di Alessia Galiano
A volte un popolo dorme come l'acqua di uno stagno in un giorno senza vento
e allora un libro o alcuni libri possono scuoterlo e renderlo inquieto,
possono mostrargli nuovi orizzonti di emancipazione e di solidarietà.
(Federico García Lorca, 1931)
Più di dieci anni fa Alberto Manguel1 immaginava lo stupore che un visitatore, venuto dal passato nelle nostre città, avrebbe provato davanti alle nostre abitudini di lettura. Egli avrebbe visto enormi templi commerciali in cui i libri, suddivisi in ordinate categorie, vengono venduti a migliaia; avrebbe notato lettori aggirarsi tra scaffali in cui testi di carta sono accanto a spettri elettronici ed altri lettori presenti in diversi luoghi del tempo urbano. L'autore ipotizzava che l'antico 'Gulliver' ritenesse la nostra una società colta, salvo accorgersi che molti considerano la lettura un diversivo lento ed inutile e le biblioteche uno scomodo magazzino invece che un'entità viva per il bene collettivo. Utilizzando l'immagine del Manguel, potremmo ora chiederci quale sarebbe la reazione di un bibliotecario del passato davanti all'attuale condizione di suoi colleghi che cercano di stare al passo con i tempi e rivendicano il proprio ruolo tra sussulti di orgoglio, momenti di sconforto e sensi di colpa. Potrebbe egli comprendere i tormenti dei bibliotecari di oggi rispetto alla necessità di elaborare strategie?2 Resterebbe confuso innanzi alle molteplici definizioni coniate da decenni per le biblioteche pubbliche?3 Riuscirebbe ad interpretare una parte sulla scena culturale e sociale tra l'indifferenza dei politici e la partecipazione delle collettività? Forse, inizialmente, saprebbe trovare riparo sotto uno slogan con formule magiche desunte dalla letteratura di settore, declinerebbe ora quella, ora quell'altra idea di biblioteca, potrebbe, persino, vivere momenti di entusiasmo nell'accogliere comunità pronte a condividere nuovi assetti e a popolare sale di lettura; oppure, potrebbe, più verosimilmente, rimanere deluso nel vedere che, dietro tanta vitalità e tensione predittiva, si nasconde il progressivo disfacimento delle biblioteche, si consuma l'isolamento dei bibliotecari, si osservano sempre più comunità interessate a vivere semplicemente uno spazio urbano, indipendentemente dalla storia, dall'identità e dall'offerta dei luoghi ospitanti.
Quest'ultima consapevolezza informa l'agire ed il pensiero quotidiani di larga parte dei bibliotecari del terzo millennio, i quali, archiviate le rivoluzioni digitali e 2.0, sempre più spesso declinano modelli anglosassoni in realtà e strutture impreparate ad accoglierli. In effetti, teorizzare il cambiamento ha fatto emergere e superare posizioni conservatrici e corporativistiche, ma la tentazione di mutuare format, trasformando le biblioteche in meri contenitori di indefinite attività sociali, può essere una provocazione, una tensione positiva per particolari comunità, ma non per tutte. Se, infatti, il bibliotecario è posizionato nella filiera culturale prodotta da un ente locale4, riflettere sul ruolo di un mestiere assume denso contorno di difesa della professionalità5, se non di impegno civico verso quell'alta missione evocata da Federico García Lorca, in occasione dell'inaugurazione della biblioteca comunale nel suo paese natale: «Una biblioteca [che] è un convegno di libri ordinati e selezionati, a formare una voce contro l'ignoranza, una luce perenne contro l'oscurità».6
La 'luce' di cui parla Lorca sembra accendersi grazie ai numerosi premi e incontri letterari, iniziative che non raggiungono l'obiettivo del poeta, poiché spesso appagano l'autoreferenzialità del bibliotecario, la coscienza dell'amministratore di turno, rispondono alle aspettative di chi già legge7 e possiede la propria lingua8, mentre in ombra rimangono i non lettori e restano inesplorate sacche impressionanti d'ignoranza9. Pertanto, le biblioteche di ente locale, provviste di un forte radicamento nell'ambiente che le ha originate e continua a nutrirle, devono senz'altro rispondere alle richieste di cultura e di benessere10 che giungono dal territorio, devono interpretare i bisogni comunitari invece che conformarsi a questo o a quel modello: si tratta di una scelta delicata e piena di responsabilità che sinora è ricaduta sulle spalle dei bibliotecari. Così non può più dirsi in Puglia dove, con l'avviso community library11, i bibliotecari hanno avuto uno schema a cui ispirarsi, sintesi per sommatoria nomotetica di tutte le tipologie di biblioteca finora emerse12, ed hanno dovuto disegnare in poco tempo scenari proiettati nell'arco temporale di ben dieci anni. Le politiche regionali, perseguendo la volontà di imprimere una svolta decisiva, hanno determinato un consistente impegno finanziario senza precedenti, in specie per l'opportunità offerta alle biblioteche di ente locale; hanno anche spinto bibliotecari e decisori politici ad abbandonare l'equazione investimenti/spazi/servizi, per attivare con prassi partecipative il 'riconoscimento' da parte delle comunità. Per individuare il peso di queste ultime si possono senz'altro richiamare le definizioni attribuite dalla sociologia e dalla biblioteconomia, pratiche che condividono, oltre al tetto della storia, l'osservazione di un serio problema di solitudine sociale. Sul fronte sociologico, secondo la definizione di Zygmunt Bauman:
[...] il comunitarismo è una reazione fin troppo prevedibile all'accelerata «liquefazione», della vita moderna, una reazione principalmente a uno specifico aspetto della vita considerato forse il più irritante e molesto delle tante spiacevoli conseguenze che produce: il sempre maggiore squilibrio tra libertà individuale e sicurezza13.
Sul fronte biblioteconomico il termine comunità è legato al territorio/contesto, mentre la biblioteca di comunità è da intendersi come centro/piattaforma di servizi e, nella prospettiva della biblioteca partecipativa, come un organismo che cresce, si costruisce14 come un luogo ove persone diverse incrociano il proprio tempo, trovano risposte e, talvolta, protezione. In tale direzione le biblioteche di ente locale devono organizzarsi con nuovi strumenti ed approcci secondo nuove alleanze15, proponendo altro rispetto a patrimoni e identità16. Questi ultimi, infatti, non sembrano interessare né le comunità, né la politica, in quanto percepiti rispettivamente come muti testimoni del passato e superfetazioni, evocabili nei discorsi nostalgici dei bibliotecari di conservazione ed in quelli retorici degli amministratori. Archiviati questi punti di riferimento, si tende allora ad attivare comodi e scintillanti filtri ed a mettere in scena bisogni in cui la collettività può facilmente riconoscersi17. Questo avverrà, probabilmente, sotto il cielo pugliese grazie all'avviso community library: abiti nuovi rivestiranno luoghi competitivi dove è possibile sviluppare ed osservare prodotti turistici e creativi18, mentre inedite sfide si profileranno per i bibliotecari a confronto con vecchi e nuovi pubblici. Al fine dell'introduzione delle biblioteche tra le buone abitudini sociali, con l'ausilio di volontari ed associazioni19, si potrebbe assistere, quindi, alla trasformazione delle stesse in scatole socio-tecnologiche e, nel contempo, si potrebbero vedere bibliotecari intenti ad osservare e misurare il consumo canalizzato20 e quanto potrà alimentare l'ethos infantilistico21 delle comunità. In questo senso può essere letta anche la pratica dello storytelling che, raccomandata per avvicinare più pubblici alla biblioteca, di fatto può offuscarne fisionomia e mandato. La prassi del racconto, assurta a sistema nell'epoca della cultura convergente22, riempiendo il tempo dell'evasione, offrirà contenuti di qualità e riconoscibilità autoriale indefinite, senza l'intervento del bibliotecario e la sua assunzione di responsabilità rispetto alla neutralità ed all'eventuale subalternità prodotta inconsapevolmente nell'utente23. Chi allora 'garantirà' per le narrazioni? Chi si porrà il problema di probabili nuove sudditanze create per quei soggetti privi di strumenti, messi di fronte a prodotti semplici ed effimeri?24 Chi potrà, poi, evitare il rischio di una frattura tra la dimensione 'sociale' e quella 'culturale', l'una massiva ed accogliente, l'altra elitaria e respingente? A quesiti come questi, forse, risponderanno nuove politiche culturali che, specie in un ente locale, non sempre sono riuscite nel tempo a tenere insieme, attraverso l'amalgama di una progettazione durevole, i vari atomi della società25. Al di là della portata modellizzante26 dell'avviso regionale, caduto nel bel mezzo di un processo avanzato di desertificazione, si pone per i decisori politici l'obiettivo di valorizzare il ruolo di antenna culturale che le biblioteche devono avere per i territori, ed è tempo, come non mai, per i bibliotecari di conoscere, ascoltare e soddisfare la propria comunità.
Per essere una biblioteca di comunità, occorre, si sa, andare incontro ai cittadini, superando la fisicità dei luoghi e anche i propri preconcetti. Oggi, a quasi un quarto di secolo dalla comparsa del fenomeno 'biblioteche fuori di sé'27, questa operazione assume il tempo dell'urgenza, poiché prevede di attivare nel territorio, come biblioteche circolanti del nuovo millennio, hub28 di conoscenza per guardare con occhi nuovi i nodi del vivere urbano. Come chi scrive ha imparato sul campo29, uscire dal tempio significa anche darsi l'opportunità di apprendere dalle istanze della comunità. In questo rapporto, improntato alla massima fiducia, non può essere lasciata al caso la percezione del bibliotecario e, soprattutto, del ruolo e valore della biblioteca in quanto nodo nel circolo della conoscenza. E quale migliore circolo se non quello di portare il libro ovunque? Lasciare la piazza del sapere, per fare piazza con il sapere30, mettendo al centro il cittadino con le sue domande? Per fare questo, non serve consultare manuali e attenersi a codici di comportamento, occorre invece essere consapevoli che, varcata la soglia, ci si mette in gioco, senza barriere, senza imporre nulla, senza adulare alcuno. Ogni biblioteca deve trovare la propria modalità di presentazione all'esterno, partendo dalla concezione degli spazi e dall'organizzazione delle attività, senza aspettarsi grandi numeri e ritorno immediato alla sede: i conti si devono fare sul vissuto, prevedendo inciampi e facendo tesoro degli errori. Un senso di inadeguatezza può imbrigliare il passo di quei bibliotecari lontani persino dall'idea di 'fare vetrina' del proprio lavoro, abituati ad aspettare e, spesso, a non imparare dai frequentatori, siano essi abituali o casuali. Una cosa è visitare qualche istituto scolastico per proporre letture ad alta voce, un'altra è esporsi fuori dalla dimensione protetta, rompendo gli schemi ed accettando di riconoscere i propri limiti; oltre alle perplessità personali e alle resistenze di colleghi, si tratta pure di vincere lo scetticismo dei politici, confrontarsi con la mancanza di risorse strutturali e finanziarie. Ad ogni modo, l'andare 'fuori di sé' deve basarsi sulla volontà e sulla condivisione più che su migliaia di euro, poiché a causa di paure, incomprensioni e penuria di risorse economiche molte biblioteche non sarebbero mai sorte e molte altre sarebbero già chiuse. Per quei bibliotecari pronti a misurarsi con 'il fuori', il bagaglio dovrà essere 'responsabilmente leggero': fatto salvo l'entusiasmo che motiva l'azione esterna, si deve deporre l'atteggiamento evangelizzante, come quello romantico/predittivo/misurativo. Prima di intraprendere il cammino occorre avere un progetto, ma anche coraggio, senza dimenticare che il traguardo non è 'il fuori', ma rimane 'il dentro'. E dove i bibliotecari possono compiere questo particolare viaggio? Una delle possibili risposte è: nei centri commerciali, divenuti le piazze del vivere quotidiano, il terzo luogo31 dopo la casa ed il posto di lavoro dove si celebra il culto dell'acquisto e si fa parte, anche senza reali bisogni, di veri e propri pellegrinaggi. In queste cattedrali del nostro tempo, brulicanti di corpi che si sfiorano in una danza entropica, si orchestrano intrattenimenti culturali per i clienti, si mettono in scena eventi che potremmo definire 'iperculturali'32, che sospendono il tempo del consumo e si introducono pure biblioteche. Quest'ultimo fenomeno merita indubbiamente una certa attenzione, sia dal punto di vista delle biblioteche, sia da quello dei centri commerciali, gli uni luogo dell'essere e del ritrovarsi, gli altri luogo dell'avere e del fare; per entrambi i mondi, in crisi d'identità e di numeri, si può prospettare un'alleanza dalle ricadute positive. Questa intesa si è verificata anche per la Biblioteca comunale U. Granafei di Mesagne che nel 2013 e nel 2014 si è trasferita per qualche tempo presso la Galleria Auchan sita a pochi km dal centro abitato. La mini-biblioteca è stata ospitata presso la Bottega artigiana - Terra dei Messapi, un locale di circa 67 mq, utilizzabile dal Comune per ospitare e promuovere appunto le realtà artigianali locali. Allora chi scrive volle realizzare quest'iniziativa, trovando pieno accoglimento da parte del responsabile della galleria, ma incontrando resistenze da parte dei decisori politici e di qualche operatore della biblioteca. L'idea di questa 'esportazione' era nata per caso da un esercizio che può essere compiuto da chiunque: estraniandosi dal flusso dei frequentatori, si può osservare il comportamento di coloro che, emersi dal moto degli acquisti, si fermano non per scambiare parole o pensieri, ma per ripiegarsi su smartphone, tablet e volantini di offerte. Grazie a questa operazione si ha modo di riflettere sui profondi cambiamenti che l'inserimento nel tempo urbano di questi 'luoghi non luoghi', come definiti da Marc Augé33, ha prodotto nel tessuto cittadino e sociale. E, soprattutto, pur con occhi meno tecnici dell'antropologo francese, si possono osservare quanti stanno nello spazio senza istituire una relazione, senza costruire memoria, senza fruire di bellezza, senza trascorrere tempo 'lento' e di qualità. Da queste considerazioni e dalla constatazione dell'assenza di una vera libreria nel complesso Auchan, maturò l'idea di proporre presso la galleria dei negozi una piccola biblioteca, pur sapendo di andare incontro ad incognite, in particolare alla difficoltà di attrarre l'attenzione dei visitatori in assenza di un front office tradizionale e di un'immediata riconoscibilità. Come ha osservato Augé, all'interno di questi contesti ciò che muove le masse non è in realtà il consumo, ma una contrattazione solitaria dentro un sicuro anonimato. Pertanto, ciò che prova a strappare dalla surmodernità gli attori delle proprie esistenze è percepito come un richiamo a quella coscienza individuale che si vuole tenere sottotraccia. Senza ambire a costituire questo richiamo, sperando almeno di offrire un servizio inconsueto in Auchan, la Granafei vi approdò con il progetto LibriAmo?. Furono proposti quotidiani e riviste per una lettura veloce, una selezione di classici e ultimi arrivi, i servizi di prestito/prenotazione, oltre che incontri con l'autore e attività pensate in particolare per i bambini, con una formula che alternava intrattenimento ed informazione. In fase di progettazione del punto Granafei si ignorava, per la verità, l'esperienza realizzata da alcune biblioteche comunali in virtù di un protocollo d'intesa siglato nel 2010 con la Regione Toscana, Unicoop Firenze, Unicoop Tirreno: era il progetto Presta Libri & Co. Alimenta gratis la mente, che ha visto nel tempo la partecipazione di 32 biblioteche in altrettanti punti vendita34.
Animato da volontari che collaborano con le diverse biblioteche pubbliche, il progetto propone ancora oggi, con cadenza settimanale, l'erogazione dei servizi in spazi distanti dalle zone di vendita. Dall'esperienza toscana il caso di Mesagne si è distinto per tempo di realizzazione, risorse umane impegnate e spazio utilizzato. L'iniziativa mesagnese, nonostante il consenso rilevato35, fu realizzata solo per due anni consecutivi per pochissimi giorni; le attività sono state svolte da personale comunale; lo spazio disponibile, ben posizionato all'interno della galleria, consentiva di conciliare le diverse esigenze e godeva di una capacità attrattiva di riflesso, proveniente dagli esercizi vicini. Proprio all'aspetto della comunicazione si rivolse l'attenzione dei bibliotecari, in particolare per la cura dello spazio esterno: una novità, essendo la sede istituzionale priva di visibilità dall'esterno. Si correva il rischio di una sovrabbondanza di messaggi o di una carente definizione di contenuti e di toni che potevano produrre confusione e generare il rifiuto dei visitatori disposti ad abbandonare le incombenze del quotidiano per incontrare una dimensione inaspettata ed alternativa. Si dovevano, quindi, creare dei meccanismi di stacco e compensazione tra frenesia/rumore/assenza di riflessione e mobilità lenta/silenzio36/pensiero. Come si era sospettato, la novità dell'iniziativa e gli strumenti di comunicazione utilizzati non si rivelarono sufficienti a garantire un pubblico, né a scongiurare, come è stato confermato dalle interviste rivolte ai visitatori più disponibili, che la mini-biblioteca, al di qua dal vetro, fosse scambiata per una libreria, o per un punto erogatore di servizi a pagamento. Per evitare equivoci e per raggiungere il target di famiglie, si escogitarono canali atti a correggere il tiro: si decise per l'intervento di animatori, si realizzarono spot veloci, in cui furono aggiunti fotogrammi di cartoni e si incluse in ogni passaggio promozionale il termine gratuito. Constatata la forza di altri linguaggi per aumentare l'impatto, nella seconda edizione del progetto si scelse una modalità diversa con uno stile più diretto, ammiccante alla pubblicità e costruito con tecniche di tipo combinatorio/associativo. Al di là del gradimento mostrato dai visitatori per la consultazione di riviste e titoli presenti e per gli appuntamenti speciali (in specie per i laboratori di scrittura/illustrazione), si registrò uno scarso interesse per l'accesso al catalogo e, di contro, una certa frequenza per il 'chiedi al bibliotecario'. Tale contatto è stato chiesto spesso per intessere un semplice dialogo con gli operatori presenti, a riprova del bisogno individuale di costruire una relazione37. Si può dire che l'esperienza dette i suoi risultati nel testare la tenuta della squadra fuori dal contesto usuale, nel far emergere tra gli operatori alcuni talenti, propensioni, nell'individuare target di attrazione/trascinamento, nell'avviare e consolidare rapporti con diversi attori del territorio, nel rilevare alcuni limiti nelle tecniche e nei tempi di contatto/relazione, nelle modalità comunicative, limiti cui si è cercato di porre rimedio in sede.
Nel complesso l'esperimento condotto in Auchan ha dimostrato quanto sia difficile inserire una proposta di biblioteche all'interno di strutture commerciali e, al contempo, quanto sia importante cogliere le enormi potenzialità ancora insite in simili contesti38. Per realizzare un simile progetto non basta far vedere uno spot o mettere in scena contenuti secondando la moda del momento. Non si deve, infatti, cedere alle regole dell'intrattenimento, né sovrapporsi alle librerie e, soprattutto, bisogna prevedere la presenza del bibliotecario invece di anonimi totem, proposti da alcune biblioteche di ente locale. Dal 2010, queste ultime hanno promosso diverse iniziative di esportazione, presso Auchan ed Ipercoop39, che farebbero pensare ad un trend positivo ed al superamento di ritrosie e di steccati ideologici che impediscono di vedere oltre la piazza del commercio. Tuttavia, occorre intendersi sul fine sotteso a queste operazioni, che non dovrebbe essere quello della semplice vetrina, né quello di un mero marketing urbano40. Soprattutto nei contesti urbanisticamente meno complessi e meno smart41, occorre costruire interesse ed affezione per i temi locali, con rimandi costanti e semplici alle collezioni, in modo da creare, insieme a tutta la filiera culturale, nuovi legami su identità realmente comunitarie. L'obiettivo dovrebbe essere quindi quello di connettere i diversi attori sociali, compresi i retailer,42 facendo in modo che quanti vivono lo spazio del centro commerciale siano 'attraversati' da messaggi di bellezza, di memoria. Di certo non dovrebbe essere escluso da questo processo l'attore commerciale che, a fronte della contrazione dei consumi, può introdurre messaggi flash e proposte di intrattenimento culturale. In effetti negli ultimi anni sia i centri commerciali che le biblioteche, soprattutto per effetto del web, stanno vivendo una crisi comune, che ha portato alla smaterializzazione dei lavoratori, ad una contrazione di presenze e ad un prosciugarsi di relazioni. Se questo comporta per i primi svuotare le gallerie, ridimensionare il personale e cercare di offrire una vetrina intelligente di prodotti, per le seconde significa sottrarre valore a secoli di sedimentazione culturale ed alle opportunità di accesso collettivo alla conoscenza. Quali strategie allora possono essere condivise ed attuate per avvicinare proficuamente due ambiti così lontani? In un certo senso le biblioteche propongono un'esperienza multicanale, mettendo in mostra ciò che hanno e consentendo le attività più disparate al loro interno. Tuttavia, se la multi-proposta e la finzione fanno già parte del repertorio del centro commerciale, per le biblioteche si corre il rischio che l'artificialità dell'esperienza venga scambiata con l'idea della biblioteca stessa: si entrerebbe quindi in un altro 'nonluogo', uno spazio anonimo attrezzato per fare ciò che piace, ignorando il 'resto' (storia, collezioni, raccolte, etc.). Inserire allora in modo permanente una biblioteca in un centro commerciale, piuttosto che diventare anacronisticamente alternativi allo stesso, darebbe alla prima un'incredibile visibilità, all'altro di contemplarvi un'offerta complementare. La convergenza tra questi due mondi potrebbe portare a nuove e produttive alleanze, se, come nel caso toscano, a suggellare questa intesa fossero le politiche regionali attraverso protocolli duraturi su vasta scala e l'impiego di competenze specifiche. Questa strategia potrebbe essere adottata e calata anche nella regione Puglia, dove risultano attivi diversi poli commerciali in cui sono presenti anche librerie43. In questi contesti i piccoli frequentatori potrebbero essere intrattenuti con un libro o con attività ruotanti intorno ad esso, invece che con giostrine ed animazione; gli adolescenti potrebbero trovare uno spazio dove ascoltare musica e innamorarsi di qualche verso per costruire la propria identità44, piuttosto che stare in fila per il 'firmacopie' di sedicenti musicisti e penne dell'ultim'ora. Tutti gli atomi della comunità, poi, potrebbero accedere a quel frammento di conoscenza e di memoria illuminante, alle parole che fanno trovare dubbi, ma anche speranze e sogni, in poche parole, potrebbero rimanere svegli attraverso la cultura, materia viva che appaga, consola, unisce e rende tutti più liberi. Si tratterebbe non già di trasformare il 'nonluogo' in luogo con contenuti dell'eterno, ma di dare un senso diverso al 'tempo non tempo'. E forse questo potrebbe salvarci dai rischi di analfabetismo e 'webetismo'45 e potrebbe permettere di valorizzare la professionalità dei bibliotecari e far conoscere loro di più la comunità per servirla davvero; questo potrà avvenire se il bibliotecario, oltre ad offrire ascolto e mediazione, sarà disposto, uscito dalla sua bolla, ad interpretare 'anche dentro' il cambiamento. D'altronde ai bibliotecari che non volessero davvero andare dove sono gli utenti, non rimarrebbe che guardare crepe farsi largo tra mattoni ed insicurezze o rassegnarsi, prima di scomparire del tutto, a divenire magazzinieri, saggi custodi ed aridi statistici, se non soggetto essi stessi di una biblioteca vivente46.
Ultima consultazione siti web: 30 giugno 2019.