a cura di Silvana de Capua
La Firenze University Press ha recentemente pubblicato la versione italiana, curata da Mauro Guerrini, della seconda edizione del volume di Michael Gorman Our enduring values revisited (ed. orig. 2015, 1 ed. 2000). L'interesse mostrato dal lettore italiano verso la prima edizione (Forum, 2002) ha convinto l'editore a promuovere questa «rilettura attualizzata», come scrive il curatore, che torna ad affrontare in modo critico e con uno stile tutt'altro che accademico temi e questioni legate al presente e al futuro delle biblioteche, con un'attenzione pressoché esclusiva al contesto statunitense. Il volume, «una summa dei fondamenti» della professione bibliotecaria (Rosa Maiello), si presenta suddiviso in quattordici capitoli, uno in più (dedicato al «bene superiore») rispetto all'edizione precedente. Nella prefazione e nel primo capitolo, integralmente riscritti, Gorman sviluppa le sue riflessioni sugli avvenimenti più importanti (crisi, attentati, ma anche innovazioni tecnologiche, social network, ecc.) accaduti in questi ultimi anni e sul modo in cui il mondo delle biblioteche ha affrontato il cambiamento (ancora in corso). La conclusione è «drastica» (Alberto Petrucciani) e conferma il giudizio critico verso le scelte compiute dalla biblioteconomia nordamericana nella seconda parte del secolo appena trascorso. Il «culto dell'informazione» e un eccessivo spazio riservato ai temi del management hanno favorito un approccio dominato da un «materialismo individualista» che si pone per l'autore come antitetico «ai valori e alla missione della biblioteca» (p. 17). I capitoli successivi ricalcano la struttura originaria del volume con l'aggiunta di nuovi spunti, la modifica di alcuni paragrafi e il necessario aggiornamento bibliografico. Gorman non ritiene accettabile l'idea che la rivoluzione digitale possa aver reso inutile la biblioteca che invece resta una struttura fondamentale «che seleziona, raccoglie e dà accesso a tutte le forme di conoscenza e d'informazione», comprese quelle digitali, «che siano importanti ai fini della sua missione e dei bisogni della comunità servita e che assiste e istruisce all'uso di queste risorse» (p. 41). Secondo l'autore l'istituto bibliotecario è in grado di fronteggiare il digital divide e di favorire politiche di alfabetizzazione informativa attraverso, per esempio, la promozione della lettura. Nel soddisfare le esigenze degli utenti viene fornito un contributo all'intera comunità. In questo modo il valore del servizio si ricollega a quelli di democrazia, libertà intellettuale, equità d'accesso e privacy. Le biblioteche devono rimanere luoghi in cui viene garantita una trasmissione della conoscenza senza discriminazioni e in cui si possono apprendere le competenze necessarie per effettuare una efficace ricerca delle risorse bibliografiche di cui abbiamo bisogno. I nostri valori, rivisti di Gorman, come scrive Mauro Guerrini nell'introduzione, si presenta come un contributo alla definizione del ruolo della biblioteca contemporanea: «un servizio bibliografico e culturale sempre più integrato con gli istituti della trasmissione della conoscenza registrata, che concilia tradizione e innovazione, senza, tuttavia, svendersi alle tendenze del momento, effimere quanto ingannevoli, che porterebbero alla sua disintegrazione» (p. XXV).
Andrea Capaccioni, Stefano Passerini
Università di Perugia
A partire dalla fine degli anni Novanta si diffonde nella biblioteconomia angloamericana l'espressione evidence-based librarianship (EBL) per intendere un approccio biblioteconomico, nato sulla scia della evidence-based medicine (EBM), vale a dire la medicina basata sulle evidenze, che promuove la raccolta e l'analisi di dati prodotti attraverso ricerche sul campo, per lo più di tipo quantitativo, per contribuire allo sviluppo della riflessione scientifica, della professione e della progettazione dei servizi bibliotecari. Il punto di partenza di questa prospettiva è l'articolo di Jonathan D. Eldredge, Evidence based librarianship: a commentary for Hypothesis uscito nel 1997 («Hypothesis: the newsletter of the Research Section of MLA», 11, n. 3, p. 4-7).
Da allora questo approccio si è diffuso notevolmente sciogliendo nel tempo il suo legame con la evidence-based medicine (EBM), ampliando il proprio raggio d'azione e maturando una prospettiva sempre più stabile attraverso la nascita di una rivista dedicata «Evidence Based Library and Information Practice» e una serie di conferenze a essa legate che hanno naturalmente contribuito a creare una rete di esperti e una massa critica di esperienze.
Il volume Being Evidence Based in Library And Information Practice, edito da Facet nel 2016 e curato da Denise Koufogiannakis e Alison Brettle -; la prima bibliotecaria alla University of Alberta in Canada e cofondatrice della rivista «Evidence Based Library and Information Practice» e la seconda docente di Health Information and Evidence Based Practice alla University of Salford -; propone una disamina di questo argomento, riprendendo la sua formulazione originaria e delineandone le evoluzioni, con l'obiettivo di ampliare la portata della sua ricaduta alla diffusione di una cultura dei dati e delle informazioni non solo a scopo decisionale.
Il volume parte da una analisi e un ampliamento del noto manuale di Booth e Brice del 2004 (Evidence-based practice for information professionals: a handbook. London: Facet, 2004) ed è strutturato in due parti.
La prima parte -; Background and model (p. 3-7) -; interamente curata da Koufogiannakis e Brettle -; presenta 7 capitoli dedicati all'approfondimento dei passaggi del processo di Evidence-Based Library And Information Practice (da ora EBLIP) che è per sua natura ciclico.
La prima fase Articulate (capitolo 3) -; che in una precedente formulazione del modello si chiamava Ask -; ha l'obiettivo di definire in modo chiaro e puntuale il problema rispetto al quale si è chiamati a prendere decisioni, domandandoci quali sono le conoscenze che abbiamo già in materia. L'importanza di porre una buona domanda -; il wording, ovvero la scelta delle parole, il modo in cui la domanda viene posta -; è alla base di tutto il processo conoscitivo. Questa è quella fase fondamentale che nella metodologia della ricerca sociale prende il nome di disegno di ricerca. Le autrici mettono a fuoco un progressivo allontanamento dalla base originaria della evidence-based medicine (EBM) per un migliore adattamento all'ambito bibliotecario e LIS in generale. Qui per esempio viene proposto il superamento del modello PICO (Patient, Intervention, Comparison, Outcome) e l'applicazione del modello SPICE (Setting, Perspective, Intervention, Comparison, Evaluation).
La seconda fase Assemble (capitolo 4) -; o Acquire -; si propone di raccogliere fonti di dati e informazioni diverse al fine di fornire un quadro completo ed esaustivo attraverso l'integrazione di tre diversi ambiti: 1) le evidenze di carattere scientifico tratte da una analisi della letteratura; 2) le evidenze di carattere locale -; sappiamo bene il peso esercitato dal contesto di riferimento; 3) le conoscenze professionali. Il capitolo affronta in prima battuta il significato dell'espressione evidence. Che cosa si intende? L'Oxford Dictionary (2010) definisce evidence come: «The available body of facts or information indicating whether a belief or proposition is true or valid». Si sta parlando ovviamente della centralità dei dati di realtà. I dati possono essere primari, raccolti attraverso tecniche quantitative, qualitative o attraverso un approccio misto, o secondari, raccolti cioè attraverso una analisi di fonti già esistenti.
La terza fase Access (capitolo 5) -; o Appraise -; misura e valuta le singole fonti di dati per comprenderne la reale portata informativa. Non tutte le fonti di dati sono buone, non tutte le ricerche possono essere utilizzate come evidenze. Questa è indubbiamente una delle fasi più delicate perché -; sostengono le autrici -; è quella rispetto alla quale i bibliotecari a oggi sono meno attrezzati. Qui vengono messi in evidenza i concetti di trasparenza, accuratezza, utilità, etica, accessibilità, specificità della ricerca. Viene enfatizzato il ruolo di una buona analisi della letteratura scientifica attraverso la conoscenza delle principali fonti per l'ambito LIS: Library and Information Science Abstracts (LISA); Library, Information Science & Technology Abstracts (LISTA); Research Library (www.libraryresearch.com) ma anche Web of Science e Scopus. In più parti del libro viene ribadita la necessità di sviluppare strumenti che possano aiutare i professionisti nell'orientarsi tra le fonti informative da utilizzare a scopo decisionale.
La quarta fase Agree (capitolo 6) -; nota anche come Apply -; è quella in cui si cominciano a prendere effettivamente le decisioni sulla base dei dati raccolti in precedenza. Il nome di questa fase deriva dal fatto che quasi sempre il processo decisionale è fonte di un confronto e di una contrattazione: «We call this point in the process Agree because, more often that not, you will not be the only one making decision» (p. 59).
La quinta e ultima fase Adapt (capitolo 7) -; o Assess -; prevede la valutazione delle decisioni prese, una analisi dell'adeguatezza delle azioni rispetto agli obiettivi iniziali e l'implementazione di eventuali correttivi. Questa fase è particolarmente interessante per le sue ricadute in termini di advocacy. Una valutazione delle azioni intraprese può essere infatti l'occasione per dimostrare il valore della biblioteca e l'impatto dei suoi servizi (p. 77).
La seconda parte del volume -; EBLIP in action (p. 81-170) -; ha un taglio più pragmatico e presenta, nei 7 capitoli in cui si articola, casi di studio pensati per esplicitare la teoria presentata nella prima parte, calata in diversi contesti bibliotecari. Gli autori coinvolti, tutti di area angloamericana, sono esperti e studiosi che hanno contribuito al dibattito sulla EBLIP, attraverso la propria attività professionale. A loro il compito di mettere in azione la teoria approfondita nella prima parte del volume.
Emerge qui la figura del bibliotecario practitioner-researcher: «A person engaged in the practice of a skilled profession who also conducts research» (p. 83). Nel capitolo 8 -; Practitioner-researchers and EBLIP (p. 81-90) -; Virginia Wilson, direttrice del Centre for Evidence Based Library & Information Practice della University of Saskatchewan (Canada), approfondisce questa figura riportando i risultati ottenuti da una sua indagine realizzata attraverso 14 interviste in profondità a bibliotecari attivi nella ricerca.
Nella letteratura biblioteconomica italiana questo profilo è stato discusso qualche anno fa da Anna Maria Tammaro nella Introduzione all'edizione italiana del volume di Alison Jane Pickard La ricerca in biblioteca: come migliorare i servizi attraverso gli studi sull'utenza edito da Editrice Bibliografica nel 2010 (nel 2013 è uscita una seconda edizione di Research methods in information edita da Facet). Direi che la caratteristica principale di questo professionista può essere descritta come l'attitudine a considerare dato tutto ciò che accade nella propria attività professionale e a trarre da essa l'ispirazione per una costante attività riflessiva e di approfondimento che arricchisce le proprie competenze: «A research-minded librarian is one who tends towards research and who values research as a means to inform the practice of professional skills» (p. 89).
I capitoli successivi presentano diverse applicazioni del modello EBLIP in differenti contesti e per ciascuno vengono presentati dei casi di studio che mettono a fuoco alcuni temi oggi ritenuti centrali: le biblioteche accademiche e il loro ruolo nella ricerca di informazioni in uno scenario profondamente trasformato (capitolo 9 di Mary M. Somerville e Lorie A. Kloda); le biblioteche mediche e le sfide che sono chiamate ad affrontare (capitolo 11 di Jonathan D. Eldredge, Joanne Gard Marshall, Alison Brettle, Heather N. Holmes, Lotta Haglund e Rick Wallace); le biblioteche scolastiche e il ruolo strategico che possono avere con le loro attività di information literacy (capitolo 12 di Carol A. Gordon); le biblioteche speciali e la necessità di misurarne il valore anche economico (capitolo 13 di Bill Fisher); le biblioteche pubbliche e la misurazione/comunicazione del loro impatto sociale (capitolo 10 di Pam Ryan e Becky Cole). A questo proposito vengono riportati i dettagli di diversi progetti internazionali che anche in Italia abbiamo cominciato a seguire come buone pratiche da tenere in considerazione per lo sviluppo di una cultura della valutazione d'impatto. Tra questi ad esempio Project Outcome: measuring the true impact of public libraries della Public Library Association (PLA), che ha lo scopo di aiutare le biblioteche pubbliche ad acquisire dati e informazioni necessari alla loro rendicontazione sociale.
Nelle conclusioni (capitolo 14) le curatrici del volume ricordano ancora una volta che il modello Being evidence based means that you consider your practice from a curious and questioning perspective, with a view to continuous improvement» -; p. 165) e sottolineano il legame profondo che questo approccio alla disciplina ha con la tematica dell'impatto in tutte le sue diverse declinazioni. Non mancano di esplicitare quelle che sono le strade aperte, tra queste anche la costruzione di un database di evidenze che possa essere per i bibliotecari un utile strumento di lavoro.
Manca nel volume uno spazio dedicato alla più recente narrative-based librarianship (NBL) -; introdotta da Peter Brophy nel 2007 nell' articolo Narrative based practice, uscito proprio sulla rivista "Evidence based library and information practice" (2, n. 1, p. 149-158). Approccio che enfatizza il ruolo che le tecniche etnografiche e la ricerca qualitativa possono avere nella logica evidence-based, a partire dall'idea che gli strumenti quantitativi da soli non possano essere sufficienti e che l'approccio narrativo si vada profilando come uno strumento fondamentale di interpretazione del senso e dell'identità della biblioteca contemporanea.
Completa il volume una bibliografia molto ricca sul tema EBLIP dalla quale si evince la quasi totale assenza di contributi provenienti dal nostro paese, dove pure è matura una riflessione su questi temi e dove esiste una rete molto prolifica di Practitioner-researchers. Basta aprire l'indice dei sommari di questa rivista o di «Biblioteche oggi», solo per citare due esempi, per rendersene conto.
Si potrebbe dire che in Italia non ci sia stato nessun tentativo di esportazione/emulazione. La nostra riflessione su questi temi, infatti, ha avuto soprattutto negli ultimi anni una natura intimamente diversa rispetto a quella totalmente pragmatica proposta in questo volume, e sembrerebbe essere ancora lontana -; ma non troppo, vedremo -; dalla definizione di strumenti, perché più concentrata sulla necessità di aggiornare la mappa dei confini, degli oggetti e dei metodi disciplinari.
La logica evidence based rientra in quel filone di studi attenti a considerare l'evoluzione della disciplina -; dalla Biblioteconomia Gestionale alla cosiddetta Biblioteconomia sociale -; e per chi se ne è occupato nel tempo -; punti di riferimento come Giovanni Solimine, Giovanni Di Domenico, Anna Galluzzi, Maurizio Vivarelli e altri e recentemente anche la sottoscritta -; l'esigenza è stata essenzialmente quella di inquadrarne le relazioni interdisciplinari, in particolare con le scienze sociali. Non si è parlato di EBLIP ma le parole chiave del ragionamento sono state in parte le medesime: qualità, gestione consapevole, misurazione, valutazione, soddisfazione, advocacy, più recentemente identità, percezione e impatto. Penso per esempio alla recente pubblicazione dell'AIB, I mille volti della qualità in biblioteca a cura di Maria Rosaria Califano e Maria Senatore Polisetti.
Questo momento di approfondimento epistemologico -; di cui la biblioteconomia anglosassone forse non ha avuto bisogno perché la connotazione sociale è già dentro il termine Librarianship -; nella riflessione italiana è stato ed è ancora fondamentale per legittimare lo statuto ontologico e metodologico di una disciplina che -; non dimentichiamolo -; si inquadra in un settore disciplinare che si chiama M-STO/08, parte cioè delle scienze storiche.
Sebbene quella di Biblioteconomia sociale non sia una etichetta ancora stabile -; ho già detto altrove che potrebbe anche essere definita relazionale, interpretativa, ermeneutica ecc. ma che credo valga la pena pagare il prezzo dell'equivoco che l'aggettivo sociale porta inevitabilmente con sé per le ricadute teoriche, epistemologiche e metodologiche sulla disciplina -; ci stiamo avviando verso una fase nuova. Per rimanere aderenti alla terminologia del volume oggetto di questa recensione, abbiamo cominciato a mettere la biblioteconomia sociale in action.
Nel futuro prossimo quello che ci sarà da fare è, senza dubbio, lavorare su una migliore organizzazione dei dati, delle informazioni, delle evidenze, sulla produzione di strumenti e sull'inquadramento di buone pratiche -; penso per esempio alla realizzazione di un sistema valutativo e informativo per le biblioteche italiane -; ma senza rinunciare alla riflessione teorica sulla natura della disciplina che caratterizza il nostro personale approccio evidence based.
Chiara Faggiolani
Sapienza Università di Roma
Se un lettore del tutto ignaro della figura di Diego Maltese e della sua importanza nel mondo bibliotecario italiano, potesse solo leggere l'indice di questo volume, resterebbe forse un po' spiazzato, ma sicuramente sarebbe in grado di capire la vastità degli interessi catalografici di Maltese, e la sua capacità di coniugare teoria, pratica e insegnamento come forse pochi in Italia hanno saputo fare.
Diego Maltese è stato uno dei rappresentanti di quel periodo della storia bibliotecaria italiana (e mondiale) denso di cambiamenti e novità che meglio hanno saputo cogliere lo spirito dei tempi, coniugare tradizione e innovazione, con una forte coscienza della tradizione italiana nel settore, e trasmettere a chi voleva intraprendere la carriera bibliotecaria, la passione e il rigore che la professione esige.
Poiché sono stata fra i fortunati che hanno potuto assistere alle lezioni del Prof. Maltese a Udine, e forse anche grazie alla sua capacità di trasmettere il valore della catalogazione la mia carriera universitaria si è poi concentrata su quegli aspetti della biblioteconomia, la lettura degli interventi fa riecheggiare ricordi lontani ma vividi.
I contributi presentati nel volume hanno la capacità, e non era facile, di rendere conto della sfaccettata attività di Maltese, e dell'importanza della sua figura per l'evoluzione della catalogazione in Italia. La sua formazione, il suo ruolo in BNCF e nei più importanti eventi catalografici mondiali del XX secolo, i suoi insegnamenti universitari sono ben rappresentati e concorrono a tratteggiare una figura cardine per molti aspetti.
I contenuti delle sessioni sono presentati da Rosa Maiello e Simonetta Buttò facendo chiaramente emergere la centralità della figura di Maltese in molte realtà e occasioni, la lungimiranza di alcune sue proposte, il suo impegno attivo e mai interrotto.
La prima sessione in particolare si concentra sull'attività presso la BNCF (La Biblioteca nazionale centrale nella direzione di Diego Maltese dell'attuale direttore Luca Bellingeri), anche in senso lato, come testimoniato da Giunti (L'Archivio nazionale del libro) e Cheti (Il contributo di Maltese allo sviluppo dell'indicizzazione per soggetto in Italia), in qualità di docente universitario (Petrucciani e Turbanti, L'insegnamento della catalogazione alla Scuola speciale per archivisti e bibliotecari di Roma; Buizza, L'insegnamento di Maltese all'Università di Udine) e come delegato italiano alle conferenze di Parigi e Copenaghen (Guerrini, Dimensione internazionale e realtà nazionale in Principi di catalogazione e regole italiane). Quest'ultimo tema è ripreso anche nella seconda sessione, dove il contributo di Maltese allo sviluppo della catalogazione in Italia è tratteggiato con efficacia e completezza (Merola, Il ruolo di Maltese in SBN, RICA e Reicat; Trombone, Tra Parigi e Copenaghen. Il contributo italiano alla stagione dei principi internazionali di catalogazione; Peruginelli, Il contributo di Maltese all'automazione della BNCF) insieme a una analisi del suo percorso formativo e professionale (Stagi, Il catalogatore come interprete di libri: Maltese da filologo a bibliotecario) e a una nota sulla sua attuale attività (Cerbai, I mercoledì di Compiobbi)
A margine delle sessioni, sono presenti le testimonianze di colleghi di Maltese (Attilio Mauro Caproni, Antonio Giardullo, Tommaso Giordano, Eugenie Greig, Walther Traiser, Fiorella Romano) che contribuiscono a completare il ritratto del professionista e dell'uomo.
Chiudono il volume il toccante ringraziamento di Maltese stesso, una nota biografica curata da Mauro Guerrini e una bibliografia selettiva degli scritti che copre un arco temporale che va dal 1957 al 2015 (e che nel suo complesso supera le 220 unità), a definitiva testimonianza dell'indefesso impegno di Maltese per la disciplina.
Lucia Sardo
Università di Bologna, Campus di Ravenna
Guido Biagi è stato una figura molto nota tra gli animatori della cultura italiana a cavallo fra Otto e Novecento, anche se le scarne voci biografiche generali esistenti ne avevano riconosciuto soprattutto i meriti come letterato, filologo o poligrafo. Il contributo al mondo delle biblioteche era lasciato in filigrana ancorché avesse operato come sottobibliotecario a Roma dal 1882, quindi come prefetto della Marucelliana e dal 1890 della Laurenziana per più lungo tempo, distinguendosi sia nella direzione sia negli studi codicologici. La ricostruzione della carriera professionale affidata invece principalmente a memorie e ricordi di colleghi e amici (recuperabili grazie all'utile elenco Scritti su Guido Biagi isolati dalla Bibliografia del volume che si presenta), viene organicamente ricostruita da Rossano De Laurentiis nel Capitolo 2 dal titolo Il bibliotecariato di Guido Biagi, dove s'apprezzano anche le rivendicazioni della professionalità del bibliotecario, della formazione tecnica, di strumenti di lavoro specifici, di concorsi pubblici per l'accesso alla carriera, di un'associazione di categoria.
Nel complesso il volume, tratto da una tesi di Dottorato, riesce a mettere in luce la varietà e lo spessore di questo contributo tecnico in vari ambiti delle discipline del libro anche grazie a una efficace articolazione dei capitoli per argomenti. Particolarmente utile allo scopo è, inoltre, l'elenco con gli Scritti di Guido Biagi a carattere biblioteconomico: poco meno di cento voci metà delle quali originariamente pubblicate sulla Rivista delle biblioteche e degli archivi, da lui fondata e diretta, alla quale è dedicata una parte consistente del Capitolo 3. Una produzione difforme, interventi brevi, talvolta accusati di «dilettantismo» ma che però ne restituiscono l'attenzione per i contesti professionali più evoluti, i congressi, l'insegnamento delle discipline con «prospettive a volte confuse, ingenue perché pionieristiche».
Tra i temi più rappresentativi di questo approccio di Biagi vi fu la catalogazione, oggetto del Capitolo 4. Biagi fu presidente, relatore e primo firmatario della Commissione che compilò le Regole per la compilazione del Catalogo alfabetico del 1921 e che rappresentò «la prima formulazione organica e coerente di norme italiane per la catalogazione descrittiva dei libri» di contro ai precedenti «criteri catalografici improntati alla prassi di singoli istituti bibliotecari». Biagi si era costruito delle competenze specifiche grazie ad anni di studio e alla traduzione della più avanzata letteratura professionale straniera come l'opera di C. C. Jewett On the construction of catalogues of libraries, che Biagi pubblicò in Italia nel 1888. Standardizzazione e internazionalizzazione sono stati due aspetti costanti del suo operato e della riflessione teorica, così come l'attenzione per il pubblico e per la divulgazione, come lui stesso rivendicò: «credo che sia dovere del bibliotecario far valere le cose di cui gli è affidata la custodia, e che codesta divulgazione debba essere uno dei suoi precipui intenti, se il suo ufficio non è quello di geloso guardiano del serraglio» (p. 72). Pionieristica è stata anche la sua attenzione per la documentazione e la questione del sistema di classificazione bibliografica, considerate nel Capitolo 5.
Un argomento ricorrente nel volume è quello della organizzazione di un moderno e articolato sistema bibliotecario nazionale. Soprattutto nel Capitolo 6, ispirato al titolo di una memoria di Biagi per una riunione della Società Bibliografica Italiana nel 1906 (Per una legge sulle biblioteche), vi è ripercorsa l'evoluzione delle diversificate proposte legislative, che testimoniano di una visione complessiva del mondo delle biblioteche: una legge che «non comprende soltanto la suppellettile delle biblioteche governative, ma quella degli istituti sovvenuti dallo Stato, quella in possesso delle province, dei comuni e degli enti morali, che oltre a tutelare e regolare la conservazione e l'incremento del patrimonio bibliografico esistente, la legge provveda alla istituzione di pubbliche biblioteche di coltura [...] che coordini e integri l'opera della scuola con quella della biblioteca, abilitando all'ufficio di bibliotecario chi abbia seguito uno dei corsi tecnici che debbono fondarsi nelle biblioteche governative maggiori, per modo che il bibliotecariato sia riconosciuto come professione; [...]; che riformi e adatti alle presenti necessità la legge sul diritto di stampa e che, per ultimo nell'amministrazione centrale sotto un'unica direzione tutto ciò che si riferisce al servizio bibliografico» (p. 185).
De Laurentiis riesce a dare sostanza al giudizio di Barberi su Biagi come bibliotecario moderno e illuminato -; tuttavia poco studiato e quasi dimenticato -; come negli auspici di Mauro Guerrini nella Presentazione: «restituire alla storia delle biblioteche un protagonista, il cui merito principale è stato credere in un abito professionale del bibliotecario pienamente moderno, codificabile tramite procedure ripetibili e migliorabili che fa riferimento a standard condivisi, un professionista che si batté per il concorso pubblico come accesso alla carriera, per l'istituzione di una scuola per bibliotecari, per favorire lo scambio di competenze e innovazioni» (p. 11).
Tiziana Stagi
Università di Firenze
Grazie soprattutto all'ottimo Manuale di biblioteconomia, pubblicato con Fabio Venuda, Giorgio Montecchi è un nome noto al personale delle biblioteche, ai docenti e agli alunni delle discipline librarie delle nostre università. A dimostrazione della bontà del prodotto, il volume ha avuto dal 1995 numerose edizioni, costantemente rivedute e aggiornate. Osservando l'attività scientifica di Montecchi, sempre aperto ed entusiasta per ogni iniziativa culturale, docente di bibliografia e biblioteconomia nelle università di Parma, di Venezia e poi nella Statale di Milano, si notano però altre importanti pubblicazioni. Basti ricordare Il libro nel Rinascimento in due volumi: Saggi di bibliologia il primo (1994) e Scrittura, immagine, testo e contesto il secondo (2005); Libri, Reti, Biblioteche. Guida alla ricerca, con la collaborazione di Loretta De Franceschi (1999); Itinerari bibliografici. Storie di libri, di tipografi e di editori (2001); La storia del libro e della lettura (2016) e, da ultimo, Storie di biblioteche, di libri e di lettori (2018).
A questi volumi, ristampati più volte, si aggiungono numerosi saggi riguardanti diversi ambiti disciplinari: la figura e le opere di alcuni umanisti, le vicende delle più antiche università emiliane e romagnole, le origini della stampa tipografica e l'organizzazione delle antiche stamperie, l'illustrazione libraria, l'impaginazione e la legatura dei libri, la storia delle biblioteche signorili, vescovili e monastiche, l'editoria e il commercio librario. E, via via, altri argomenti, senza contare il gran numero di voci per il Lexikon des gesamten Buchwesens, il Dizionario Biografico degli Italiani, le numerose premesse, introduzioni, prefazioni, presentazioni per volumi di altri autori.
Tutta la produzione di questo studioso è elencata nella Bibliografia dei suoi scritti, pubblicata in appendice al volume Studi per Giorgio Montecchi (numero XII di «Bibliologia. An International Journal of Bibliography, Library Science, History of Typography and the Book», periodico annuale fondato e diretto dallo stesso Montecchi). Complessivamente 212 segnalazioni che attestano per l'arco di quarant'anni, dal 1978 fino al 2018, un'intensa ed esemplare operosità scientifica svolta oltre agli impegni didattici e accademici, senza contare l'attività socio-culturale per promuovere, con il suo autorevole intervento, l'apertura di nuove istituzioni di pubblica lettura (a Milano la biblioteca della Fondazione di Via Senato, un'altra dedicata a Riccardo e Fernanda Pivano, e infine, nell'area dismessa della stazione di Porta Vittoria, la Biblioteca Europea di Informazione e Cultura. Il progetto, avviato in collaborazione con il professor Antonio Padoa Schioppa, con l'iniziale adesione delle autorità cittadine e regionali, è al momento arenato per difficoltà finanziarie. Ha tuttavia raggiunto una parziale concretizzazione attraverso la Biblioteca Digitale Multimediale).
Queste e altre notizie sulla poliedrica attività di Montecchi sono reperibili nella Presentazione della raccolta di Studi, edita in concomitanza con la cessazione dell'attività didattica dell'illustre docente. Tale Presentazione (p. 11-12) è firmata dai curatori del volume: Roberta Cesana con Fabio Venuda (Università di Milano) e Loretta De Franceschi (Università di Urbino). Costoro specificano, dati i filoni di ricerca privilegiati dallo studioso, che i saggi qui raccolti non potevano che riguardare «il mondo del libro». Per chiarezza affermano che «per la molteplicità e varietà degli interventi» hanno suddiviso il materiale in due vaste sezioni: la prima riguardante il libro e le biblioteche antiche (undici contributi); la seconda (ben diciotto contributi) sul libro e le biblioteche moderne. I saggi, pubblicati per ordine alfabetico degli autori, sono accompagnati da un abstract e da una breve lista in lingua inglese di parole chiave per facilitarne la consultazione e la ricerca a livello internazionale.
La prima sezione si apre con il contributo di Maria Luisa Betri sull'edizione, apparsa nel 1795, degli Aforismi medico-politici dello scienziato padovano Alessandro Knips Macoppe. Seguono, di Lodovica Braida, alcune riflessioni sulla fortuna del libro nel Settecento. Federica Formiga ci permette di conoscere la figura di Geörgy Klimo, esponente del Settecento culturale ungherese, promotore a Pécs, sua sede vescovile, di una pubblica biblioteca. Mauro Guerrini identifica nel religioso agostiniano Michele Durazzini (alias Michele da Empoli), spesso confuso con altri omonimi, l'autore dei Sermones seu Opus praedicabile editi nel 1490 (IGI 3662). Maria Luigia Mangini richiama invece l'attenzione su certe annotazioni personali (dei più svariati argomenti) individuabili negli atti dei notai redatti nei secoli XIII-XV. La studiosa annota che «seguire queste tracce comporta assumere una prospettiva di ricerca ancora poco frequentata dai diplomatisti e dagli storici tout court e, di contro già molto sfruttata da chi si occupa di storia della lingua e da tempo conosce quali tesori si celano tra i fogli di guardia, le coperte flosce, le pagine inutilizzate e financo i margini dei libri dell'attività notarile» (p. 55). Giancarlo Petrella, attraverso note di possesso sopravvissute in frammenti di incunaboli della Queriniana, individua l'esistenza di antiche biblioteche monastiche e conventuali del territorio bresciano e bergamasco. Contrariamente a quanto affermato da Anita Mondolfo che, nella voce sul tipografo tedesco Adamo da Rottweil per il Dizionario Biografico degli Italiani (1960), identificò (forse per l'assonanza dei nomi) questo stampatore con Adam de Rot, altro tipografo del Quattrocento, Luca Rivali, analizzando diverse fonti e studiando in particolare la rispettiva produzione, ribadisce ciò che venne riconosciuto anche dall'IGI (V, p. 340 e 376), ossia che si tratta di due distinti personaggi: Adam de Rot attivo a Roma e Adamo da Rottweil operante dapprima nella Francia Meridionale, poi a L'Aquila e infine a Venezia. Fiammetta Sabba esamina i contenuti di uno scritto poco noto di Ugo Foscolo sulla Letteratura italiana periodica, apparso nel 1824 in lingua inglese, e pubblicato in italiano solo nel 1899. La studiosa presenta nel contempo un'ampia rassegna sulla fortuna dei periodici e delle imprese editoriali in Italia particolarmente nei secoli XVII-XVIII. Valentina Sestini segnala la prassi adottata da alcuni stampatori siciliani del Seicento e del Settecento di pubblicare nei loro volumi gli errata corrige. Paolo Tinti presenta a sua volta due cataloghi del libraio di Modena Giovanni Montanari, apparsi nel 1769 e nel 1770 e contestualizza la loro pubblicazione nel vivace ambiente culturale della città emiliana, capoluogo di un ducato. Sull'industria cartaria, attiva nel territorio bergamasco dalla fine del Cinquecento agli inizi del Settecento, in funzione soprattutto dell'editoria e delle esigenze amministrative locali, riferisce Elisabetta Zonca. A conclusione del suo saggio l'autrice annota che «la storia delle cartiere definisce un percorso non solo economico, in cui è centrale il rapporto tra artigianalità e intellettualità, nonché l'influsso delle istituzioni, tanto più di un territorio periferico crocevia di genti e idee come quello bergamasco, ma anche culturale, ancora da approfondire compulsando gli archivi lombardi e veneti» (p. 133).
Su un piano decisamente contemporaneo si collocano i saggi della seconda sezione. Nel primo Laura Antonietti ci presenta il profilo intellettuale di Mario Alicata (1918-1966), deputato e critico letterario, consulente per la narrativa contemporanea delle collane Einaudi. Edoardo Barbieri si sofferma invece sulla figura del libraio e collezionista Giuseppe Martini (1870-1944) lungamente attivo a Lugano, e riferisce sulla dispersione delle sue collezioni bibliografiche. In merito all'antiquariato librario odierno, l'autore osserva che «fatte salve preziose ma rare memorie pubblicate da singoli librai, la fonte indispensabile per uno studio storicamente determinato dell'antiquariato è costituita dai cataloghi di vendita. Un danno gravissimo che viene apportato alla nostra storia culturale è proprio l'abbandono da parte dell'antiquariato librario più serio della pratica di pubblicare cataloghi a stampa: non basta qualche inserzione sul web, destinata a un veloce oblio. Solo la possibilità di conservare traccia dei passaggi del materiale più prezioso permette di ricostruirne la storia!» (p. 150). Ambrogio Borsani ci parla delle disavventure editoriali del poeta Lorenzo Calogero (1910-1961) e della prassi, adottata in genere dai piccoli editori, di chiedere agli autori un contributo finanziario per la pubblicazione delle loro opere. Attilio Mauro Caproni in Una postilla bibliografica per Giorgio Montecchi riflette sul concetto odierno di scrittura, sul rapporto tra scrittore e lettore e infine sulle funzioni della scienza bibliografica. Attingendo ai fondi BUR Rizzoli e Sonzogno della Fondazione Apice dell'Università di Milano, Michela Cervini ricostruisce la storia delle rispettive collane intitolate Biblioteca Universale, ne illustra le finalità editoriali e commerciali, accennando anche alle caratteristiche fisiche dei volumi e al loro contenuto. Roberta Cesana ci parla della vicenda umana e intellettuale di Raffaele Crovi (1934-2007), straordinaria ed eclettica figura di editore, scrittore, direttore editoriale, promotore di spettacoli televisivi. Il saggio è un autentico spaccato sulla vita intellettuale italiana dagli anni Cinquanta del Novecento alla fine di quel secolo. Loretta De Franceschi ci presenta le Pagine letterarie di autrici italiane sulla Grande Guerra, in genere brevi scritti e racconti destinati alle donne al fine di suscitare «lo slancio per l'intervento dell'Italia, la passione irredentista, la piena fiducia in una svolta rigeneratrice, l'esaltazione delle armi in mano agli uomini di famiglia, nonché le nuove tematiche soprattutto sociali generate dal sanguinoso contesto» (p. 187). Sull'antifascista Carlo Rosselli, i suoi scritti, in particolare Socialismo liberale, portato clandestinamente dalla moglie Marion Cave da Lipari a Parigi, apprendiamo parecchi particolari dal saggio di Nicola Del Corno. Su Fortunato Depero e sul suo famoso libro imbullonato, pubblicato nel 1927 in mille esemplari dalla stamperia Mercurio di Rovereto, si sofferma Massimo Gatta, ricordandoci che il «Depero futurista rappresentò una vera e propria icona-tipografico-editoriale dell'intero Novecento, punto di svolta delle innovazioni tipo-grafiche del Futurismo e apice della creatività del suo autore Fortunato Depero e del suo editore-ideatore, Fedele Azari» (p. 204). Elisa Marazzi scrive sulla fortuna editoriale del lunario Barbadoro, degli almanacchi Barbanera e dei libri per ragazzi nel Settecento e nell'Ottocento italiano. Maria Cristina Misiti presenta le collezioni librarie e antiquarie del restauratore Pio Amori di Milano, acquisite nel 1940 dal Regio Istituto di Patologia del Libro. Misiti evidenzia come tali raccolte «siano materiale preziosissimo, ma per ora, di sola curiosità per i bibliofili. Tale materiale, opportunamente identificato, integrato, schedato e catalogato, potrà in seguito acquistare un vero carattere scientifico, e diventare, in seno all'Istituto di Patologia del Libro, un museo del libro e della carta, unico al mondo, di grandissimo aiuto per gli studi bibliologici e bibliografici» (p. 235). Elisa Rebellato si sofferma sull'attività nel secolo scorso del bolognese Francesco Simoncini, costruttore di macchine per la stampa e produttore di caratteri tipografici, sempre attento «agli aspetti tecnici del disegno dei caratteri e della produzione delle matrici» (p. 243). Alberto Salarelli ci parla invece del libro gastronomico, annotando come in questi ultimi tempi il filone editoriale di tale settore si sia notevolmente ampliato e diversificato. Nel saggio Le biblioteche o incomprese o malintese, Alfredo Serrai ci riporta a una corretta definizione di biblioteca in rapporto soprattutto alla sua organizzazione e all'esistenza di cataloghi per facilitare la consultazione e la fruizione delle raccolte. A sua volta Fabio Venuda delinea i compiti e la formazione del Digital curator in merito alla digitalizzazione dei dati e alla loro gestione, mentre Maurizio Vivarelli ci presenta la storia editoriale di un libro di Primo Levi (La bella addormentata nel frigo di Einaudi) reso pionieristicamente in versione ebook nel lontano 1966. Giancarlo Volpato ci parla di una primizia bibliografica: il Saggio fotografico di alcuni animali e piante fossili di Abramo B. Massalongo e Moritz Lotze edito a Verona nel 1859-1860 dalla tipografia Vicentini-Franchini, un volume naturalistico con sessantaquattro fotografie, raggruppate in quaranta tavole. Si tratta del «primo libro completo illustrato a mezzo di fotografie, anziché di litografie o disegni com'era avvenuto fino ad allora» (p. 281). Nell'ultimo saggio Marzio Zanantoni presenta I libri della deportazione, in particolare Pensaci, uomo! di Piero Caleffi e Albe Steiner, edito da Feltrinelli nel 1960. Il volume racconta le persecuzioni subite dagli ebrei e dagli antifascisti e le loro deportazioni in Germania dal 1933 al 1945. Un volume di grande impatto emotivo ove si testimonia «per la prima volta in modo specifico sui Lager, sulla deportazione politica, sui campi di sterminio, tema sino ad allora dimenticato e rimosso» (p. 297).
Si tratta di una raccolta di ventinove saggi, brevi ma pregnanti per il contenuto, ognuno dei quali risulta essere un flash che arricchisce la storia di un'edizione, di una raccolta di volumi, di un personaggio. Un libro interessante, piacevole per la lettura, stimolo per nuove e rilevanti esperienze di ricerca.
Arnaldo Ganda
Università di Parma
Il settantesimo compleanno di Alberto Cheti è l'occasione che dà origine a questa ricca raccolta di saggi sull'indicizzazione semantica. Questo tema, molto caro ad Alberto, nonostante sia solo uno degli ambiti a cui si è dedicato nel corso della sua carriera professionale, riunisce fra i maggiori specialisti italiani in questo campo, che rimane, almeno in Italia, un settore di nicchia, forse meno valorizzato di altri nella letteratura professionale nazionale.
La varietà dei temi proposti mette in luce invece quanto sia viva la necessità di discutere di questi argomenti e di confrontarsi, sia in merito a sperimentazioni in atto, sia su questioni di fondo più generali.
L'importanza del confronto viene sottolineata esplicitamente da Anna Lucarelli che, nel riferire in merito ai risultati di un gruppo di lavoro sull'indicizzazione di opere antiche (a cui anche lo stesso Cheti sta partecipando), struttura il suo intervento come un vero e proprio dialogo, con un alternarsi di domande e risposte che mette in luce, non solo i presupposti e le conclusioni a cui il gruppo è giunto, ma anche i ragionamenti che in seno al gruppo si sono sviluppati.
Sempre di indicizzazione delle opere antiche parla Daniele Danesi, a riprova che si tratta di un tema affrontato a livello sperimentale in più contesti e che necessiterebbe di maggiori spazi di confronto e di discussione.
Ma il tema di base del documento (concetto tanto caro ad Alberto e approfondito in questa raccolta in particolare nel contributo di Claudio Gnoli) è il futuro dell'indicizzazione semantica e forse più in generale il futuro dei nostri cataloghi. È chiaro che nell'epoca di Internet e delle ricerche su Google o le biblioteche, e in particolare gli strumenti di ricerca offerti, fanno uno sforzo per avvicinarsi all'utente, oppure questo se ne andrà altrove, non solo rendendo vano l'enorme sforzo di teorizzazione sull'indicizzazione e di realizzazione concreta degli indici semantici, ma anche favorendo sempre più il dilagare di un unico tipo di informazione: quella che offre sempre un risultato, attinente o meno che sia alla richiesta, quella che risponde all'esigenza di risolvere un problema in modo veloce e non necessariamente di comprenderlo e approfondirlo. Questo tema viene sviluppato in particolare nei contributi di Alberto Petrucciani, Carlo Revelli e Andrea Fabbrizzi.
La maggior parte degli altri saggi descrive interessanti sperimentazioni di indicizzazione in contesti specifici.
Francesca Carletti e Giuseppe Abbatista riportano i risultati di un'esperienza di soggettazione di articoli di periodici di linguistica e di storia della lingua italiana, realizzata nel triennio 1998-2000 dall'Accademia della Crusca, proponendo in calce un ricco corpus di nuovi termini da inserire nel Nuovo Soggettario.
Manuela Grillo fornisce una panoramica sui sistemi per l'organizzazione della conoscenza dedicati alle arti performative, che è stata alla base dell'esperienza di costruzione di un thesaurus creato nell'ambito del Progetto PerformArt.
Marta Ricci ci parla delle scelte di descrizione e indicizzazione della Biblioteca-archivio dell'artista Luciano Caruso, ottimo esempio di raccolta ibrida in cui soluzioni adeguate sono state rese possibili solo grazie al confronto di più professionalità (archivisti, bibliotecari e storici dell'arte) e di diversi standard.
Mauro Guerrini, come di consueto, spinge il suo sguardo oltre i nostri confini, descrivendo la struttura di un interessante thesaurus di ambito biblioteconomico: il Thesaurus of information studies, importante punto di riferimento per la sistematizzazione e definizione della disciplina e per la formalizzazione di un lessico condiviso a livello internazionale.
Nei contributi di Pino Buizza e Maria Chiara Giunti troviamo invece piccole analisi da specialisti: il primo mette a confronto alcuni scostamenti di significato (con conseguenti difficoltà di interoperabilità) fra alcuni termini presenti in differenti strumenti di indicizzazione (LCSH, Nuovo soggettario e RAMEAU); la seconda analizza i termini di indicizzazione introdotti dalla BNCF tra il 1968 e il 1973, evidenziandone il legame con il particolare periodo storico.
Di indicizzazione automatica trattano invece i contributi di Elisabetta Viti e di Carlo Bianchini: la prima propone un esaustivo riepilogo sulle metodologie e le esperienze dell'indicizzazione automatica delle risorse digitali, mentre Bianchini riferisce riguardo a una sperimentazione di creazione automatica di numeri della Colon Classification per la letteratura, partendo dai dati aperti della Biblioteca nazionale francese.
Infine, non potevano mancare in una raccolta di scritti in onore, tre contributi che si caratterizzano per essere una sorta di tributo all'onorato (a cui mi sono voluta unire anch'io con questa breve recensione): quelli di Diego Maltese (versi poetici dalla Val di Fassa), Luca Bellingeri e Antonia Ida Fontana.
Una raccolta esaustiva dunque, nel suo complesso, ricca di spunti di riflessione da cui ripartire per nuovi confronti.
Silvia Bonfietti
Università di Udine
«Questo libro parla del sogno di un archivio universale e delle guerre per possederlo, di un impero in cerca di radici e di una delle più colossali confische di memoria storica mai tentate in Europa» (p. V), così l'autrice all'inizio dell'introduzione descrive il contenuto del libro. Il volume intende quindi narrare le vicende degli archivi durante le campagne napoleoniche, il modo in cui con l'espandersi dell'impero si espandeva anche il patrimonio documentario che veniva radunato all'interno del palazzo degli archivi di Parigi (l'Hotel de Soubise), ma come dice la stessa autrice attraverso le vicende degli archivi si raccontano anche le vicissitudini dell'impero stesso. La conquista degli archivi fatta da Napoleone e dal suo ministro Daunou è emblematica sia di quanto altri dittatori di piccoli o grandi stati tentarono di fare nel corso del Novecento sia di quanto le dittature ma anche gli stati democratici abbiano sempre considerato essenziali gli archivi sia per controllare le istituzioni e la popolazione sia per riaffermare le radici nazionali dei popoli. Da questo punto di vista sono esemplari per quanto riguarda il Novecento l'attenzione posta dalle dittature, fasciste o comuniste, alla corretta tenuta degli archivi, tanto che durante i processi contro questi regimi quegli archivi costituirono una delle prove d'accusa principali e furono poi usati per risarcire le vittime. Ma anche i tentativi nazisti di portare a Berlino gli archivi del nord Italia in quanto contenevano la storia del Reich, o ancora, le restituzioni di archivi fatte sia dopo la Prima sia dopo la Seconda Guerra Mondiale tra diverse nazioni, vincitrici e vinte. Le attività svolte dagli inviati dell'imperatore francese nei territori occupati precorrono ciò che altri dittatori hanno fatto, ma in un certo senso sono anche la conseguenza di quello che gli archivi hanno sempre rappresentato per il potere politico e cioè il cuore del potere stesso.
Il volume ripercorre le vicende degli archivi degli stati che a mano a mano entrarono a far parte dell'impero napoleonico a partire dal 1809 cioè da quando, con la sconfitta della quinta coalizione, Napoleone si apprestava a diventare il dominatore assoluto dell'Europa, ma ne descrive anche la formazione e il modo di sedimentarsi precedente all'intervento francese. Immediatamente dopo l'ingresso a Vienna delle truppe francesi i generali napoleonici, sotto la supervisione di funzionari ministeriali, procedettero alla requisizione delle carte relative alla Francia e ai paesi che della Francia erano stati alleati e che successivamente erano entrati nell'orbita asburgica. Anche dopo la firma dei trattati di pace che ribadivano che solo la documentazione relativa all'amministrazione dei territori passati sotto il dominio della Francia doveva essere ceduta agli uomini di Napoleone, il sequestro e la traslazione in Francia dei documenti austriaci e tedeschi continuò senza soluzione di continuità e, mentre diverse casse di documenti partivano in direzione di Parigi, Napoleone ordinava ai suoi ministri di controllare che i locali dell'Hotel Soubise fossero pronti per accogliere l'immensa mole documentaria che si apprestava a raggiungere la Francia. I controlli erano necessari soprattutto per il successivo progetto napoleonico: cioè trasportare nella capitale dell'Impero gli archivi vaticani. Ad inizio 1810, infatti, arrivò da Napoleone l'ordine di mettere nelle casse tutti gli archivi della Santa Sede, soprattutto quelli custoditi al Quirinale e in Vaticano, e di trasportarli in Francia.
L'autrice passa poi ad analizzare la situazione degli archivi francesi usciti dal periodo rivoluzionario estremamente frammentati; da qui la decisione di Napoleone di riunire a Parigi in un unico archivio tutti i documenti riguardanti il governo, la giustizia e gli esteri del periodo precedente il regno di Luigi XV. Tuttavia, prima dello scontro finale con gli austriaci e con il papato, gli archivi degli stati esteri non erano ricompresi tra quelli che dovevano essere raccolti a Parigi, se non una parte della documentazione riguardante gli affari esteri, precedente la pace di Tilsit, e proveniente dal nord Italia che era stata raccolta nei depositi di Torino e Bruxelles. Solo dopo il 1809 la conquista e il trasporto in Francia degli archivi assunse un ruolo primario all'interno della politica francese: vennero così trasportati a Parigi gli archivi della corona spagnola conservata a Simancas, quelli toscani, genovesi e delle antiche repubbliche italiane.
L'autrice illustra quindi la particolare attenzione dedicata dall'archivista capo di Napoleone, Daunou, agli archivi delle città italiane. Durante un viaggio in Italia nel 1811 fu lui stesso a valutare la situazione degli archivi italiani, a deciderne la sistemazione e a scegliere le carte da mandare in Francia, quelle da conservare in loco e quelle che invece erano da destinarsi al macero. L'anno seguente fu posta a Parigi la prima pietra per la costruzione del palazzo degli archivi dove dovevano essere trasferiti gli archivi conservati e riordinati per paese di provenienza all'Hotel Soubise e inventariati attraverso schede descrittive.
Dopo aver descritto l'organizzazione dell'archivio dell'impero, le presenze e le assenze all'interno dei fondi intestati ai singoli paesi, nonché le ricerche storiche che vi furono condotte anche da Daunou stesso, la Donato passa a trattare le modalità e le tempistiche con cui gli archivi furono restituiti ai diversi stati dopo la caduta di Napoleone e il Congresso di Vienna: «In questa gran retrocessione di carte non tutto funzionò. Se localmente l'ostacolo principale fu il disordine in cui versavano i depositi, a Parigi si presentarono problemi di diversa natura. In primo luogo, com'era frequente a margine dei trattati, la Francia non voleva cedere carte relativi a territori che erano, o erano stati anticamente, francesi. Perciò ci volle più di un secolo, nonostante reiterate richieste, perché parte dei documenti prelevati a Simancas ripartissero: precisamente nel 1941, quando Pétain, che era stato ambasciatore a Madrid, li restituì come atto di amicizia al generale Franco. [...] Secondo, i francesi rifiutarono con argomenti un po' pratici e un po' strumentali di consegnare alcunché senza un inventario dettagliato» (p. 102).
Il volume qui analizzato attraverso un ampio utilizzo delle fonti archivistiche e bibliografiche non solo traccia le vicende degli archivi durante il periodo napoleonico, ma offre anche ampi excursus su come gli archivi, che furono concentrati a Parigi, erano nati, si erano sedimentati ed erano stati trattati durante i secoli precedenti. L'attenzione dell'autrice si rivolge anche all'importanza del ruolo svolto dagli archivi nel consolidare il potere amministrativo francese e nella creazione di una identità nazionale. Il sogno napoleonico di un archivio universale, come detto in precedenza, fece da modello per molti altri governanti dei secoli successivi; infatti «l'impresa napoleonica fissò un modo di guardare agli archivi non solo come proprietà delle nazioni, come potrebbe sembrare dalla visuale italiana, ma anche, indistricabilmente, come preda e trofeo dei moderni imperialismi che, in alterne fasi, sarebbe rimasto vivo fino alla Guerra Fredda e alla decolonizzazione, causando distruzioni, spoliazioni, dislocazioni in Europa e ovunque, e concentrando in Occidente le fonti della storia del mondo» (p. 111).
Francesca Nemore
Sapienza Università di Roma
Il volume presenta gli atti del 59° Congresso nazionale dell'AIB, svoltosi a Roma nel 2016 sul tema delle biblioteche sostenibili.
La prima sessione propone una riflessione sul rapporto tra sostenibilità e creatività. Nicola Cavalli sottolinea la naturale vocazione della biblioteca di pubblica lettura a essere quello che Oldenburg definì «luogo terzo», cioè presidio contro la disgregazione dei legami sociali grazie ai suoi caratteri intrinseci di gratuità, accoglienza, neutralità, vicinanza alla comunità di riferimento, capacità di ospitare il confronto. Quest'ultimo aspetto è presupposto della creatività e dell'apprendimento collettivo, come sperimentato nei fablabs e nei makerspaces: Maria Stella Rasetti testimonia che queste esperienze, già radicate nelle biblioteche del Nord Europa, sono ormai una realtà anche in Italia, come nel caso di YouLab a Pistoia.
La seconda parte si occupa di sostenibilità e innovazione. Dopo l'apertura di Fabio Severino che delinea la biblioteca come porta di accesso privilegiato alla conoscenza, Sara Chiessi affronta il tema del nuovo ruolo del bibliotecario: supervisione, coordinamento, co-progettazione con la comunità di nuovi servizi per nuovi utenti. Anna Galluzzi e Chiara Faggiolani analizzano con il metodo della ricerca qualitativa i risultati di indagini di gradimento su biblioteche italiane, spazi urbani valutati in base alle diverse aspettative di utenti reali e potenziali, di operatori e bibliotecari. Marco Muscogiuri sottolinea il necessario rinnovamento delle competenze del bibliotecario ora che nel rapporto con la documentazione si è passati dalla fruizione mediante possesso a quella mediante accesso. Gino Roncaglia elenca gli ingredienti di un buon gruppo di lettura: un numero compreso tra 6 e 12 persone, partecipazione volontaria, trasversalità di interessi nell'aggregazione del gruppo, bibliodiversità, ruoli condivisi, tempi equi di intervento, bibliotecari e insegnanti facilitatori e non giudici, ambienti fisici o virtuali adeguati, strategie di discussione diversificate.
La terza sessione è dedicata al rapporto tra sostenibilità e inclusione. Giulio Cederna parla di povertà educativa e di biblioteche, istituzioni di prossimità che la combattono in contesti socio-culturali degradati, dove anche la scuola può fallire. L'intervento di Massimiliano Anzivino racconta, attraverso l'esempio della permacultura, la necessità di curare la sostenibilità della biblioteca. La collaborazione con altre professionalità è fondamentale per introdurre nuovi servizi: sconfinamento, ascolto, incontro e coinvolgimento sono le parole chiave di questo cambiamento secondo Francesco Caligaris. Per Cecilia Cognigni se la biblioteca non è un contenitore ma un hub di nuovi progetti condivisi con la comunità, il bibliotecario è un educatore -; come già sostenuto dall'AIB nel 1964 -; e la biblioteca si qualifica come un luogo di formazione, non di sola informazione. L'intera rete MAB opera inoltre in base a un paradigma welfaristico stratificato e contaminato con quello documentale e quello manageriale che storicamente lo hanno preceduto, come evidenziato da Waldemaro Morgese.
La riflessione di Riccardo Ridi ribadisce che la biblioteca resta insostituibile attore di welfare: istituzione della memoria insieme ad archivi e musei, con professionalità idonee a gestire conservazione e trattamento corretto di ogni tipo di risorsa, garante della gratuità dell'accesso alla conoscenza, luogo naturale di attività di information literacy e contrasto all'information overload. L'advocacy e l'ampliamento modulare di servizi affini connaturati alla biblioteca costituiscono ulteriori spunti di crescita.
Alessandra Annunzi
Martinsicuro
Pubblicato nella collana «Sezioni regionali AIB. Campania, 3», I mille volti della qualità in biblioteca: una giornata di studio è un volume che raccoglie i contenuti della giornata di studio tenutasi il 20 aprile 2017 nella sede della Biblioteca centrale E. R. Caianiello dell'Università di Salerno e intitolata I mille volti della qualità in biblioteca: fra attività gestionali, inclusione, partecipazione. La giornata è stata organizzata dal Gruppo di studio AIB sull'applicazione dei principi della qualità e sul management con la collaborazione della Biblioteca centrale e del Dipartimento di scienze del patrimonio culturale dell'Università di Salerno e insieme all'AIB Campania.
I contributi presentati durante la giornata e pubblicati negli atti propongono svariate riflessioni sul tema della qualità in biblioteca che viene declinato secondo molte e varie sfumature di significato.
Nel presentare gli atti Giovanni Di Domenico riflette sul concetto di qualità, individuando tre momenti del suo articolarsi: «non solo uno standard o un insieme di norme tecniche e procedure, ma una rinnovata sensibilità prima, poi una cultura organizzativa e professionale, infine un abito critico e un'attitudine che favoriscano un approccio olistico alle funzioni e alle attività bibliotecarie in ogni contesto istituzionale, culturale e sociale».
I filoni e i contenuti della giornata salernitana sono stati affrontati con l'intenzione, scrive ancora di Domenico, «di riproporre alla generale attenzione di biblioteconomi, professionisti delle biblioteche e amministratori terreni di analisi e iniziative ancora fertili, benché abbastanza trascurati».
Nel volume i contributi sono stati riuniti in sei sezioni; la prima, La qualità come sistema, contiene due saggi, quello di Andrea Capaccioni, incentrato sul ruolo che i prodotti della ricerca scientifica ad accesso aperto (OA) rivestono nella promozione della qualità della ricerca nell'ambito del sistema di Assicurazione della qualità (AQ) delle università italiane e sul ruolo che le biblioteche di ateneo possono avere in questo ambito, e quello di Maria Rosaria Califano che, a partire dalla riflessione sullo scarso dibattito seguito alla pubblicazione della norma ISO 9001:2015, si propone di stimolarne l'avvio, anche in qualità di coordinatrice del Gruppo di studio che è tra i promotori della Giornata; Califano sottolinea i molteplici modi di applicare la qualità in biblioteca e i filoni specifici di riflessione che sono stati proposti e affrontati durante la Giornata (qualità per gestire, qualità per comunicare, qualità per valutare, qualità per includere).
La seconda sezione, La qualità nel management delle collezioni, raccoglie tre contributi. Giovanni Amodeo e Gaetano Zizza presentano un bilancio sull'uso della piattaforma POC, prodotta dall'ateneo salernitano per gestire in condivisione i passaggi amministrativo-contabili delle accessioni documentarie e degli abbonamenti alle risorse elettroniche; Francesco G. Meliti si concentra sull'analisi quantitativa e qualitativa delle collezioni secondo il metodo Conspectus, mentre Janet L. Mente, del Reale Istituto Neerlandese a Roma, ragiona sulle politiche di revisione imposte alla propria biblioteca da un cambio parziale di destinazione degli spazi, e riflette sulle ricadute che una massiccia attività di scarto può avere sulla qualità delle collezioni e dei servizi di una biblioteca di ricerca.
La terza sezione si intitola La qualità dello spazio bibliotecario e contiene i contributi di Maurizio Vivarelli e Paola Maddaluno; il primo, nel riprendere le riflessioni proposte alcuni anni fa da Di Domenico in Biblioteconomia e culture organizzative. La gestione responsabile della biblioteca (Milano, 2009), pone una serie di questioni sulla dimensione spaziale della biblioteca e sulla connessione tra spazi (spazio biblioteconomico, spazio bibliografico, spazio culturale, spazio semiotico) e qualità. Maddaluno, nel riportare l'esperienza di ristrutturazione della Biblioteca Luca Pacioli di Roma (Ministero dell'Economia), racconta di come questo avvenimento, avendo come conseguenza un restringimento degli spazi destinati al pubblico, abbia condotto a una riflessione sulle politiche gestionali e organizzative, stimolando la nascita di una risposta indirizzata alla crescita qualitativa dei servizi.
La quarta sezione, La qualità sociale della biblioteca, raccoglie i contributi di Patrizia Lùperi, Gaia Rossetti e Floriana Caterina che affrontano, la prima, il tema della promozione creativa della lettura, la seconda, il tema della qualità delle relazioni tra biblioteca e utenti, riportando le esperienze di politica inclusiva condotte da Villa Urbani a Perugia, mentre la terza ragiona su caratteristiche, attività, vantaggi per il territorio delle eco-biblioteche.
Nella quinta sezione, La qualità dei dati, Chiara Faggiolani inserisce il tema della qualità nella più ampia riflessione sull'applicazione delle metodologie della ricerca sociale in biblioteca e Maria Senatore Polisetti commenta le attività di un progetto recentemente avviato di digitalizzazione delle opere manoscritte e a stampa dell'umanista Antonio De Ferraris.
La sesta sessione, la più ricca di contributi, si intitola La qualità nei processi valutativi e contiene cinque saggi di Cristina Cocever e Luisa Balbi, di Antonio Lovecchio, di Tiziana Grande e Patrizia Florio, di Anna Bilotta, di Ilaria Giglio.
Cristina Cocever e Luisa Balbo riportano i dati relativi a un'indagine sulle biblioteche scientifiche e biomediche dell'Università di Trieste, finalizzata a comprendere quanto gli utenti conoscano dei servizi offerti e i loro giudizi su utilità e qualità dei servizi stessi; Antonio Lovecchio ripercorre le fasi della valutazione della customer satisfaction nelle biblioteche dei consigli regionali italiani e in Teca del Mediterraneo; Tiziana Grande e Patrizia Florio illustrano il programma per la misurazione e la valutazione delle biblioteche dei conservatori e degli istituti superiori di studi musicali; Anna Bilotta fa il punto sui rapporti fra osservazione e biblioteconomia valutativa fornendo una panoramica nazionale e internazionale secondo la traccia della observed evidence; riporta infine i risultati di un'esperienza di osservazione effettuata nel 2016 presso la Biblioteca provinciale Scipione e Giulio Capone di Avellino. Ilaria Giglio chiude la carrellata con un intervento nel quale offre ai lettori i risultati di una ricognizione di Project Outcome lanciato dalla Public Library Association per incoraggiare l'impiego delle procedure di valutazione d'impatto delle biblioteche pubbliche statunitensi.
In sintesi, dunque, dalla Giornata di studi sono emersi una grande quantità di temi trattati con competenza e con il giusto livello di approfondimento; ai lettori si offrono molti spunti di riflessione, a partire da quello sul termine e sul concetto stesso di qualità; termine e concetto che, come ricorda Vivarelli nel suo contributo, «sono molto densi, articolati, complessi, e non c'è da meravigliarsi di questo, dal momento che qualità è una parola fondativa sia della nostra tradizione culturale sia anche degli usi linguistici propri del senso comune».
Simona Inserra
Università di Catania
Margarita Pérez Pulido, attualmente profesora titular nella Facultad de Biblioteconomía y Documentación della Universidad de Extremadura, è ormai da molti anni coinvolta in rapporti di collaborazione con l'ambiente biblioteconomico italiano. È stata visiting professor all'Università di Torino nell'anno accademico 2014-2015, ha partecipato all'edizione 2018 del convegno delle Stelline, e ha curato in collaborazione con chi scrive il volume The Identity of the Contemporary Public Library. Principles and Methods of Analysis, Evaluation, Interpretation, pubblicato da Ledizioni nel 2016. Infine, per completare questa brevissima presentazione, vorrei segnalare la nostra partecipazione congiunta a un convegno sulle biblioteche pubbliche svoltosi a Lisbona nel mese di settembre del 2018, che ha dato origine al saggio La identidad de la biblioteca pública y el campo de la biblioteconomía social, in CEScontexto -; Debates, nel fascicolo monografico Bibliotecas Públicas, Políticas Culturais e Leitura Pública del 2018. L'apertura internazionale di Pérez Pulido, e i suoi interessi di ricerca fortemente radicati in un'idea di biblioteca situata nel campo della biblioteconomia gestionale, sono confermati da questa pubblicazione, il cui tema centrale, detto in estrema sintesi, è costituito dall'applicazione di principi etici al campo della gestione.
Il libro è strutturato in cinque capitoli. Nel primo (Why Implement Organisational Ethics?) vengono definite e messe e a fuoco le caratteristiche essenziali dell'etica applicata alle organizzazioni, secondo una prospettiva «that determines the behaviour of an organisation as an institution of the environment with which it interacts and the people that take part in it as components of itself» (p. 1). Ciò implica, anzitutto e preliminarmente, che siano nettamente divisi i campi e gli ambiti di applicazione dell'etica individuale e dell'etica organizzativa, cercando di individuare di essa un solido fondamento teorico e metodologico, e anche di precisare i motivi per cui le diverse organizzazioni, e in particolare le biblioteche, dovrebbero radicare i propri modelli di gestione dei servizi su base etica; tutto ciò all'interno di una ampia e matura consapevolezza della «holistic nature» (p. 3) dei diversi elementi che concorrono a determinare il profilo del campo della gestione, e individuando contestualmente le diverse fasi storiche della istituzionalizzazione di un'etica che concorra a definire le condizioni culturali e organizzative di un maturo ed equilibrato sviluppo sostenibile. La gestione sostenibile è vista dunque dall'autrice come un ambito specifico dell'etica applicata alla gestione, che a sua volta si inserisce nella cornice della responsabilità sociale, secondo il concetto che fa riferimento alla «practical implementation» dello sviluppo sostenibile «in a particular organisation» (p. 8); in questo modo si definisce la cornice di un pensiero organizzativo che vuole dispiegarsi in conformità ai principi etici su cui l'organizzazione fonda il suo agire, e che viene esemplificato facendo riferimento a significative esperienze messe in campo a livello internazionale, tra cui va segnalata quella delle biblioteche accademiche spagnole, resa nota in un rapporto del 2012 dal titolo Contribution of the libraries in matters of university SR and Sustainability (Contribución de las bibliotecas en materia de Responsabilidad Social y Sostenibilidad universitarias).
Nel secondo capitolo (Individual, Professional and Organisational Ethics) vengono prese in esame relazioni e differenze tra etica individuale ed etica dell'organizzazione; l'elemento di unione tra di esse viene individuato nel concetto di «common good», in cui si attua la «coincidence between the purpose of a person, of society and an organisation». In questa fase, molto delicata, i principi etici generali si concretizzano nell'agire organizzativo, e questa etica applicata «prevents the person from making decisions on his own about what must be adopted and what must be obeyed» (p. 26-27). Questo passaggio dall'etica individuale a quella organizzativa va necessariamente codificato in documenti formalmente strutturati, in cui il codice etico dell'organizzazione viene chiaramente delineato e tracciato, e nei quali la mission e la vision dell'istituzione si correlano alle norme che codificano e legittimano le diverse tipologie di azioni; in questo senso specifici approfondimenti sono dedicati ai principi etici che regolano le attività delle pubbliche amministrazioni, mettendo a fuoco le linee generali di un «values-based management», che sia in grado di adeguare la mission organizzativa alle aspettative individuabili nel contesto sociale di riferimento. Pérez Pulido descrive e discute, in particolare, le modalità con cui si sono evoluti i valori delle biblioteche e dei servizi di fornitura di informazioni, tracciandone la storia a partire dagli anni Ottanta del Novecento, da quelli di natura più genericamente umanistica, come il rispetto e la tutela dei diritti della persona, fino ai valori più peculiarmente bibliotecari, come ad esempio l'information literacy, in un intreccio diacronico tra «traditional», «emerging», e infine «redefined values»; infine, in una interessante tabella (p. 36), sono mostrate le correlazioni, via via più specifiche, tra principi etici generali (uguaglianza, solidarietà, neutralità etc.), valori dei servizi pubblici (imparzialità, onestà etc.) e infine valori professionali in senso stretto (accesso alle informazioni, libertà intellettuale, qualità del servizio etc.). Il capitolo prende poi in esame i casi in cui l'etica individuale e quella organizzativa confliggono, con una chiara affermazione del fatto che «the personal beliefs must not influence the professional duties» (p. 38), mostrando i percorsi attuabili per dar origine a processi di decision making entro i quali le tensioni e le criticità possano essere armonizzate e risolte.
Il terzo capitolo (Ethical Dimension in Libraries and Other Organisational Information Services) tratta delle relazioni tra problematiche etiche e modelli di gestione dei servizi fondati sul concetto di qualità, e in cui vengono presentate e discusse premesse e caratteristiche fondative delle differenti tipologie dei codici deontologici, individuandone le radici nel Nolan Report, realizzato in Gran Bretagna nel 1995, che individua una serie di principi di base ai quali i codici devono fare riferimento: altruismo, integrità, obiettività, responsabilità, trasparenza, onestà, autonomia. Il paragrafo Deontological codes of the profession (p. 55 e ss.) è molto importante nell'economia complessiva del volume. In esso i diversi codici (tra cui quello dell'Associazione italiana biblioteche del 2014) sono categorizzati in base alla loro origine geografica, alla data di pubblicazione, alla tipologia della struttura; sulla base di questo ultimo elemento i codici sono distinti in «aspirational», che si fondano su un mero elenco di principi, «educational», che esplicitano il senso dei valori di riferimento, «regulatory», che danno conto anche delle sanzioni previste, e infine «mixed» (p. 56). In questa prospettiva viene messo in evidenza il rilievo riconosciuto diffusamente al valore cardine della professionalità e, in senso più ampio, sono dettagliatamente descritte le modalità secondo cui, a partire da una interlocuzione attenta con gli stakeholders, le organizzazioni possono pervenire a una elaborazione condivisa del proprio codice; un ampio spazio è dedicata all'analisi di un caso di studio, quello dell'Ethics Working Group of the Spanish Society for Scientific Information and Documentation (SEDIC).
Il quarto capitolo (The Quality Management Contribution to the Ethical Behaviour of the Organisation) sviluppa le relazioni tra etica organizzativa e modelli di gestione che trovano il loro fondamento nel TQM -; Total Quality Management, e nei QMS -; Quality Management System di cui le singole organizzazione decidono di dotarsi. Vengono dunque richiamati i principi generali della gestione fondata sul concetto di qualità, con riferimento particolare allo standard ISO 9000: 2005, Standard Management Systems, mostrandone le relazioni con il modello EFQM -; European Foundation for Quality Management. Le relazioni specifiche tra standard ISO ed etica organizzativa sono sviluppate nel denso paragrafo Ethical implications in the ISO Standards 9001:2008 and 9001:2015 (p. 84 e ss.), che mette in evidenza la particolare difficoltà nel definire modelli di analisi e valutazione delle performances funzionali al conseguimento complessivo degli obiettivi prefissati.
Il quinto e conclusivo capitolo (ISO 26000:2010 Guidance on Social Responsibility: Concept and Practical Application) è centrato sul tema della responsabilità sociale, e in esso l'autrice sviluppa le sue considerazioni relative all'integrazione concettuale e pratica tra etica organizzativa e metodi e procedure di gestione, che trova appunto il suo radicamento nelle linee di attività suggerite dallo standard ISO 26000:2010, descritto in modo molto analitico, nei suoi nodi concettuali centrali, e nei sette principi che ne esplicitano le caratteristiche: «Accountability»; «Transparency»; «Ethical Behaviour»; «Respect for Stakeholder Interests»; «Respect for International Norms of Behaviour»; «Respect for Human Rights» (p. 131 e ss.). Il caso di studio proposto in questo capitolo è quello della Università di Cádiz, in Andalusia, che nel suo modello di gestione ha dedicato particolare attenzione al tema della responsabilità sociale.
Questo libro di Margarita Pérez Pulido, nel suo insieme, propone un approccio solido, chiaro, rigorosamente argomentato, al tema delle relazioni tra etica applicata e modelli di gestione delle biblioteche fondati sul concetto di qualità, all'interno di una visione d'assieme convintamente ispirata al campo argomentativo della biblioteconomia gestionale. L'opera, anche per l'autorevole sede editoriale, è inoltre inserita in una prospettiva di ricerca sovranazionale, e questo la rende particolarmente utile per tutti coloro che vogliano acquisire una visione integrata e sistematica dello stato dell'arte complessivo rispetto ai temi trattati. Una particolare nota di apprezzamento va inoltre riferita alla lucida chiarezza espositiva dell'autrice, che, secondo uno stile che le è molto congeniale, elabora con numerose tabelle ed elenchi puntati i concetti più rilevanti che costituiscono l'oggetto della trattazione.
Maurizio Vivarelli
Dipartimento di Studi Storici, Università di Torino
Il volume, che esce per cura di Maria Gioia Tavoni, ripropone la stampa di due fascicoli ciclostilati, pubblicati tra luglio e ottobre del 1975: Il libro, il popolo e il territorio. Biblioteche e servizi culturali a Faenza. Ricerca sociologica condotta da Pierpaolo Donati e Everardo Minardi, vol. 1-2 (luglio-ottobre 1975). L'indagine, promossa dal Comune e dalla Biblioteca comunale di Faenza, fu condotta da due allievi della scuola sociologica bolognese di Achille Ardigò, che firmarono le due distinte parti: Pierpaolo Donati, Biblioteca Comunale e partecipazione popolare a Faenza; Everardo Minardi, Biblioteche e servizi culturali a Faenza. Ma perché riproporre dopo quarant'anni un documento che, a prima vista, può apparire datato e superato? Non si tratta certo di un'operazione nostalgica, promossa da una sua protagonista. E non si tratta solamente di una meritoria iniziativa scientifica di carattere storico. Sebbene sia indubbio il suo valore testimoniale che, nelle loro illuminanti introduzioni, Maria Gioia Tavoni (Oltre 40 anni fa) e Madel Crasta (Cosa ci dicono gli anni '70?), riconducono a un fervente quanto complesso scenario politico, sociale e storico-culturale: Bologna, l'Emilia-Romagna e l'Italia degli anni Settanta. Quella pionieristica indagine faentina nasceva, infatti, dalla consapevolezza politica della funzione sociale della biblioteca e degli istituti culturali e dall'esigenza di immettere la loro azione culturale in un territorio socialmente composito. Significative, in tal senso, sono le tre parole che compongono il titolo (libro, popolo, territorio), non solo perché fanno parte di un vocabolario storicamente evocativo, ma anche in virtù del fatto che la loro relazione sintattica rappresenta di fatto una relazione di valori, la cui attuazione avrebbe potuto consentire di misurare il grado di democrazia reale e l'indice di benessere culturale di una comunità. E qui veniamo alla seconda ragione di interesse di questo volume, che proietta nel presente e nel futuro la riflessione sull'identità culturale della biblioteca, come peraltro emerge dalle considerazioni introduttive di un altro protagonista di quella ricerca, Everardo Minardi (Dopo 40 anni, le biblioteche sono altro da sé).
Alcuni indicatori di quell'indagine conducono infatti nell'alveo di quello specifico ambito scientifico che oggi si definisce biblioteconomia sociale, basata sull'integrazione funzionale delle tecniche quantitative di rilevamento dei dati per mezzo dell'analisi qualitativa, secondo i metodi propri della ricerca sociale. Quegli indicatori, espressione di una cultura politica e di un sistema di valori quanto mai attivo e complesso, cercavano di valutare la qualità percepita e quella attesa di alcuni istituti bibliotecari e culturali di Faenza, avendo come obiettivo quello di promuovere una «sollecita risposta alle istanze espresse da organismi di partecipazione popolare e democratica, nonché l'urgenza di provvedere alla riqualificazione del servizio» (Cesare Rovelli, all'epoca assessore alle Attività culturali, p. 6). Servivano anche a intercettare nuovi segmenti di utenza, che sarebbe rimasta potenziale se non avesse trovato amministrazioni cittadine pronte e sensibili al cambiamento e al più ampio coinvolgimento della città. Insomma, in quello studio si prefigurava con lungimiranza una metodologia di indagine statistico-sociologica che mirava a misurare non solo le quantità (quanti utenti, quanti prestiti, quanta soddisfazione rispetto ai servizi erogati, ecc.), ma anche l'impatto che la biblioteca aveva sulla qualità della vita della comunità. Quegli indicatori sarebbero serviti, come ebbe a dichiarare l'allora sindaco di Faenza, Pietro Baccarini, per «un reale e generalizzato uso sociale dei beni culturali, storici e spirituali custoditi nella e dalla comunità» (p. 4). Quell'indagine rappresentava dunque, nella visione attenta di quegli amministratori, un'occasione unica per dare una nuova vita e una nuova funzione a istituzioni culturali storiche, secondo una visione che voleva coniugare il rispetto delle diverse tradizioni culturali (laica, cattolica e socialista) con un assetto di governo della cosa pubblica basato sul pluralismo e sulla tolleranza.
Dunque, più che un ricordo, un monito rivolto al nostro presente.
Gianfranco Crupi
Sapienza Università di Roma
Il volume di Valeria Mancini La biblioteca di Caino testimonia l'interesse per le biblioteche carcerarie che si è manifestato negli ultimi dieci anni in seno alla riflessione bibliotecaria nel nostro paese. Il volume, con una prefazione di Mauro Guerrini, nasce dal suo lavoro di ricerca per la laurea magistrale in Scienze archivistiche e biblioteconomiche a Firenze. La sua pubblicazione ha preceduto di poco il rinnovo per il prossimo quinquennio -; fino al 2022 -; del Protocollo d'intesa per la promozione e gestione dei servizi di biblioteca negli istituti penitenziari italiani, siglato nel 2013 dall'Associazione italiana biblioteche (AIB) in collaborazione con il Ministero della Giustizia -; Dipartimento Amministrazione penitenziaria (DAP), la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e l'Associazione nazionale Comuni d'Italia (ANCI), il cui testo integrale viene proposto tra i documenti in appendice alla pubblicazione. Si tratta di un documento che ha rappresentato nel nostro paese la base per la nascita e il consolidamento di progetti sul territorio nazionale tra cui quelle significative del Servizio Biblioteche in carcere del Comune di Roma, del Sistema Bibliotecario Carcerario Regione Marche, delle biblioteche delle case circondariali di Torino, Nuoro, Como, Monza, Foggia che hanno stipulato apposite convenzioni con i sistemi bibliotecari urbani presenti sul territorio. Un grande passo in avanti se si pensa che solo 20 anni fa -; come ricorda Mauro Guerrini nella prefazione -; Giorgio Montecchi, a seguito del primo censimento italiano, fotografava una situazione in cui le biblioteche versavano in uno stato di abbandono e di desolazione, con volontari non adeguatamente formati, e pochissime significative realtà come quella della casa circondariale delle Vallette a Torino, degli istituti Regina Coeli e Rebibbia a Roma, della Casa di reclusione Opera di Milano. Nelle case circondariali di Ravenna e Forlì e Como le biblioteche facevano parte del Servizio Bibliotecario Nazionale e in Sardegna si stava organizzando un servizio di pubblica lettura nelle carceri.
Le biblioteche carcerarie sono previste in Italia dalla legge 26 giugno 1975 n. 354 che stabilisce che alla gestione del servizio partecipino rappresentanti dei detenuti e degli internati (regolamento di esecuzione D.P.R. 230/2000). Dopo un lungo iter legislativo, oggi il principio che «leggere è un diritto universale» già sancito dall'UNESCO anche per i detenuti e le persone in esecuzione di pena e il diritto all'accesso all'informazione e alla lettura vengono visti come indispensabili risorse per il reinserimento sociale delle persone detenute nelle carceri italiane.
La prima parte del volume indaga gli sviluppi storici delle biblioteche carcerarie dalle origini alla svolta che si apre nel XIX secolo con il processo di umanizzazione della pena, l'abbandono del supplizio fisico e della spettacolarizzazione, la canonizzazione del modo di punire, il disciplinamento e gli strumenti di modulazione della pena. Nella seconda parte continua l'excursus storico fino ai nostri tempi. La terza parte del volume raccoglie i più significativi contributi in campo normativo e si apre con le Linee guida per i servizi bibliotecari ai detenuti dell'IFLA (http://archive.ifla.org/VII/s9/nd1/iflapr-92.pdf), riportate nella traduzione italiana a cura di Matilde Fontanin, e con il Protocollo d'intesa per la promozione e gestione dei servizi di biblioteca negli istituti penitenziari italiani del 2013, che afferma che le biblioteche carcerarie «devono emulare il modello della biblioteca pubblica fornendo, in aggiunta, risorse per i programmi educativi e riabilitativi del carcere». La sezione si conclude con le testimonianze di biblioteche carcerarie, una rassegna di informazioni sulle più significative realtà corredate di informazioni sul posseduto, sui servizi, recuperate in rete dall'autrice, seguite, nella quarta e ultima parte, da alcune testimonianze degli utenti detenuti sul loro rapporto con la lettura e il libro nel percorso dentro le carceri.
Il volumetto di Valeria Mancini si inserisce dunque nella letteratura professionale sulle biblioteche carcerarie con il merito di portare l'attenzione sulla promozione e diffusione della lettura a vantaggio degli utenti svantaggiati, considerato che la cultura è un diritto cui tutti debbono poter accedere, detenuti, disabili, pazienti degli ospedali e stranieri in difficoltà. Emergono le difficoltà che si incontrano quotidianamente nell'allestimento e nella gestione dei servizi di promozione della lettura per i detenuti, le buone pratiche e le preziose testimonianze dell'operato di queste biblioteche nell'offrire un servizio educativo che sia efficace e rispondente alle necessità informazionali di un'utenza speciale e in un contesto isolato. Storicamente infatti è mancato il collegamento con le biblioteche pubbliche presenti sul territorio creando così una distanza e una separazione dal mondo e dalla società esterna che non giova ai detenuti. Le motivazioni del libro e gli auspici della studiosa espressi in chiusura sono quelli della più ampia sensibilità verso il valore della lettura come strumento per la riabilitazione, il reinserimento e la rieducazione. I libri per i detenuti delle carceri offrono non solo la possibilità di un utilizzo proficuo del tempo trascorso e talvolta una vera attività di lavoro, ma consentono di trasformare la pena da punizione a crescita, annullando così quella sensazione di abbandono che spesso pervade chi si trova nelle condizioni di prigionia e ristabilendo una ritrovata dignità.
Antonella Iacono
Università Sapienza Roma
Il volume Biblioteche scolastiche al tempo del digitale, edito dall'Editrice Bibliografica all'interno della collana Biblioteconomia e scienza dell'informazione, raccoglie interventi di studiosi e docenti, portando in luce prospettive e problematiche delle biblioteche scolastiche.
Nel primo capitolo Donatella Lombello Soffiato chiama il lettore a riflettere sulla funzione educativa della biblioteca scolastica, luogo privilegiato dell'apprendimento, poiché deputato alla lettura e alla ricerca. Se infatti le modalità del cooperative learning che vedono gli studenti co-creatori di testi in una collaborazione tra pari sono proprie anche delle attività proposte da alcuni insegnanti in aula, è solo in biblioteca, grazie al confronto delle fonti, nella capacità di discernere cosa accettare o scartare, nella prova di rielaborazione o sintesi che gli studenti possono trovare quella leva in più che può portarli lontano a esplorare nuovi orizzonti.
Nel capitolo successivo, Mario Priore, dopo un puntuale excursus nel quale si mette in relazione l'azione 24 del Piano Nazionale Scuola Digitale con altre azioni previste dal piano, presenta esperienze concrete già attuate in diverse scuole e, perché no, da riproporre in altri Istituti, in merito alla lettura, alla ricerca e alla documentazione. Non si può negare che ormai la lettura non può essere intesa solo in senso tradizionale, anche perché essa è sempre più integrata: il libro letto viene collegato con contenuti prodotti o reperiti on line. L'uso della rete enfatizza inoltre il cooperative learning, anche grazie all'uso di strumenti tipo Google drive.
Il terzo contributo, di Anna Cristini, analizza lo stato dell'arte dei testi di divulgazione scientifica per ragazzi in Italia, evidenziando come ancora ci sia molto scarto tra le possibilità che si aprono anche grazie all'enhanced book (ebook arricchiti con materiali multimediali), e ciò che concretamente viene realizzato. Nella direzione dell'enhanced edition sta andando la rivista PLANK, ideata dall'Università di Padova per i ragazzi di una fascia d'età 8-12 anni.
Il quarto capitolo, scritto da Luisa Marquardt, è dedicato alla revisione delle Linee guida IFLA, alla quale hanno partecipato anche alcuni membri dell'IASL (International Association of School Librarianship).
Un altro contributo concreto sulle attività che possono svolgersi in biblioteca scolastica è quello scritto da Antonella De Robbio sul diritto d'autore, in una duplice prospettiva: quella di utilizzare per la divulgazione studi approntati da altri e quella di poter realizzare delle dispense per i propri studenti. Vengono così illustrate le principali licenze attribuibili a materiali di contenuto didattico e descritti i diversi movimenti open sorti negli ultimi anni nel campo dell'educational: Open learning, OpenCourseWare, OER (Open Educational Resources), MOOC (Massive Open Online Corse).
Nel capitolo conclusivo, Donatella Lombello Soffiato passa in rassegna le realtà delle biblioteche scolastiche di alcuni Paesi europei ed extraeuropei. In generale, negli Stati presentati, pur non essendoci delle normative organiche in materia di biblioteche scolastiche, sono presenti delle norme ad hoc sugli edifici adibiti allo scopo e sulla formazione del personale dedicato.
Il volume, affrontando aspetti teorici e pratici con linguaggio chiaro, rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per chi oggi voglia occuparsi di biblioteche scolastiche.
La realtà delle biblioteche scolastiche italiane è molto variegata e non sempre ci si rende conto dell'importanza che queste potrebbero avere all'interno del processo formativo degli studenti. Una recente indagine ha messo in luce che i risultati delle prove INVALSI sono migliori nelle scuole dove il livello di funzionamento e l'ampiezza del patrimonio librario delle biblioteche scolastiche sono maggiori. Auspichiamo che questo dato oggettivo possa essere preso come punto di riferimento da parte dei decisori politici per la definizione di una normativa esaustiva in materia.
Elisabetta Castro
Istituto Centrale per il Catalogo Unico
Il volume raccoglie gli atti della Giornata di studi Biblioteche Universitarie ecclesiastiche: nuove sfide, nuovi servizi tenutasi a Roma in occasione del 25° anniversario dell'Unione Romana Biblioteche ecclesiastiche URBE, curati da Silvano Danieli e Mauro Guerrini.
L'associazione URBE è nata 1994 allo scopo di coordinare e gestire il collegamento in rete dei sistemi informatici delle biblioteche ecclesiastiche e delle loro attività ed è oggi una rete in cui confluiscono 18 istituzioni accademiche ecclesiastiche, tra cui sette Università, che collaborano in vista della realizzazione di progetti comuni, servizi e strumenti di accesso alla conoscenza. Si tratta di un percorso lungo di conoscenza reciproca e di collaborazione nato dalla volontà di perseguire obiettivi comuni, condividere risorse, servizi e competenze.
Oltre a evidenziare il significativo percorso di condivisione finora svolto dalle biblioteche della rete e i rapporti con istituzioni internazionali che le biblioteche di URBE hanno sapientemente saputo costruire, rispondendo alle necessità di docenti e studenti e a sostegno della ricerca scientifica in ambito religioso e teologico, l'incontro professionale è stato occasione per fare il punto dei progetti finora messi in atto e immaginare insieme gli sviluppi per il futuro.
Non sono mancate infatti le occasioni per rilevare la necessità di un ulteriore sforzo e di una maggior coesione tra gli istituti coinvolti, per tradurre le prospettive di cooperazione nella pianificazione di servizi integrati per l'utenza (mancano ancora un catalogo comune e una carta dei servizi all'utenza) e frequenti richiami alla necessità di superare i particolarismi che in passato hanno caratterizzato le iniziative dell'Associazione.
La giornata di Studio si è articolata in due parti distinte: la prima parte ha visto succedersi quattro relazioni; la seconda parte raccoglie gli interventi dei relatori che hanno partecipato alla tavola rotonda coordinata da Mauro Guerrini.
I saluti istituzionali che precedono gli interventi dei relatori sono del Card. Giuseppe Versaldi, di Mary Melone, Rossana Rummo, Andrea De Pasquale, Valerio Pennasso, Silvano Danieli.
A Ermes Ronchi viene affidato l'incarico di tracciare nell'intervento introduttivo A che cosa servono le biblioteche? gli orizzonti nei quali si muove e prende vita il servizio bibliotecario e la lettura come viaggio e cammino, nel quale la Chiesa, la tecnologia e la fede si rappresentano in un sistema aperto e creativo che si esprime attraverso la presenza del libro nelle biblioteche ecclesiastiche. Se la lettura è movimento e apre sentieri da percorrere, in questo incontro si discute di come lettura, lettori e biblioteche si trovino in uno scenario di grande cambiamento e di quali possano essere le strade per immaginare lo sviluppo della lettura nelle biblioteche universitarie ecclesiastiche.
L'intervento di Klaus Kempf ci conduce ai temi attuali dello sviluppo digitale delle biblioteche ed è centrato sui temi della qualità delle digital libraries. A partire da alcuni esempi europei, Kempf traccia linee di evoluzione delle biblioteche digitali nell'era della produzione di massa e del libro stampato fino all'accesso più ampio alle collezioni reso possibile dalla nascita degli OPAC. Nell'era del web la visibilità diventa requisito indispensabile per la fruibilità e l'accesso alle collezioni della biblioteca e la biblioteca digitale acquista significato nella messa a disposizione di strumenti facilitati per la ricerca online. La visibilità si accompagna all'accesso diretto ai contenuti digitali reso possibile da qualsiasi device. I grandi portali e aggregatori di contenuti digitali come Europeana, le collezioni digitali di Gallica e Bavarikon rappresentano i più significativi esempi di digital libraries, cui si aggiungono le collezioni museali di oggetti tridimensionali come i progetti tedeschi di Bayerisches Nationalmuseum e Staatliche Munzsammlung.
Partendo dai criteri indispensabili della visibilità e dell'accesso che distinguono una digital library da altri progetti di digitalizzazione massiva e retrospettiva del materiale cartaceo, Kempf illustra concetto e struttura della digital library e si sofferma sull'importanza della contestualizzazione degli oggetti digitali. Questa raggiunge obiettivi di qualità quando i progetti sono basati sulla cooperazione di più istituti, attraverso la gestione del flusso di lavoro dalla digitalizzazione del libro fino alla conservazione permanente nell'archivio digitale. In questo processo gioca un ruolo di primo piano l'uso di metadati diffusi e affidabili che consentono l'interoperabilità delle digitalizzazioni prodotte da enti diversi al fine di consentire l'integrazione degli oggetti digitali/digitalizzati. Dal momento che la ricchezza prodotta dalle differenti comunità viene espressa attraverso gli schemi dei metadati adottati, è necessario favorire standard che possano facilitare l'integrazione tra diverse fonti di dati. Tra gli esempi citati dallo studioso spicca BavEDM, lo schema sviluppato sullo standard di Europeana. Il mantenimento dei metadati (data curation) rientra appieno nel workflow della digital library, che si configura quindi come struttura del cambiamento dell'informazione in senso globale e pervasivo.
Dopo l'intervento di Roberto delle Donne (non presente nel volume degli atti) dedicato al tema dell'open access e dei suoi recenti sviluppi, si entra nello specifico campo delle biblioteche ecclesiastiche con il contributo di Odile Dupont, bibliotecaria e membro dell'IFLA GIS Relindial (Religions: Libraries and Dialogue), gruppo di ricerca che si occupa del dialogo interreligioso. La studiosa offre un efficace quadro del contesto internazionale nel quale le biblioteche ecclesiastiche operano ed entra nel merito della funzione della biblioteca di scienze religiose in rapporto alle altre tipologie bibliotecarie in una società digitale interconnessa. L'orizzonte nel quale si sviluppa il discorso è la recente pubblicazione dell'IFLA Trend Report (https://trends.ifla.org/). Vengono dunque ripercorse e illustrate le cinque principali tendenze dello scenario globale dell'informazione mettendo in luce le prospettive di apertura delle biblioteche ecclesiastiche nei confronti dello scenario informativo che si sta delineando. Le iniziative di URBE nelle aperture del dialogo interreligioso rientrano in un quadro di esperienze internazionali che interessano paesi come Egitto, Cile, Libano, Italia, Francia e Germania e trovano esempi virtuosi nella biblioteca teologica di Friburgo e nella Biblioteca dell'Università cattolica di Lione.
Nella seconda parte della giornata, la tavola rotonda Sull'apporto delle pontificie biblioteche ecclesiastiche al controllo bibliografico italiano e universale è stata aperta dall'intervento di Mauro Guerrini che ha moderato anche il dibattito pomeridiano. Partendo dal testo Bibliographies in the digital age dell'IFLA, lo studioso ripercorre la strada del controllo bibliografico e delle esperienze di adattamento delle iniziative all'evoluzione del web. Il riferimento è allo standard di contenuto RDA, basato sul modello di universo bibliografico delineato ormai diversi anni fa dallo studio FRBR e al passaggio dalla registrazione dai record ai dati aperti e collegati (LOD). In questo contesto si sottolinea l'apporto decisivo delle biblioteche delle pontificie università nel recupero e nella produzione di un'editoria estremamente specializzata, multilingue, e pubblicata su supporti differenti. Per evitare che gran parte delle opere sfugga al controllo bibliografico come è avvenuto negli scorsi decenni, presupposto imprescindibile è la cooperazione tra le istituzioni, ma anche e soprattutto una collaborazione con gli editori che pubblicano i metadati delle risorse.
Interviene sull'argomento anche Simonetta Buttò che illustra i progetti che l'ICCU ha avviato in seguito al protocollo d'intesa tra il MiBACT e la CEI e nel 2006 con l'Ufficio Nazionale per i Beni Culturali della CEI, che ha portato alla costituzione del Polo SBN delle Biblioteche ecclesiastiche PBE e alla collaborazione nell'ambito dei progetti MANUS e BIBMAN, finalizzati al censimento e alla digitalizzazione di manoscritti. Nel suo contributo vengono menzionati i punti di forza del Servizio Bibliotecario Nazionale in termini di interoperabilità e fruibilità dei dati, di qualità dei dati e dello sforzo per il rinnovamento delle REICAT. Tutti passi importanti e necessari per avviare un processo di rinnovamento dell'accesso all'informazione bibliografica che vede oggi l'ICCU impegnato sul versante dei servizi all'utenza, nell'obiettivo dell'integrazione del patrimonio bibliografico e digitale. Sul versante del controllo bibliografico nazionale, la studiosa invita alla cooperazione tra gli istituti al fine di creare strumenti di ricerca più generalisti, capaci di integrare sistemi complessi e specialistici di gestione che finora hanno operato in maniera isolata, al fine di una valorizzazione integrata, come testimonia la cooperazione con il Polo degli Istituti Culturali di Napoli, e la creazione di una descrizione integrata del patrimonio posseduto nei domini bibliografico, archivistico e museale e all'applicativo SBNWeb, che rappresenta un primo passo per una fruizione più integrata a vantaggio dei cittadini.
Richiamandosi al concetto evocato dal romanzo di Margaret Mazzantini Nessuno si salva da solo e in riferimento alle parole di Guerrini, Luca Bellingeri propone una riflessione sul ruolo che la Bibliografia Nazionale Italiana (BNI) ha avuto in passato e sulla necessità di ridare centralità a questo strumento in un'epoca di forte contrazione di risorse economiche ma allo stesso tempo di grande evoluzione tecnologica e sulla funzione dei metadati nel contesto digitale. Fondamentale è dunque la cooperazione tra le istituzioni del patrimonio culturale; in questa prospettiva lo studioso prefigura l'apporto che l'allargamento della cooperazione con le biblioteche ecclesiastiche sarebbe in grado di garantire al controllo bibliografico nello scenario di evoluzione della BNI.
Di controllo bibliografico ci parla anche Michele Casalini sottolineando l'impegno di Casalini Libri su questo versante con l'adozione di RDA fin dall'ingresso in produzione, la partecipazione a programmi internazionali come PCC (Program for Cooperative Cataloguing), l'utilizzo delle norme NACO (Name Authority e SACO -; Subject Authority) A ciò si aggiunge la rappresentazione dei dati nel sistema OLI-Suite e l'espressione dei dati bibliografici sotto forma di LOD grazie all'associazione degli URI ai record di autorità creati. Nei confronti di URBE dunque si sottolineano i benefici che il crescente interesse delle biblioteche della rete romana verso gli standard RDA e il modello BIFRAME potrà apportare in termini di interoperabilità e scambiabilità dei dati.
Chiude il dibattito pomeridiano l'intervento di Tiziana Possemato, il cui merito è di tracciare -; sulla scorta del successo del progetto SHARE-Catalog che ha coinvolto varie biblioteche di Campania, Puglia e Basilicata -; le linee di realizzazione di un progetto di catalogo unico della rete URBE, reso possibile dalla condivisione delle medesime norme di catalogazione e dalla produzione di basi dati tra loro omogenee. Si rende auspicabile -; secondo la studiosa -; l'adesione al Servizio Bibliotecario Nazionale, in quanto sono presenti i requisiti tecnologici necessari nei record prodotti finora dalle biblioteche partecipanti. Si portano alcuni esempi concreti di benefici ottenibili grazie al miglioramento del controllo bibliografico in un catalogo tramite l'apporto che ogni istituto potrebbe dare alla costituzione di un authority file condiviso. Vengono poi presentati ai bibliotecari e ai responsabili delle biblioteche presenti, i benefici ottenibili dalla creazione di un catalogo collettivo che prenda a modello l'architettura tecnologica del progetto SHARE, in termini di apertura e interoperabilità dei dati.
Antonella Iacono
Sapienza Università di Roma
Il testo è la pubblicazione della conferenza sulla storia delle biblioteche in Occidente tenuta da Luciano Canfora il 6 e 7 ottobre 2015 all'Università di Parma nell'ambito del ciclo di incontri Lezioni Roberto Tassi. Professore emerito all'Università di Bari, Canfora è filologo, storico e prolifico autore di libri che uniscono rigore scientifico e capacità divulgativa.
La lettura è agile e il testo snello, organizzato in sei capitoli, una premessa e un epilogo; chiude il libro la postfazione di Ugo Fantasia sulle biblioteche pubbliche nelle città ellenistiche.
Al primo capitolo, dedicato alle origini delle raccolte librarie in Grecia, ne seguono due sulle sorti della Biblioteca di Alessandria. Se fino al IV secolo a.C. le opere erano conservate in casa dell'autore, con Aristotele nacque il modello della biblioteca ellenistica, che ebbe in Egitto la sua massima realizzazione grazie alla figura di Demetrio Falereo, allievo del filosofo e consigliere di Tolomeo Soter. Negli anni si sono accesi aspri dibattiti attorno alle cause della fine della prestigiosa istituzione: l'incendio seguito all'assedio di Cesare (48 a.C.) e la guerra di Aureliano (III secolo d.C.), la furia del vescovo cristiano Teofilo (ultimo decennio del IV secolo d.C.) e la conquista araba del 642.
Nel capitolo quarto si procede con la narrazione delle origini delle prime biblioteche a Roma grazie ai libri in greco provenienti dalle conquiste in Oriente (Pidna, Atene e la Bitinia) già noti e apprezzati dalle ricche famiglie romane. Il termine bibliotheca fu mutuato dal greco per indicare un insieme di libri ma anche il luogo di conservazione. Alle molte raccolte private si affiancò nel 39 a.C. per volontà di Asinio Pollione la prima biblioteca pubblica romana, secondo un progetto già ideato da Cesare e affidato a Varrone.
Dopo la caduta dell'Impero romano i manoscritti sopravvissero nascosti in biblioteche private o dimenticati in monasteri, e lì furono cercati i testi del cristianesimo delle origini per dirimere sanguinose dispute dottrinali. Emblematica è la vicenda della raccolta di Fozio, dispersa come anche la sua cerchia dopo la condanna nel 870: l'Inventario dei libri che ho letto stilato dal coltissimo patriarca e dai suoi seguaci citava infatti numerose opere di ispirazione monofisita e nestoriana.
In epoca moderna, dopo i primi tentativi di allestire biblioteche per la pubblica lettura ad opera di colti e ricchi mecenati come Mazzarino, la Rivoluzione francese avviò la sistematica confisca ai danni della nobiltà e del clero dei beni librari tra gli altri, che finirono nei dépôts littéraires. La fase di accentramento iniziò con Napoleone che portò a Parigi anche il bottino librario raccolto in Europa per la costituenda biblioteca nazionale, al contempo strumento di progresso illuministico e simbolo della paternalistica munificenza imperiale.
Cura il volume e ne scrive la postfazione Ugo Fantasia, ordinario di Storia greca all'Università di Parma e già direttore del Laboratorio di topografia storica e archeologica del mondo antico e del Laboratorio informatico delle lingue antiche presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Fonti epigrafiche e archeologiche che riportano cataloghi e regolamenti testimoniano l'esistenza, il ruolo e il radicamento delle biblioteche pubbliche nel mondo greco: fino alle soglie della prima età imperiale integrate ai ginnasi, divennero centri culturali per conferenze e dibattiti ospitati in ambulacri, sale riunioni ed esedre, secondo un modello di straordinaria modernità.
Racconto rigoroso ma non didascalico, il libro ha un apparato paratestuale minimo con poche ma puntualissime indicazioni bibliografiche in nota, e una narrazione che procede per spunti e aneddoti di sicuro interesse anche per chi già conosce il tema trattato.
Alessandra Annunzi
Martinsicuro
Affrontare la storia della Biblioteca circolante dell'«Italia che scrive», una delle più significative realizzazioni di Angelo Fortunato Formiggini (e una delle meno indagate, come rileva Alberto Petrucciani nella sua presentazione), implica confrontarsi con le vicende del suo ideatore, figura quasi leggendaria dell'editoria primonovecentesca, di cui si è parlato più spesso sull'onda della suggestione di una personalità di spicco che con profondità di scavo nelle fonti documentarie. Lo studio di Vittorio Ponzani invece, pur correlando l'iniziativa di Formiggini al suo percorso biografico (cap. 1) e alla sua cultura bibliografica ed editoriale (cap. 2), radica la storia della biblioteca circolante nel quadro bibliotecario e documentale dell'epoca (cap. 3 e 4), considerandola un organismo i cui dati anagrafici -; le vicende costitutive e pratiche -; non possono essere disgiunti dall'anima, le collezioni: le quali includevano letteratura italiana ed europea, romanzi popolari, storici, umoristici, libri per ragazzi e per donne; ma anche saggistica e divulgazione scientifica, persino -; dettaglio non scontato -; qualche studio di storia del libro e delle biblioteche.
Aperta al pubblico nel centro di Roma, in vicolo Doria, nel 1921, ma ufficialmente inaugurata nell'anno seguente, attiva per circa un quindicennio (durata lusinghiera se parametrata ai tempi in cui visse, alle difficoltà economiche che affrontò, alla rilevanza delle dimensioni rispetto ad altre biblioteche create da editori tra 18. e 19. secolo), la Biblioteca circolante dell'«Italia che scrive» può essere considerata un primato formigginiano e un tassello significativo del più ampio mosaico di luoghi per la lettura primonovecenteschi in Italia. Intreccia la propria storia anche con la più nota tra le biblioteche circolanti italiane, quella del Gabinetto Vieusseux di Firenze, il cui neodirettore Bonaventura Tecchi, ponendo mano nel 1926 a un'opera di modernizzazione, s'ispirò proprio al modello formigginiano per sostituire i registri manoscritti dei prestiti librari con un sistema di registrazione su schede mobili intestate al singolo abbonato: sistema che certo apparve, all'epoca, più funzionale, sebbene oggi neghi al ricercatore fonti preziose come quei registri per ricostruire i percorsi di libri e lettori in biblioteca.
Proprio dal punto di vista delle fonti, lo studio di Vittorio Ponzani è un esempio di come si possano attingere informazioni dalle risorse prodotte dalle biblioteche stesse nello svolgimento delle proprie attività istituzionali. Infatti, pur senza trascurare i fondi dell'Archivio editoriale e dell'Archivio familiare di Formiggini, custoditi dalla Biblioteca Estense di Modena (ma lacunosi proprio nella documentazione gestionale della Biblioteca, che si ipotizza scartata in tempi di deriva repressiva del fascismo) l'analisi di Ponzani si è molto basata sulle diverse edizioni del catalogo a stampa della biblioteca circolante e sull'individuazione di un nucleo di libri ad essa appartenuti, cui è dedicato il capitolo conclusivo. Altro aspetto interessante (cap. 5) è la ricostruzione dei doni librari e degli scambi di Formiggini con altri bibliotecari e biblioteche, anche volti a promuovere la diffusione del libro e dell'informazione bibliografica.
Tanto più meritevole dunque è questo studio perché fa emergere un quadro convincente anche del modello biblioteconomico che guidava l'iniziativa del suo fondatore e illumina relazioni con altri esempi di servizio bibliotecario d'inizio Novecento (cap. 6). Ponzani mette in guardia circa le debolezze di un progetto biblioteconomico non sempre organico, viziato ad esempio dall'impatto dei doni nella scelta delle collezioni (anche dettata da esigenze di sostenibilità economica); e tuttavia sembra individuare proprio in certe ambivalenze, che pure ebbero un ruolo nel fallimento dell'impresa, il momento più nobile e innovativo del disegno culturale di Formiggini, volto a favorire una crescita della società coinvolgendone le diverse componenti con l'adozione dei linguaggi di volta in volta più adeguati a veicolare i contenuti disponibili.
Da questo studio sulla storia della biblioteca circolante di Formiggini, come dovrebbe avvenire in ogni indagine storica, si possono trarre spunti e grimaldelli per la comprensione di fenomeni più vasti. Ad esempio, la ricostruzione della rete di relazioni formigginiana suscita riflessioni -; ne propone alcune Petrucciani -; su quanto poco ancora sappiamo di quei luoghi (associazioni, circoli, esercizi commerciali) che a inizio Novecento soddisfacevano una domanda di socialità, ma anche di lettura, che potremmo definire borghese; e borghese è l'orizzonte di riferimento di Formiggini, a dispetto dei luoghi comuni legati all'etichetta di biblioteca circolante, spesso associata ai ceti meno abbienti. Ponzani suggerisce che nel contesto del «dualismo bibliotecario» primonovecentesco (altrove ben descritto da Paolo Traniello, che di questo volume è co-editore e direttore di collana), tra biblioteche pubbliche governative o civiche dotate di collezioni storiche e orientate alla conservazione da un lato, e biblioteche popolari con funzione di diffusione della lettura dall'altro, la biblioteca voluta da Formiggini si pone come terza via, prevalentemente rivolta a una classe media colta che, fino a quel momento, aveva avuto scarse possibilità di accedere a raccolte librarie che non fossero molto specializzate.
Altro punto notevole nel progetto di Formiggini è una visione della biblioteca -; che ancor oggi stenta ad affermarsi -; come elemento attivo della filiera del libro, non mero approdo di volumi che sui suoi scaffali perdono di vitalità. Le biblioteche degli editori sono una delle dimostrazioni del fatto che la lettura può inserirsi in processi produttivi, in senso economico oltre che di circolazione di idee. Connesso a questo aspetto è un altro dei risultati dello studio sulla circolante di Formiggini, da cui emerge una moderna idea di biblioteca come servizio, strumento per la circolazione di libri e letture. Non è questa la sede per fare previsioni, ma una provocazione e un auspicio si possono forse lanciare: in tempi di crisi delle biblioteche e della loro riconoscibilità, e di emergere di nuovi modelli di circolazione documentale che talvolta, magari inconsapevolmente, recuperano modelli perduti, ricerche come quella di Vittorio Ponzani possono contribuire a far riflettere non solo sul passato ma anche sulle prospettive attuali e sui nuovi spazi della lettura.
Chiara De Vecchis
Biblioteca del Senato "Giovanni Spadolini", Roma
Il volume, edito dall'editore Olschki nella collana Studi del Gabinetto Vieusseux, non vuole essere un vero e proprio catalogo della biblioteca di Pier Paolo Pasolini. Come sottolinea Graziella Chiarcossi, cugina del poeta, che ha curato insieme a Franco Zabagli la pubblicazione, si tratta di un insieme di elenchi tematici compilati nel tempo dalla stessa Chiarcossi per annotare i libri della biblioteca di Pasolini rimasti, dopo la sua scomparsa, nell'abitazione di via Eufrate 9, al quartiere dell'Eur, e ora conservati presso il Gabinetto Vieusseux di Firenze.
Il volume è introdotto dai saggi di Gloria Manghetti (Il Fondo Pier Paolo Pasolini al Gabinetto Vieusseux), Nico Naldini (Tanti libri intorno al Larìn), Franco Zabagli (La biblioteca del «laboratorio») e Graziella Chiarcossi (I libri di Pier Paolo), e si chiude con un'appendice di testi e un apparato di immagini.
La biblioteca di Pier Paolo Pasolini è formata da 21 sezioni. Di ogni esemplare viene indicato se presenta dediche autografe, che sono riportate per lo più integralmente, tracce di lettura, annotazioni, sottolineature, glosse ed eventuali biglietti di accompagnamento. Per alcuni titoli sono state aggiunte delle note che fanno riferimento a recensioni, lettere, appunti e commenti di Pasolini.
La prima sezione è dedicata ai Libri della formazione, la biblioteca che si va via via configurando negli anni bolognesi e friulani, poi passata a Roma dove Pasolini si trasferisce nel 1950. Dopo i Classici italiani, si incontra una delle sezioni più ricche, Poesia italiana, un chiaro spaccato della vicenda editoriale della poesia italiana nei decenni centrali del Novecento. Le sezioni successive, Poesia dialettale e Poesia popolare, testimoniano il suo lavoro preparatorio per le antologie Poesia dialettale del Novecento e Canzoniere italiano: antologia della poesia popolare.
Dopo la Poesia straniera, è la volta dei volumi di Narrativa italiana, che insieme a quelli di poesia occupavano gran parte della libreria dietro la scrivania della stanza di Pasolini. Segue la Narrativa straniera. La sezione Saggi di letteratura, linguistica, filologia, semiologia riunisce i contributi che riflettono lo sviluppo dell'identità critica di Pasolini, mentre in Saggi di storia, filosofia, psicologia, antropologia, politica, sociologia risalta la varietà di interessi coltivati dal poeta al di fuori della letteratura. Tra le sezioni successive -; Biografie, memorie, epistolari, testimonianze, Arte, Teatro, Cinema, Religione, Classici greci e latini -; I Classici Ricciardi e la collana Strenne UTET occupavano una posizione eminente nel salotto di casa. Riuniti tutti insieme sono anche i volumetti bianchi della Collezione di poesia Einaudi e le Edizioni Scheiwiller. L'ultima sezione è dedicata ai Libri recensiti e citati in Descrizioni di descrizioni e Scritti corsari.
Si entra così nel vivo del laboratorio pasoliniano tra volumi oggetto di studio, strumenti per la sua invenzione poetica e libri che svelano le sue letture, i suoi interessi. Al tempo stesso la biblioteca diviene lo specchio della sua rete di relazioni e di amicizie col mondo culturale e non solo, come rivelano molte dediche autografe presenti nei volumi. Un esempio tra tutti: la dedica «Al mio recente, / ma già tanto caro, amico / P.P. Pasolini, il suo / Sandro Penna» in Appunti del 1950.
La biblioteca permette inoltre di attraversare la sua biografia, le sue diverse abitazioni romane e di ripercorrere le sue giornate di lavoro: si entra nell'officina di Pasolini. Come ricorda infatti Graziella Chiarcossi, si è di fronte a una biblioteca «viva»; con i libri «Pasolini aveva un rapporto molto fisico [...]. Faceva tante orecchiette e a volte, quando evidentemente non aveva a portata di mano una penna, evidenziava quello che gli interessava con le unghie, scolpendo un segno nella pagina», come mostra l'esemplare de La Storia di Elsa Morante.
Ma i libri sono necessariamente accanto alle carte. Molte fotografie ritraggono Pasolini seduto alla scrivania con alle spalle gli scaffali della libreria dove insieme ai libri si riconoscono le cartelle color rosso mattone che conservano i manoscritti e i dattiloscritti delle sue opere. Uno scatto fotografico basta a sancire quell'unitarietà indissolubile tra le carte e i libri, quel legame e dialogo continuo che si instaura tra essi, da preservare per sempre.
Eleonora Cardinale
Biblioteca nazionale centrale di Roma
Dobbiamo attenderci una nuova professionalità, dentro un ecosistema digitale in continua crescita e in continuo cambiamento. Ryan e Sampson esplorano il campo della ricerca documentale e bibliografica dei materiali prodotti in ambito digitale, compresi post, email, sms, chat. Il titolo dichiara le intenzioni degli autori, che riposizionano alcune conoscenze fondate, già testate su materiali ibridi, e attendibili per la gestione dei contenuti oggetto della guida.
Il libro richiama un sapere condiviso da bibliotecari e archivisti e solleva questioni su accessibilità, acquisizione, conservazione e gestione dei materiali che sottendono alla granularità del sapere: la notizia bibliografica è sapere aumentato (ossia tradotto all'interno di una costellazione di archivi e biblioteche) ed esige attori che lo producano e che devono monitorarne la validità.
I dispositivi, inoltre, sono considerati di fatto estensione delle attività cerebrali e richiedono policies legali per il trattamento dei materiali, delle informazioni relative alla provenienza e per un'idonea gestione.
La guida, dunque, propone i criteri da adottare in ambito digitale ed è un concreto contributo all'innovazione delle professioni bibliotecarie e archivistiche, specie laddove presenta alcuni studi di casi e si pone obiettivi multiculturali. Unica perplessità è lo stile poco accademico scelto dagli autori.
Il volume si compone di otto capitoli, corredati ognuno di approfondimenti. Nel primo gli autori riassumono le conoscenze utili per accedere all'informazione digitale: sono descritte alcune nozioni fondamentali, i formati dei file, gli archivi; sono elencati alcuni tools e introdotti i più diffusi repositories. Il secondo capitolo esplora le strategie per lo sviluppo e gestione delle raccolte (mission, policies e accordi con i donatori); propone un codice di conservazione; fornisce un esempio di accordo e un addendum che risponde a specifici bisogni. Nel terzo capitolo sono individuati i metodi per acquisire e trattare i materiali: dispositivi per impedire la scrittura nei supporti ricevuti in dono, per accedere a contenuti digitali o per generare checksum in grado di stabilire l'autenticità dei documenti. Tema del quarto capitolo è lo studio della struttura dei dati: gli autori introducono gli standard descrittivi e l'organizzazione degli elementi catalografici; li confrontano con i metadati per la catalogazione; presentano i sistemi descrittivi e i repositories digitali e archivistici. Il quinto capitolo prende in esame le norme di conservazione delle collezioni, con considerazioni in merito alla collocazione, al budget, alle policies di Data Seal of Approval o CoreTrustSeal certification, programmi di certificazione per la prevenzione di eventuali deterioramenti e per la conservazione. Il sesto capitolo espone i metodi per accedere ai contenuti e ne descrive le condizioni, con particolare attenzione alla privacy e al copyright dentro i domini di archivi e biblioteche, come nel caso dell'archivio Salman Rushdie. Il settimo capitolo introduce le strategie di gestione dei processi che sottendono ai materiali; ne fornisce esempi in alcuni contesti, propone strategie da adottare. L'ultimo capitolo esamina il deposito digitale, la produzione di born digital content e i metodi utili agli utenti; esplora i profili addizionali e le conoscenze per la gestione dei materiali.
La guida è preceduta da un glossario che rispetta l'esigenza di fondatezza e attendibilità, mentre un'approfondita bibliografia conclude il volume. La No non sense guide, dunque, chiede alle professioni documentali di apprendere o di perfezionare le competenze digitali e accoglie -; pur non menzionandole esplicitamente -; le indicazioni dell'Agenda 2030 in merito al fabbisogno formativo ed educativo, con ricadute sensibili sulla qualità dell'istruzione e sull'accesso alle tecnologie e all'informazione.
Antonella Costanzo
Genova
Il volumetto di Carolina Montagni raggruppa efficacemente le diverse strategie che il bibliotecario mette in campo per stimolare il piacere della lettura utilizzando quattro categorie: àgon, àlea, mimicry e inlix. All'interno di àgon si inscrivono iniziative quali maratone a tema e campionati di lettura in cui i lettori si stimolano sfidandosi, che fanno leva sulla dimensione della competitività e che prevedono obiettivi di lettura condivisi. Àlea evoca la tanto agognata serendipità per stimolare una modalità di incontro (quasi) casuale tra libri e lettore. Rientrano in questo novero l'eccellente iniziativa del bookcrossing e, in genere, tutte le promozioni che sfruttano l'elemento a sorpresa come catalizzatore. Fra queste, ad esempio, Libri al buio, ovvero l'esposizione in appositi display di libri anonimi sui quali vengono applicate delle etichette con degli abstract accattivanti o delle frasi concise che stuzzicano la curiosità del lettore. Sotto la categoria mimicry sono state raggruppate tutte le attività necessarie all'elaborazione di rassegne di lettura in cui la personale inclinazione letteraria del bibliotecario-lettore viene abbandonata in favore dei gusti del pubblico. Queste attività esigono una attenta programmazione e, pertanto, il capitolo loro dedicato è ricco di esperienze alle quali il bibliotecario-lettore può far riferimento per alimentare la propria fantasia e predisporre, così, originali percorsi di lettura. Infine inlix allude all'elaborazione «di formule nuove e originali che con un linguaggio semplice e quotidiano sappiano arrivare al cuore dei lettori» (p.61). Sangiorgella, Librizia, letture d'intesa, Propolib evocando noti prodotti di uso quotidiano, avvicinano il pubblico all'esperienza della lettura.
L'autrice offre, in definitiva, un nutrito numero di suggerimenti utili per progettare efficacemente servizi di promozione che non devono tuttavia eludere le finalità specifiche della biblioteca.
Il saggio di Maria Stella Rasetti ha l'indubbio merito di estendere l'ambito biblioteconomico definito Comunicazione in biblioteca (compilazione di brochure informative, depliant, avvisi all'utenza, social network) a qualsiasi aspetto dell'interazione umana compiuta più o meno consapevolmente in biblioteca. La tesi è sostenuta dal celebre assioma comunicativo di Watzlawick che riguarda l'impossibilità di non comunicare. Le scelte relative agli arredi, il linguaggio del corpo, le modalità di comunicazione con l'utenza (de visu o attraverso l'affissione di avvisi) parlano per mezzo della loro immagine in senso lato e contribuiscono a conferire, se opportunamente indirizzate, una precisa identità alla biblioteca. Interessanti, a questo proposito, sono gli spunti sulle modalità di allestimento di ausili informativi tradizionali di qualità, ad esempio relativamente alla scelta della grammatura della carta ideale, alla selezione del carattere tipografico più adatto in relazione al destinatario del messaggio e all'evento che si intende pubblicizzare. L'argomentazione si sviluppa stimolando l'attenzione del lettore per la sensibilità nella cura dei dettagli, anche nelle più piccole azioni comunicative, e incentivando la ricerca di uno stile elegante e signorile di cui la biblioteca deve essere consapevolmente portatrice.
Entrambi i contributi mostrano la comune vision delle autrici, orientata al coinvolgimento della comunità attraverso scelte di comunicazione e promozione ben precise e frutto della loro esperienza lavorativa presso la Biblioteca di San Giorgio a Pistoia che si è affermata, a buon diritto, come uno dei punti di riferimento per la biblioteca pubblica livello nazionale.
Emiliano Favata
Università di Palermo
L'opera della Averame è un agile e interessante punto di partenza per capire qualcosa in più sulla comunicazione digitale consapevole, tanto per chi vuole approcciarsi all'argomento, quanto per chi vuole approfondirlo in maniera critica. Pur vedendo la luce nel campo dell'editoria scolastica ed essendo significativamente inserita nella collana «Insegnare nel XXI secolo», si rivela essere a mio avviso un valido aggiornamento di taglio teorico-pratico su argomenti di grande attualità (fake news e bufale mediatiche ma anche comunicazione responsabile, responsabilità digitale, cittadinanza e molto altro) al centro del dibattito nella scuola e non solo.
Intrigante fin dal titolo, l'opera sembrerebbe spingersi in realtà anche oltre le aspettative suscitate dallo stesso (percorsi in/con/per la classe), risultando una sintesi personale, originale e trasversale (con riferimenti pedagogici, filosofici, linguistici, ecc.) di argomenti spesso trattati in ambiti ben definiti: talvolta confinati nelle pubblicazioni di professionisti operanti a vario e diverso titolo nel mondo dell'informazione, oppure altre volte al centro di innovative esperienze sul campo come il blog BiblioVerifica (oggetto di intervento anche al Convegno Stelline del 2018 La biblioteca (in)forma), oppure più frequentemente oggetto di studio/ricerca/divulgazione in ambito accademico, come da ultimo nell'illuminante L'età della frammentazione: cultura del libro e scuola digitale di Gino Roncaglia o nell'utilissimo Come imparare a riconoscere il falso in rete di Carlo Bianchini.
Il volume è articolato in sei capitoli, corrispondenti ai sei percorsi scelti: La conversazione in rete, Cultura e creatività in rete, Pillole di web marketing, Psicologia e comportamento umano, Informarsi in rete, L'arte di costruire ragionamenti validi. Percorsi, tracce di un «gioco culturale e comunicativo» importante non solo per la meta ma soprattutto per le singole tappe, che partono, come dichiarato nell'Introduzione dall'Autrice stessa, dall'inquadramento generale su fake news, information literacy, media literacy, passando per rete, web marketing e web writing, fino ad arrivare alle fake news e concludere con la dialettica digitale.
Efficace a mio avviso la selezione nonché la sintesi di argomenti che potrebbero essere oggetto di intere pubblicazioni a sé stanti. Utile il riferimento ad argomenti di grande attualità e interesse come l'informazione di carattere medico-scientifico (spesso al centro anche della cronaca), l'«autodifesa intellettuale», le dieci strategie della manipolazione, il fact checking.
La fortunata espressione «dialettica digitale», qui reintepretata, è al centro dell'ultimo capitolo, il cui paragrafo finale è dedicato al critical thinking, che, come atteggiamento di fondo, spiega l'Autrice, è alla base anche di questo volume. Da qui la scelta non di un manuale o prontuario, quanto piuttosto di un'occasione per conoscere e riflettere su strumenti e metodi di analisi e valutazione.
Personalmente, ho trovato molto valido l'approccio scelto, riconducibile ai due focus principali del lavoro: una prima parte su come funziona la rete (legato al tema delle fake news), una seconda parte su come funziona la mente e il comportamento umano (legato al tema della consapevolezza). Un approccio didattico, sempre chiaro (anche per neofiti) sia nell'analisi sia nella prassi: per ogni argomento, a un'affermazione seguono puntualmente spiegazione ed esempio dimostrativo. Utilissimi, oltre alle Note bibliografiche alla fine di ciascun capitolo, l'apparato iconografico (figure, tabelle, grafici, ecc.), gli approfondimenti, gli spunti e i suggerimenti di lettura Per saperne di più.
A motivo dell'importanza degli argomenti trattati e della loro transdisciplinarietà, mi piace sperare, in aggiunta agli interessantissimi esempi analizzati, in un ulteriore corredo dell'opera, di taglio pratico-applicativo, magari nella forma di workbook multimediale per la classe (esercitazioni, quiz o altro ancora), accessibile tramite link sul sito dell'editore.
Fiorenza Ciaburri Scinto
Biblioteca di Area Umanistica, Università di Foggia
Seconda edizione riveduta di Intercalations 1: Fantasies of the Library (2015), la monografia presenta contributi di carattere interdisciplinare, volti a esplorare la ricchezza concettuale del libro come medium, da parte di artisti grafici, designer, archivisti, autori esperti in mostre e progetti espositivi, editori, scrittori, filmaker, filosofi delle relazioni tra arti e tecnologie, e delle comunicazioni di massa: Erin Kissane, Hammad Nasar, Megan Shaw e Rick Prelinger, Anna-Sophie Springer, Charles Stankievech, Katharina Tauer, Etienne Turpin, Andrew Norman Wilson, Joanna Zylinska.
I saggi descrivono un progetto volto a ragionare criticamente sulle pratiche espositive e i loro riflessi nella produzione di conoscenza, e interpretano il libro quale forma di architettura espositiva in relazione alle altre pratiche estetiche diffuse nella difficile epoca attuale, l'Antropocene, in cui l'uomo si trova a essere responsabile sia del degrado ambientale e delle trasformazioni strutturali e climatiche del pianeta, sia di una eccessiva produzione di informazioni e significazioni.
I contributi si situano sul terreno filosofico, della sperimentazione artistica e del design, e la biblioteca, meta-libro che contiene elementi intertestuali infiniti, è qui considerata sia come uno spazio relazionale tra collezione, utenti, personale e mondo esterno, sia come lo spazio dedicato a una cura cognitiva delle risorse. In questa dimensione la biblioteca è infatti una infrastruttura della conoscenza razionalmente classificata e rigidamente organizzata -; e dunque indice affidabile di un ordinamento generalmente accettato -;, che costituisce allo stesso tempo un campo aperto, o un dominio virtuale per la convivenza, anche sperimentale, di altri ordinamenti, logiche e disposizioni possibili delle risorse. Così, nel saggio The Library as a Map, che si sviluppa sotto forma di intervista, la Prelinger Library è considerata un esempio dell'abbandono di un sistema di classificazione tradizionale a favore di un sistema di disposizione delle risorse basato sul concetto di paesaggio e di geospazialità: il sistema parte da San Francisco, dove la biblioteca è situata, fino ad «arrivare allo spazio siderale».
Mentre musei e archivi conservano oggetti o informazioni solo dopo che il tempo della loro utilità è finito, le biblioteche privilegiano la lettura, l'uso delle risorse, sulla loro presentazione o visualizzazione; sono tuttavia anche spazi condivisi e ibridi per eseguire, in diverse forme espositive, il libro proponendolo su supporti che vanno dallo scaffale alla piattaforma digitale.
Il libro è corredato da numerose immagini di realizzazioni artistiche: all'interno del saggio Reading Rooms, reading machines presenta progetti e spazi di lettura che vanno dalla botte di Diogene, in una illustrazione del 1475 di Guillaime de Tignonville, alla raccolta di periodici e libri in contenitori di diverse forme, alle contemporanee forme dello scaffale a isola circolare su ruote, ideata nel 1939 dall'architetto Friedrich Kiesler, alle riproposizioni odierne del leggio ruotante dell'ingegnere Agostino Ramelli (Le diverse e artificiose machine, 1588).
Una caratteristica, forse provocatoria, della monografia è quella di costringere a leggerla su due binari distinti: alle pagine pari si sviluppano i contributi citati nell'indice, integrati da altri contributi che hanno la loro continuazione sulle pagine dispari; il diverso tipo e corpo del carattere impiegato dovrebbe favorire l'ambientamento nella struttura del libro, considerata forse d'avanguardia, ma con il sicuro esito di una lettura paziente quanto faticosa.
Stefano Gambari
Istituzione Biblioteche di Roma
È possibile concepire una teoria della bibliometria e delle citazioni? O sono possibili più teorie? E tra le molteplici esistenti derivanti da domini diversi con i quali la bibliometria si interseca (linguistica, storia della scienza, storia della comunicazione, psicologia, sociologia, filosofia) se ne può individuare una che possa prevalere sulle altre?
A queste domande cercano di rispondere i diciannove contributi del volume Theories of informetrics and scholarly communication edito da Cassidy R. Sugimoto e dedicato a Blaise Cronin, studioso di bibliometria di chiara fama e professore emerito presso l'Università dell'Indiana.
Il volume è suddiviso in sei sezioni. La prima è dedicata alle posizioni di chi considera in modo critico l'idea di una possibile teoria delle citazioni; la seconda è dedicata alle teorie citazionali; la terza incentrata sulle teorie statistiche che cercano di individuare una correlazione statistica nel comportamento citazionale; la quarta sezione contiene alcuni contributi che esaminano il concetto di autorialità in relazione al comportamento citazionale e alle teorie delle citazioni; la quinta tratta della relazione tra la bibliometria e i sistemi di organizzazione della conoscenza; infine, la sesta sezione affronta il tema delle altmetrics e della costruzione di teorie intorno a questa nuova tipologia di metriche.
Nella prima sezione, il contributo introduttivo è scritto dallo stesso Blaise Cronin e discute del significato delle citazioni; l'autore ritiene non più strettamente necessaria una teoria unica delle citazioni, ma esorta gli accademici a riflettere sul senso delle citazioni, sui comportamenti delle comunità di ricerca, sull'utilizzo moderato e consapevole della bibliometria negli esercizi di valutazione.
Il successivo contributo di HiØrland riflette sulla scientometria come una metascienza. In quanto tale le teorie scientometriche sono influenzate dalle prospettive filosofiche che nei decenni hanno attraversato la scienza, che sono essenzialmente due: il positivismo da un lato, la teoria dei paradigmi di Kuhn, dall'altro. Positivismo e teoria dei paradigmi influenzano il pensiero scientifico, la selezione delle pubblicazioni, finanche -; sostiene HirØland -; la scelta dei core-journals. L'autore sottolinea come anche nella bibliometria esista un elemento di soggettività. Chi studia la bibliometria deve dunque, essere consapevole delle teorie filosofiche della scienza e deve considerare i documenti nel più ampio contesto di dominio nel quale vengono prodotti.
Nella seconda sezione si introduce il tema delle teorie citazionali.
Nel primo contributo di questa sezione Henry Small parte da un'analisi di un'opera del 1984 di Blaise Cronin, The Citation Process, nella quale l'autore propone una netta contrapposizione tra teorie delle citazioni da una parte (positivista e socio-costruttivista) e non teorie dall'altra. Small critica la posizione iniziale di Cronin di considerare come valida la teoria socio-costruttivista delle citazioni; questa, infatti, secondo Small, non farebbe emergere frodi o errori nel comportamento di ricerca. Tuttavia una base teorica per lo studio delle citazioni è necessaria. Small discute il comportamento degli scienziati in bilico tra competizione e cooperazione; propone, dunque, di studiare il comportamento citazionale utilizzando la teoria dei giochi e delle simulazioni che biologi evolutivi ed economisti utilizzano con crescente successo per studiare la cooperazione e competizione nella scienza. «These evolutionary theories provide an explanation of the strategies used by scholars in selecting references -; evoking notions of generosity and reciprocity. Referencing is seen as a signaling behaviour -; communicating a message to the group or community» (p. 3).
Paul Wouters, autore del secondo contributo, descrive il rapporto tra teorie citazionali e semiotica. Una teoria citazionale deve considerare anche l'aspetto semiotico della citazione che è un segno. Non ha senso, secondo l'autore, elaborare una teoria unica delle citazioni.
Ultimo contributo della seconda sezione quello di Christine Borgman.
L'autrice si avventura nel terreno inesplorato della citazione dei dati e delle possibili teorie delle citazioni per i dati della ricerca.
Nel caso dei dati della ricerca ciò che complica la costruzione di una teoria è la difficoltà di definire le unità citabili. Non si tratta tuttavia, in questo caso, dell'unica criticità. Dove sono collocati i dataset? Sono accessibili per il riuso? Qual è la persistenza dei dataset in rete? In che relazione sono le citazioni dei dati e quelle delle pubblicazioni?
Per quanto riguarda la descrizione bibliografica e la citazione, il CODATA-ICSTI Task Group on Data Citation Standards ha stilato un vademecum di otto principi standard per la definizione dei dataset e la loro relazione con le pubblicazioni: Importanza, Attribuzione, Evidenza, Identificativo persistente, Accesso, Persistenza, Specificità e Verificabilità; Interoperabilità. Questi principi non risolvono certamente tutte le criticità connesse con la citazione dei dataset. Esiste anche un problema culturale: numerosi ricercatori, infatti, non sentono ancora l'esigenza di ottenere crediti per i dataset prodotti, non comprendono (anzi temono) l'importanza di condividerli e la necessità del riuso.
Infine, nell'elaborare una teoria sul comportamento delle citazioni dei dataset va considerato che non esiste tra le comunità scientifiche un accordo sul concetto di dataset e che sovente i dati non sono rappresentati come entità citazionali autonome ma vengono citati insieme alle pubblicazioni.
La terza sezione del volume è dedicata alle teorie statistiche. I quattro contributi in essa contenuti di Jonathan Furner, Ronald e Sandra Rousseau, Glänzel e Schubert e, infine, Bawden e Robinson, cercano di individuare una regolarità statistica nel comportamento umano delle citazioni. In modo particolare i contributi di Glänzel e Schubert e Ronald e Sandra Rousseau analizzano la teoria del successo in termini matematici.
Glänzel e Schubert discutono dell'«effetto Matteo» ovvero di quell'«effetto di cumulatività» più volte osservato nella comunità scientifica e descritto da Robert K. Merton, in base al quale gli scienziati che raggiungono il successo nei primi anni della loro carriera (ad esempio pubblicando un articolo su una rivista molto nota o in collaborazione con un coautore famoso), hanno in seguito molta più facilità a pubblicare e, quindi, più credibilità e successo, a parità di conoscenze e di ogni altro fattore. In altre parole: success breeds success.
Rousseau e Rousseau esplorano le diverse tipologie di indici di successo e introducono il concetto di moltiplicatore di successo.
La quarta sezione raccoglie contributi che discutono del tema dell'autorialità. Nella sua carriera di studioso Cronin ha riflettuto a lungo sul concetto di autorialità e di riconoscimento. In ambito scientifico (nella fisica per le alte energie, ad esempio) il numero di autori di un singolo contributo cresce in modo esponenziale fino ad arrivare a numeri di alcune migliaia. È dunque necessario sviluppare teorie di autorialità che siano in grado di valutare il contributo del singolo autore nelle pubblicazioni di un numero massivo di autori. Cronin è l'ideatore del termine iper-autorialità per indicare il concetto di autorialità multipla ovvero la prassi della scrittura collettiva.
Il tema problematico dell'autorialità viene poi ripreso nei tre articoli pubblicati in questa sezione. Howard White studia il comportamento citazionale degli autori singoli dediti alle autocitazioni e alle citazioni di autori conosciuti di persona, dei co-autori che frequentemente si citano vicendevolmente e dei gruppi di autori che mostrano un comportamento citazionale ancora diverso dalle prime due tipologie di autorialità.
Desrochers, Paul Hus e Larivière riflettono, invece, sul tema dei ringraziamenti, un tipo di riconoscimento del tutto diverso dalla citazione. I ringraziamenti che vengono aggiunti come chiosa a un articolo indicano, infatti, un tributo sia intellettuale che economico. Sovente vengono rivolti agli enti finanziatori della ricerca. Autore citante, autore citato e autore (o ente) ringraziato formano il cosiddetto «triangolo del riconoscimento» (reward triangle). Gli autori analizzano ottanta articoli che in letteratura esaminano le diverse tipologie di ringraziamenti nella comunicazione scientifica.
Ultimo contributo in questa sezione quello di Hamid R. Ekbia, che indaga i meccanismi del rapporto tra autori in base a ciò che definisce la «somatica della scienza», ovvero il legame diretto esistente tra citazioni e rapporti di tipo personale. Nella sua teoria l'autore dimostra che le relazioni personali «from physical proximity to friendship and romantic attachment» influenzano la scienza e i suoi meccanismi.
La quinta sezione esplora il tema dei sistemi di organizzazione della conoscenza (Knowledge Organization Systems = KOS) e come tali architetture si realizzino nei principali database citazionali.
Secondo Wolfgang G. Stock, la scientometria ha trascurato di valutare la qualità dei sistemi di organizzazione della conoscenza e propone, dunque, una griglia di indicatori utili a valutare un sistema di tipo KOS.
Nella sezione anche il contributo di Loet Leydesdorff, Information, meaning, and intellectual organization in networks of inter-human communication e quello di Michael Ginda, Andrea Scharnhorst e Katy Börner, Modelling the structure and dynamics of science using books.
L'ultima sezione del volume è dedicata alle altmetrics, tema recentissimo e molto dibattuto.
Michael Thelwall descrive l'origine delle altmetrics a partire dall'altmetrics Manifesto (http://altmetrics.org/manifesto/) pubblicato nel 2010 che mette in evidenza le potenzialità di questa nuova tipologia di metriche. L'autore analizza i filoni di studio relativi alle altmetrics; un filone è quello degli studi che cercano di dimostrare una correlazione tra altmetrics e citazioni; un secondo filone si concentra sui contenuti (cosa sono e come vengono prodotte), un terzo indaga i possibili utilizzi delle altmetrics e la loro affidabilità.
Nel successivo contributo Lutz Bornmann discute dell'impatto della scienza che è sostanzialmente di quattro tipi: sociale, culturale, ambientale ed economico. Negli ultimi anni gli enti finanziatori della ricerca hanno posto un'attenzione particolare alla misurazione dell'impatto sociale. Bornmann, nel suo contributo, presenta le altmetrics come una fonte potenziale di dati utili a misurare l'impatto sociale. Il loro utilizzo comporta, tuttavia, un cambio di prospettiva per la scientometria che deve riflettere in modo olistico sulla misurazione dell'impatto sociale. Difficoltà emergono per il fatto che le altmetrics appaiono ancora immature e devono combinarsi, quindi, con le metriche di tipo più tradizionale.
Non poteva mancare in un volume sulla scientometria un contributo di Henk Moed. L'autore esamina in particolare i principali drivers che hanno condotto alla pubblicazione dell'altmetrics Manifesto; la crescente enfasi posta sull'impatto e sull'idea di multidimensionalità della ricerca, lo sviluppo della tecnologia e infine, tutto il movimento dell'open science. Moed discute della computerizzazione del processo di creazione e valutazione della ricerca, tendenza in cui rientrano le altmetrics. Rispetto alle metriche tradizionali le altmetrics hanno il vantaggio di essere una misura di tipo olistico. Il rischio è che vengano associate in modo univoco al social web, senza comprenderne in pieno la multidimensionalità.
Nell'ultimo contributo del volume Haustein, Bowman e Costas valutano l'applicazione delle citazioni e delle teorie sociali alle altmetrics.
Il volume si rivolge a un pubblico di bibliotecari esperti di bibliometria e a tutti coloro che studiano la scientometria. Alcuni contributi sono di estremo interesse e contribuiscono ad aprire nuovi orizzonti.
Maria Cassella
Università di Torino
L'universo bibliografico, costituito dall'insieme delle informazioni registrate mediante le quali la conoscenza è tramandata e fruita, è un territorio composito per quantità e eterogeneità delle risorse informative. E rappresenta nella sua singolare varietà di tipologie concettuali (libri, periodici, basi di dati, siti web, blog, ecc.) il nuovo paradigma della società della conoscenza, fondato sulla contaminazione e ibridazione dei saperi e dei linguaggi. Si tratta -; com'è noto -; di un fenomeno che è cresciuto a dismisura dopo l'avvento del web e di una tale portata che il sovraccarico di informazioni disponibili in rete rischia di appiattire la differenza tra necessario e superfluo in un incessante rumore di fondo, e di rendere inversamente proporzionale il rapporto tra quantità di informazione erogata e qualità di conoscenza fruita. Inoltre, l'assenza nella pratica comune di gerarchie prestabilite nell'uso delle fonti (se non nelle tassonomie funzionali della bibliografia repertoriale) e dei metodi di ricerca, hanno trovato nella rete, e in particolare nella struttura apparentemente antigerarchica di internet, l'alimento del pregiudizio secondo cui la ricerca di informazioni si fondi su improvvisazione e intuitività, assenza di criteri valutativi circa l'affidabilità e l'autenticità dei documenti trovati, e su una spiccata attitudine alla sedentarietà che privilegia la frequentazione di luoghi e l'uso di strumenti virtuali (siti, banche dati, opac, pagine web, motori di ricerca, ecc.) su quelli reali (biblioteche, archivi, repertori ecc.).
Ben vengano quindi le iniziative editoriali che cercano di dare ordine al caos, proponendo strumenti di orientamento e di metodologia della ricerca scientifica. Com'è nel caso della seconda e nuova edizione, a sette anni dalla sua pubblicazione, del fortunato manualetto di Andrea Capaccioni. Erede di una lunga tradizione, che nel corso del Novecento ha conosciuto un notevole successo editoriale, il vademecum di Capaccioni è destinato alla formazione degli studenti universitari, soprattutto di area umanistica. Dico subito che quel che caratterizza e distingue l'opera, rispetto ad altre analoghe iniziative, è l'intelligenza del disegno argomentativo, che colloca correttamente la ricerca bibliografica nel più ampio contesto della comunicazione scientifica. E, a seguire, la consapevolezza, trasmessa al lettore con convincente evidenza, che la ricerca bibliografica è un processo composito e dinamico, che si svolge insieme sull'asse della diacronia (successione di fasi e di operazioni) e su quello della sincronia, che richiede un'attenta valutazione critica circa l'attendibilità delle fonti dal punto di vista sostanziale, bibliografico ed editoriale.
La scansione del libro, costituito da sei capitoli, affidati a contributori diversi, testimonia la bontà e l'efficacia dell'approccio metodologico dell'autore, che interpreta le questioni, relative all'accesso alle risorse informative, come un problema di comunicazione mediata e quindi di individuazione degli strumenti logici e tecnici più idonei al loro recupero e alla loro rappresentazione: Andrea Capaccioni, La comunicazione scientifica nell'era digitale. La ricerca bibliografica; Stefano Passerini, Natale Vacalebre, I servizi della biblioteca universitaria; Sabrina Boldrini, Valentina Gamboni, Risorse elettroniche; Danielle Bonella, Francesca Serenelli, Il catalogo online (OPAC); Massimo Cimichella, EndNoteTM basic. Guida all'uso; Elena Ranfa, Giovanna Spina, Condividere il sapere scientifico: strategie e opportunità dell'Open Access.
Rigore scientifico da una parte, e dall'altra la competenza delle fonti documentarie e dei luoghi, visibili e intangibili, di conservazione della conoscenza registrata, sono dunque questi gli assi portanti che puntellano l'agile prontuario di Andrea Capaccioni, che nobilita degnamente la tradizione editoriale degli strumenti bibliografici di avviamento allo studio.
Gianfranco Crupi
Sapienza Università di Roma
Il presente volume, terzo numero della collana Game Culture di Edizioni Unicopli, si articola in sette capitoli e offre una dettagliata panoramica sulle modalità con cui oggi sia possibile sviluppare narrazioni di diverso genere attraverso l'utilizzo dei media esistenti.
Innanzitutto, è opportuno prendere in esame proprio i due termini presenti nel titolo, ossia storytelling e crossmediale. Il primo, seppur divenuto di uso comune soltanto negli ultimi anni, si riferisce in realtà a una pratica antichissima: «Lo storytelling è il racconto, il raccontare storie, ed è parte integrante della nostra natura. Esso esisteva già quando il preistorico cacciatore delle caverne raccontava delle prede catturate, magari aggiungendo al racconto una buona dose di frottole per impressionare gli ascoltatori» (p. 7-8). Invece, il termine crossmediale si riferisce alla possibilità di creare e sviluppare una storia servendosi di diversi media: «Non si tratta solo di riproporre la stessa storia su piattaforme differenti (come l'adattamento di un romanzo al cinema), ma di frammentare e disseminare parti distinte della narrazione su vari media, affidando a ciascuno di essi il pezzetto che sembra più efficace per quel determinato contesto» (p. 8).
Queste due dimensioni, quella dello storytelling e del crossmediale, si fondono per dare vita a narrazioni legate a un tipo di comunicazione non convenzionale, narrazioni proprie dei nostri tempi, caratterizzati dal continuo cambiamento.
Oggi, la rapidità con la quale siamo abituati a fruire dei contenuti, per esempio sui social network, rappresenta una nuova sfida per gli storyteller, i quali devono riuscire a esprimere in maniera altrettanto rapida ed efficace un determinato messaggio al fine di catturare l'attenzione dell'utente. In tal senso, il visual storytelling si serve proprio delle immagini, che risultano più immediate rispetto al testo, per raccontare una storia, una vicenda, uno stato d'animo, sfruttando principalmente le piattaforme social.
Anche i videogiochi, media di sempre più larga diffusione, permettono di raccontare storie: se inizialmente nei videogiochi la dimensione narrativa appariva come marginale, soprattutto negli ultimi anni è stato possibile osservare come la trama e i dialoghi a essa collegati abbiano assunto un ruolo centrale, elementi che coinvolgono il giocatore specialmente sul piano emozionale. Nei videogiochi, inoltre, il giocatore agisce in prima persona e ha modo di decidere le sorti dei personaggi e di guidare la storia attraverso le proprie scelte. Come scrivono gli autori, in realtà tutti i videogiochi sono «narrativi» (p. 118), alcuni perché raccontano una storia, altri perché possiedono al loro interno elementi che risultano comunque legati alla narrazione (un protagonista, un'ambientazione specifica, una missione da portare a termine, ecc.).
Il volume offre al lettore la possibilità di comprendere quali siano le caratteristiche proprie di ogni narrazione: in primo luogo i personaggi, nei quali è possibile rintracciare anche le cosiddette figure archetipali; sono poi illustrati i punti principali per cui passa ogni narrazione («il righello delle storie»), a prescindere dal media attraverso il quale venga veicolata; si descrivono i «varchi narrativi», che risultano cruciali anche per lo sviluppo della dimensione crossmediale della narrazione; infine viene presentata una panoramica sui generi narrativi e sulle caratteristiche che li contraddistinguono. Per ogni dimensione analizzata sono presenti esempi, con riferimenti al mondo del cinema, della televisione, della letteratura, dei videogiochi, dei social, che permettono al lettore di entrare nel cuore degli argomenti trattati.
Vengono poi presentati interessanti casi di studio relativi alle modalità con cui è possibile sviluppare forme di storytelling attraverso l'utilizzo di media diversi, passando dai cortometraggi, ai videogiochi, alle piattaforme sulle quali confluiscono le comunità di fandom.
Il volume, dunque, guida il lettore alla comprensione di tutta quell'architettura che costituisce il dietro le quinte delle storie che ci vengono poi proposte attraverso i diversi canali mediatici, rappresentando un'utile e interessante lettura per riflettere sull'importanza delle narrazioni e su come la dimensione narrativa sia presente all'interno di ogni media con il quale ci confrontiamo quotidianamente.
Martina Marsano
Università degli Studi Roma Tre
Adeynka Tella, docente di Scienza dell'Informazione all'università di Ilorin in Nigeria, è curatore di una raccolta di saggi pubblicata nella collana Advances in Library and Information Science, che si offre al lettore come corpus di studi sui comportamenti di ricerca dell'informazione nell'ambito delle digital libraries e raccoglie contributi provenienti in prevalenza da studiosi di paesi dell'Africa. Questo particolare punto di osservazione conferisce al volume una certa originalità e dimostra che ogni qualvolta si ha l'occasione di confrontarsi con gli studi nel campo dell'information seeking behavior in altri contesti caratterizzati da condizioni economiche, sociali e culturali molto lontane da quelle occidentali ne deriva un grande arricchimento offerto dalla ricchezza e diversità dei contesti analizzati. Molti dei contributi raccolti nel volume affrontano il tema della biblioteca digitale dalla prospettiva africana, in uno scenario nel quale lo sviluppo è fortemente condizionato dall'inadeguatezza di risorse e dall'arretratezza delle infrastrutture; gli argomenti proposti dagli autori offrono però alla pubblicazione un respiro internazionale in quanto i saggi trattano di biblioteche digitali e ibride, di particolari contesti, di gruppi di utenti, degli effetti demografici, culturali e sociali della ricerca dell'informazione. L'approccio di studio alle biblioteche digitali è permeato da un'ottica interpretativista (cap. 7 Fagbola, Nigeria) e molti modelli di information seeking behavior (cap. 5, Zaremohzzabieh et al., Malaysia) vengono citati a supporto di nuove tesi e argomentazioni e studi presentati nel volume. Le manifestazioni di comportamento delle persone nei confronti dell'informazione (information seeking) e il comportamento attivo del cercare l'informazione (information seeking behavior) per soddisfare un bisogno o una necessità di informazione sono fortemente influenzati delle nuove tendenze che maturano nell'infosfera (cap. 1, Kwania, Kenya). Le biblioteche digitali rappresentano la risposta bibliotecaria al cambiamento in atto e si distinguono per alcune sostanziali peculiarità tra cui l'accessibilità in rete, la presenza di interfacce intuitive, la ricerca avanzata e mirata dell'informazione, il supporto al retrieval multimediale, la conservazione e la disponibilità a lungo termine degli oggetti digitali. Nell'Africa subsahariana e nello specifico contesto analizzato in questo volume però lo sviluppo delle digital libraries sembra un fenomeno recente, non certo per l'elaborazione teorica che ne accompagna lo sviluppo che -; come è dimostrato dai saggi raccolti -; è assai ricca, quanto per la presenza di ostacoli di diversa natura; la loro crescita è strettamente collegata alla necessità di una vera e propria digital literacy, intesa come capacità di trovare e valutare l'informazione in rete (cap 2, Ondari-Okemwa, Sud Africa) e di usare i nuovi media. Il focus di molti dei contributi presenti nel volume non si concentra dunque solo sul bisogno informativo (dove nasce, come e perché), ma anche e soprattutto sulle variabili, le barriere e altri ostacoli di tipo cognitivo, culturale, sociale e etnografico al ritrovamento dell'informazione e al suo utilizzo.
Aspetti demografici (età, sesso) e socio-economici (livello di educazione, infrastrutture ICT) influenzano le abilità cognitive (attenzione, memoria, logica e ragionamento, velocità di esecuzione) che entrano gioco nella ricerca dell'informazione in una biblioteca digitale e possono rendere frustrante o infruttuosa una ricerca (cap. 9, Yusuf et al., Nigeria). Tra le barriere messe in rilievo -; oltre a quelle che riguardano l'arretratezza tecnologica -; anche quelle specifiche cognitive e linguistiche date dalla prevalenza in rete delle lingue più conosciute (capitolo 14 Oluwaseun, Nigeria).
Laddove, come in molti paesi dell'Africa in via di sviluppo, l'istruzione superiore si è diffusa senza un effettivo incremento infrastrutturale atto a sostenerla, le biblioteche digitali possono svolgere un ruolo fondamentale nell'accesso alle tecnologie, alla connettività, nello sviluppo di competenze, nel supporto all'educazione, nell'apprendimento digitale, specie nelle zone rurali o svantaggiate. Pertanto, nella ricerca attiva dell'informazione, l'aspetto legato alla formazione a distanza o distance learning assume un particolare rilievo e con esso anche le questioni legali riferite all'accesso all'informazione (cap. 3, Otike, Kenya), i temi dei diritti e delle licenze d'uso nella biblioteca digitale, ai quali vengono dedicati due capitoli del volume (cap. 4, P. Pina, Portogallo e cap. 6, Tella, Oyeniran, Ojo, Nigeria). Le stesse competenze digitali dei bibliotecari necessitano, infatti, di un riallineamento agli standard e ai livelli di qualità nei settori della gestione dei contenuti digitali, della sicurezza delle informazioni e della riservatezza dei dati. Dal momento che le biblioteche digitali nascono per trasferire l'informazione, per migliorare la ricerca e la manipolazione degli oggetti informatici, per permettere la condivisione dell'informazione stessa, un aspetto rilevante è la funzione degli indici correlata al processo di ricerca dell'informazione e alle sue diverse fasi (accesso, selezione, uso, cap. 8, Fagbola, Nigeria). Le biblioteche digitali per essere utilizzabili devono migliorare nel complesso anche l'usabilità delle risorse digitali contenute; ciò comporta in questi paesi un avanzamento nel settore tecnologico, nelle dotazioni e una maggiore standardizzazione delle procedure di produzione delle risorse digitalizzate e dei metadati (cap. 11, Upev, Beetseh, Idachaba, Nigeria). Non manca, infine, come nella maggior parte delle pubblicazioni che si occupano della ricerca informativa, contributi che approfondiscono i comportamenti informativi e di ricerca in ambiti specifici. Tra i contesti analizzati nel libro vi sono quelli delle associazioni sindacali (cap. 10, Afolayan Nigeria) e delle comunità rurali (cap. 12, Akande, Adewojo, Nigeria).
Gli ultimi capitoli del volume propongono riflessioni conclusive sul futuro delle digital libraries. Ci si interroga così sul binomio social network-biblioteche digitali e sugli spazi di creazione collaborativa di contenuti digitali (cap. 13, Adigun, Odunola, Sobalaje, Nigeria) e si individuando buone pratiche per le partnership tra istituzioni pubbliche e private per l'accessibilità delle risorse digitali del patrimonio culturale (cap. 15. Dongardive, Etiopia) affinché le biblioteche digitali possano divenire autostrade dell'informazione aperte e accessibili.
In definitiva, l'apporto di conoscenze, la pluralità di approcci e la ricchezza dei contenuti, il particolare contesto analizzato, costituiscono i tratti di originalità di questo volume nel quale attorno al tema della biblioteca digitale si affrontano questioni chiave come il ruolo dei bibliotecari nel nuovo scenario digitale, le sfide in termini di infrastrutture, connettività, cittadinanza e competenza digitale, le opportunità della formazione a distanza, il valore della privacy e delle politiche per la protezione dei dati. A ciò va aggiunta la buona organizzazione della trattazione; parole chiave e definizioni accompagnano ogni capitolo, vi è una presentazione accurata delle biografie degli autori, un ricchissimo indice unificato dei riferimenti bibliografici che compaiono nei quindici saggi che compongono il volume, un indice dei concetti rilevanti trattati nei contributi.
Antonella Iacono
Università Sapienza Roma
Elyssa Kroski è direttrice del settore IT al New York Law Institute, è anche editor e autrice di 37 libri. È bibliotecaria, docente a contratto presso le Università di Drexel e San Jose ed è spesso relatrice in conferenze internazionali.
Nella prefazione del libro l'autrice racconta di avere una lunga esperienza come videogiocatrice di Escape Room e giochi di ruolo (LARP: Live Action RolePlaying), come per esempio quello ambientato in un castello polacco del XIII secolo, dove ha interpretato per quattro giorni uno dei personaggi della saga di Harry Potter.
Il saggio è scritto in inglese, ma il linguaggio utilizzato e la costruzione delle frasi permettono una lettura anche a chi ha una conoscenza scolastica della lingua.
La prima parte del libro è un'introduzione alle Escape Room e alle esperienze immersive, diventate molto popolari in questi ultimi tempi e proposte in diverse biblioteche del mondo (USA, Germania, Francia, ecc.) passando dalle 2.800 del 2015 alle oltre 7.200 del 2018.
Le biblioteche che ospitano Escape Room promuovono, in modo ludico, l'apprendimento informale delle STEM (Scienze, tecnologia, ingegneria, matematica), sostengono l'information literacy, propongono nuovi laboratori pensati per i ragazzi o finalizzati ad aumentare la presenza degli adulti in biblioteca. Sono utili anche per veicolare la conoscenza e l'aggiornamento professionale e per facilitare il lavoro di gruppo all'interno dello staff della biblioteca. Possono essere usate per incoraggiare le persone a conoscersi meglio e a lavorare meglio insieme.
Si tratta di giochi interattivi in cui gruppi di partecipanti sono chiusi in una stanza e devono risolvere una serie di enigmi e problemi entro un limite di tempo predefinito per uscire. Molti di questi giochi permettono ai giocatori di vivere la loro esperienza interpretando i personaggi principali di un film o di un videogioco, sono ambientati in set di scene del crimine, castelli, mondi alieni e molti altri scenari ancora.
La prima parte si conclude con numerosi casi di studio di Escape Room ospitate in biblioteche. Per ciascun caso analizzato è presente una scheda che riporta: titolo dell'evento, come sono state raccolte le informazioni, biblioteca ospitante, indirizzo web di riferimento, destinatari, numero di partecipanti previsti, numero di personale necessario, tempo limite, numero massimo di giocatori, costo dell'evento, descrizione dell'evento.
La seconda parte del libro è molto operativa. Si parte da come ospitare una Escape Room preconfezionata (cap. 4), per poi arrivare a progettarla da zero (cap. 5) o addirittura realizzarne una portatile da usare fuori dalla biblioteca o in contesti professionali (cap. 6).
Il capitolo 7 spiega come creare un team vero e proprio di progettazione di Escape Room, chiedendo anche la collaborazione dei numerosi club (videogiocatori, gruppi di lettura, volontari, ecc.) che già utilizzano gli spazi e i servizi della biblioteca. Il ruolo del personale della biblioteca viene ampiamente analizzato invece nel capitolo 12.
Seguono alcuni capitoli piuttosto specifici: come realizzare esperienze immersive di LARP (cap. 8), adatte ai bambini (cap. 9) o digitali (10). Il tema delle Escape Room digitali è in parte ripreso nel capitolo 13, che suggerisce come mescolare esperienze high tech in ambienti reali. Vi sono anche giochi da tavolo che simulano l'esperienza delle Escape Room (cap. 11).
Infine il capitolo 14 riporta una scheda operativa di una Escape Room progettata dall'autrice stessa, completa di tutte le informazioni necessarie per metterla subito in pratica.
Concludono il volume le appendici A e B, che sono modelli per schede di Escape Room da realizzare presso la propria biblioteca e un'ultima e preziosa parte dedicata alle risorse che si possono consultare online per approfondimenti.
Debora Mapelli
Gruppo di lavoro Gaming in biblioteca -; IGD Italia
Il libro di Federico Meschini prende in esame una serie di argomenti di grande interesse, che si collocano nella frastagliata linea di confine che separa, e nello stesso tempo unisce, le culture documentarie e quelle comunicative, nella loro complessa riconfigurazione in ambiente digitale.
pAl primo campo possono essere ricondotte le prospettive di studio, ricerca, finalizzazione applicativa connesse alla gestione ed elaborazione dei dati e dei metadati secondo modalità conformi alla tradizione documentaria, e dunque in ultima istanza orientata alla alimentazione di cataloghi in linea, classici o di ultima generazione. La seconda prospettiva, invece, conferisce un rilievo importante non solo agli aspetti specificamente documentari del Web, in base ai quali il dato diventa 'informazione', ma piuttosto alle modalità secondo cui si stanno configurando le diverse forme di narrazione, o storytelling, che il Web ingloba in se stesso.
pLa struttura del volume consta di una Introduzione, di tre capitoli, e di una ampia Bibliografia.
Il primo capitolo (Documenti, dati e metadati. Il World Wide Web come spazio conoscitivo) prende in esame alcuni dei motivi che hanno condotto «un sistema ipertestuale sperimentale ad essere la piattaforma globale che ha cambiato sia qualitativamente sia quantitativamente il modo di produrre e trasmettere informazioni» (p. 18). In questa sezione vengono dunque agilmente descritte le fasi iniziali della storia del Web, a partire dall'originario sistema Mesh definito da Tim Berners-Lee alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, le prospettive di sviluppo riconducibili alle forme del Web semantico e del Web sociale, le caratteristiche essenziali di alcuni dei più noti ambienti di integrazione e comunicazioni di contenuti digitali come ad esempio Europeana. In questo modo, e attraverso una interessante discussione sviluppata intorno agli spazi della memoria nella loro riconfigurazione digitale, Meschini giunge a porre chiaramente le condizioni che dovrebbero riuscire a garantire «il recupero del passato tramite il medium digitale» e in tal modo a «riappropriarsi di una dimensione storica, resa ancora più tangibile dai meccanismi del racconto», e che si oppone dunque all'«eterno presente dei social network» (p. 91).
Il secondo capitolo (Ricostruire e raccontare la memoria: il caso della Grande Guerra) sviluppa proprio il tema della narrazione della memoria storica e culturale, con un approfondimento dei modelli di «celebrazione e rappresentazione digitale» di un avvenimento tra i più drammatici nell'esperienza della nostra specie, e che per la sua ampiezza acquisisce fin da subito le forme reticolari di un enigmatico «rizoma informativo» (p. 93). Qui si situano le potenzialità euristiche e comunicative del digital storytelling, cui è affidato l'arduo compito di ricondurre a unità le traiettorie frammentate e spesso autoreferenziali secondo cui l'argomento è stato rappresentato e strutturato da parte dei diversi attori che di esso si sono occupati. Vengono per questo prese in esame alcune specifiche esperienze di organizzazione dei dati orientati alla riconfigurazione narrativa attraverso il riuso, come Europeana 1914 -; 1918, che sottolinea didascalicamente queste possibilità con il cortometraggio Europeana Remix, un caso di digital storytelling in cui una ragazza tedesca è impegnata nella ricerca di informazioni su un suo antenato che appunto aveva partecipato alla prima guerra mondiale. In tal modo si mette a fuoco il fatto che «gli aspetti documentali, formali e narrativi siano intrecciati» (p. 126), come ad esempio mostra l'interessante LJWW1 Project, realizzato basandosi su un approccio etnografico, e fondato sulla «narrazione polivocale della memoria collettiva del conflitto da parte della popolazione di Loughborough» (p. 132).
Il terzo e conclusivo capitolo (Ricostruire e raccontare il viaggio: la letteratura odeporica), sviluppa l'assunto che nella letteratura di viaggio «dato e racconto, narrazione e informazione vivono strettamente intrecciati» (p. 145), e che questo intreccio, nel Web, sta definendo il profilo ancora incerto dei Viaggi 2.0. Richiamando il Calvino delle Lezioni americane, Meschini mette in evidenza le problematiche connesse alla ri-figurazione della complessità in ambiente digitale, alla ricerca di un linguaggio sincretico in cui gli elementi testuali si integrino con quelli a base visiva, con la possibilità di far assumere alle relazioni tra i dati e le informazioni la forma sintetica del grafo. Anche in questo caso nel volume si propone, a partire da una sintetica discussione dello stato dell'arte generale, una concreta esemplificazione basata sull'analisi attenta di realizzazione recenti, come The Grand Tour of Italy, una ampia mostra virtuale all'interno di Google Arts & Culture. Anche in questa sezione, inoltre, viene ripreso il tema delle relazioni tra sincronia e diacronia dei modelli di rappresentazione e comunicazione dei contenuti, che si collocano nel più ampio contesto riguardante la traslazione digitale del libro e del testo, secondo una prospettiva dinamica in base alla quale ciascun «testo deve esser visto come un oggetto informativo cui dare di volta in volta la forma più adeguata, modellando così le informazioni presenti al suo interno» (p. 158). Per quanto riguarda in senso specifico la letteratura di viaggio vengono ampiamente spiegate le funzionalità di AVIREL -; Archivio dei viaggiatori Italiani a Roma e nel Lazio, con un ulteriore approfondimento specifico sul viaggio dell'esploratore, scrittore, archeologo e musicista Giuseppe Acerbi a Roma e Napoli, effettuato nel 1834.
Il libro di Federico Meschini, come si accennava in apertura, tocca un tema molto rilevante nel dibattito in atto sulla metamorfosi digitale in corso, e lo fa cercando di integrare una padronanza consolidata di metodi e strumenti tecno-informatici, relativi in particolare all'uso dei linguaggi di marcatura, con il riferimento contestuale alle linee di evoluzione complessiva dei modelli di organizzazione dei contenuti digitali, che stanno subendo una torsione evidente tra configurazione classica, derivante dalla struttura e dalla funzioni dei data base, ed esigenze emergenti che riguardano invece la possibilità di ricondurre i dati a una organizzazione narrativa, che dovrebbe auspicabilmente migliorarne il grado e i livelli di ricezione. Si tratta di una prospettiva di studio, ricerca e applicazione cruciale, intorno alla quale, a giudizio di chi scrive, si gioca anche la possibilità delle discipline documentarie classiche di mantenere o forse anche sviluppare il proprio ruolo per quanto riguarda la rappresentazione e la comunicazione della conoscenza alle diverse tipologie di pubblico.
Maurizio Vivarelli
Università di Torino
Il lavoro del bibliotecario nelle università è sottoposto a una continua evoluzione necessaria ad affrontare e assecondare le trasformazioni della società tecnologica. La più recente sfida è quella posta dalla società dei dati che, per l'indissolubile legame tra ricerca e società, implica anche una trasformazione della ricerca accademica, sempre più basata sui dati. Il nuovo importante compito a cui sono chiamate le università è la gestione di questa mole di dati, spesso enorme, ovvero il Research Data Management (RDM). Il professionista a cui compete questo compito è il bibliotecario nella nuova specializzazione di data librarian. Partendo da queste premesse, gli autori del volume elaborano una mappatura della biblioteconomia dei dati, tracciandone l'evoluzione e corredando il percorso con esempi pratici. Il pubblico principale a cui si rivolgono è di due tipi: gli studenti di biblioteconomia e scienze del libro e i professionisti che operano in questo campo, innanzitutto i bibliotecari. Con l'auspicio che la biblioteconomia dei dati della ricerca diventi sempre di più una materia di studio per gli studenti di biblioteconomia -; poiché non v'è dubbio che ci sarà sempre più bisogno di data librarians in futuro -; gli autori hanno strutturato il volume in forma manualistica, con appendici didattiche alla fine di ogni capitolo che includono la sintesi dei punti principali e spunti di riflessione.
Il libro inizia ripercorrendo le trasformazioni dell'informazione dal cartaceo al digitale e la convergenza verso il digitale che ha trasformato l'utente da lettore a utilizzatore dell'informazione, per mezzo di un software. Ed è di fatto già questo il momento in cui nasce la biblioteconomia dei dati. Secondo la definizione del canadese Research Data Strategy Working Group, «qualsiasi informazione digitale è potenzialmente un dato della ricerca e lo diventa nel momento in cui viene usata come fonte primaria per la ricerca». Il contesto riveste un ruolo significativo. I dati che sono stati conservati in un archivio istituzionale o aziendale, con lo scopo iniziale della conservazione, possono diventare dati della ricerca se vengono usati come fonte per condurre una ricerca. In pratica, «ciò che costituisce dato della ricerca sta negli occhi di chi lo usa».
Con la nascita del digitale, dunque, la professione del bibliotecario accademico ha cominciato un'evoluzione verso la specializzazione di bibliotecario dei dati, ma l'evoluzione è stata talmente naturale che i bibliotecari stessi non se ne sono resi conto, con la conseguenza che molti bibliotecari considerano la gestione dei dati della ricerca qualcosa di lontano dalla loro professionalità e che si è arrivati tardi alla definizione di un percorso di formazione specifico.
Dopo questa ampia introduzione nei primi capitoli del libro, gli autori spiegano le attività che compongono la biblioteconomia dei dati. Si tratta di un mix di attività in gran parte riconducibili alle funzioni tradizionali della biblioteca, in altra parte innovative e che richiedono nuove competenze, ma in ogni caso caratterizzate da un aspetto fondamentale: la necessità di un coinvolgimento attivo del bibliotecario nei progetti di ricerca e di una collaborazione stretta con il ricercatore.
Le attività tradizionali, adattate -; com'è ovvio -; al contesto dei dati, sono data curation (catalogazione e metadatazione), data citation (per tracciare e citare i dati), data literacy (information literacy per i dati), data reference, data collection building and management. I temi cruciali per quanto riguarda la data librarianship, sono, per esempio, archiviazione, open access, copyright, conoscenza di software specifici per la gestione dei dati. Gli strumenti e le problematiche a essi collegati vengono affrontati nel libro con capitoli specifici dedicati ai repositories, al Data Management Plan, all'open science e alle questioni etiche. Tutti aspetti essenziali per un'efficace gestione dei dati della ricerca, alla luce del principio largamente condiviso che «una buona ricerca necessita di buoni dati».
Rossana Morriello
Servizio Qualità e Valutazione, Politecnico di Torino
Il ponderoso volume che Eric Marshall White dedica alla prima edizione della Bibbia di Gutenberg, stampata a Mainz all'incirca nel 1455, riconosciuta come il primo libro impresso con la tecnica dei caratteri mobili, è frutto di un lavoro durato molti anni, iniziato nel 1997 quando l'autore, nominato curatore delle Special Collections alla Bridwell Library -; Southern Methodist University, Dallas, ebbe assegnato tra i propri compiti anche quello di curare la collezione di frammenti di tre esemplari della Bibbia di Gutenberg.
Nella prefazione l'autore racconta, in modo molto suggestivo che, dal momento in cui divenne il custode dei frammenti, si sentì sfidato a sfruttarli al massimo sia come strumenti didattici per la comunità accademica, sia come oggetti di ricerca in sé, e che fu l'insoddisfazione di doverli indicare semplicemente come frammenti della Bibbia di Gutenberg senza sapere esattamente a quale edizione appartenessero, che servì da sfida per avviare gli studi volti alla comprensione della natura di questi brandelli che avevano in sé il potenziale per rappresentare molto più che dei trofei tipografici.
Il libro è diviso in tre parti, precedute dalla lista delle illustrazioni, dalla prefazione, dai ringraziamenti, e seguite dalle note finali, da una ricca bibliografia, da un indice generale e da un indice delle provenienze. Chiude il lavoro un indice di edizioni del XV secolo, ordinate secondo il numero ISTC, ritenute importanti per tracciare lo sviluppo della stampa, la trasmissione della Bibbia e la storia del collezionismo. Ricchissimo il corredo di illustrazioni relative non solo a esemplari e frammenti della Bibbia, ma arricchito da numerose testimonianze bibliografiche, fotografiche e documentarie di grande pregio.
La prima parte del volume è suddivisa in tre capitoli, il primo dei quali è incentrato sulla figura Gutenberg ed è preceduto da un excursus sulla nascita della stampa a caratteri mobili in Europa e sugli antesignani orientali. Il secondo affronta la questione della stampa prima della Bibbia di Gutenberg, testimoniata da lavori di natura effimera oggi conservati, in alcuni casi completi dei dati di stampa, in vari luoghi e per lo più prodotti nel territorio nel quale Gutenberg lavorò, forse dallo stesso tipografo magontino (è il caso di un unico frammento noto del Sibyllenbuch stampato probabilmente tra il 1450 e il 1452 e conservato a Mainz al Gutenberg-Museum, o della Indulgenza delle 31 linee stampata prima del 22 ottobre 1454, anch'essa probabilmente da Gutenberg a Mainz, conservata alla John Rylands Library -; Manchester University). Il terzo capitolo, infine, descrive il successo dell'editio princeps, la sua diffusione e l'uso che se ne fece, fino, poi, alla caduta completa nell'oblio.
La seconda parte del volume, A History of Gutenberg Bible, contiene tre capitoli incentrati sullo studio delle storie dei quarantanove esemplari sopravvissuti e dei frammenti di almeno altri quattordici esemplari venuti alla luce in diversi momenti.
Capitolo per capitolo sono elencati gli specimen dell'edizione delle 42 linee e presentate le fonti che ne hanno parlato, iniziando con il frammento conservato alla Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, c. 1690-1702, attributo per la prima volta a Gutenberg da uno dei più noti bibliografi del XVII secolo, Christoph Hendreich (1630-1702). Sorprende il lavoro svolto dall'autore sui frammenti, riuniti in seguito a una più che attenta analisi materiale; molti i frammenti giunti a noi in modo del tutto casuale: carte utilizzate come rivestimento di altri libri (si veda il ritrovamento, nel 2013, in Ungheria, di una carta membranacea utilizzata per la manifattura di una coperta, oggi conservata alla Biblioteca Diocesana di Vác, o ancora un'altra carta membranacea usata per rivestire un libro stampato a Cöthen nel 1666, oggi conservato alla Princeton University Library), come coperte di documenti archivistici (è il caso del frammento membranaceo usato come involucro per contenere una serie di documenti del 1591, conservato al Riksarkivet di Stoccolma).
La terza parte del volume contiene il censimento degli esemplari noti della Bibbia; è basato sul lavoro condotto nel 1985 da Paul Needham rivisto e incrementato con l'aggiunta degli esemplari esistenti solo in forma frammentaria. Il lettore troverà indicati con la lettera V gli esemplari membranacei e con la lettera P quelli cartacei.
Ciascuna scheda descrittiva fornisce informazioni sul luogo attuale di conservazione (con segnatura di collocazione), l'indicazione dei censimenti più importanti (De Ricci, Schwenke, Hubay, Needham), il materiale (carta o pergamena), le misure delle carte e l'eventuale legatura, il livello di completezza dell'esemplare, l'identificazione dei fascicoli con seconda imposizione, notizie relative alla provenienza dell'esemplare, l'anno nel quale la copia è stata identificata per la prima volta come specimen dell'editio princeps.
Il censimento è seguito da una lista, che -; come osserva l'autore -; è lontana dalla completezza, di esemplari e frammenti dubbi o di fantasmi bibliografici.
Significativa, infine, la chiusura del volume con un enunciato che racchiude il senso fondamentale del discorso svoltosi nelle 353 pagine che lo precedono: «The lesson for history was not that the world had been changed by a single book, but rather by an entire edition».
Simona Inserra
Università di Catania
Questo volume nasce dall'omonima giornata di studio organizzata nel maggio del 2016 presso l'Università Cattolica di Milano. Le parole chiave del convegno potrebbero essere le seguenti: archivi, editoria e carteggi (con tutta la complessità e profondità vertiginosa su cui questi termini si affacciano). L'incontro è stato strutturato in due sessioni: una dedicata al Caso Einaudi e allo studio dei carteggi come possibili fonti per la storia dell'editoria; e una intitolata Recenti esperienze sugli archivi dell'editoria novecentesca. Proprio sui contributi di quest'ultima si è concentrata l'attenzione del curatore dell'opera, nonché autore del contributo di chiusura, Andrea G. G. Parasiliti; un giovane filologo, traduttore, giornalista pubblicista, attento alla storia dell'editoria, in quanto elemento indispensabile alla storia della cultura stessa, come sosteneva Eugenio Garin. I contributi dedicati ai carteggi editoriali sono qui rappresentati dall'intervento introduttivo del prof. Roberto Cicala, che sottolinea l'importanza di «"pensare i libri", come qualcosa di più complesso rispetto al solo scriverli o solo stamparli o solo venderli» (p.10-11), mostrandoci, in poche righe, la centralità dei rapporti umani e degli scambi di idee e parole, che contribuivano fortemente alla realizzazione di un libro. Doveroso è fare anche un breve accenno alla Collana, in cui questo volume è stato pubblicato, se non altro perché il suo nome mette in stretta relazione due mondi, l'Europa e il Libro, che, pur continuando a essere messi in discussione sia dalla realtà politica, sia dall'opinione pubblica, stanno dimostrano, con il loro esserci, la loro autorità e autorevolezza.
Torniamo al nostro volume, come sopra accennato questo è un testo corale. Il filo rosso che unisce i differenti interventi è il mondo degli archivi delle case editrici. I cinque saggi, che danno forma e sostanza al volume, oltre a essere ricchi di note bibliografiche, sono corredati da immagini e valorizzati dalla presenza finale di un indice dei nomi. Il primo contributo, di Dimitri Brunetti, disegna una panoramica sugli archivi editoriali italiani del Novecento e sottolinea la necessità di valorizzare i documenti in essi contenuti, in quanto rappresentanti della memoria storica e culturale del nostro paese. Valorizzazione che non può, evidentemente, essere slegata né dalla iniziale fase di conoscenza/censimento, né dalla successiva attività di studio, né tanto meno dalla corretta attività di conservazione delle carte in esso contenuti. Dopo questa sintetica panoramica della realtà novecentesca, si passa all'analisi di un caso particolare, ovvero lo studio delle carte finalizzato alla ricostruzione di una collana di libri per l'infanzia, «La Scala d'oro», pubblicata negli anni Trenta del secolo scorso. Il contributo, dopo una ricostruzione storica sulla nascita e sviluppo della collana, si dispiega nel racconto delle modalità di utilizzo dei numerosi archivi a disposizione, che l'autrice, Elisa Rebellato, suddivide in tre macrocategorie: di editori, di persona e istituzionali; e delle difficoltà comunque incontrate, non solo per la perdita di documentazione subita a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, ma anche per i criteri adottati in quegli anni per la selezione del materiale da conservare. Ricerca ancora ricca di spunti che, archivi poco conosciuti o privati, permetteranno di far emergere e approfondire. Il terzo intervento redatto da Mauro Chiabrando, è relativo a un argomento di nicchia: le minuzie editoriali, l'ephemera cartacea; tema molto caro al bibliofilo Roberto Palazzi, che teorizzò il paradigma della leggerezza, cogliendo il peso dell'apparentemente futile, quindi dell'importanza di quell'eterogeneo insieme costituito da «carte, etichette, cartigli, cartoncini incollati o inseriti sciolti tra le pagine di un libro» (p.46) come segnali di un certo modo di comunicare che altrimenti si sarebbe inevitabilmente perso. A seguire, il contributo di Massimo Gatta guarda invece alle relazioni, alle casualità e alle coincidenze, che lo studio attento delle carte di archivio mostra essere elementi importanti di un'impresa editoriale, considerata irripetibile, quella realizzata da Mondadori, Mardersteig e d'Annunzio nel decennio 1927-1937. La raccolta degli interventi si chiude con il denso saggio di Parasiliti sull'editoria futurista siciliana. In queste pagine, l'autore racconta, attraverso il meticoloso studio dei carteggi, delle testimonianze, delle riviste stesse, la nascita a la fortuna dei due giornali siciliani: La Balza Futurista (edito nella città di Messina) e di Haschich (edito a Catania), allora definita come «la più piccola rivista al mondo» (p. 112).
I cinque contributi sopra analizzati ci raccontano l'attività editoriale come incontro, mediazione e condivisione, portando alla luce il letto di quel fiume carsico dove scorrono insieme, sia «le carte dell'editore» (p.8), sia la memoria storica e culturale dell'intera nazione, sottolineando l'importanza dello studio e della conservazione degli archivi editoriali e delle carte private e pubbliche che sono state prodotte intorno a questo variegato mondo, donandoci la possibilità, come scrisse Roger Chartier, di «ascoltare il passato con gli occhi».
Elisabetta De Maio
Biblioteca ISPRA -; Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale
Libri e lettori nell'Italia repubblicana ci offre la più recente sintesi degli studi di Gabriele Turi nell'ambito della storia dell'editoria del secondo Novecento. Ovviamente non di tutto quello di cui si è occupato il grande storico contemporaneo, a lungo docente presso l'Università di Firenze, una figura quasi mitica per gli storici dell'editoria che in Italia si sono tutti formati sulla Storia dell'editoria nell'Italia contemporanea, curata da Turi già nel 1997; per non parlare del Fascismo e il consenso degli intellettuali, di Editoria e cultura socialista, di Casa Einaudi, del suo Giovanni Gentile, dei numerosi studi sull'Enciclopedia Italiana e, ancora, del più recente, Sorvegliare e premiare. L'Accademia d'Italia 1926-1944. Questo per limitarmi a citare le monografie. Prima di proseguire ricorderò però anche che Gabriele Turi si è occupato a lungo pure di editoria scolastica, il che ci serve da immediato rimando al quinto capitolo di questo Libri e lettori, dedicato appunto alla letteratura per l'infanzia e per i ragazzi e all'editoria scolastica, argomenti, questi, troppo spesso rimasti esclusi dalle sintesi manualistiche di storia dell'editoria di cui disponiamo.
Dicevamo che, naturalmente, non tutti gli studi di Turi sono confluiti in questa sintesi la quale risulta a ogni modo utile, a mio parere, per due tipologie specifiche di pubblico. Da una parte per chi si approccia per la prima volta allo studio dell'editoria contemporanea e da questo volume può trarre le coordinate disciplinari, ma anche critiche, entro le quali muoversi, poi, verso successivi approfondimenti. Dall'altra, il volume è utile agli specialisti che vi trovano, ripeto, non una sintesi della storia dell'editoria contemporanea, bensì una summa degli studi e del punto di vista di un autore che sicuramente già conoscono e nella maggior parte dei casi, giustamente, venerano. Nel complesso si tratta di una lettura agile, piacevole e scorrevole, non appesantita da riferimenti bibliografici (che, al contrario, scarseggiano) e che vanta il merito precipuo di inoltrarsi fino ai giorni nostri, venendo così a colmare un'altra lacuna (oltre a quella, già ricordata, relativa all'editoria scolastica) senz'altro presente nella storiografia in materia.
Ora, nello spazio ristretto offerto da questa recensione, non mi resta che presentare l'articolazione del volume e metterne in luce alcuni punti. Il volume è strutturato in sette capitoli che seguono le vicende dell'editoria italiana dalla fine della guerra fino a oggi. Il primo capitolo si intitola Le speranze e la realtà e in poco meno di venti pagine esemplifica, a partire dal contrasto che nel 1945 oppone Arnoldo Mondadori al figlio Alberto, una situazione generale dell'editoria italiana uscita dalla guerra: da una parte le ragioni della cultura e della politica, dall'altra quelle dell'industria. In questo capitolo emergono alcuni elementi di novità nell'analisi, che sostanzialmente riguardano: l'utilizzo della pubblicità da parte degli editori, la questione dei compensi agli autori, l'opera degli agenti letterari, l'importanza della figura del traduttore, l'attenzione alla promozione e distribuzione del libro. Il secondo capitolo, Produzione e lettori: una geografia, traccia una mappa della perdurante tensione tra centralismo e policentrismo, della debolezza del Mezzogiorno e della specificità geografica dell'editoria per rami di attività e generi letterari, senza trascurare il discorso relativo alla forte polarizzazione tra le molte strutture puramente artigianali e le poche aziende più robuste. Un'analisi specifica è dedicata al tema Lettori e non lettori, ossia a quella «spirale perversa che rinvia all'arretratezza del paese e all'insufficienza o all'inanità degli sforzi per una politica della lettura» (p. 53), considerando anche le scarse funzioni di pubblica lettura delle biblioteche e il numero limitato di punti vendita, con la maggior parte dei Comuni minori privi di una libreria. Il tema delle Appartenenze domina il terzo capitolo che si occupa prima di editoria cattolica («molto forte anche se silenziosa e non appariscente» p. 56), poi delle (molte) voci di sinistra e infine delle (poche) voci di destra. Viene definito Editoria di cultura, nel quarto capitolo, «il settore nel quale, tradizionalmente, i fini scientifici sembrano prevalere su quelli di mercato» (p.75). Turi ricostruisce il percorso di questo settore partendo dall'assunto, largamente condiviso, che il suo peso sia preponderante e ben avvertibile dal dopoguerra fino agli anni Settanta, per entrare in crisi quando si interrompe il rapporto che con le case editrici avevano mantenuto a lungo gli intellettuali, poi sostituiti da funzionari e da manager. Molto utile il paragrafo Realizzazioni che elenca singoli volumi, collane e grandi opere ispirate a un progetto culturale e realizzate (principalmente negli anni Cinquanta-Settanta) con l'obiettivo di innovare un particolare settore scientifico. Abbiamo già detto del quinto capitolo, Da bambini a studenti, che tratta sia di editoria per l'infanzia e per ragazzi sia di editoria scolastica. Mentre per gli ultimi due capitoli mi limiterò a presentare le eloquenti immagini con le quali si aprono, il lettore potrà senz'altro dedurne la funzione anticipatoria di relativi temi e problemi. Nel sesto capitolo, Espansione, l'incipit è infatti affidato alla pagina intera di pubblicità sul «Corriere della Sera» con la quale Einaudi annunciava (si era nel 1974) l'imminente uscita della Storia di Elsa Morante in edizione economica, direttamente negli «Struzzi», al prezzo politico di 2.000 lire, meno della metà del consueto: il romanzo sarà uno dei tanti grandi best seller degli anni Settanta. Il settimo e ultimo capitolo, Crisi e concentrazioni, si apre invece con l'immagine della nuova sede del Gruppo Mondadori a Segrate, progettata da Oscar Niemeyer e inaugurata nel 1975: è l'opera che simboleggia l'inizio di una nuova era nel panorama editoriale italiano, segnato da profonde trasformazioni, non solo per Mondadori.
Roberta Cesana
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Studi storici
Stefania Fabri, bibliotecaria ed esperta di letteratura giovanile, propone in questo agile libro una cavalcata fra i classici della letteratura per ragazzi che si tramuta in una ricca serie di consigli di lettura. Editoria, cinema, serie tv continuano ad attingere a piene mani a questi capolavori, ma sembra siano proprio i luoghi deputati alla loro fruizione e diffusione (la scuola e le biblioteche) a non essere più capaci di proporli ai lettori, giovani e meno giovani. Eppure di recente abbiamo assistito a un fenomeno di riscoperta lanciato da grandi quotidiani, come l'inglese «Telegraph» che ha stilato la lista dei 15 migliori libri per ragazzi di tutti i tempi e il «Corriere della Sera» che ha promosso la collana «Classicini» in cui si è chiesto ad autori italiani noti nel panorama dell'editoria per l'infanzia di sintetizzare alcuni classici in maniera attuale senza stravolgerli (operazione, questa, sulla quale si potrebbe discutere, e che meriterebbe una disamina titolo per titolo).
Però, e già ne parlava Walter Benjamin nel suo Figure d'infanzia, gli adattamenti (a volte anche imbarazzanti) e le riletture sono la dimostrazione di come certi classici abbiano «varcato la soglia temporale, grazie alla loro capacità, come del resto succede per l'Iliade e l'Odissea, di essere paradigmi della psiche umana, dei suoi comportamenti e soprattutto, direi, delle sue ossessioni» (p. 8-9). Fabri non manca però di citare anche Giuseppe Pontremoli secondo il quale, se è vera la frase di Heine «da ragazzo tanto lessi che non ebbi più paura di nulla», è altrettanto vero che per capire il messaggio dei classici è necessario leggerli nella loro interezza e versione originale, con le parole precise con cui sono stati scritti, senza versioni disneyane o tagli.
Fra le note definizioni di classico date da Italo Calvino, la numero nove pare particolarmente adattabile al classico per ragazzi: «i classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti». Ecco allora che la regola numero 13 diventa quasi un corollario: «È classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno». La questione è quindi l'attualità di questi libri. Ma in che senso? Occorre probabilmente evitare facilonerie giornalistiche che portino a pensare che certi classici siano la chiave di lettura (forzata) per specifici eventi di cronaca, e ripensare piuttosto queste opere come strumenti per capire la complessità del reale e l'animo umano, in senso più lato ma non meno urgente.
Tutti noi abbiamo avuto la tentazione, magari inconsciamente, di relegare la letteratura per ragazzi, se non a una ipotetica serie B, certo a una zona periferica della nostra biblioteca ideale (o, che è lo stesso, a confinarla solo nelle biblioteche per ragazzi). Stefania Fabri ci dice che dovremmo considerare certi capolavori del genere come punti di riferimento di ogni narrazione, e che in una biblioteca ideale meriterebbero un posto centrale e riconoscibile: parlano dei «conflitti con gli altri» e dello «sviluppo della propria personalità» (p. 15), non è davvero cosa da poco. Dal punto di vista più concreto, l'autrice propone di rifarsi al modello tripartito di biblioteca proposto da Emunds e di collocare i classici per l'infanzia all'ingresso, proponendo anche di sottrarli alla genericità della narrativa suddivisa per nazionalità e di riorganizzarli per sezioni tematiche.
È ovvio che non tutti i classici per l'infanzia sono facilmente proponibili oggi (un esempio che suscitò polemiche è il crudelissimo Pel di carota). Sarà più facile vedere in Verne l'importanza del progresso scientifico che in Defoe una parabola sul rapporto tra individuo e società (era l'interpretazione data da Rousseau) o i giochi linguistici in Twain, ma vale la pena rischiare. Per il resto c'è, o dovrebbe esserci, appunto, la scuola; insieme a qualche buon bibliotecario.
Sandro Montalto
Biblioteca Civica di Biella
Arianna D'Ottone Rambach, professore associato di Lingua e letteratura araba presso l'Istituto Italiano di Studi Orientali, presenta la raffinata edizione italiana del volume di Konrad Hirschler pubblicato nel 2012 con il titolo The Written Word on the Medieval Arabic Lands. A Social and Cultural History of Reading Practices.
Pubblicato nella collana Frecce dell'editore Carocci, Leggere e scrivere nell'Islam medievale è un volume che si articola in sei capitoli, preceduti da uno proemiale della curatrice e seguiti da conclusioni, note al testo con ampi approfondimenti, una bibliografia molto ricca, un glossario, un indice dei nomi e dei luoghi, un elenco delle numerose illustrazioni e tabelle presenti a corredo del testo.
Nel presentare il volume D'Ottone Rambach affronta la questione della lettura dei libri nel mondo arabo-islamico medievale e illustra la peculiarità del rapporto tra libri e lettura in una realtà dove la lettura era anche ascolto e il libro non era strettamente necessario per svolgere questa pratica qualora fosse stato memorizzato: per gli studiosi arabo-islamici medievali, infatti, la trasmissione orale era considerata a tutti gli effetti una forma di trasmissione dei testi affidabile quanto, se non più, di quella scritta, la quale poteva contenere modifiche o essere viziata da mancate correzioni. Nonostante questo, continua D'Ottone Rambach, la produzione manoscritta del mondo arabo è stata imponente e quantitativamente superiore rispetto a quella occidentale o a quella di altre culture orientali.
La storia della lettura si collega strettamente alla storia del rapporto tra testo e lettore, alle ricerche di storia della tradizione manoscritta, alla paleografia e alla codicologia; D'Ottone Rambach ricorda infatti quanto già rivendicato da Armando Petrucci, recentemente scomparso e che qui ci piace ricordare, secondo cui l'ambito di ricerca della paleografia stessa deve necessariamente estendersi dai libri manoscritti a tutte le testimonianze scritte di una data civiltà; seguendo questo principio dunque un'attenzione specifica andrà riservata alle scritture presenti -; per citare solo alcuni manufatti portatori di testo -; su monete, epigrafi, coppe, sigilli, certificati di pellegrinaggio.
I temi affrontati da Hirschler, che nell'introduzione ricorda come i libri fossero onnipresenti in epoca medievale nelle società del mondo islamico, e in modo specifico nei territori che andavano dall'Andalusia alla Persia, riguardano alcuni aspetti della storia della lettura nella Siria e nell'Egitto medievale, luoghi e periodo scelti per colmare una lacuna presente nella produzione scientifica e per ulteriori due motivi, come scrive l'autore: quello della necessità di discutere l'idea diffusa del declino nelle società arabe dopo il periodo classico e, con ciò, di superare definitivamente lo sterile dibattito sviluppatosi all'interno degli studi sul Medio Oriente; e quello legato al fatto che il periodo medievale, sostanzialmente, non rappresenta un momento di frattura con i secoli precedenti e che la diffusione dei libri andò di pari passo con il diffondersi della capacità di leggerli e comprenderli. I cinque secoli presi in esame offrono quindi un contesto cronologico ampio e in grado di fornire una panoramica attendibile sulla diffusione della cultura scritta, anche nel metterla a confronto con le parallele evoluzioni in altre aree geografiche che hanno ricevuto maggiore attenzione da parte degli studiosi.
I cinque capitoli affrontano la tematica del leggere e scrivere nell'Islam medievale con molti approfondimenti; il primo è rivolto ai temi della lettura e della sua connessione con la cultura scritta, con una riflessione assai interessante sulla questione dell'alfabetismo, dell'oralità e dell'ascolto; il secondo affronta la questione relativa alle sedute di lettura erudite e popolari che si svolgevano nelle città, con analisi relative, per esempio, alla motivazione della partecipazione o alla disposizione dei posti e al cambiamento di queste pratiche nel tempo; il terzo si incentra sulla diffusione della parola scritta e sul ruolo delle scuole.
Il quarto capitolo indaga il fenomeno della nascita, rimanendo sempre in Siria e in Egitto, delle biblioteche locali sovvenzionate da privati, luoghi nei quali i lettori accedevano alla parola scritta e sperimentavano le capacità acquisite durante la lettura individuale; le caratteristiche che avrebbero sviluppato queste biblioteche sarebbero state quelle della longevità e dell'accesso relativamente aperto, riprese dal modello delle biblioteche regali e in particolare dal modello della biblioteca classica fatimida che rappresenterebbe quindi un anello di collegamento importante tra le due.
In questo quarto capitolo si affronta anche il tema delle fonti narrative che forniscono, attentamente indagate, dati utili per conoscere il patrimonio librario delle biblioteche e che riportano spesso il topos della distruzione e del saccheggio, funzionale -; scrive Hirschler -; a sottolineare, da un lato, la barbarie del nemico distruttore nel caso di annientamento di proprie biblioteche e, dall'altro, la virtù di quanti distruggevano i libri degli infedeli, nel caso in cui i narratori erano parte della comunità responsabile della distruzione. Liste di manoscritti, atti di fondazione, testi narrativi, rappresentano dunque, come anche nella realtà occidentale, fonti imprescindibili per conoscere la nascita di una biblioteca e l'incremento del suo patrimonio librario, insieme alle modalità d'uso, al pubblico dei lettori, ai finanziatori, agli artigiani connessi strettamente al mondo del libro.
L'ultimo capitolo, intitolato Letture popolari, si incentra sulle pratiche di lettura popolari sviluppatesi parallelamente alle sedute guidate da dotti e nelle quali si conferiva il diritto di trasmettere i testi letti; si tratta di concetti e di un agire in parte estranei alla cultura occidentale, legati soprattutto a pratiche orali e di ascolto.
In sintesi e per chiudere, se scopo del saggio era quello di «delineare gli effetti che il diffondersi dei testi scritti in epoca medievale ha prodotto sulla società e sulle pratiche culturali del consumo e della ricezione della parola scritta», come scriveva l'autore nella sua introduzione, possiamo senz'altro ritenere che esso sia stato pienamente raggiunto e efficacemente proposto anche a un pubblico di non specialisti della cultura e della storia dell'Islam medievale, stante, in ogni caso, il limite -; dallo stesso autore più volte evidenziato -; della centralità delle due società rappresentate, quella siriana e quella egiziana, protagoniste, in età medievale, della riconfigurazione delle pratiche culturali legate al libro.
Simona Inserra
Università di Catania
Questa guida per genitori e futuri lettori è la sesta edizione della Bibliografia nazionale Nati per leggere che, periodicamente dal 2001, offre uno spaccato selezionato di libri di qualità per l'età prescolare. È destinata in particolar modo alle famiglie, ai genitori in attesa e ai futuri lettori, ovvero chi ancora non ha incontrato la meraviglia della scoperta del mondo dei piccolissimi e dei loro libri. Può servire per un primo orientamento all'operatore di servizi sanitari, al bibliotecario che comincia a interessarsi alla sezione ragazzi e a chiunque lavori e viva accanto a bambini molto piccoli. Non dovrebbe mancare nelle biblioteche di base come negli studi pediatrici.
Il gruppo di lavoro dell'Osservatorio editoriale Nati per leggere che ha lavorato a questa selezione di 132 titoli dal variegato panorama editoriale rivolto a bambini da 0 a 6 anni, è composto da 32 persone (per la maggior parte bibliotecari specializzati, qualche libraio, un pediatra e diversi esperti). Chi dovesse avanzare la critica che sia uno strumento bibliografico poco tempestivo, tenga presente che sono disponibili altri strumenti di aggiornamento corrente, mentre la ricchezza di questa guida è proprio offrire una riflessione e uno sguardo maturo sulla produzione editoriale tra 2015 e 2017. La pubblicazione è curata da Nives Benati, che ne ha redatto anche i testi insieme a Nicoletta Gramantieri e Antonella Saracino, bibliotecarie di Salaborsa.
I libri sono organizzati in sezioni, e oltre ai riferimenti bibliografici sono presenti l'immagine della copertina e una breve descrizione. Ci sono inoltre dei simboli per indicare la fascia d'età, se il libro è cartonato, se ha arrangiamenti musicali, e altri simboli per visualizzare l'autore, l'illustratore o il narratore. Le sezioni sono intervallate da pagine con informazioni basilari e qualche focus.
Egrave; dunque un utile strumento di orientamento, considerando che non tutti entrano in libreria e anche chi entra può sentirsi disorientato nel reparto per l'infanzia. Com'è noto, l'offerta editoriale per bambini e ragazzi è ricchissima, ma contraddistinta da alta mortalità in catalogo e quindi dalla continua alternanza di novità. I libri per piccolissimi, e più in generale per le fasce prescolari, hanno avuto negli ultimi dieci anni un positivo incremento, ma non sempre in libreria vengono adeguatamente valorizzati, distinti, proposti. Ancora più meritorio dunque l'intento di mettere ordine in un'offerta editoriale rumorosa, selezionando e organizzando sezioni capaci di focalizzare l'attenzione e nel contempo offrire informazioni. La distinzione in undici sezioni, come si legge nella presentazione online, è basata «sulla tipologia dei libri e sul genere letterario». Troviamo tuttavia sezioni basate sulla fattura materiale («Buchi, alette e finestrelle»), sul genere («Fiabe»), sul contenuto tematico («Storie quotidiane»), sul contenuto in senso strutturale («Storie con meccanismi di accumulazione»), sulle modalità di lettura («Libri senza parole»). La stessa fluidità si ritrova nelle descrizioni brevi, dove a volte si fa riferimento alle tipologie e alle caratteristiche materiali del libro, altre volte si propone un'arida sinossi del contenuto.
La prima sezione, come già nelle scorse edizioni, è quella dei libri in rima, dov'è possibile trovare qualcuno dei pochissimi titoli consigliati «dalla nascita» (appena 6 su 132!). C'è poi la sezione dedicata ai libri catalogo, o libri enunciativi, per i quali si accoglie il bell'appellativo di libri per «nominare il mondo» e quella dedicata ai libri di divulgazione.
Al rammarico di non vedere più alcuni dei classici che si vorrebbe trovare in tutte le case supplisce un nuovo strumento: dallo scorso anno, con il rinnovato sito web di Nati per leggere, è stata messa a disposizione una guida interattiva, costantemente aggiornata, di tutti i libri selezionati dal 2008, non solo in italiano, per favorire l'apertura linguistica e l'inclusione di famiglie plurilingui.
Leyla Vahedi
Associazione Cartastraccia
Maryanne Wolf ha pubblicato 10 anni fa (in Italia sempre per Vita e Pensiero) Proust e il calamaro: storia e scienza del cervello che legge che è il testo fondamentale sulla neurofisiologia della lettura. Il suo nuovo libro, Lettore, vieni a casa, nasce (come racconta la sua stessa autrice) dal suo riemergere nella realtà quotidiana dall'apnea degli studi e constatare come i delicati e complessi equilibri neuronali necessari per creare quell'attività essenzialmente artificiale che è la lettura, fondamento della cultura e della civiltà umana, sono messi a repentaglio dalle nuove forme di lettura che stanno prendendo il sopravvento nel mondo digitale.
Rispetto alla lettura profonda (che vede la decodifica di parole e frasi ai fini della comprensione di significati evidenti e riferimenti reconditi) richiesta dalle più significative opere della letteratura antica e contemporanea, le abitudini di lettura che costituiscono la normalità nel mondo digitale prevedono piuttosto lo skimming: il sorvolare a zig zag un testo per individuare gli elementi ritenuti principali. Non si tratta solo di un problema che riguarda i testi nativamente digitali, ma anche testi che hanno la doppia veste analogica e digitale, quale ad esempio un romanzo o un libro di testo che può essere disponibile sia in copia cartacea sia in ebook. Comunque il testo digitale, secondo gli studi riportati dalla Wolf, perde quella tridimensionalità che consente al cervello di focalizzarsi in maniera completa nella complessa attività di decodifica di segni e significati.
Questo cambiamento di abitudini ha effetti deleteri sia su coloro che pure hanno appreso la lettura sui media analogici provocando a lungo andare una perdita delle abilità neuronali, sia soprattutto sui nuovi lettori che tali abilità rischiano di non apprendere mai per intero. L'autrice sperimenta tale perdita su se stessa costringendosi a rileggere un libro amato da giovane: Il gioco delle perle di vetro di Herman Hesse e constatando la difficoltà che anche un cervello abituato allo studio compie a recuperare abilità di lettura profonda su testi complessi e profondamente strutturati se disallenato da anni di letture digitali. Tale danno diventa abissale se, come succede, i bambini, nella primissima fase della formazione del cervello che legge, vengono abituati da genitori e scuole materne non a letture progressivamente più significative, con strutture complesse e ricchezza di lessico che non è presente nella lingua parlata, ma consegnati a una baby-sitter digitale. La lettura, ci spiega la Wolf, funziona esattamente come una simulazione di esperienza: il cervello che legge in merito a un personaggio che compie un'azione si comporta esattamente come se fosse il lettore a compiere quella stessa azione. E questo riporta direttamente chi di noi è coinvolto nel programma Nati per Leggere alla capacità di superare grandi e piccoli problemi dei nostri bambini grazie alla storia giusta letta nel momento giusto. Ma questa abilità dei neuroni specchio non si attiva allo stesso modo quando il cervello fa skimming in un testo digitale.
Tuttavia con questo suo libro -; deliziosamente scritto in forma di nove lettere ai suoi lettori -; Maryanne Wolf non sostiene luddisticamente l'abbandono della lettura digitale, riconoscendone da un lato l'essenzialità nell'odierno mondo ipervelocizzato dell'informazione, dall'altro non potendo pronosticare le dimensioni in cui il digitale potrà evolversi. Piuttosto ci chiede, in qualità di genitori, di insegnanti, di educatori (quali anche i bibliotecari nel loro lavoro quotidiano possono e in molti casi devono essere), di imparare a conoscere gli spazi propri e appropriati in cui il digitale può avere un effetto positivo (la Wolf cita ad esempio studi in cui si dimostra come l'accorto utilizzo di videogiochi è utile ad aumentare l'attenzione visiva e la coordinazione motoria dei bambini e addirittura in alcuni casi a incoraggiare l'apprendimento della lettura) e di limitare a essi l'accesso dei nostri bambini, continuando invece a proporre libri e letture analogiche in quanto la formazione del lettore e della lettura profonda nel lettore (con tutte le relativa abilità di decodifica così utili in un mondo invaso dalle fake news) dipende da esse. Solo lettori abili nella lettura analogica potranno riuscire a utilizzare proficuamente tali abilità anche nel brave new world digitale.
Francesco Mazzetta
Biblioteca comunale Mario Casella di Fiorenzuola d'Arda (PC)
Questo libro ha molti meriti, ma ne voglio ricordare in ingresso uno su tutti: quello di tentare una (quasi impossibile?) summa e una fotografia dello stato delle ricerche e delle conoscenze intorno alla lettura, senza rinunciare al proprio posizionamento, al proprio sentimento, direi, senza nascondersi dietro il facile velo della neutralità scientifica o professionale. La lettura, nella sua potenza polimorfa, nella sua natura «elusiva e sfuggente», come la definisce l'autore, è un tema che chiama in causa e continuamente mette in discussione l'identità e il vissuto del ricercatore o del bibliotecario. Tanto più lo studioso si avvicinerà al compito che si è prefisso (che è in apparenza modesto e in realtà assai arduo: «fare il punto»), quanto più saprà deporre l'approccio esclusivamente accademico e collocarsi in rapporto diretto e consanguineo nei confronti della materia che affronta, sapendosi e sentendosi continuamente coinvolto. Non si hanno molte certezze all'inizio, ma alla fine del percorso, probabilmente, anche quelle vacilleranno fruttuosamente.
Gli strumenti, dunque, saranno quelli dell'interdisciplinarietà, nutrita anche di fantasia e di spirito pratico. Vivarelli fa proprio questo: non rinuncia ad alcun punto di vista, ad alcuno scorcio disciplinare, non si vieta il lusso di alcuna suggestione o pista controversa, di alcuna mescolanza inedita e perfino temeraria tra i saperi che si avvicendano intorno al capezzale dell'inferma che tale non è. Senza spocchia e senza reverenza. Così si passa quasi repentinamente, solo girando pagina o capoverso, da un approccio letterario a uno scientifico, da uno linguistico a uno neurobiologico, da una rassegna dei festival letterari all'epoché husserliana, dall'analisi delle pratiche di lettura alle dinamiche della filiera del libro. I contributi di Cecilia Cognigni (sulla promozione) e di Chiara Faggiolani (sull'universo statistico, concettuale e visivo dei dati della lettura) si inseriscono perfettamente e armonicamente in questo contesto.
L'interdisciplinarietà non è giustapposizione ma effettiva mescolanza e intreccio, embricazione, usando un termine mutuato da De Certeau che ricorre spesso nel libro di Vivarelli, a sottolineare come, per un'interpretazione che sia anche mediazione intellettuale, occorra sollevare i bordi e sovrapporli parzialmente per tesserli o ritesserli, come si fa nel campo chirurgico da cui il termine proviene. Chi potrebbe dire, leggendo I neuroni della lettura di Stanislas Dehaene al modo di Vivarelli, che quel mondo misterioso popolato da assemblee di neuroni clamanti e acclamanti per il riconoscimento di una vocale pertenga più alla scienza che alla fantascienza, più alla biologia che alla poesia?
Nel succedersi dei punti di vista, Vivarelli non soccombe, però, alla tentazione della sintesi a tutti i costi. Il suo punto di partenza e la sua formazione sembrerebbero concedere un piccolo privilegio all'approccio storico e sociale, ma alla fine l'autore preferisce rimescolare le carte e finire dove aveva iniziato, con una presa d'atto «dei limiti invalicabili della conoscenza storica applicata al nostro territorio di indagini», e un ritorno allo stato originario di sospensione, fino a chiudere con un riferimento a Ermes e alla sua vagabonda e prensile duttilità.
Tutto ciò non proviene da una rinuncia o da un'insensibilità per l'esigenza unitaria. Anzi. Lo scetticismo espresso da Vivarelli riguarda i risultati, definiti «opachi», ma la ricerca di una teoria unificata» della lettura è da sempre un'utopia insopprimibile che la percorre e la alimenta. Se verrà, però, questa teoria non avrà la forma del Sacro Graal né quella dell'unificazione delle quattro forze fisiche fondamentali, che nel campo della lettura potrebbero essere: il piacere (estetica); la passione e la responsabilità (etica); la negazione (teoretica); l'esperienza (fenomenologia). Vivarelli sembra sostituire la ricerca dell'unificazione generale con un più prudente approccio olistico, memore ovviamente di Bateson e consapevole che la sede e l'organo della struttura che connette non è tanto o soltanto il cervello in generale, ma l'occhio, che è uno scrigno di passività e di attività, di analisi e di sintesi, singolare e gestaltico, proprio come la lettura. L'assunzione di una rappresentazione olistica non è soltanto un obbligo dettato dalla complessità della materia, è una scelta che privilegia le «somiglianze di famiglia» che uniscono le diverse letture e i diversi aspetti della lettura rispetto alle differenze che li separano.
Quello che l'autore ci consegna, al termine di trecento settantuno pagine fitte e ariose allo stesso tempo, è infine uno sguardo. Di cui però il lettore, deposto il libro, difficilmente potrà fare a meno. Vivarelli ha a lungo ragionato sulla centralità delle categorie di spazio e luogo per la lettura (e per le biblioteche che, come ci ricorda a pag. 226, hanno bisogno di passare da una «incerta alleanza» con la lettura, al pieno riconoscimento del suo ruolo «come oggetto specifico e peculiare» di ogni biblioteconomia sociale che voglia pensarsi come tale). Il libro, se si vuole individuarne un ulteriore filo conduttore, è internamente percorso e pervaso da questa matrice spaziale, visiva e iconica che emerge e sommerge. Esplicitamente e direttamente nel bel capitolo dedicato alle immagini della lettura (o negli esempi di data visualization elaborati da Chiara Faggiolani), più ubiquamente e sottilmente in tutto il resto del volume. La lezione semiotica (la semiotica è un'iconologia) si fonde con l'approccio warburghiano: vedere e far vedere la lettura, per Vivarelli, diventa la chiave della sua comprensione, della sua teoria e pedagogia. Che la teoria sia soprattutto un vedere, infatti, non lo dice solo la sua origine etimologica.
Ma quando uno pensa di aver saccadicamente compreso la lettura, di averla infilzata come una trave nell'occhio (del ciclone), irrompe la coscienza della fallibilità e delle pagliuzze che la irradiano: «la lettura non è come appare», sottolinea a più riprese Vivarelli. Di essa restano infatti delle «tracce», dei «colpi d'occhio», delle «istantanee». La lettura è innanzitutto e soprattutto un metodo e una relazione. Ben lontana dalla pesantezza oggettiva del testo e dalla degradabilità soggettiva del lettore, essa può anche scomparire senza timore di perdersi. Questa visione della lettura mi ricorda il riferimento che Adorno, nella Teoria estetica, rivolse all'arte dei fuochi d'artificio: come questa, e diversamente dal prometeismo della scrittura, l'arte della lettura si accontenta (ermeticamente) di «brillare e sparire», disseminando di tracce luminose l'oscurità che la circonda.
Luca Ferrieri
Milano
Il titolo del volume Che cos'è la bibliologia espresso in forma affermativa (e non interrogativa) -; com'è proprio della collana «Le bussole» -; è già di per sé confortante per un campo affascinante, ricco e complesso com'è la bibliologia.
Il volume è articolato in cinque capitoli, completati da appendici, glossario e referenze biblio-iconografiche.
Il primo capitolo I confini della disciplina è quello più consistente rispetto agli altri, necessario a inquadrare una disciplina dalla definizione travagliata, che ha conosciuto molte ambiguità terminologiche tanto che l'attuale accezione risale a pochi decenni fa. La bibliologia viene qui definita, delineandone anche l'ambito d'azione, come disciplina che studia «l'antica produzione a stampa non per il contenuto semantico trasmesso ma come oggetto e manufatto».
La parte iniziale rende molto bene l'idea di una disciplina poliedrica (come dice lo stesso autore) arrivata con difficoltà a una sua definizione e in relazione con molte altre discipline: la storia del libro (di cui è parte), la storia delle biblioteche, la critica testuale e la filologia dei testi a stampa, il restauro, la biblioteconomia.
Della bibliologia moderna vengono ripercorse le origini anglosassoni nel XIX secolo (in particolare la scuola della New Bibliography con Bowers e il suo approccio alla analitical bibliography o bibliographical description, fino al padre della bibliologia moderna, Gaskell), nonché la loro influenza in ambito europeo, specie in Italia, dove nel XVIII e XIX secolo la bibliologia era ricompresa nella bibliografia, intesa come descrizione del libro antico; vengono qui citati gli apporti di Barberi (che ne definisce il concetto moderno), di Serrai (che distingue tra bibliografia e bibliologia), di Balsamo (che codifica la disciplina nella voce dell'Enciclopedia italiana Treccani), di Fahy e del suo allievo Harris, nonché più recentemente di Baldacchini, Romani, Montecchi, Zappella, Santoro, Misiti, Barbieri.
Il secondo e terzo capitolo introducono all'oggetto della sua azione: le edizioni e gli esemplari. Vengono esaminate anche tipologie diverse dal libro, come ad esempio le pubblicazioni amministrative, quelle destinate a particolari occasioni o al commercio. Del libro in particolare vengono illustrate la trasformazione e le peculiarità delle informazioni sia bibliografiche (con un editore sempre più distinto dal tipografo) sia materiali (il formato, la composizione in fascicoli, la segnatura, ecc.). Vengono inoltre descritti i segni di vario tipo rintracciabili sugli esemplari: del commercio, del possesso (note manoscritte, timbri ed etichette di possesso, ex libris), della lettura, della censura, del trattamento biblioteconomico (etichette di collocazione, numeri di inventario, rilegature e restauri, ecc.).
Gli ultimi capitoli introducono ai rapporti della bibliologia con la catalogazione (nel quarto capitolo): da quelli meno facili (per la natura stessa di unicità degli esemplari) con gli standard di catalogazione (contrastata introduzione di ISBD(A), adozione di segnatura, impronta, ecc.), a quelli con l'informatica (affermazione di un rapporto di reciproca utilità tra bibliologia e informatica, base della catalogazione partecipata del libro antico in SBN, scostamento parziale in SBN sia dallo standard ISBD(A) sia da quelli relativi al libro moderno). In chiusura (nel quinto capitolo) viene proposta una breve illustrazione delle cinque aree della descrizione catalografica del libro antico (con i suoi elementi distintivi).
Concludono la pubblicazione le Appendici, il Glossario, le referenze biblio-iconografiche, con una consistente e aggiornatissima Bibliografia. Tra queste parti si distinguono a mio avviso per la particolare utilità, anche sul campo, proprio le Appendici, un'agile panoramica delle casistiche possibili a vari livelli (descrizione fisica, formula collazionale per segnatura, descrizione dell'esemplare, ecc.).
A fine lettura del volume di De Pasquale la mia prima impressione è quella di un percorso costruito in maniera felice e riuscita, coniugando l'approccio sintetico con quello analitico; ne è espressione ad esempio la fluida introduzione del lettore alla distinzione tra copia ed edizione, tra copie di una stessa edizione, tra emissioni diverse ovvero al diverso concetto di edizione, legato nel libro antico a una ricomposizione tipografica più che a una nuova forma di contenuto.
Un percorso alla scoperta di una disciplina meno conosciuta di quanto si creda e di argomenti di minore attualità e forse di più ristretto interesse rispetto ad altri, ma tanto più arricchenti, causa talvolta di straniamento di fronte alla presenza nel libro antico di una terminologia condivisa con il libro moderno ma di ben altra natura.
Fiorenza Ciaburri Scinto
Biblioteca di Area Umanistica, Università di Foggia