finora gli archivi avviati in Abruzzo, Basilicata, Campania, Marche, Puglia e Umbria, ospitati –là dove già attivati - nelle sedi regionali della Biblioteca nazionale o dell'Archivio di Stato.

I riversamenti in digitale e i più rari interventi restaurativi dei supporti originari sono stati eseguiti presso laboratori specializzati e i lavori di catalogazione sono stati affidati a redazioni composte, per ogni ambito regionale, da esperti ferrati tanto nel campo linguistico quanto in quello musicale. Non poche volte la catalogazione è stata fatta dagli stessi autori delle ricerche, i soli capaci di restituire appieno i contesti, le motivazioni e i particolari relativi al proprio lavoro sul campo. Per ogni archivio sono state attivate consulenze scientifiche con alcuni dei più stimati etnomusicologi italiani: in particolare, Maurizio Agamennone per la Puglia, Nicola Scaldaferri per la Basilicata, Raffaele Di Mauro per la Campania, Valentino Paparelli per l'Umbria, Piero Arcangeli per le Marche, mentre in Abruzzo si è resa superflua la nomina di un consulente scientifico in quanto la redazione annovera i principali ricercatori e studiosi delle tradizioni locali, tra i quali Domenico Di Virgilio, Carlo Di Silvestre, Enrico Grammaroli, Omerita Ranalli e Gianfranco Spitilli.
L'approdo alla Biblioteca nazionale centrale di Roma, che ha contribuito alla realizzazione dell'integrazione di tutte le basi dati, al loro arricchimento e alla costruzione di un unico portale di ricerca, costituisce un traguardo a lungo atteso e ricercato in quanto, raccogliendo l'imponente massa documentaria in una sola teca, finalmente si offre a studiosi ed appassionati la possibilità di ricerche unitarie e valutazioni comparative impossibili a farsi nelle sedi regionali che ospitano soltanto la teca relativa a quella specifica area culturale e geografica.
Con circa 12.000 documenti già acquisiti, catalogati e immessi nel sistema di fruizione e con altrettanto materiale ancora da catalogare, il progetto si configura come una delle iniziative di maggior rilievo realizzate nel nostro paese nell'ambito della valorizzazione dei patrimoni immateriali dopo la ratifica della relativa Convenzione UNESCO da parte del Parlamento e si segnala per l'importanza storico-culturale della documentazione acquisita che, al di là dello specifico musicale, interessa pagine fondamentali della cultura nazionale come, ad esempio, le ricerche di antropologi come Ernesto De Martino e Annabella Rossi, l'opera di artisti e musicisti come Roberto De Simone e Otello Profazio, di registi come Luigi Di Gianni e Alberto Negrin, di uomini di teatro come Eugenio Barba e Annibale Ruccello, di fotografi come Alberto Pinna e Marialba Russo, oltre che ovviamente l'attività dei padri fondatori della moderna etnomusicologia, in particolare Diego Carpitella e Roberto Leydi.
Una dotazione documentaria che risponde peraltro alla vocazione fondamentale della Biblioteca nazionale centrale di Roma, che da qualche anno ha avviato un'ampia politica di valorizzazione e accrescimento delle raccolte letterarie novecentesche, in cui spicca uno specifico filone dedicato agli autori legati alla cultura popolare, da Pier Paolo Pasolini a Italo Calvino, da Alberto Moravia a Carlo Levi, i quali hanno dedicato lavori e interventi di cui resta traccia significativa anche nella Rete degli archivi sonori.
In più la Biblioteca ha ricevuto nel 2017 la donazione della parte più cospicua della biblioteca personale di Tullio De Mauro, a cui è stata intitolata la Sala linguistica dell'Istituto3 e, contestualmente, è stata avviata una collaborazione con la Rete italiana di cultura popolare di Torino a cui è stata donata un'altra parte della biblioteca legata soprattutto alla dialettologia, per ricreare virtualmente l'unitarietà della raccolta.
In linea con questa donazione e ad essa strettamente legato nel nome di Tullio De Mauro è stato donato nel 2018 anche il fondo bibliografico del Centro di documentazione per la poesia dialettale intestato al poeta romanesco Vincenzo Scarpellino, promosso dall'Associazione culturale Periferie e istituito nel gennaio 2002, che si pone come polo di riferimento e di attrazione per studi specifici su lingue minori e poesia dialettale italiana, chiedendo a editori, critici, poeti, l'invio gratuito di volumi e di riviste di poesia dialettale e di relativa critica letteraria per la formazione di un consistente fondo bibliografico sulla poesia dialettale. Al momento il fondo bibliografico è formato da circa 3.000 volumi e riviste di poesia dialettale e relativa critica letteraria, e la Biblioteca nazionale centrale proseguirà nel suo accrescimento.
L'attenzione che la Biblioteca riserva alla poesia dialettale è testimoniata anche nel museo letterario Spazi9004 attraverso due autori legati tra loro da una comune esperienza: si tratta di Pier Paolo Pasolini e Mario dell'Arco che curano insieme l'antologia Poesia dialettale del Novecento del 1952.

Nella sala dedicata a Pasolini non solo una sezione è dedicata all'antologia ma è possibile vedere anche i materiali preparatori della sua seconda antologia, il Canzoniere italiano, dedicata alla poesia popolare, pubblicata nel 1955. La biblioteca conserva un elenco del materiale bibliografico raccolto durante la preparazione del volume, nel quale, accanto all'indicazione dell'opera, è indicata la collocazione del libro posseduto dalla Biblioteca nazionale. È la prova evidente di come lo scrittore abbia frequentato l'Istituto per approntare l'antologia della poesia popolare.
Nella seconda galleria degli scrittori, a Mario dell'Arco è dedicato uno spazio in cui viene ricostruito, grazie alla donazione da parte della famiglia, lo studio dell'abitazione di Genzano con gli arredi originari: la libreria con i suoi oggetti, il tavolo con due sedie e la macchina da scrivere, il vaso cinese e due disegni di Mino Maccari. Mario dell'Arco è riconosciuto dallo stesso Pasolini come «il più nuovo (anzi l'innovatore) della letteratura romanesca». Per la sua intensa attività nello scenario culturale romano degli anni Cinquanta, Dell'Arco è infatti da considerare una figura chiave della poesia dialettale novecentesca. Nel touch screen presente nella galleria è anche possibile ascoltare le sue canzoni romanesche.
La restituzione di tutti questi patrimoni a una fruizione pubblica consentirà di comprendere la loro importanza anche ai fini di una ricostruzione, non mutila né parziale, della storia nazionale, dato che quei canti e quelle musiche hanno incarnato saperi e abilità ed espresso valori e aneliti largamente condivisi, in una dimensione collettiva, all'interno delle comunità in cui si sono originati e sviluppati.

Il sistema di fruizione

Il sistema di fruizione consiste in un sistema di immissione dati multi-operatore, per consentire ai collaboratori di inserire i dati di propria competenza attraverso accessi esclusivi, e multimediale in grado di gestire e consentire ricerche integrate di risorse documentarie (file audio, audiovisivi, fotografici, cartacei) senza dover realizzare 'archivi' separati (come succede ad esempio in quello degli archivi di etnomusicologia dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia), che complica non solo la realizzazione di un'architettura coerente della banca dati e la nidificazione e relazione tra i diversi documenti, ma anche la ricerca per l'utente finale, obbligato ad operare separatamente sui diversi archivi.
Due le modalità di fruizione: parziale online (max 40 secondi per i file audiovisivi e sonori) e integrale nelle sedi fisiche dell'archivio.
Da un punto di vista strettamente tecnico il sistema utilizza linguaggi open source (php e MySql) ed è basato su piattaforma con licenza GPL (Joomla). L'impianto grafico e le modifiche ai file per la personalizzazione del database sono stati studiati e realizzati in esclusiva dalla Squilibri srl. per la Rete degli archivi sonori e possono essere utilizzati solo su licenza.
La banca dati della Rete per gli archivi sonori, suddivisa in archivi regionali, si articola dunque in fondi relativi agli autori delle ricerche (ad esempio il Fondo Leydi) o alle istituzioni presso le quali le ricerche sono conservate (ad esempio il Fondo del Museo delle genti d'Abruzzo). Ogni fondo è a sua volta suddiviso in raccolte relative a un'area geografico-culturale (ad esempio la conca ternana) o anche a singoli paesi (Carpino), repertori (I canti della notte dei fornai di Toritto), strumenti (l'organetto nella Valle d'Itria) e interpreti (Niceta Petrachi detta la Simpatichina) particolarmente rappresentativi di una determinata tradizione musicale.
Senza precedenti né riscontri la messe documentaria raccolta all'interno della Rete degli archivi sonori che offre così una panoramica ad ampio spettro sulle musiche di tradizione orale del nostro paese, sia pure limitatamente alle regioni finora prese in considerazione, e tale da consentire ricerche e studi impossibili a farsi in precedenza.
La possibilità di cogliere e valutare in una prospettiva comparativa gli elementi costitutivi e caratterizzanti di una tradizione, in effetti, è uno degli esiti più rilevanti dell'intero progetto assieme all'emersione di materiali inaccessibili ai più e sconosciuti spesso agli stessi addetti ai lavori, come le straordinarie ricerche sui carnevali campani di Annabella Rossi e Roberto De Simone, derivate dallo spoglio e dai riversamenti delle bobine dell'ex Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari, o anche gli sterminati archivi privati di Giovanni Rinaldi, di Valentino Paparelli e Dario Toccaceli che, con oltre 1.000 documenti ciascuno, indagano approfonditamente le forme espressive nonché i contesti sociali di appartenenza e i repertori più diffusi rispettivamente nel Tavoliere di Puglia, in Umbria e nelle Marche.
Un dato altrettanto significativo che risalta dalla dotazione documentaria della Rete degli archivi sonori, ed impossibile a cogliersi in archivi settoriali organizzati attorno a un solo ambito o anche circoscritti e limitati nel tempo, è la grande vitalità di una cultura che, a dispetto delle ricorrenti dichiarazioni di morte della tradizione, si ritrova negli stessi contesti sociali, sia pure con inevitabili scarti e modificazioni da una generazione all'altra, segnando un'insospettabile continuità di azione ed influenza che risalta proprio dall'accostamento di raccolte così distanziate negli anni. Per limitarsi a un solo esempio, i musici-terapeuti del tarantismo che, guidati da Luigi Stifani, sono indagati da Ernesto de Martino nella sua mitica discesa in Salento nel 1959 sono gli stessi che sono poi intervistati e registrati da Roberto Leydi nel 1966 e, ancora, da Brizio Montinaro e da Giovanna Marini agli inizi degli anni Settanta: dato possibile a rilevarsi solo dall'accostamento e confronto tra le raccolte depositate presso l'Accademia nazionale di Santa Cecilia (De Martino e Carpitella), il Centro di dialettologia e antropologia di Bellinzona (Leydi), il Circolo Gianni Bosio (Giovanna Marini) o quelle di privati ricercatori come Brizio Montinaro e Luigi Chiriatti.
L'unità di base dell'archivio è costituito dalla scheda relativa al singolo documento per il quale è prevista la compilazione dei seguenti campi:

a) titolo (coincidente con l'incipit per i brani cantati);
b) specifica natura documento (audiovisivo, sonoro, fotografico o testuale);
c) descrizione: vale a dire tutto quanto si conosce sul documento medesimo, con un'impostazione descrittiva e un testo libero da vincoli di ogni sorta;
d) durata;
e) luogo;
f) provincia;
g) regione;
h) esecutori;
i) autori.

Per l'utente finale saranno visualizzati solo i campi effettivamente compilati (ad esempio per i documenti fotografici non apparirà la durata).
A questo primo livello, che determina immediatamente l'esito finale dell'archiviazione dei dati nel sistema di consultazione, se ne aggiunge un secondo, più specifico e ulteriormente professionalizzante, nel campo nascosto 'parole chiavi' dove il validatore di tutte le schede dovrà riportare ad unità la pluralità dei dati raccolti, colmando eventuali omissioni o lacune di informazioni, con l'immissione dei termini corrispondenti al dizionario controllato e articolati sui tre aspetti che, insieme, concorrono alla definizione univoca di un fenomeno musicale: contesti (cioè occasioni e funzioni d'uso), aspetti verbali e aspetti musicali. Questo campo non sarà immediatamente visualizzato dall'utente finale che potrà però recuperarne tutti i possibili esiti attraverso il motore di ricerca che gli consentirà dunque di effettuare ricerche sempre più specifiche e calibrate rispetto alle sue esigenze.
La Rete degli archivi sonori, infatti, è organizzata su sistemi di fruizione aperti a tutti e indifferenziati rispetto all'utente finale che può pertanto navigare liberamente nel sistema, seguendo due diversi livelli a seconda delle proprie esigenze: nello specifico, seguendo il primo livello, con un'impostazione descrittiva e una godibilità di gran lunga superiore a quella dei tradizionali sistemi di consultazione, oppure seguendo ricerche più mirate, da effettuare secondo il dizionario controllato attorno al quale è stato organizzato l'intero tracciato catalografico. In altre parole, gli innegabili vantaggi di una rigorosa organizzazione architettonica dei dati, invece che scaricati sull'utente finale, obbligato a seguire le articolazioni per campi che ne deriverebbero, sono stati assorbiti dal sistema in un'area nascosta i cui esiti sono rilevabili soltanto attraverso il motore di ricerca.
Dovendosi misurare con materiali estremamente eterogenei e di diversa provenienza, in molti casi soggetti già alla catalogazione propria degli istituti di provenienza, la Rete degli archivi sonori ha potuto così evitare i non irrilevanti problemi che gravano su ogni archivio musicale per specifiche ragioni e sullo stesso bene etnomusicale la cui complessa struttura può essere paragonata a quello di un triangolo i cui lati sono rappresentati dall'aspetto contestuale (cioè le occasioni, le modalità e le funzioni d'uso), dall'aspetto verbale e da quello musicale (che dal punto di vista morfologico, nella maggior parte dei casi, si influenzano reciprocamente). I sistemi di archiviazione attualmente in uso sono organizzati, per evidenti ragioni di coerenza e praticità, attorno a uno solo di questi aspetti con una relativa efficacia delle indicizzazioni che ne scaturiscono. La complessità dei repertori popolari è tale da non potersi risolvere linearmente né nelle categorie adottate per il bene demoetnoantropologico né per i fenomeni musicali colti nella loro genericità, ed è confermata anche dal fatto che è mancato a lungo un vocabolario di base che potesse consentire di giungere a una definizione univoca, o per lo meno condivisa almeno dagli addetti ai lavori, di un determinato fenomeno musicale. Un'incertezza non da poco, sanata, in parte, dalla pubblicazione del Piccolo vocabolario etnomusicologico di Walter Brunetto, che ha dato un primo e decisivo contributo alla definizione di un lessico strutturato per le musiche di tradizione orale d'Italia. Progettato al fine di agevolare la descrizione catalografica e la ricerca di documenti sonori conservati in archivi e centri di documentazione, il volume di Brunetto è stato adottato come imprescindibile punto di riferimento per gli aspetti tassonomici e definitori dalla Rete degli archivi sonori.
Non solo in relazione a queste difficoltà legate alla specificità dei materiali etnomusicali, ma anche al fine di risolvere preventivamente ogni 'resistenza' opposta da materiali processati secondo altre norme negli archivi di provenienza, il tracciato catalografico degli archivi regionali risulta pertanto impostato sui campi fondamentali presenti in tutti i sistemi attualmente in uso (titolo/incipit se brano con testo, durata, luogo - comune/provincia/regione -, esecutori/strumenti e autori delle rilevazioni), riservando a un campo libero da ogni vincolo -descrizione- tutti gli aspetti più strettamente definitori del fenomeno di volta in volta indagato: una scelta che denuncia l'esistenza di un problema, ma allo stesso tempo offre una sua parziale, anche se provvisoria, soluzione potendo far confluire in questo campo tutti i dati già emersi in archivi organizzati su uno solo dei tre aspetti del 'triangolo', senza precludersi la possibilità di ulteriori specificazioni data la sua capacità di un grado indifferenziato di informazioni, dalla più sintetica alla più analitica.

Gli esiti raggiunti per ogni singola regione

L'Archivio sonoro della Puglia, il primo ad essere stato avviato, consta di 3.842 documenti suddivisi in 17 fondi che, a loro volta, si articolano in 153 raccolte, e offre una rappresentazione in presa diretta del divenire di una peculiare pratica musicale: dalle pionieristiche rilevazioni degli anni Cinquanta di Diego Carpitella, Ernesto De Martino e Alan Lomax fino alle ricerche, altrettanto significative e importanti, condotte negli anni Sessanta da altri illustri esponenti dell'antropologia ed etnomusicologia nazionale come Roberto Leydi, Annabella Rossi e Remigio De Cristofaro, per proseguire nel decennio successivo con le ricognizioni di Luigi Chiriatti e Brizio Montinaro (incoraggiati l'uno da Rina Durante e l'altro da Maria Corti a mettersi sulle tracce di un'eredità significativa tanto dal punto di vista linguistico quanto da quello musicale, come quella della Grecìa salentina) e di Giovanni Rinaldi che, sulla scia dell'insegnamento di Roberto Leydi, si mosse negli stessi anni verso un'organica rilevazione attorno alle culture di matrice orale del Tavoliere. Una storia, quella delle ricerche sul terreno, che continua nei pur deprimenti anni Ottanta, grazie all'impegno di alcuni esponenti del folk revival come Otello Profazio e Ettore De Carolis che, separati anche da notevoli distanze culturali e differenti sensibilità musicali e umane, si misero allo stesso modo sul terreno a documentare suoni e musiche delle diverse comunità, ritrovandosi accanto ad autori del tutto sconosciuti come Salvatore Panizza, pescivendolo di professione ma ricercatore per passione, al quale dobbiamo un'esemplare indagine sui canti processionali in greco di Corigliano d'Otranto mai documentati in precedenza. Su quello stesso terreno si ritrovano oggi gli ultimi esponenti di una ultradecennale ricerca sul campo, spesso privi del pedigree accademico, ma non della determinazione né del corredo strumentale del buon ricercatore, come Giovanni Amati, Massimiliano Morabito e Adriano Castigliego che, dai canti della notte dei fornai di Toritto alla bassa musica di Carbonara, dai riti pasquali di Grumo Appula alla diffusione dell'organetto nella Valle d'Itria, attestano la persistente vitalità della tradizione a dispetto dei ricorrenti lamenti attorno alla sua scomparsa, che si ripetono monotonamente fin dall'Ottocento: una pratica musicale tuttora viva che a volte può riaffiorare anche da uno scavo nella memoria dei più anziani, come quello condotto dal Conservatorio “U. Giordano” di Foggia, che ha recuperato un repertorio, ormai del tutto in disuso, come quello degli 'sciamboli' o 'canti all'altalena' del Sub-Appennino dauno.
La raccolta in teche unitarie, relative alle singole regioni, ha consentito, inoltre, di operare preziosi incroci tra dati conservati separatamente in realtà diverse, come è successo, in particolare, per quella memorabile esperienza di ricerca e spettacolo che è stato il Sentite buona gente di Roberto Leydi che, con la consulenza scientifica di Diego Carpitella e la messa in scena di Roberto Negrin, è stato inserito, per volontà di Paolo Grassi e Giorgio Strehler, nella programmazione per il ventennale del Piccolo Teatro di Milano: così, nel 1967, in uno dei luoghi più emblematici della cultura europea un pubblico urbano ebbe modo di assistere a una rappresentazione di 'canti, balli e spettacoli popolari italiani' con 'le voci vive e vere dei contadini, dei pastori, dei montanari, degli operai' di diverse aree geografico-culturali del nostro paese, dal Friuli Venezia Giulia fino alla Puglia. Un'esperienza estremamente complessa che la Rete degli archivi sonori ha potuto ricostruire per intero grazie all'incastro e intreccio di fondi e raccolte diverse: le Teche Rai hanno messo a disposizione il filmato integrale della riduzione televisiva nonché altre interviste in video e in voce ai protagonisti; il Piccolo di Milano i servizi fotografici di Luigi Ciminaghi, integrati poi con le foto realizzate dallo stesso Alberto Negrin anche nei luoghi originari dei diversi cantori ed esecutori; il Centro di dialettologia e di antropologia di Bellinzona ha dato le registrazioni realizzate a Nardò e Carpino in vista dello spettacolo di Leydi e Carpitella e, infine, la famiglia Leydi ha messo a disposizione una preziosa documentazione cartacea, con la corrispondenza intercorsa con Grassi e Strehler da una parte, e con tutti i cantori ed esecutori popolari dall'altra, consentendo così di cogliere in una visione d'insieme la complessa vicenda di relazioni e studi che stava dietro allo spettacolo. Allo stesso modo, alla copiosissima, e in molti casi, inedita documentazione raccolta su un autore di confine come Matteo Salvatore, presente nel Fondo Profazio e Rinaldi, si aggiungono tutte le sue apparizioni in trasmissioni radiofoniche e televisive a partire dalla sua prima apparizione sugli schermi televisivi nel 1957, mentre alle opere di documentaristi di fama, come Luigi Di Gianni e Gianfranco Mingozzi, si accostano reportages, spesso anonimi, delle 'tarantate' a Galatina o della 'focara' di Novoli negli anni Sessanta, ricavando ulteriori testimonianze anche da fonti insospettate come Eugenio Barba, dalle cui incursioni salentine si affaccia uno strabiliante e ancora giovane Uccio Aloisi impegnato in un episodio del 'baratto culturale' praticato nel Salento dall'Odin Teatret.

Esiti e riscontri, sia pure proporzionati al minor tempo che gli è stato dedicato e alle minori risorse che vi sono state investite, possono riscontrarsi anche negli altri archivi, a partire da quello della Campania, composto al momento da 2.604 documenti suddivisi in 8 fondi e 83 raccolte. Una parte consistente dell'archivio è rappresentato dai fondi del Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari di Roma, attuale Istituto centrale per la demoetnoantropologia, con una quantità notevolissima di materiali inediti e mai resi fruibili in precedenza, in gran parte riconducibili alle attività dell'antropologa Annabella Rossi, dalle straordinarie ricerche sui carnevali campani condotte assieme a Roberto De Simone e Marialba Russo alle indagini sul tarantismo in Campania, fino alle più ampie ricognizioni sulle forme devozionali e le pratiche religiose di tutta la regione. Altrettanto importante la sezione campana dello sterminato archivio di Roberto Leydi, avuta dal Centro di dialettologia e antropologia di Bellinzona, che offre una panoramica di grande interesse sulle tradizioni regionali negli anni Settanta. Allo stesso periodo risale la vasta ricerca condotta dal Teatro Gruppo di Salerno, una delle più originali formazioni musicali e teatrali nella quale militava l'allora giovane Michele Santoro, sul fondo Roberto De Simone, con le registrazioni sul campo e le registrazioni realizzate invece in studio con lo splendido corredo fotografico di Mimmo Jodice; e quella sull'imponente archivio di Paolo Apolito con un'impressionante documentazione sui principali fenomeni culturali del mondo popolare campano. Dalla fine degli anni Sessanta fino ai primi anni Ottanta si estendono invece le ricerche visuali condotte da Luigi Di Gianni, il primo etnodocumentarista di scuola demartiniana con all'attivo numerosi cortometraggi sugli aspetti e i contesti più rappresentativi delle tradizioni campane.
Con 1.830 documenti suddivisi in 12 fondi e 64 raccolte, l'Archivio sonoro d'Abruzzo, colmando lacune enormi nella documentazione esistente, offre alcune delle più antiche registrazioni nella regione, come, in particolare, quelle che Elvira Nobilio realizzò nel 1958 nelle campagne attorno a Penne o, ancora, quelle di don Nicola Jobbi a Cerqueto di Fano Adriano e, più in generale, nella Valle del Vomano a partire dai primi anni Sessanta e, infine, quelle raccolte negli stessi anni durante gli anni di insegnamento in diverse università abruzzesi da Giuseppe Profeta. Ma anche i decenni successivi sono ben rappresentati con i fondi Leydi, Di Virgilio, De Carolis, Anselmi, Menzietti, Circolo Gianni Bosio e Museo delle genti d'Abruzzo che coprono gli anni tra il 1970 e gli inizi del nuovo millennio.
L'Archivio sonoro della Basilicata consta di 1.100 documenti, suddivisi in 14 fondi e 88 raccolte, per lo più riferiti ad anni più recenti, con l'obiettivo di documentare cambiamenti e persistenze intervenuti a seguito delle ormai classiche ricognizioni effettuate sul terreno, a partire dai primi anni Cinquanta da Ernesto De Martino e Diego Carpitella. Emblematiche al riguardo le vaste campagne di ricerca estese a tutto il territorio regionale da Nicola Scaldaferri, etnomusicologo dell'Università di Milano, che ha raccolto un'enorme documentazione sonora e audiovisiva e, con l'ausilio di Stefano Vaja, anche fotografica. In questa stessa direzione si pongono le ricerche di due illustri studiosi stranieri come Steven Feld, antropologo dell'University of New Mexico ad Albuquerque, e Mariko Kanemitsu, etnomusicologa della Yokohama National University, che hanno documentato rispettivamente suoni ancestrali, come quelli dei campanacci, e le musiche per danze che accompagnano gran parte degli appuntamenti devozionali e lavorativi della regione. Di notevole importanza comunque le dotazioni documentarie storiche, tra le quali spiccano il fondo Pinna con tutte le fotografie e i provini che il celebre reporter realizzò al seguito di Ernesto De Martino, le numerose indagini antropologiche di Annabella Rossi, Aurora Milillo e Vincenzo Bassano e le registrazioni che, dal 1965, fece Antonio Bellusci, un sacerdote greco-cattolico appartenente all'Eparchia di Lungro, presso le comunità albanofone della regione.

L'Archivio sonoro dell'Umbria consta di 1.376 documenti che riguardano per lo più le ricerche che Valentino Paparelli ha condotto su tutto il territorio regionale dal 1973 al 1980, con un'ampia e articolata documentazione di repertori e forme espressive, dal canto narrativo (sia nell'ambito epico-lirico sia nelle forme per cantastorie e da foglio volante) al monostrofismo imperfetto (nelle forme monodiche, in quelle bivocali e in quelle accompagnate dagli strumenti a mantice, in contesto di lavoro o in quello di festa), dal canto rituale e processionale all'improvvisazione poetica in ottava rima, dai repertori per la danza al canto sociale e di protesta. Le registrazioni sono realizzate sia in contesti domestici e di fissazione dei repertori memorizzati, sia in contesti pubblici di esecuzione in funzione. Di considerevole importanza inoltre il vasto apparato di interviste, realizzate, a volte, a corredo e commento dei repertori musicali registrati e, a volte, come raccolta autonoma di memorialistica o vere e proprie storie di vita su temi come la Resistenza, le lotte operaie e contadine e molti altri ancora. A completamento del fondo si pongono le ricerche realizzate in Umbria da Alessandro Portelli, suddivise in due raccolte: Terni, che raccoglie i materiali di un'ampia e complessa ricerca sulle fonti orali e la musica tradizionale nella città di Terni, condotta negli anni Settanta e poi di nuovo tra la fine degli anni Novanta e il 2000, e Valnerina ternana, che raccoglie i materiali musicali tradizionali e protestatari del gruppo dei cantori della Valnerina.
Allo stesso modo, anche l'Archivio sonoro delle Marche, con i suoi 672 documenti, riguarda principalmente il più vasto ed esteso archivio privato, quello di Dario Toccaceli costituito tra il 1969 e il 1983 e suddiviso in undici raccolte, in parte costruite attorno a figure di cantori che risaltano per la quantità e qualità dei repertori eseguiti, a volte accompagnati anche da gruppi eterogenei di esecutori. I restanti documenti sonori sono stati accorpati in base a un criterio meramente geografico e distribuiti in quattro raccolte a seconda della provincia di riferimento (Ancona, Macerata, Pesaro-Urbino, Ascoli). Le registrazioni sono state realizzate soprattutto in contesti domestici e nel corso di ripetuti incontri, determinando quindi l'instaurazione di un legame di confidenza e fiducia reciproca che non poche volte traspare dall'ascolto. Non mancano però registrazioni in funzione, sia in contesti performativi (esibizioni in piccole festività locali che danno anche origine ad alcuni degli incontri poi confluiti nella ricerca), sia durante forme rituali tradizionali ('pasquelle' e il rito de 'La Turba' di Cantiano, in particolare).
Infine, si evidenzia la presenza di una non esigua quantità di documenti a carattere di intervista. Questi materiali offrono la possibilità di una conoscenza più ampia degli informatori e delle informatrici coinvolti nelle registrazioni e rendono quindi possibile il confronto dei documenti musicali con il vissuto personale e sociale nei luoghi e nei contesti della ricerca. La datazione della ricerca sovrapposta a quella anagrafica delle persone registrate rende possibile la presenza di riferimenti e l'affiorare di memorie relative a fatti ed eventi storici anche relativamente lontani nel tempo. Tra questi quelli di maggior ricorrenza sono senza dubbio i riferimenti alla prima Guerra mondiale, al fascismo e antifascismo, alle lotte per i patti agrari e per l'orario di lavoro delle lavoratrici in filanda.
Enormi sono le prospettive di sviluppo di un progetto che si annuncia programmaticamente in fieri, coltivando l'ambizione di offrire una rappresentazione in tempo reale delle evoluzioni e persistenze di una specifica eredità culturale tutt'altro che scomparsa dall'orizzonte di vita di gran parte delle comunità della penisola. A parte l'intento di giungere a una mappatura di tutto il territorio nazionale riguardo alle forme dell'espressività popolare, e per quanto lusinghieri possano essere i risultati finora raggiunti, c'è ancora una sterminata quantità di materiali sonori, fotografici ed audiovisivi da porre in sicurezza, catalogare e restituire a una fruizione pubblica: non solo i circa 12.000 documenti, già acquisiti dalla Rete degli archivi sonori, e non ancora catalogati e immessi nel sistema di fruizione, ma anche e soprattutto i documenti che numerosissimi privati con immutato entusiasmo hanno dichiarato e continuano a dichiarare di voler donare alla Rete degli archivi sonori perché resti una testimonianza di una tradizione o di un rito di cui non trovano traccia nella documentazione consacrata negli studi etnomusicologici. Dinamiche di emulazione e processi di partecipazione attivati dalla Rete degli archivi sonori e che attestano l'esistenza di un'urgenza da soddisfare, anche in nome di una biodiversità che dovremmo declinare soprattutto in ambito culturale, e allo stesso tempo delineano un compito per molti versi immane per il quale sarebbero necessarie regolari dotazioni finanziarie.

Note

Ringrazio il prof. Domenico Ferraro, responsabile scientifico del progetto, per la consueta disponibilità e la collaborazione nella redazione di questo testo.

[1] Sulla genesi del progetto: Walter Brunetto, Piccolo vocabolario etnomusicologico: forme, stili, repertori e contesti della musica di tradizione orale italiana. Roma: Squilibri, 2012, in part. p. 9-16.

[2] u queste tematiche, da ultimi: Musique et technologie: preìserver, archiver, re-produire: portraits polychromes, Daniel Teruggi, directeur de publication, Evelyne Gayou, Bruno Bachimont, Angelo Orcalli [et al.]. Paris: INA, 2013; IASA Technical Committee, The safeguarding of the audio heritage: ethics, principles and preservation strategy, co-edited by Will Prentice and Lars Gaustad, contributing authors: Kevin Bradley [et al.], reviewed by the membership of the IASA Technical Committee, Edition 4, 2017. London: International Association of Sound and Audiovisual Archives, 2017; Andrea Valle; Davide Andrea Mauro, Sound ontologies: methods and approaches for the description of sound, in: Michael Filimowicz, Foundations in sound design for linear media: a multidisciplinary approach. London: Routledge, 2019. Per la descrizione dei materiali musicali inediti sono ora da considerare le Norme di catalogazione delle risorse musicali non pubblicate. Roma: ICCU, 2018 http://norme.iccu.sbn.it/index.php?title=Norme_musica_non_pubblicata che fanno esplicito riferimento alle registrazioni sul campo e a scopo di documentazione. Rimangono anche valide le indicazioni della Guida alla catalogazione in SBN. Musica a stampa, libretti a stampa, registrazioni sonore musicali, video musicali, risorse elettroniche musicali. Roma: ICCU, 2012 http://norme.iccu.sbn.it/index.php?title=Guida_musica.

[3] Tullio De Mauro: un intellettuale italiano, a cura di Stefano Gensini, Maria Emanuela Piemontese, Giovanni Solimine, Roma: Sapienza Università, 2018. La biblioteca di De Mauro è infatti divisa tra l'Associazione Rete italiana di cultura popolare di Torino, dove è confluito il fondo di dialettologia, e la Biblioteca di area umanistica dell'Università della Calabria, dove invece si trova un fondo dedicato a Saussure su cui cfr. la relazione di Bruno Gambarana e Giuseppe Cosenza, Distribuire e riunire: la biblioteca e il fondo di Tullio De Mauro, presentata al convegno Il privilegio della parola scritta: gestione, conservazione e valorizzazione di carte e libri di persona, tenutosi all'Università di Salerno il 10-12 aprile 2019, i cui atti sono in corso di stampa.

[4] Spazi900: gallerie degli scrittori, a cura di Andrea De Pasquale e Eleonora Cardinale, Roma: Biblioteca nazionale centrale, 2017; Andrea De Pasquale, I fondi di letteratura del '900 della Biblioteca nazionale centrale di Roma e le collezioni pirandelliane. In: Pirandello mai visto: dalle collezioni della Biblioteca nazionale centrale di Roma e dell'Istituto di studi piranelliani e sul teatro contemporaneo, a cura di Annamaria Andreoli e Andrea De Pasquale. Roma: De Luca, 2019, p. 11-35.