La valorizzazione del patrimonio bibliotecario tra public engagement e public history

di Fiammetta Sabba

La costruzione non è incompatibile con la prova1.

Valorizzazione dei libri e delle biblioteche attraverso il public engagement

Negli ultimi anni le discipline storico bibliografiche si sono particolarmente corroborate conducendo, parallelamente al tradizionale esercizio di approfondimento storico-culturale, una fervida attività di valorizzazione del patrimonio bibliografico, divenuto infatti uno dei veicoli privilegiati delle biblioteche per avvicinare il largo pubblico alla conoscenza scientifica e letteraria e per sensibilizzarlo sulla preziosità, ma anche sulla fragilità, dei luoghi della cultura.
È utile un sintetico chiarimento sul concetto di 'patrimonio' che si assume in questo contributo. L'etimo della parola 'patrimonio' derivando dal latino pater (padre) e munus (dono, dovere) le conferisce il senso di un'eredità e un dono da accettare, custodire e tramandare, derivati dal padre, ossia dai predecessori e dunque dal passato; tale accezione si è affermata decisamente nell'Ottocento a seguito del valore economico attribuitogli durante e dopo la Rivoluzione francese a difesa ideologica delle spoliazioni e delle razzie napoleoniche che erano state compiute2. Ne deriva che la costruzione di ciò che compone il patrimonio storico, artistico, monumentale, archeologico, archivistico, demoetnoantropologico e librario con valore civile e memorialistico (ossia i beni culturali, secondo il concetto elaborato dalla Commissione Franceschini nel 1964) attiene di base alle singole nazioni che determinano artificialmente attraverso esso la propria identità come sostiene Zygmunt Bauman3. È poi a seguito di questo processo che il patrimonio assume, idealmente soprattutto, un valore universale e collettivo.
Tuttavia va riconosciuto che la politica patrimoniale è stata spesso paradossale e contraddittoria, perché ha via via scelto di salvare e conservare del patrimonio soprattutto ciò che riusciva a sentire come utile nel presente e proiettabile in una visione futura (la memoria funzionale), lasciandosi condizionare dalle tradizioni e anche dalle opacità concettuali ereditate dal passato.
Nonostante ciò, è a tutti gli effetti condivisa l'idea che il patrimonio sia il custode e l'arca della continuità e l'archivio delle differenze culturali, per consegnare al futuro un'eredità contro l''inverno dello spirito'; e non a caso Marguerite Yourcenar ha usato questa metafora per affermare che «fondare biblioteche è un po' come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve […]»4.

La biblioteca pubblica, come ha affermato Alberto Petrucciani, non è infatti esclusivamente «una agenzia informativa», ma essa ha «un radicamento forte, sentito, nelle proprie tradizioni e nel proprio patrimonio culturale […]. Questo patrimonio è e deve essere, certo, oggetto di valorizzazione (oltre che di tutela, e quindi in primo luogo di conoscenza), se non altro per l'importanza enorme che ha assunto il turismo, nel suo complesso, come attività economica. Ma di valorizzazione bisogna parlare in senso molto più ampio e aperto. Questo patrimonio del passato è qualcosa di più di un oggetto di interesse storico o economico, è l'elemento fondante della valorizzazione (immateriale e non economica) della comunità stessa, quindi della vita delle persone»5.

È in questo contesto che si è consolidata sempre più la collaborazione tra studiosi di storia delle biblioteche e della bibliografia e delle discipline affini, e amministrazioni locali, singole biblioteche (i cui compiti di base non sempre hanno carattere scientifico) e gruppi di lavoro (non necessariamente strutturati), proprio al fine di valorizzare il patrimonio documentario ad essi pertinente a vario titolo.
Nel caso del patrimonio librario la prima attività di base, qualora non sia stato già fatto, è provvedere a una sua catalogazione; soltanto dopo si possono avviare studi e ricerche su specifiche realtà bibliografiche che siano in grado di raccontare al pubblico di riferimento o a quello da catturare una porzione del passato che gli appartiene, creando percorsi attrattivi e di coinvolgimento, che possono avere come oggetto o come mezzo i singoli tesori librari, interi fondi bibliografici, oppure anche gli stessi edifici che li conservano o che li ospitavano in origine.
Tali azioni hanno, infatti, ormai assunto quasi di rito delle finalità di carattere 'sociale', sia da un lato per assolvere alla necessità morale di giustificare un impegno economico in cultura – soprattutto se pubblico –, sia dall'altro per garantirsi, attraverso metodi e obiettivi di qualità, la certezza di una ricaduta diretta sulla comunità coinvolta, e in generale sulla società.
Il coinvolgimento pubblico, noto con la definizione di public engagement, è utile per far conoscere a una platea più ampia una tipologia di patrimonio altrimenti relegata a gruppi di studiosi, amatori e specialisti; condividere significa poi sensibilizzare, e di riflesso insegnare la tutela come approccio etico ai beni culturali di ogni tipo6. Se in passato, infatti, una conoscenza e un bagaglio storici anche elementari erano la base perché cittadini non specialisti, accademici e studiosi potessero accedere alla fruizione del patrimonio culturale, ora si è invece giunti a praticare il processo inverso, ossia a coinvolgerli con esperienze 'emozionali' e attrattive (di tipo turistico) per guidarli all'approccio di temi che resterebbero loro altrimenti sconosciuti o estranei.
Tuttavia non bisogna trascurare che l'enjoyment che il bene culturale può dare è tutto da costruire7 e che va mantenuto un equilibrio tra prodotti del passato e processi del presente al fine di non dar luogo a un «meccanismo di esclusione arrogante»8. Per il patrimonio librario e bibliotecario in particolare questo è ancora più complicato che per la maggior parte degli altri beni a causa della convivenza di aspetti di ordine fisico ed estetico e di altri che riguardano l'apprendimento e la rielaborazione cognitiva9, ossia quelle 'conoscenze tacite' presenti in ogni processo culturale e relative sia al patrimonio materiale che a quello immateriale, e di cui la Convenzione di Faro ha sottolineato l'importanza, anzi la centralità, sintetizzandolo nel concetto di 'eredità culturale'10.
Il bibliotecario è un attore e mediatore fondamentale in questo processo di sintesi e di comunicazione, come scriveva più di dieci anni fa Claudio Leombroni11 rifacendosi agli approfondimenti di Jesse Hauk Shera12 e di Paolo Traniello13. Le biblioteche, mediante la capacità professionale dei bibliotecari, devono infatti mettere in pratica proprio una 'narrazione mediata', ossia una storytelling, che coinvolga il pubblico interessato a collaborare e a condividere i contenuti attraverso metodi e strumenti selezionati e controllati, che lo esonerino dal subire un'austerità disciplinare e ne facilitino invece la scoperta del patrimonio, il piacere di conoscere e il godimento intellettuale.
Sono molteplici i canali e gli strumenti che possono integrare in modo innovativo i seminari, laboratori e mostre tradizionali che riguardano testi, libri e biblioteche, garantendo una corretta comunicazione: può venire attivata una collaborazione con i numerosi progetti di Wikimedia (Wikipedia, Wikimedia commons, Wikibooks, Wikisource, Wiki loves monuments e Wikivoyage); si possono realizzare virtual exhibitions che accompagnino le mostre fisiche così da raggiungere un pubblico vasto e remoto e da assicurare la permanenza nel tempo del contenuto sintetico di quanto esposto e trattato; si possono organizzare eventi, seminari e convegni tematici, abbinati a visite guidate, laboratori, realtà aumentata e gamification; si possono costruire percorsi turistici attraverso il web, caratterizzandoli per territori, città, istituzioni o tipologie culturali; e si può fruire dei social – ovviamente facendolo in modo consapevole e strategico – per sollecitare e tenere alti l'attenzione e l'interesse.

Le biblioteche nella public history tra patrimonio culturale, luoghi della cultura, storia di territori e di comunità

Abbiamo accennato a nuove strade per valorizzare il patrimonio culturale, e tra le istituzioni che già da molto tempo le hanno intraprese, facendo leva sul loro ruolo di presidio culturale, ci sono appunto le biblioteche. La loro distribuzione capillare in tutta la penisola e la loro varietà amministrativa, funzionale, strutturale e non da ultimo patrimoniale permettono, infatti, di raggiungere un pubblico assai esteso e socialmente variegato, basti pensare ai servizi che esse sono in grado di erogare attraverso i canali digitali praticamente per tutti (prestito, reference, document delivery, information literacy e anti fake-news, mostre virtuali, catalogo e risorse elettroniche open access, alerting per messaggistica, newsletter ecc.). L'azione più complessa che, però, le biblioteche sono oggi chiamate a esercitare, innanzitutto nel proprio territorio, è conciliare il ruolo sociale e di costruzione della cittadinanza (mission, pratiche e servizi) con quello patrimoniale e di conservazione (beni materiali e immateriali). In sostanza si chiede loro di divenire dei veri e propri laboratori e dei luoghi 'comuni' di sperimentazione conoscitiva e di apprendimento, dotandosi della 'contemporaneità' come «contenuto normativo più rappresentativo»14.

Per questa loro capacità di vivere in tre tempi (presente, passato e futuro) ancorandosi però al 'qui ed ora', le biblioteche costituiscono sempre più partner preziosi in progetti che riguardano la storia sociale in senso ampio, in particolare in quelli promossi dalle università; questa azione è formalmente riconosciuta dagli atenei e dal Ministero competente, il MIUR, come pratica di 'terza missione'15. L'audience delle biblioteche pubbliche, con particolare riferimento poi a quelle non specialistiche, a differenza di quella dei musei (specie se locali), è, infatti, meno selezionata, più ampia e varia, e pertanto meno 'contaminata' da pregiudizi storici, ad esempio sulle vicende difficili, scomode, controverse e irrisolte, e quindi più aperta alla comprensione e alla condivisione di contenuti anche complessi che altrimenti il largo pubblico mai avrebbe probabilmente avvicinato o affrontato.
Per accompagnare la biblioteca in queste finalità, offrendo percorsi maggiormente fruibili e consolidati dal punto di vista dei contenuti, può essere utile adottare le pratiche costruite nel contesto della public history16. Si tratta di una disciplina storica solo recentemente rafforzatasi in Italia e pur non senza incomprensioni17, che studia la presenza, gli effetti, gli strumenti e i prodotti della e per la storia non solo nell'ambito scientifico e accademico, ma in particolare in quello civile, conferendole un valore pratico, come Serge Noiret ha più volte precisato, e come chiariva già nel 2007:

Questa disciplina ha preso forma ed ha conquistato una sua autonomia anche facendo breccia nei dipartimenti di storia delle maggiori università e nelle istituzioni culturali tradizionali della storia, come biblioteche, musei e archivi, pubblici e privati. […]
Il ruolo sociale della storia, la sua discesa nell'arena pubblica e l'uso pubblico della storia nel senso più comune in Italia […] questi diversi modi di interazione pubblica tra storia e consumatori di storia, non sono soltanto un nuovo modo di portare la storia "per strada", ma anche di interrogarsi su cosa la storia rappresenti nella società civile di un intero paese con i suoi "bisogni di storia"18.

Se sul ruolo dei bibliotecari all'interno di contesti relativi alla public history hanno insistito alcuni studiosi, tuttavia pochi, a cominciare da Cauvin nel suo manuale19, sono invece ancora assenti degli interventi scientifici strutturati sul rapporto tra la public history e le biblioteche. Nel ragionare di public history il minor riferimento ad esse, rispetto ad altre realtà istituzionali di tipo storico-culturale, si deve forse al loro debole ancoraggio al mondo della comunicazione giornalistica e mediatica (su cui eccellono i musei) e al fatto di non possedere un valore giuridico probatorio (come è il caso invece degli archivi). Tuttavia, invece, quello del rapporto public history-biblioteche è un tema importantissimo, perché per la public history il rapporto con il territorio è cruciale, e sul territorio le biblioteche hanno un ruolo fondamentale, e in particolare di tipo 'pratico' e 'civile' per usare definizioni care ai public historians20. Se ci si riflette, infatti, le biblioteche, ammesse la minor capacità di comunicare se stesse all'esterno e la pressoché inefficienza giuridica normativa e probatoria, rappresentano, però, come le scuole e le università, gli spazi/luoghi/contesti democratici privilegiati per attivare momenti e processi costruttivi di discussione, partecipazione, approfondimento e riflessione su discorsi storici e civico-educativi.
Si tratta, infatti, di una dimensione che le biblioteche italiane in realtà praticano da tempo, pur spesso nella inconsapevolezza della cornice entro la quale si stanno muovendo, e pertanto gli incontri organizzati a partire dal 2017 dalla associazione di public history nazionale si offrono loro come la giusta vetrina e come il luogo di stimolo e scambio con realtà simili21. La stessa comunità AIB ha aderito all'Associazione italiana di public history (AIPH) fin da quando essa è stata fondata, e ha coordinato con una mirabile capacità di azione molti interventi a carattere bibliotecario che sono stati presentati nelle conferenze dell'AIPH, e di cui si auspica una pubblicazione per poter fare un bilancio, basandolo, oltre che sulle istituzioni documentarie e sulle tematiche specifiche rappresentate, anche sugli effettivi contenuti e sul modo di intendere consapevolmente la public history, questione importante sulla quale questo saggio vuole essere un invito a riflettere. Si riportano intanto di seguito i panel a carattere bibliotecario-bibliografico, come esempi delle attività di public history che biblioteche di diversa tipologia possono realizzare22:

- "Prima conferenza italiana di public history" (Ravenna, 5-9 giugno 2017):
Panel AIPH45 Biblioteche e public history: dal patrimonio al progetto (coordinamento Chiara De Vecchis), interventi: Patrizia Angelone; Elena Carimati, Storia orale e memorie di comunità; Chiara Milani; Evelina Borgesi, Percorsi espositivi in biblioteca; Silvia Mirri; Simona Dall'Ara, Esperienze di "public history" presso la Biblioteca comunale e Archivio storico comunale di Imola;

- "Seconda conferenza italiana di public history" (Pisa, 11-15 giugno 2018):
Panel AIPH1 Biblioteche e public history: risorse e metodi (coordinamento di Fiammetta Sabba), interventi: Laura Ballestra, Dalla saggistica scientifica alla scrittura: imparare a documentarsi in biblioteca e non solo: le biblioteche pubbliche come collettori di fonti per la storia e la cultura locale; Francesca Ghersetti; Annantonia Martorano, Fondi personali e biblioteche speciali, quale ruolo per la public history?; Fabio Venuda, Le biblioteche e gli archivi scolastici per la public history;

- "Terza conferenza italiana di public history, InVito alla Storia" (Santa Maria Capua Vetere, 24-28 giugno 2019, Università Vanvitelli di Napoli):
Panel AIPH14 Percorsi tra le fonti della storia: il ruolo delle biblioteche tra oralità e risorse digitali, tra aggregazione e restituzione al pubblico (coordinamento di Chiara De Vecchis), interventi: Patrick Urru, Un progetto di raccolta di testimonianze orali nella Provincia di Bolzano; Monica Viero; Gabriele Paglia, "Nani sulle spalle di giganti": un laboratorio didattico per la ricerca bibliografica tra libri e web nelle raccolte storiche della Biblioteca del Museo Correr di Venezia; Luigi Catalani, Percorsi di alternanza scuola-lavoro in biblioteca, tra riuso digitale delle collezioni di storia locale ed uso consapevole delle piattaforme collaborative del sapere libero: l'esperienza della Biblioteca provinciale di Potenza;
Panel AIPH17 Public history e "MAB": le biblioteche in dialogo con archivi e musei tra comunicazione della storia e prospettive del digitale (coordinamento di Annantonia Martorano), interventi: Chiara De Vecchis, Il coordinamento MAB tra prospettive nazionali e locali: integrazione e valorizzazione del patrimonio culturale; Antonio Curcio, Public history e biblioteche d'autore: il caso della Biblioteca Gullo fra archivio, biblioteca e museo; Anna Cascone, Biblioteca Lasalliana: un progetto di public history che attraversa gli oceani;
Panel AIPH32 Memorie di comunità: biblioteche e storia del territorio in una prospettiva di public history (coordinamento di Fiammetta Sabba), interventi: Pietro Esposito, Milano e la storia urbana: alla scoperta di quartieri, borghi e territori con il progetto 'MilanoAttraverso' e il Servizio di storia locale del Sistema bibliotecario di Milano; Cristina Perini, Santa Marinella si racconta in biblioteca; Madel Crasta, Il libro, il popolo, il territorio: la Biblioteca di Faenza come specchio del contesto locale in una rilevazione sociologica;
Panel AIPH37 L'esperienza del viaggio come veicolo di storia sociale e culturale (coordinamento di Fiammetta Sabba), interventi: Annantonia Martorano, Raccontare il territorio attraverso un viaggio ritrovato; Fiammetta Sabba, Il viaggio e le biblioteche, una storia di continuo apprendimento sociale e culturale; Valentina Sonzini, Un'archeologa in viaggio: Graziella Conti: Genova-Baalbek andata e ritorno; Elisabetta Zonca, Il viaggio formativo attraverso le fotografie di architettura: il caso Corboz;

- "Quarta conferenza italiana di public history" (prevista a Venezia-Mestre, 29 maggio-2 giugno 2020; cancellata per causa della pandemia Covid-19 in Italia e nel mondo, e rimandata al 2021):
Panel AIPH107 Il racconto della Resistenza dai documenti alla rete: ricerca, digitalizzazione, disseminazione, open data (coordinamento di Marcello Andria), interventi: Alessandra Boccone; Concetta Damiani, Restituire la storia di Peppino Gracceva: il 'Maresciallo Rosso' torna a parlare ai giovani; Remo Rivelli, Il corpus documentario in linked open data di Giuseppe Gracceva; Gloria Guida, Emma Gervasio, la dattilografa napoletana attivista nella Resistenza;
Panel AIPH134 Storie negate: leggi razziali e censura in tre percorsi tra archivi e biblioteche, tra didattica e coinvolgimento del pubblico (coordinamento di Francesca Ghersetti), interventi: Roberta Moro; Luciana Gunetti, Indagine per una microstoria: l'università negata: vicende di docenti e studenti ebrei espulsi negli archivi del Politecnico di Milano; Vincenza Iossa (MIUR); Manuele Gianfrancesco, Vietato studiare, vietato insegnare: un repertorio sulle leggi razziali e un progetto di alternanza scuola lavoro a partire dalle collezioni della Biblioteca del MIUR; Milena Tancredi, Leggere per non dimenticare: letture pubbliche nelle biblioteche italiane nell'anniversario dei roghi di libri nella Germania del 1933;
Panel AIPH132 Raccontare la storia attraverso le biblioteche: digital humanities e storytelling in tre esperienze tra web e didattica (coordinamento di Chiara De Vecchis), interventi: Augusto Cherchi; Alessandra Panzanelli, "La biblioteca ritrovata": uno spaccato di vita culturale nell'Italia di fine Cinquecento, un progetto di digital humanities; Marina Carteny, Dalla biblioteca scolastica a youtube: alla (ri)scoperta dei tesori del Liceo Visconti di Roma: gli studenti raccontano antiche edizioni; Anna Cascone, La biblioteca racconta: dalla pedagogia alla storia della comunità: percorsi espositivi attraverso le fonti della biblioteca.

Come mostrano i progetti e le iniziative di ambito bibliotecario appena indicate, la varietà e la ricchezza – per dirla con Chiara Missikof, la 'polifonia'23 – dei contesti tematico, geografico, cronologico, e soprattutto istituzionale e sociale, che la public history riesce a comprendere tra i suoi oggetti e tra le sue attività, sono il sintomo di un nuovo paradigma scientifico che persegue la ricerca di uno scambio, di un dialogo e di una diffusione della conoscenza ad ogni livello24.
L'interdisciplinarietà diventa in questa prospettiva uno dei concetti chiave per aprirsi a nuove opportunità conoscitive, euristiche e scientifiche, dove garanti del dialogo sono proprio le scienze sociali, come è il caso della storia con la public history25. Un altro concetto, inoltre, da non trascurare è la tendenza all'informalità che la pratica storica acquisisce quando si fa 'pubblica' e 'partecipata' in 'spazi neutri' e 'accessibili' a gruppi di cittadini (e le biblioteche sono tra questi)26, come ha precisato anche l'archivista inglese Jon Newman:

There is an obvious and important intersection here with the domain of public history. Archives, libraries and museums, operating as they do outside of the traditional academic setting, are increasingly required to position themselves as conduits for more informal, communal, participative and owned practices, which includes forms of public historical practice. They are well positioned to provide neutral and accessible spaces for such engagement with local groups. At the same time there is an expectation that such activities can no longer simply be delivered by heritage professionals but that they require the endorsement and involvement of the people who are the subject of the historical activity, as well as the audience27.

Sono infatti le persone il vero patrimonio, nella loro capacità di immaginare, ricordare e condividere28; pertanto non si tratta della divulgazione della storia e del variegato patrimonio che essa ha generato con altri diversi mezzi, ma della attivazione di una storia civile, ossia di una storia delle memorie delle comunità per un processo di riscoperta e di consapevolezza delle storie locali (più che delle particolari identità)29, microcosmi spesso rimasti silenziosi e nascosti, eppure preziosi per conoscere globalmente il passato30. Va però tenuto ben presente che in queste nuove dimensioni collaborative passato e storia non possono essere più considerati sinonimi a nessun livello, e che le nuove pratiche rimandano invece all'importanza di tenere un dialogo multiplo tra politica e storia, memoria e storia, realtà locale e globale, esperienza istituzionale e personale, passato e presente. Le biblioteche si possono fare luoghi attivi di questa dialettica attraverso i servizi, le attività, i professionisti e i cittadini, partendo però innanzitutto dal patrimonio, tanto materiale che immateriale, che possiedono e a cui hanno accesso, patrimonio che è da decostruire, ridefinire e ridistribuire conciliando in nuove forme passato, presente e futuro. Studiare e valorizzare il patrimonio bibliotecario può divenire così un modo di educare il pubblico alla storia e alla cittadinanza.


NOTE

1 Carlo Ginzburg, Rapporti di forza: storia, retorica, prova. Milano: Feltrinelli, 2014, p. 49.
2 Cfr. Luca Dal Pozzolo, Il patrimonio culturale tra memoria e futuro. Milano: Editrice bibliografica, 2018, in particolare p. 11-24.
3 Zygmunt Bauman, Intervista sull'identità, 9a ed., a cura di Benedetto Vecchi, traduzione italiana di Fabio Galimberti. Roma; Bari: Laterza, 2009 (edizione originale Zygmunt Bauman, Identity: conversations with Benedetto Vecchi. Cambridge: Polity, 2004).
4 Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano. Torino: Einaudi, 2002, p. 120.
5 Alberto Petrucciani, La missione della biblioteca pubblica e l'integrazione dei servizi culturali. In: Fare sistema: il dialogo dei servizi culturali del territorio a trent'anni dalla nascita del Sistema bibliotecario Brescia Est, Rezzato (Bs), Villa Fenaroli Palace Hotel, 24 ottobre 2008, a cura di Luca Rivali. Milano: Edizioni CUSL, 2009, p. 101-108: p. 106.
6 Fiammetta Sabba, Ode alla metafisica della biblioteca: progetti di ricostruzioni librarie, «Biblioteca di via del Senato», 11 (2019), n. 10/109, p. 19-23.
7 Andrea Carandini, Intervista. In: De-tutela: idee a confronto per la salvaguardia del patrimonio culturale e paesaggistico, a cura di Lorenzo Carletti, Cristina Giometti. Pisa: Edizioni ETS, 2014, p. 75.
8 L. Dal Pozzolo, Il patrimonio culturale tra memoria e futuro cit., p. 166.
9 Cfr. quanto approfondito in: Fiammetta Sabba, Le biblioteche negli 'itinera erudita et bibliothecaria': riflessioni su grand tour e turismo. In: Le biblioteche anche come musei: dal Rinascimento ad oggi: atti del Colloquio internazionale, Roma, 16-17 novembre 2016, a cura di Silvana de Capua, coordinamento scientifico di Andrea De Pasquale. Roma: BNCR, 2018, p. 105-123: p. 115-116.
10 Consiglio d'Europa, Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore dell'eredità culturale per la società, (CETS n. 199), Faro, 27 ottobre 2005, art. 2 in particolare.
11 «Il bibliotecario deve conoscere pertanto non solo il sistema cognitivo individuale, ma anche la rete comunicativa che permea la società. A tale scopo Shera immagina l'utilizzo di una nuova disciplina, l'epistemologia sociale, capace di rendere disponibile un framework per l'investigazione dei processi intellettuali della società e l'analisi della produzione, distribuzione e utilizzazione dei relativi prodotti […] visione potentemente integratrice in cui la biblioteca svolge una funzione di salvaguardia e di arricchimento di un sistema sociale comunque accettabile e di cui deve garantire l'equilibrio […]», cfr. Claudio Leombroni, Sulla pubblicità della biblioteca pubblica. In: Pensare le biblioteche: studi e interventi offerti a Paolo Traniello, a cura di Angela Nuovo, Alberto Petrucciani, Graziano Ruffini. Roma: Sinnos, 2008, p. 253-285: p. 258.
12 In particolare cfr. Jesse Hauk Shera, Foundations of the public library: the origins of the public library movement in New England, 1629-1855. Chicago: The University of Chicago Press, 1952 (1st ed. 1949); Id., The foundations of education for librarianship. New York: Becker and Hayes, 1972; Id., Knowing books and men; knowing computers, too. Littleton: Libraries Unlimited, 1973; Id., Libraries and the organization of knowledge, edited and with an introduction by Douglas John Foskett. London: Crosby Lockwood, 1965.
13 Numerosi gli scritti di Paolo Traniello, quello cui Leombroni fa riferimento è: Paolo Traniello, Biblioteche e società. Bologna: Il Mulino, 2005
14 Cfr. C. Leombroni, Sulla pubblicità della biblioteca pubblica cit., p. 276-277: «La contemporaneità, infine, rappresenta forse il contenuto normativo più rappresentativo dell'idea di biblioteca pubblica. Ed è proprio quest'ultima caratteristica specifica dell'agire della biblioteca pubblica, ossia "del suo fare, del suo essere al mondo" e, direi, del suo essere nel mondo, l'ambito concettuale più appropriato […] quindi, "contemporaneità" non significa solo la capacità di soddisfare i bisogni informativi e conoscitivi coevi, ma soprattutto l'abilità di interpretare in modo dinamico il suo ruolo nella società attuale, di essere uno strumento irrinunciabile per la formazione dell'opinione pubblica in una società aperta e democratica».
15 Cfr. Fiammetta Sabba, Terza missione, comunicazione, e biblioteche accademiche, «Bibliothecae.it», 8 (2019), n. 2, p. 219-254, DOI: 10.6092/issn.2283-9364/10368.
16 La bibliografia sulla public history è ormai sterminata, ma per un rapido approccio possono considerarsi utili alcuni testi recenti: People and their pasts: public history today, edited by Paul Ashton, Hilda Kean. Basingstoke: Palgrave MacMillan, 2009; Thomas Cauvin, Public history: a textbook of practice. New York; London: Routledge, 2016; Public history: discussioni e pratiche, a cura di Paolo Bertella Farnetti, Lorenzo Bertucelli, Alfonso Botti. Milano; Udine: Mimesis, 2017; Public history: la storia contemporanea, a cura di Valentina Colombi, Giovanni Sanicola. Milano: Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2017; Maurizio Ridolfi, Verso la public history: fare e raccontare storie nel tempo presente. Ospedaletto (Pisa): Pacini, 2017; A companion to public history, edited by David Dean. Hoboken: John Wiley and Sons Ltd, 2018; Luigi Tomassini; Raffaella Biscioni, Antecedenti, origini e tratti caratterizzanti della 'public history' in Italia. In: Public history of education: riflessioni, testimonianze, esperienze, a cura di Gianfranco Bettin, Stefano Oliviero. Firenze: Firenze University Press, in corso di stampa, paginazione provvisoria p. 3-23 (ringrazio il prof. Tomassini per l'anticipazione). Come approfondimento si tenga conto della bibliografia Public history e biblioteche tra memoria, didattica e tendenze storiografiche: percorso bibliografico nelle collezioni del Polo bibliotecario parlamentare (1989-2019), ottobre 2019, https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/repository/relazioni/biblioteca/bibliografie/53_Public_History.pdf, raccolta a cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche della Biblioteca del Senato della Repubblica "Giovanni Spadolini" e inserita in Biblioteche e public history: tre percorsi di approfondimento, «MinervaWeb», 53 (2019), n.s., ottobre, https://www.senato.it/4800?newsletter_item=4501&newsletter_numero=301#5.
17 Serge Noiret, Introduzione. In: Public History: discussioni e pratiche cit., p. 9-33, e in particolare p. 14-15; e Ivi, i contributi di Lorenzo Bertucelli, La public history in Italia: metodologia, pratiche, obiettivi, p. 75-96 e di Alfonso Botti, La sfida della public history, p. 97-106.
18 Serge Noiret, "Public history" e "storia pubblica" nella rete. In: Media e storia, a cura di Francesco Mineccia, Luigi Tomassini, numero speciale di «Ricerche storiche», 39 (2009), n. 2-3, p. 275-327: p. 275 e 327; il contributo delinea la storia della public history, chiarendo innanzitutto cosa significhi fare 'public history' e quali siano gli strumenti e le professioni specifiche implicate.
19 T. Cauvin, Public history: a textbook of practice cit. Sui professionisti coinvolti nelle pratiche di public history si vedano anche: Angelo Torre, Public history e patrimoine: due casi di storia applicata, «Quaderni storici», 3 (2015), p. 629-659; Public history: discussioni e pratiche cit.
20 Per un sintetico ragionamento si veda: Jeff Manuel, Public history and public libraries: a natural affinity, 28 aprile 2015, https://ncph.org/history-at-work/public-history-and-public-libraries/.
21 In Italia è attiva fin dal 2017 una specifica associazione, l'AIPH (Associazione italiana di public history); si veda per approfondire al link: https://aiph.hypotheses.org/statuto, e cfr. L. Tomassini; R. Biscioni, Antecedenti, origini e tratti caratterizzanti della 'public history' in Italia cit.
22 Si veda inoltre sulla presenza dell'AIB negli incontri AIPH l'intervento di Chiara De Vecchis, La conferenza dell'AIPH, Associazione italiana di public history e la partecipazione dell'AIB, «AIB notizie», 20 luglio 2019, http://aibnotizie.aib.it/la-conferenza-dellaiph-associazione-italiana-di-public-history-e-la-partecipazione-dellaib/.
23 Chiara Missikof, La public history tra memoria e comunità. In: Public history: la storia contemporanea cit., p. 40.
24 F. Sabba, Terza missione, comunicazione, e biblioteche accademiche cit., in particolare p. 232.
25 Fiammetta Sabba; Lucia Sardo, I fondi personali e la terza missione: proposta per buone pratiche. In: Il privilegio della parola scritta: gestione, conservazione, e valorizzazione di carte e libri di persona: atti del convegno internazionale, Campus di Fisciano, 10-12 aprile 2019, a cura di Giovanni Di Domenico, Fiammetta Sabba. Roma: AIB, 2020, p. 426.
26 Anna Galluzzi, Biblioteche per la città: nuove prospettive di un servizio pubblico. Roma: Carocci, 2009, e Biblioteche pubbliche, welfare e democrazia: sulle tracce di un rapporto difficile. In: La biblioteca pubblica nelle politiche di welfare: nuovi criteri di valutazione dell'impatto sociale, a cura dell'Associazione Biblioteche oggi con il patrocinio della Fondazione Cariplo, allegato a: La biblioteca aperta: tecniche e strategie di condivisione, relazioni: convegno, Milano, 16-17 marzo 2017. Milano: Editrice bibliografica, 2017, p. 35-46; Giovanni Solimine, La biblioteca: scenari, culture, pratiche di servizio. Bari; Roma: Laterza, 2010.
27 Jon Newman, Harry Jacobs: the studio photographer and the visual archive. In: People and their pasts: public history today cit., p. 261.
28 L. Dal Pozzolo, Il patrimonio culturale tra memoria e futuro cit., in particolare p. 84.
29 Sulla contraddizione del termine 'identità' in riferimento all'azione delle biblioteche sui territori, e sulla sua inaccettabilità in quanto troppo statico per rappresentare un contesto che è in continua trasformazione, si legga Alberto Petrucciani a favore di concetti più dinamici e permeanti come quelli di «un patrimonio che viene dal passato, una eredità che lega le generazioni fra di loro, una forza che scorre attraverso trasmissioni, ossia tradizioni […], ossia un continuo "passaggio di testimoni", in cui si riceve da chi è venuto prima e si cerca di dare a chi viene dopo. Tutto il contrario, insomma, dell'identità, dell'unico, isolato, che resta uguale a se stesso»; cfr. A. Petrucciani, La missione della biblioteca pubblica e l'integrazione dei servizi culturali cit., p.107.
30 Cfr. Public history: la storia contemporanea cit., in particolare su questo punto: C. Missikof, La public history tra memoria e comunità cit., p. 41, e Serge Noiret, La public history, medicina necessaria nell'Unione europea oggi, p. 45-51.