di Valentina Sonzini
L'occasione per questo contributo è stata offerta da una riflessione nata in seno alla Commissione nazionale AIB su biblioteche speciali, archivi e biblioteche d'autore, in merito allo scarso interesse finora dimostrato, se non in anni ormai piuttosto lontani, sul tema delle biblioteche speciali/specialistiche. Si tratta di una prima indagine sperimentale, un carotaggio, che prende in considerazione un bacino territoriale circoscritto, proponendo un focus sulle biblioteche degli ordini professionali. L'obiettivo dell'analisi è quello di presentare un esempio territoriale, quello genovese, per ricentrare l'attenzione su tali biblioteche: realtà non pubbliche, ma legate ad una dimensione privata, caratterizzate da una utenza omogenea indirizzata verso interessi e necessità specifiche.
Sul versante terminologico, la questione del dibattito fra biblioteche speciali e specializzate, si esaurisce in alcuni assunti elaborati negli anni, anche in seno a convegni ed incontri dell'AIB, e che hanno comunemente ricondotto il problema ad una accettazione biunivoca delle due accezioni. Pertanto, è sia vero che sono biblioteche specializzate, poiché le loro collezioni sono costituite da materiali bibliografici afferenti ad una specifica area disciplinare; ma sono anche speciali, in quanto i servizi offerti sono fortemente orientati ad un'utenza non eterogenea.
Sono cioè istituti che rispondono ad esigenze specifiche. Si riprende qui in sintesi la definizione proposta dal Gruppo di studio sulle biblioteche speciali dell'AIB Lazio:
adottando la definizione di Serrai (Guida alla biblioteconomia, 1981, p. 29) per cui, mentre può dirsi specializzata una biblioteca che possiede raccolte che si identificano con l'ambito e gli interessi di una disciplina, di un settore di studi, di un campo applicativo, per speciale deve invece intendersi una biblioteca che si identifichi quasi con il centro di documentazione, e che si giova di particolari tecniche e metodologie di mediazione tra il materiale non solo bibliografico ed un'utenza specifica e delimita1.
Le due tipologie di istituti tendono così a sovrapporsi riguardando una tipologia di utenza che ha evidentemente un profilo preciso:
la specificità dell'utente delle biblioteche speciali consiste nella relativa facilità con cui necessità, desideri e richieste di costui possono essere conosciute in modo non episodico o parziale ma sistematico ed esaustivo2.
La questione non si esaurisce tuttavia solo in questi termini, poiché, soprattutto nel caso delle biblioteche ordinistiche, stiamo parlando di istituti che sono poco, o forse per niente, conosciuti da un pubblico più ampio. Pertanto,
date certe specializzazioni e non c'è biblioteca che non ne abbia una come deve lavorare una biblioteca perché lo studioso, il ricercatore, o anche semplicemente il lettore curioso sappia riconoscerle, conoscerle e sfruttarle, magari intervenire su di esse e provocarne di nuove?3
L'interrogativo, posto da Maltese in chiusura di un convegno che sul finire degli anni Ottanta sollecitava la comunità dei bibliotecari, fa riferimento però specificatamente a quegli istituti inseriti in contesti nazionali e territoriali strutturati, sicuramente di derivazione pubblica, considerando solo marginalmente la dimensione privata che sfugge a standard di gestione e di valutazione del servizio, ma che serve un bacino di interesse in taluni casi ragguardevole e che, anzi, supporta come nel caso della Biblioteca dell'Ordine degli avvocati l'attività stessa dei soci, fornendo materiali da produrre nelle aule di tribunale.
Nell'affrontare l'analisi genovese si è provveduto a contattare gli ordini professionali presenti in città4. Va sottolineato che per i soci della quasi totalità di questi ordini è necessaria ed obbligatoria una formazione continua che, nella maggior parte dei casi, viene erogata dall'ordine stesso o in convenzione con strutture formative preposte. Pertanto, annualmente, al singolo socio viene richiesto di totalizzare un monte di crediti formativi che consentono l'iscrizione all'albo per l'anno successivo. Risulta quindi evidente che, da parte degli ordini professionali, c'è un intento reale e fattivo di fornire informazione e documentazione autorevole e certificata.
Nell'approcciare l'indagine sono emerse alcune criticità: una difficoltà oggettiva ad ottenere risposte circostanziate5, una sostanziale diffidenza nel raccontare la storia delle biblioteche eliminate per motivi vari nel tempo. Soprattutto quest'ultima questione ha messo in difficoltà gli interlocutori che in due casi (Ordine dei commercialisti e Ordine dei periti industriali) hanno dichiarato di aver disperso le biblioteche esistenti durante i traslochi delle loro sedi. Ciò che si evidenzia è la reale difficoltà a ricostruire la genesi e la storia di queste collezioni librarie, evidentemente presenti in passato, ma poi eliminate senza troppe reticenze nelle fasi di ristrutturazione. Emerge quindi che la biblioteca non veniva intesa come un bene da conservare e tutelare, ma piuttosto come un peso gravoso di cui disfarsi in fase di spostamento, perché poco utilizzata o poco interessante per i soci.
Solo in tre casi (Ordine delle ostetriche, Ordine degli architetti, Ordine degli psicologi) si assiste alla presenza di raccolte informali di volumi senza però che queste siano strutturate come biblioteche fruibili. Spesso, presso le sedi degli ordini, sono conservati volumi donati dai soci (perché autori) o acquistati sporadicamente dai membri del Consiglio, senza però che ci sia una politica di acquisizione strutturata.
In definitiva, in soli tre casi (Ordine degli avvocati, Ordine dei geometri e Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche) ci si è trovati di fronte alla presenza di una biblioteca, o raccolta bibliografica supposta come tale.
Il dato non può che stupire considerata anche la vocazione degli ordini che, nell'immaginario di chi scrive, dovrebbero proporsi anche come centri di documentazione6.
L'unica realtà effettivamente strutturata come una biblioteca vera e propria, potendo contare anche sulla presenza di una bibliotecaria, per altro vicina alla realtà AIB locale, è l'Ordine degli avvocati. L'istituto, ubicato presso alcuni locali del tribunale di Genova, si propone anche come centro di formazione e cultura giuridica7. Il patrimonio della Biblioteca è costituito prevalentemente da periodici. L'emeroteca, a scaffale aperto per l'annata in corso, è fornita delle pubblicazioni specialistiche. Oltre alle riviste dell'annata corrente, a scaffale aperto sono disponibili i Codici, la cui consultazione è autogestita dai soci. Nelle scaffalature compatte trovano posto i volumi delle riviste rilegate (annate dal 2000 in poi) e le monografie8 ordinate secondo una collocazione preesistente. Tutto il materiale è in sola consultazione e non viene effettuato il prestito, poiché risulta patrimonio effettivo dell'ordine e non può essere messo a disposizione dei privati (l'unica eccezione è rappresentata dai codici ad accesso libero, che possono essere portati in udienza e quindi restituiti alla biblioteca). La collezione libraria è costituita anche da alcune biblioteche private (più che altro donazioni di entità limitata9) e da una decina di volumi antichi che però non sono stati catalogati.
A livello gestionale, la biblioteca dispone di un suo budget definito dal Consiglio dell'Ordine, all'interno del quale un consigliere si interessa direttamente della struttura coordinandosi con la bibliotecaria, sia sulla gestione ordinaria, sia relativamente all'acquisto del materiale documentario. Il servizio è erogato solo la mattina dalle 08,30 alle 13,30 dal lunedì al venerdì, ed è rivolto ad avvocati, magistrati, praticanti e laureandi in scienze sociali, giuridiche ed economiche10. Accanto alla consultazione dei materiali, agli utenti sono messe a disposizione quattro postazioni pc, un servizio di fotocopiatura e un servizio di produzione di PDF (che non vengono però archiviati in un repository specifico, ma eliminati dopo l'invio). I computer servono agli utenti per la consultazione, ad eccezione di Italgiure, delle banche dati giuridiche11 (complete con repertori di merito e di cassazione etc., le sentenze per esteso sia italiane sia europee), riviste online, codici commentati, digesti, etc.
I servizi sono gestiti da un'unica bibliotecaria che, oltre ad occuparsi del front-office (reference e contatto con gli utenti), cataloga, effettua la scelta dei materiali da acquistare, redige quotidianamente una rassegna stampa a disposizione degli utenti; in back-office si occupa di rispondere alle richieste bibliografiche quali ricerca di sentenze, di dottrina, ricerche giuridiche.
La biblioteca è informatizzata dal 1998 e da un primo catalogo in Aleph, nel 2007 si è passati a Caboge, un software proprietario ad accesso online. Il passaggio è stato voluto per ridurre i costi di gestione, anche se il sistema non dialoga con nessun altro software, non consente di inserire soggetti e non è interoperabile. Per le caratteristiche enunciate finora, il patrimonio librario dell'ordine degli avvocati si configura effettivamente, considerati anche i servizi erogati, come una dimensione bibliotecaria strettamente detta.
Un analogo discorso non può essere fatto per la Biblioteca dell'Ordine dei geometri. Costituitasi circa venti anni fa, è formata da libri moderni e da periodici suddivisi per annata, anche se ormai le riviste di settore sono prevalentemente online. Proprio per questa ragione il cartaceo non è implementato e i volumi non vengono prestati, ma solo dati in consultazione senza però che venga espletata alcuna procedura formale di registrazione dell'utenza, per altro decisamente sporadica. Non esiste quindi alcuna forma di informatizzazione della raccolta che non è catalogata, ma inventariata su un foglio Excel messo a disposizione dei soci su richiesta. Analogamente, non esiste alcun trattamento informatizzato del flusso documentario. I volumi presenti sono ordinati per settore (estimo, diritto, topografia, urbanistica, condominio, cartografia, costruzioni). Ogni anno circa due/tremila euro vengono stanziati dal Consiglio per l'acquisto dei desiderata (invero pochi, anche perché, come precedentemente sottolineato, la politica del Consiglio è quella di non far crescere sistematicamente il cartaceo), ma prevalentemente per il mantenimento della banca dati de Il sole 24 ore e, nello specifico, dei Quaderni tecnici, consultabili in sede con le credenziali dell'ordine. Il patrimonio non è gestito da un bibliotecario preposto e la collezione è prevalentemente fruita, seppur in modo assolutamente episodico, dai soci ed eventualmente da qualche professionista esterno. La formazione promossa dall'ordine non è mai vincolata alla biblioteca e neppure la pubblicazione - in cartaceo e online - de Il geometra ligure, a cadenza trimestrale.
Se la situazione presso l'Ordine dei geometri pare incerta, ma delinea, in un qualche modo, la presenza di materiale bibliografico sebbene non trattato, ancora meno chiara è la struttura della raccolta dell'Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione. I volumi presenti in sede sono solo relativi alla normativa dei tecnici di radiologia, i quali fungono da capofila per tutte le altre professioni (19, assemblate nel 2018 in un unico ordine12).
I volumi presenti sono catalogati su schedine scritte a mano contenute in uno schedario portatile organizzato per soggetto. Non ci sono strumenti consultabili da remoto, e per verificare la disponibilità dei volumi è necessario recarsi in sede. L'acquisto dei libri viene fatto attraverso una politica interna che si basa anche sui desiderata. Non è presente alcun bibliotecario e nessuna banca dati specifica è messa a disposizione gratuitamente ai soci. Pertanto, nel caso specifico, più che di una biblioteca possiamo parlare di una collezione sommariamente collocata e catalogata senza alcuna pretesa di standardizzazione e scientificità.
Alla luce dell'analisi effettuata sul territorio genovese emergono alcune considerazioni.
A livello più generale, l'assenza di una rete genovese delle biblioteche specializzate con un coordinamento e gruppi di lavoro tematici. Inoltre, manca una reale connessione fra queste biblioteche e la realtà accademica locale. Come nel caso delle biblioteche specializzate dello Stato che
pur nella loro diversità e nell'alternanza degli esiti a seconda dei periodi, si sono poste precocemente sulla strada della biblioteconomia speciale, dunque sulla strada della fornitura di servizi particolari destinati a un'utenza particolare, e nel corso della loro storia si sono trovate a incrociare le proprie attività istituzionali con quelle di università, enti, istituti di cultura e fondazioni, realizzando, sia pure occasionalmente, un modello di integrazione dei servizi a livello territoriale e interistituzionale13,
altrettanto non è evidentemente avvenuto per le biblioteche ordinistiche genovesi completamente scollegate dalle reti locali sia di formazione, sia di catalogazione e gestione dei materiali.
Sono realtà praticamente invisibili anche al personale locale delle biblioteche di pubblica lettura e solo occasionalmente fungono da riferimento per gli studenti universitari. Inoltre, sono istituti nei quali non viene favorito il confronto con altre realtà ordinistiche in materia di documentazione e di supporto alla ricerca. Questo perché gli ordini genovesi non percepiscono la biblioteca come un servizio da offrire ai propri associati. Pertanto, se teoricamente è indiscutibile che
le informazioni debbono essere disponibili in forme più vicine possibili agli obiettivi di studio e d'uso di queste categorie, e nei tempi necessari ed appropriati per ogni genere di esigenza; per gli specialisti neofiti l'uso della biblioteca deve essere facile da imparare; gli specialisti esperti debbono sentirsi orgogliosi di essere autonomi nella ricerca bibliografica, padroni delle informazioni disponibili e non bibliotecario-dipendenti»14,
dall'altra assistiamo ad una completa ignoranza della questione anche da parte dei consigli direttivi degli ordini stessi. Gli utenti delle biblioteche ordinistiche non si pongono cioè il problema che il materiale a loro erogato sia frutto di un processo strutturato di reperimento, valorizzazione e gestione dell'informazione. La maggior parte di queste biblioteche o raccolte librarie non avendo personale specializzato, o avendo un bibliotecario completamente scollegato, per motivi lavorativi, dal contesto bibliotecario locale, non si sono mai occupate di fornire ai propri utenti una risposta rigorosa alle singole esigenze. Ovvero, non hanno mai implementato procedure che consentissero la crescita stessa dell'utenza, completamente diseducata a formulare richieste puntuali e incapace di valutare le potenzialità che un centro di documentazione potrebbe offrire.
L'assenza di una rete specializzata per l'ambito ordinistico ha fatto sì che non siano state implementate procedure comuni, prassi di confronto e di analisi dei bisogni dell'utenza. Inoltre, i pochi bibliotecari specializzati sono scarsamente aggiornati a causa dell'organizzazione stessa di queste biblioteche. In molti casi figure non competenti svolgono funzioni di bibliotecario, sopperendo come possono alla mancanza di personale qualificato. Fra l'altro, non esiste un coordinamento fra ordini professionali che consenta una ottimizzazione degli acquisti e l'implementazione di una proposta più ampia dal punto di vista dell'approfondimento formativo specialistico (considerato che alcune professioni hanno notevoli punti di contatto fra loro).
Inoltre, non esistono cataloghi collettivi partecipati che mettano in rete il materiale posseduto da queste biblioteche. Sicuramente un obiettivo
potrebbe essere quello dell'integrazione documentaria: integrare microfilm, risorse digitali, materiali di genere diverso nel catalogo collettivo SBN [ ] potrebbe rappresentare la via maestra verso la quale dirigersi, sia per stare al passo con gli attuali bisogni dell'utenza, sia per procedere a una drastica, ma non riduttiva, semplificazione delle attività gestionali interne alle biblioteche15,
prospettiva invero chimerica se si considera lo stato attuale di tali raccolte.
Manca anche un sistema di valutazione dell'impatto del servizio erogato che evidenzi limiti e criticità di questi sistemi, ma anche punti di forza e potenzialità da sfruttare come bene per tutta la comunità.
Uno dei nodi è senz'altro quello della cooperazione fra istituti culturali presenti sullo stesso territorio ma con mission differenti, ma anche della cooperazione fra realtà bibliotecarie specializzate in diversi ambiti del sapere. Oggi più che mai valgono le parole di Crocetti del 1986:
una biblioteca generale, una biblioteca pubblica, può anche essere autosufficiente, se soddisfa le esigenze della sua comunità. La biblioteca speciale non è mai destinata a soddisfare le esigenze di una comunità locale, ma di una comunità che non ha confini16.
Si tratta di una sfida difficile però da cogliere per quegli ordini professionali che, pur avendo declinazioni territoriali, non hanno compreso, o non sentono come necessaria la costituzione e/o l'implementazione di una biblioteca non solo a servizio del proprio bacino di soci, ma come elemento di promozione territoriale verso studenti, professionisti e appassionati del settore che potrebbero avvicinarsi all'ordine proprio in virtù del materiale informativo che lì potrebbero trovare. Per questo è ancora valido l'assunto per cui
il problema delle biblioteche speciali è oggi il problema di una nuova (o ritrovata) filosofia di gestione delle informazioni (proprio in senso manageriale), che parte dall'analisi della biblioteca come sistema di trasferimento dinamico di informazioni»17,
che esuli dal mero soddisfacimento dell'utenza locale, per acquisire le connotazioni un servizio globale, condiviso, partecipe di un'agenda culturale territoriale, agente di progetto biblioteconomico più ampio. La solitudine di queste dimensioni culturali private è il classico gatto che si morde la coda di un sistema involuto in se stesso, con grandi potenzialità, ma con espressioni limitate. In primis perché l'assenza quasi totale, o comunque la carenza di personale specializzato impone un limite sostanziale allo sviluppo di queste agenzie informative e, al contempo, ne compromette funzioni e funzionalità, considerata inoltre la scarsa, se non nulla formazione in progress del personale preposto (spessissimo destinato all'amministrazione dell'ordine e solo temporaneamente, ovvero occasionalmente destinato alla biblioteca stessa).
Pur con le debite differenze legate alla dimensione pubblica e alla dimensione privata, vale la pena di ribadire quanto sottolineato da Buttò
in questa delicata fase storica, è necessario che le biblioteche specializzate puntino sulla propria identità, difendendola e rinforzandola quanto più possibile, ma la garanzia della loro sopravvivenza è affidata soprattutto alla capacità di andare oltre e trasformarsi da soggetti eminentemente passivi [ ] a soggetti attivi, motori di cultura e di diffusione delle conoscenze, veri e propri laboratori del sapere, centri di produzione culturale, e non solo di distribuzione18.
Le biblioteche speciali potrebbero a ragione costituire un laboratorio di pratiche di attenzione all'utenza e di gestione biblioteconomica dei materiali interessante da monitorare e da utilizzare come esempio concreto anche per le biblioteche tradizionali con fondi specializzati, «nel rapporto con il pubblico, nell'utilizzo delle procedure in campo gestionale, del sistema di elaborazione delle informazioni»19. Proprio a causa della crisi in atto nel sistema, acuita da una mancanza strutturale di personale qualificato, l'agire culturale delle realtà ordinistiche potrebbe potenziare, integrare e contribuire a sostenere la rete bibliotecaria locale e nazionale, valorizzando le proprie collezioni non solo per i propri soci, ma per la comunità scientifica tutta.
Ultima consultazione siti web: 31 genanio 2020.
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