Anna Bilotta
Il 29 e il 30 ottobre 2020 si è tenuto online il I Seminario hispano-italiano en biblioteconomía y documentación: estado actual y perspectivas de futuro organizzato congiuntamente dalla Facultad de ciencias de la documentación de la Universidad Complutense de Madrid e dal Departamento de biblioteconomía y documentación de la Universidad Carlos III de Madrid, in collaborazione con altre università spagnole e italiane1. Lidea delliniziativa era nata il 13 maggio 2019 in occasione del Salone internazionale del libro di Torino che aveva ospitato due importanti momenti di confronto tra professori e professionisti di Italia e Spagna: Biblioteconomia e culture del libro in Italia e Spagna: un progetto di collaborazione e Biblioteche pubbliche in Italia e Spagna: uno sguardo comparativo. Come si vedrà più avanti, il duplice obiettivo di queste iniziative torinesi era, da una parte, approfondire la conoscenza reciproca sulle linee di ricerca accademiche e sulle attività realizzate dalle biblioteche pubbliche e, al tempo stesso, inaugurare ufficialmente un confronto costante tra i due paesi, tanto è vero che proprio in quelloccasione veniva annunciata la realizzazione di un seminario, previsto per la primavera del 2020, per concretizzare auspici e promesse2.
È così che si è arrivati a concepire il ciclo di seminari di cui, lo scorso ottobre, si è celebrata la prima edizione; lobiettivo dei seminari è «la creazione di uno spazio comune tra Italia e Spagna per la riflessione su questa disciplina accademica e sulla sua evoluzione professionale» ed essi nascono con la volontà di «costruire uno stretto rapporto tra due tradizioni bibliotecarie che, su entrambe le sponde del Mediterraneo occidentale, sono riconosciute come simili»3. Il primo seminario, come precisato dal sottotitolo, ha quindi inteso offrire una panoramica generale e comparativa dello stato attuale e delle prospettive per il futuro delle scienze dellinformazione e della cultura del libro nei due paesi.
Prima di entrare nel merito del programma del seminario e delle numerose sollecitazioni che ha offerto, proviamo a inquadrare rapidamente il contesto bibliotecario di riferimento dei due paesi avvalendoci, in un primo momento, di dati strettamente numerici e quindi quantitativi. Un buon punto di partenza, autorevole e aggiornato, è rappresentato senzaltro da Public Libraries 2030, organizzazione no profit nata dal programma Public Libraries 2020 sostenuto dalla Fondazione Bill e Melinda Gates. Con lobiettivo di supportare le biblioteche europee per far sì che diventino agenti di cambiamento sociale ed economico, luoghi che diano ai cittadini gli strumenti per creare unEuropa democratica, socialmente impegnata e digitalmente inclusiva, lorganizzazione ha prodotto schede informative (factsheets) per ciascun Stato membro dellUnione europea con dati statistici sulle biblioteche pubbliche relativi al 2019, a cui sono stati affiancati lEuropean Commission Digital Economy and Society Index e altri dati su abilità e competenze dei cittadini europei4.
Italia e Spagna sono il terzo e il quarto paese dellUnione europea per popolazione (dopo Germania e Francia), rispettivamente con una popolazione stimata di 60,36 milioni e di 46,94 milioni di abitanti. Se, quindi, i due paesi non sono perfettamente sovrapponibili sul piano demografico va detto che presentano dati di diffusione delle biblioteche sul territorio molto simili: con un numero di biblioteche pubbliche pari a 6.042 per lItalia5 e a 4.600 per la Spagna, i due paesi offrono rispettivamente una biblioteca ogni 10.046 e ogni 10.196 abitanti.
Detto questo, però, le performance delle biblioteche pubbliche spagnole sembrerebbero essere migliori: infatti, se nel nostro paese si stima che 7,3 milioni di adulti usino le biblioteche pubbliche ogni anno (pari al 12,1% della popolazione)6, in Spagna ben 17,7 milioni di cittadini visitano le biblioteche annualmente, praticamente più di un terzo della popolazione (37,7%). Sappiamo anche, però, che nel nostro paese il 43% degli utenti delle biblioteche pubbliche (3,1 milioni di persone) partecipa ad attività formative organizzate dalle biblioteche, dato decisamente inferiore in termini percentuali per la Spagna ferma al 26% (4,6 milioni), ma che in termini assoluti comunque supera il dato italiano del 50%.
Si tratta di un dato, questultimo, ancor più interessante se incrociato con la percentuale di cittadini che partecipano, in generale, ad attività di apprendimento permanente non erogate esclusivamente dalle biblioteche. Per lItalia sappiamo che l8,1% della popolazione complessiva prende parte ad attività di lifelong learning (4,9 milioni di italiani) e che più di 3 milioni di persone partecipano alle attività di formazione promosse dalle biblioteche, il che ci induce cautamente a pensare che nel nostro paese oltre il 60% di coloro che usufruiscono di queste attività lo fa attraverso la biblioteca pubblica. Ancora più impattante il dato spagnolo: qui i frequentatori di attività formative in biblioteca sono pari a 4,6 milioni sul 10,5% della popolazione adulta che partecipa ad attività di lifelong learning e quindi su 4,9 milioni complessivi di beneficiari.
Nel nostro paese solo il 65% delle biblioteche pubbliche offre accesso a internet mentre in Spagna questa percentuale raggiunge l86%. A questo si aggiungono altri dati molto interessanti per il confronto che riguardano le competenze e le abitudini dei cittadini a prescindere dalluso delle biblioteche. Ad esempio, sappiamo che nel 2019 in Spagna la percentuale di cittadini che ha utilizzato internet in maniera regolare (regular internet user) è pari all83% e la percentuale di popolazione dotata di competenze digitali almeno di base (basic digital skill) è pari al 56%; per lItalia le percentuali sono rispettivamente del 72% di abitanti che fa un uso regolare di internet e del 58% di essi che ha competenze di base in materia7.
Se poi consideriamo le percentuali medie europee di popolazione adulta con basse literacy e numeracy skill (il cosiddetto saper leggere e far di conto) pari, nel 2019, rispettivamente al 20% e al 24% della popolazione europea, i nostri due paesi si collocano (insieme alla Francia) al di sopra della media europea di cittadini con scarse competenze: la Spagna rispettivamente con il 27% e il 31%, lItalia con il 28% e il 32% (la performance peggiore). Questi dati trovano un ulteriore riscontro nelle posizioni occupate dai paesi allinterno di un indice più complesso, lEuropean Commission Digital Economy and Society Index (DESI)8, composto da diversi indicatori sulle performance digitali e la competitività (in termini di connettività, competenze di base e avanzate nelluso di internet e dei suoi servizi, business ed e-commerce, servizi pubblici digitali). I dati riportati da Public Libraries 2030 fanno riferimento al DESI 2019 e vedono nelle prime tre posizioni Finlandia, Svezia e Olanda, seguite da Danimarca, Regno Unito, Lussemburgo, Irlanda, Estonia, Belgio e Malta nelle prime dieci posizioni; la Spagna si colloca allundicesimo posto, la Germania al dodicesimo, la Francia al quindicesimo; lItalia è in ventiquattresima posizione seguita soltanto da Polonia, Grecia, Romania e Bulgaria.
In estrema sintesi da questo rapido confronto emerge un contesto di riferimento tra i due paesi simile su molti aspetti, con risultati migliori per la Spagna su altri. Il confronto potrebbe senzaltro continuare prendendo in considerazione anche molti altri fattori contestuali. Tuttavia, come vedremo a breve, proprio il seminario ha offerto interessanti e numerosi spunti di riflessione ed elementi utili per una più densa comparazione tra i due paesi che muove da un quadro più strettamente legato alle realtà e alle pratiche bibliotecarie come quello appena tracciato, si concentra (e perciò si arricchisce) sulle consonanze e le divergenze delle rispettive culture accademiche e teorie biblioteconomiche delineate durante le sessioni del seminario, per tornare idealmente, nellultimo paragrafo, a una riflessione e a un confronto tra i contesti e le tradizioni bibliotecarie.
Il seminario italo-spagnolo ha visto alternarsi interventi in spagnolo e in italiano ed è stato scandito da cinque tavole rotonde (mesas), a loro volta organizzate in presentazioni (ponencias) e comunicazioni (comunicaciones), con spazi finali riservati al dibattito e alla discussione durante i quali sono emerse numerose consonanze ma anche divergenze tra Spagna e Italia.
I lavori sono stati inaugurati, nel pomeriggio del 29 ottobre, dai saluti di José Luis Gonzalo Sánchez-Molero (Universidad Complutense), Mercedes Caridad Sebastián (Universidad Carlos III), Maurizio Vivarelli (Università di Torino) e Andrea Capaccioni (Università di Perugia). Ha fatto seguito la prima tavola rotonda dedicata allorganizzazione degli studi in ambito biblioteconomico in Spagna e in Italia che ha visto le presentazioni a cura di Ernest Abadal (Universitat de Barcelona) e di Gonzalo Sánchez-Molero che hanno offerto, il primo, una ricca e generale panoramica sugli studi universitari spagnoli in biblioteconomia e documentazione9 e, il secondo, un approfondimento sullevoluzione storica di questi studi presso la Complutense. La presentazione successiva è stata curata da Mauro Guerrini (Università di Firenze) e Vittorio Ponzani (Sapienza Università di Roma) e ha passato in rassegna la situazione italiana in materia di insegnamenti di biblioteconomia. A seguire le comunicazioni di Antonio Hernández Pérez (Universidad Carlos III) che ha approfondito levoluzione degli studi di scienze dellinformazione e documentazione presso il suo ateneo con un focus sulle potenzialità delle nuove tecnologie, di José Antonio Merlo Vega (Universidad de Salamanca) sulla formazione e lofferta dellUniversidad de Salamanca e di Luca Rivali (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) che ha ampliato il discorso alle altre discipline del libro.
Come sappiamo, in linea con lo Spazio europeo dellistruzione superiore (European Higher Education Area), ufficializzato nel 2010, gli studi universitari prevedono tre cicli sia in Italia che in Spagna10. In generale, il titolo rilasciato al termine del primo ciclo corrisponde nel nostro paese alla laurea triennale e in Spagna al grado; i titoli universitari di secondo ciclo in Italia vengono definiti lauree specialistiche o magistrali e sono generalmente conseguiti al termine di corsi di durata biennale, corrispondenti ai másteres spagnoli; infine, il terzo ciclo è il dottorato di ricerca o doctorado. Nello specifico, per le discipline biblioteconomiche e documentali, in Spagna la situazione attuale vede unofferta di primo livello con la diplomatura in biblioteconomía y documentación presso 13 centri universitari (con 4.700 studenti iscritti), di secondo livello con la licenciatura in documentación presso 12 atenei (con circa 4.000 studenti), di grado in información y documentación presso 11 atenei (con 1.800 studenti) e, infine, di másteres presso 14 centri (con una media annuale di 850 studenti). In realtà, diplomatura e licenciatura (rispettivamente, di una durata compresa per la prima tra i 3 e i 4 anni, per la seconda tra i 4 e i 6 anni) corrispondono ai titoli universitari tradizionali spagnoli (un po quello che in Italia fino a qualche anno fa rappresentavano le lauree di vecchio ordinamento), titoli ormai in via di esaurimento e disattivazione con laffermarsi dello Spazio europeo dellistruzione superiore che ne ha visto, quindi, la sostituzione con il grado (di una durata compresa tra i 3 e i 4 anni) e con il máster (di 1 o 2 anni).
In Italia i tre cicli universitari corrispondono, nello specifico, ai corsi di laurea triennale in beni culturali (che nellanno accademico 2017/2018 erano 41 erogati da 38 atenei; nel 2019 gli iscritti a questi corsi erano 21.300), alla laurea magistrale in archivistica e biblioteconomia (nel 2008/2009 19 atenei erogavano questi corsi che si sono progressivamente ridotti; nellanno accademico 2018/2019 gli atenei erano 8, a cui nel 2020 si è aggiunta lUniversità di Torino11, e le matricole erano 396) e al dottorato di ricerca; a questi si aggiungono nel nostro paese altri titoli quali il diploma rilasciato dalla Scuola di specializzazione in beni archivistici e librari della Sapienza Università di Roma, i diplomi di perfezionamento professionale e i master universitari di primo e secondo livello (che sono cosa diversa dai másteres spagnoli e, in generale, dai masters degree europei corrispondenti, come si diceva, a vere e proprie lauree magistrali). In particolare, nel riportare questi dati, Ponzani ha osservato per lItalia una generale contrazione nellultimo decennio dellofferta di corsi di laurea specializzanti e anche della domanda in termini di iscritti; sono in linea con le altre lauree di ambito umanistico, invece, i dati relativi al mercato del lavoro: nel 2019 sappiamo che a 5 anni dalla laurea lavorava il 78,9% dei laureati, a 3 anni dal conseguimento del titolo lavorava il 68,4%, a un anno il 58,3%, anche se troppo spesso queste percentuali comprendono lavori precari.
La seconda tavola rotonda del pomeriggio è stata dedicata alle riviste scientifiche di settore e si è aperta con le presentazioni di Daniel Martínez Ávila (Universidad Carlos III) sulle riviste spagnole di documentazione e i criteri di valutazione della ricerca, di Giovanni Solimine (Sapienza Università di Roma) su cosa significa progettare e dirigere una rivista di biblioteconomia in Italia e di Alberto Salarelli (Università di Parma) che ha offerto una panoramica generale sulle riviste italiane di biblioteconomia. Hanno fatto seguito le comunicazioni di Juan Carlos Marcos Recio (Universidad Complutense) sul rapporto e le differenze tra le riviste di biblioteconomia e documentazione e le riviste di comunicazione, di Miguel Ángel Marzal García-Quismondo (Universidad Carlos III) che ha passato in rassegna i fattori che condizionano la valutazione delle riviste scientifiche in Spagna e le tendenze di ricerca del settore, e di Cristóbal Urbano (Universitat de Barcelona) che ha messo a confronto le modalità con le quali professionisti e ricercatori spagnoli e italiani fanno ricerca e pubblicano sulle riviste di scienze dellinformazione e di documentazione12.
Più volte nel corso della tavola rotonda è emersa quella che possiamo considerare forse una delle principali differenze tra Spagna e Italia relativamente al diverso inquadramento disciplinare della biblioteconomia e delle scienze dellinformazione. Nel nostro paese larea di riferimento è la 11 (Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche, psicologiche), il macrosettore è l11/A (Discipline storiche), il settore concorsuale è l11/A4 (Scienze del libro e del documento e scienze storico-religiose) e il settore scientifico-disciplinare è M-STO/08 (Archivistica, bibliografia e biblioteconomia)13. In Spagna larea di riferimento (rama del conocimiento) è D (Ciencias sociales y jurídicas), il campo di riferimento è D18 (Ciencias sociales) e il settore è 040 (Biblioteconomía y documentación)14. Se ci limitiamo, quindi, a guardare le scelte di ordinamento istituzionale notiamo da parte italiana un maggiore inquadramento nelle scienze storiche, da parte spagnola un inquadramento nelle scienze sociali. È certamente vero che la biblioteconomia italiana è legata a una solida tradizione storico-bibliografica e ad altre discipline di taglio storico quali la storia del libro, la bibliologia, la storia delleditoria (solo per citarne alcune), così come quella spagnola manifesta una certa predilezione per tutto ciò che riguarda la gestione dellinformazione, i sistemi informativi e la documentazione (tanto è vero che la parola documentación compare ripetutamente sia nella denominazione del settore disciplinare che in quella dei corsi di laurea a tutti i livelli). Detto questo, però, nella pratica tra i due paesi vi sono più analogie di quanto appaia dalle rigide classificazioni istituzionali dei saperi (la varietà e lestrazione dei relatori del seminario ne è testimonianza) ed è ben noto come la disciplina esprima, nel nostro paese, interessi di natura più ampia e articolata, non esclusivamente riconducibili alle scienze storiche, che strizzano locchio anche alla library and information science angloamericana e si manifestano nel rapporto ormai consolidato con le scienze sociali, il management, le digital humanities.
Per quanto riguarda i criteri impiegati nei due paesi per laccesso allinsegnamento universitario e per la valutazione della ricerca, in Italia lAgenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), tra le sue attività, si occupa anche della classificazione delle riviste con finalità scientifiche ai fini del calcolo degli indicatori per lAbilitazione scientifica nazionale (la procedura di valutazione che costituisce il titolo richiesto in Italia per la partecipazione ai concorsi universitari per la qualifica di professore di prima o seconda fascia) e dellaccreditamento dei corsi di dottorato di ricerca. La classificazione è effettuata dallANVUR esclusivamente per i settori che fanno parte delle scienze umane e sociali e identificati come non bibliometrici, inclusa larea 11, per i quali lagenzia predispone e aggiorna due elenchi: uno di riviste scientifiche e uno di riviste di classe A.
A differenza di quanto avviene per le discipline STM (science, technology and medicine, le cosiddette scienze dure), infatti, limpiego di indicatori bibliometrici basati sullanalisi quantitativa delle citazioni bibliografiche (come, ad esempio, lHirsch index, che misura limpatto per gli autori, o il JCR journal impact factor, che misura limpatto per la rivista)15, non sembra soddisfacente per misurare i risultati scientifici delle scienze sociali e umanistiche per diversi motivi, tra i quali linsufficiente copertura della letteratura scientifica in questi settori in banche dati internazionali, la maggiore incidenza di tipologie di pubblicazioni diverse dagli articoli in rivista (in particolare le monografie) e di lingue diverse dallinglese.
Tornando allItalia, per lANVUR costituiscono requisiti minimi necessari per il riconoscimento della scientificità e per lammissione in classe A delle riviste di area non bibliometrica lesistenza di un procedimento di revisione tra pari almeno a singolo cieco (single-blind peer review); la circostanza che siano sottoposti a revisione tutti i contributi pubblicati in ciascun fascicolo (a eccezione di schede bibliografiche, rassegne storiografiche, recensioni, interventi a forum e/o discussioni scientifiche, editoriali, introduzioni o postfazioni di natura informativa); la necessità di coinvolgere esperti esterni nel processo di revisione tra pari. Inoltre, ai fini dellinclusione negli elenchi è necessario che la rivista sia caratterizzata da regolarità, che sia verificata la corrispondenza tra la periodicità dichiarata e i numeri effettivamente pubblicati e che sia dotata di un codice etico.
Inoltre, ai fini dellinclusione di una rivista nellelenco delle riviste scientifiche, è necessario che direzione, comitato editoriale e comitato scientifico siano composti da studiosi affiliati a università ed enti o istituti di ricerca o da alti esperti provenienti da istituzioni di comprovata qualificazione e prestigio e che non più del 50% dei componenti degli organi stessi appartenga al medesimo ente (che scende al 30% nel caso delle riviste di classe A). Un altro indicatore riguarda la diffusione della rivista nella comunità scientifica di riferimento e la provenienza degli autori: lindicatore della specifica diffusione nella comunità degli studiosi di ciascun settore è costituito dalla numerosità degli autori appartenenti alla comunità scientifica e dalla pluralità delle istituzioni di loro provenienza, nonché dalleventuale presenza della rivista in una delle maggiori banche dati internazionali (Web of Science e Scopus); gli autori dei prodotti pubblicati su riviste scientifiche devono essere in misura apprezzabile studiosi strutturati presso università o enti e istituti di ricerca italiani e stranieri (per la classe A si richiede che la maggioranza degli autori sia strutturata e che si manifesti apertura e pluralismo in ragione della varietà dellorigine culturale e della matrice accademica degli autori).
Ai fini della scientificità, le riviste devono essere dotate di un sito o di una pagina web che renda possibile accedere alle informazioni relative agli indici (disponibili in accesso aperto), agli abstract, al codice etico, alla regolarità di pubblicazione, alla composizione degli organi, alle procedure di revisione e agli obiettivi e ambiti scientifici della rivista stessa; ai fini della classificazione in classe A, le riviste devono inoltre possedere almeno una delle seguenti caratteristiche: essere presenti in almeno una tra le maggiori banche dati internazionali coerenti con i caratteri del settore scientifico; rendere accessibili i propri contenuti sul proprio sito o pagina web con almeno gli indici e gli abstract (anche in lingua inglese) dei singoli articoli disponibili in accesso aperto; garantire laccessibilità dei contenuti in accesso aperto almeno entro diciotto mesi dalla pubblicazione di ciascun numero.
È necessario, poi, che siano riscontrabili un taglio critico e una sufficiente informazione bibliografica in un numero di lavori proporzionato rispetto agli altri prodotti pubblicati in ciascun fascicolo; ai fini della classe A, è necessario che una larga maggioranza dei prodotti considerati scientifici si segnali per loriginalità, lampiezza della trattazione, la correttezza metodologica e dellanalisi critica, oltre che per la ricchezza delle fonti e dellinformazione bibliografica. Per le sole riviste di classe A, ai fini della valutazione circa la diffusione internazionale, deve essere accertata la sussistenza di almeno uno tra i seguenti indicatori: indicizzazione in Web of Science e/o Scopus e/o loro presenza in altre importanti banche dati internazionali; la presenza continua e significativa di contributi di autori stranieri o operanti stabilmente allestero; la presenza continua e significativa di contributi in lingue rilevanti per il dibattito scientifico. Sono infine considerati sufficienti, qualora siano tutti concorrenti, i seguenti indicatori secondari: la presenza di un comitato editoriale e scientifico di rilevanza internazionale ovvero di studiosi stranieri di rilevanza internazionale nella direzione; la presenza di abstract in una delle principali lingue veicolari del dibattito scientifico16.
Attualmente lANVUR annovera nei suoi elenchi 12 riviste scientifiche di ambito biblioteconomico di cui sette di classe A: AIB studi, AIDA informazioni, Biblioteche oggi trends, Bibliothecae.it, JLIS.it, La Bibliofilía, Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari17; le altre cinque sono Accademie e biblioteche dItalia, Biblioteche oggi, Bollettino dinformazione ABEI, Culture del testo e del documento e Digitalia.
Equivalente spagnola dellANVUR è lANECA (Agencia nacional de evaluación de la calidad y acreditación). Lagenzia individua criteri diversi a seconda dellarea di riferimento per la valutazione delle riviste scientifiche e per laccreditamento dei docenti universitari. Per le ciencias sociales y jurídicas riconosce maggiore importanza alle riviste indicizzate in Journal Citation Reports e nella banca dati DICE (Difusión y calidad editorial de las revistas españolas de humanidades y ciencias sociales y jurídicas) quindi dotate di un índice de calidad relativo (publicaciones científicas indexadas en revistas con ICR)18, ma possono essere presi in considerazione anche articoli pubblicati su riviste non indicizzate (publicaciones científicas no indexadas o sin ICR), tenendo conto del riconoscimento scientifico della rivista nel suo ambito, del rigore e dellobiettività nel processo di selezione degli articoli e di una serie di requisiti specifici quali la valutazione esterna tra pari, lesistenza di un comitato scientifico internazionale, la percentuale di articoli di autori non legati alleditore, il contenuto originale dellarticolo, la presenza in banche dati maggiormente legate alla specializzazione, la pubblicazione di articoli in più lingue.
In base allindice di impatto le riviste di ciascuna categoria tematica vengono classificate in quartili: al 1° quartile appartiene il gruppo composto dal primo 25% delle riviste (quindi quelle che occupano la posizione più alta), nel 2° quartile rientra il gruppo che occupa dal 25% al 50% delle riviste, nel 3° quartile il gruppo che si colloca tra il 50% e il 75% e, infine, nel 4° quartile il gruppo che si trova tra il 75% e il 100% delle riviste. Per le ciencias sociales si individuano anche in Spagna riviste di primo e di secondo livello distinte, però, ai fini del conseguimento del ruolo di profesor titular de universidad e di profesor catedrático de universidad (paragonabili, rispettivamente, ai nostri docenti di seconda e prima fascia)19.
Nel caso del ruolo di profesor titular de universidad le riviste di primo livello si collocano nel 1°, 2° e 3° quartile del JCR e nel 1° e 2° quartile di Scopus SJR; quelle di secondo livello si collocano nel 4° quartile del JCR, nel 3° quartile di Scopus SJR, nel 1° e 2° quartile di Dialnet Métricas (frutto di un progetto nato su iniziativa dellUniversidad Complutense), e nel 1°, 2° e 3° quartile della FECYT (Fundación española para la ciencia y la tecnología che dipende dal Ministerio de ciencia, innovación y universidades). Per il 2019 tra le riviste spagnole di settore troviamo per il primo livello El profesional de la información (3° quartile di JCR e 2° quartile di SJR) e Revista española de documentación científica (3° quartile di JCR e 2° quartile di SJR), per il secondo livello troviamo Revista general de información y documentación, Scire e Ibersid (tutte e tre nel 3° quartile di SJR), Hypertext.net, Anales de documentación e Anuario ThinkEPI (1° quartile di Dialnet), Cuadernos de documentación multimedia, BiD: textos universitaris de biblioteconomia i documentació e MEI: Métodos de información (2° quartile di Dialnet).
Per il ruolo di profesor catedrático de universidad le riviste di primo livello si collocano nel 1° e 2° quartile del JCR e nel 1° quartile di Scopus SJR, le riviste di secondo livello si collocano nel 3° e 4° quartile del JCR, nel 2° e 3° quartile di Scopus SJR, nel 1° quartile di Dialnet Métricas e nel 1° e 2° quartile di FECYT. Per il 2019 non troviamo riviste spagnole di settore nel primo livello; nel secondo livello troviamo le riviste El profesional de la información, Revista española de documentación científica, Revista general de información y documentación, Scire, Ibersid, Hypertext.net, Anales de documentación e Anuario ThinkEPI.
Sempre per le scienze sociali e giuridiche, per quanto riguarda monografie e capitoli di libri, questi devono essere pubblicati da editori che si classificano ai primi posti nel ranking del Scholarly Publishers Indicators (progetto spagnolo nato proprio per identificare indicatori della qualità di libri ed editori nel campo delle scienze umane e sociali), nonché da editori che ottengono il marchio di Calidad en edición académica (promosso dallUnione degli editori universitari spagnoli e approvato dallANECA per individuare le buone pratiche nelleditoria accademica spagnola).
In sintesi, quindi, i criteri di valutazione delle riviste scientifiche e della ricerca sono piuttosto diversi tra i due paesi; a differenza dellItalia, infatti, in Spagna ai fini della valutazione delle scienze sociali (incluse, quindi, biblioteconomia e documentazione) sono presi in considerazione molteplici parametri di tipo bibliometrico e quantitativo quali, appunto, il ranking delle riviste scientifiche, il numero di citazioni e limpact factor.
La giornata del 30 ottobre si è aperta con la terza tavola rotonda relativa al mercato editoriale che ha visto due presentazioni sulleditoria accademica e commerciale in materia di biblioteconomia e documentazione rispettivamente in Spagna, a cura di María Olivera Zaldua (Universidad Complutense) e Fátima García (Universidad Carlos III), e in Italia, a cura di Andrea Capaccioni e Paola Castellucci (Sapienza Università di Roma). Hanno fatto seguito le comunicazioni di quattro autorevoli rappresentanti del mondo editoriale del settore, due per la Spagna e due per lItalia: Juan Miguel Sánchez Vigil per Ediciones Complutense, Álvaro Díaz Huici per Ediciones Trea, Massimo Belotti per Editrice bibliografica e Nicola Cavalli per Ledizioni.
Per quanto riguarda la Spagna sappiamo che per il 2018 i migliori editori spagnoli per il settore biblioteconomía y documentación, secondo i già citati Scholarly Publishers Indicators, sono 25 e che i primi in classifica sono Ediciones Trea, Pirámide, Editorial Síntesis, Tecnos e Fundación Germán Sánchez Ruipérez a pari merito al quarto posto, Alianza,Universidad de Salamanca al sesto posto, Editorial UOC de la Universitat Oberta de Catalunya allottavo, Universidad de Zaragoza al nono, Universidad Complutense de Madrid al dodicesimo, Universidad de Granadaal quattordicesimo posto20. Tra gli editori universitari alcuni hanno ottenuto il citato marchio di Calidad en edición académica per le loro collezioni di ambito umanistico; ad esempio, lUniversidad de Salamanca per le collane Estudios filológicos, Estudios históricos y geográficos, Obras de referencia, Textos recuperados; lUniversidad de Zaragoza per le collane Ciencias sociales e Humanidades; lUniversidad de Granada per la Colección historia21.
In Italia, nel periodo 2015-2019, leditore che occupa quasi un quarto del mercato per numero di pubblicazioni è lEditrice bibliografica (24,1%), seguita dallAssociazione italiana biblioteche (10,8%), dagli editori commerciali Carocci e Olschki (entrambi con il 6,8%), dalla Firenze University Press (con il 4,9%), mentre Ledizioni raggiunge il 2,4% delle pubblicazioni.
In generale si osserva, sia per la Spagna che per lItalia, come il numero di editori commerciali e accademici a occuparsi di biblioteconomia sia nel complesso piuttosto esiguo, così come esigua è la fetta di lettori e studiosi interessati che rappresenta una piccola nicchia di mercato costituita prevalentemente da professionisti, accademici e studenti dei corsi universitari del settore.
La quarta tavola rotonda, che ha occupato la tarda mattinata del secondo giorno, ha visto come protagoniste le società scientifiche e le associazioni professionali del settore con una presentazione a cura di Antonio Carpallo Bautista (Universidad Complutense) e Sara Martínez Cardama (Universidad Carlos III) dedicata alle associazioni di settore in Spagna, seguita dallintervento di Rosa Marisa Borraccini (Società italiana di scienze bibliografiche e biblioteconomiche) e Giovanni Di Domenico (Università di Salerno) che hanno tracciato la genesi, levoluzione e le prospettive della società scientifica di riferimento per il settore in Italia (di cui i relatori sono rispettivamente presidente e vicepresidente). A seguire, le comunicazioni sono state tenute da Maria Teresa Biagetti (Sapienza Università di Roma) che ha parlato dellInternational Society for Knowledge Organization (ISKO) dalla sua fondazione a oggi, da Loretta De Franceschi (Università di Urbino) sulla Society for the History of Authorship, Reading and Publishing (SHARP), rete che unisce storici del libro afferenti a unampia gamma di discipline accademiche in tutto il mondo, da Yolanda Clemente San Román (Asociación española de bibliografía) sul ruolo dellassociazione spagnola di bibliografia e, infine, da Yolanda de La Iglesia Sánchez (Sociedad española de documentación e información científica) sul ruolo e le prospettive future della più grande associazione professionale spagnola nel settore delle biblioteche, degli archivi e dellinformation management.
Il tema delle società scientifiche e delle associazioni professionali non poteva essere trascurato nel confronto tra Spagna e Italia perché, ha osservato Di Domenico, esse riflettono il livello di consapevolezza che una disciplina o un insieme di saperi disciplinari acquisiscono a un certo punto del loro sviluppo e riflettono il loro costituirsi in domini non solo scientifici ma anche professionali: «lo studio, la ricerca, linsegnamento universitario, sono sicuramente espressione di vocazioni, di passioni, ma sono anche lavoro e quindi professione; in quanto tali, tutte le professioni richiedono rappresentanza, hanno bisogno di unidentità, di una casa comune, nella quale riconoscersi e ritrovarsi». Il consistente numero di associazioni professionali in Spagna e la loro capillare diffusione sul territorio riflette un modello organizzativo molto diverso da quello italiano in cui le associazioni hanno vocazione nazionale ma con una struttura interna di tipo regionale o locale. Laspetto in comune tra i due paesi riguarda, invece, larticolazione per professioni perché sia in Italia che in Spagna ci sono associazioni dedicate di bibliotecari, archivisti e documentalisti, ciascuna operante in autonomia anche se spesso in collaborazione con le altre.
La quinta e ultima tavola rotonda, dedicata a biblioteche, archivi e centri di documentazione, si è svolta nel pomeriggio del 30 ottobre. La prima presentazione è stata curata da Maurizio Vivarelli che ha approfondito convergenze e divergenze tra culture documentarie e professione e tra le diverse istituzioni; a seguire Margarita Pérez Pulido (Universidad de Extremadura) ha analizzato lo stato della biblioteconomia contemporanea intesa come biblioteconomia sociale. Hanno fatto seguito gli interventi di Benito Rial Costas (Universidad Complutense) sul ruolo di archivi e biblioteche rispetto alla conservazione e alla ricostruzione del passato e di Ana María Morales (Universidad Carlos III) sui profili professionali nellambito dellinformazione e della documentazione nel mercato del lavoro spagnolo. Lultima presentazione è stata curata da Chiara Faggiolani (Sapienza Università di Roma) che ha approfondito limportanza ma anche la pericolosità della polisemia dellaggettivo sociale applicato alle biblioteche e alla biblioteconomia. Il seminario si è concluso con le comunicazioni di Aurora González-Teruel (Universitat de València) sul ruolo della biblioteca nello spazio cittadino e di Sara Dinotola (Biblioteca civica di Bolzano) sulle strategie messe in atto dalle biblioteche durante lemergenza da Covid-19.
In particolare, Vivarelli ha evidenziato le relazioni aperte e dialogiche ma non per questo meno complesse e problematiche tra teoria e pratica e quindi tra le culture documentarie a livello accademico e le pratiche professionali che si esplicano nei luoghi dedicati alla gestione dellinformazione. Nel presentare il nuovo corso di laurea magistrale in Scienze del libro, del documento, del patrimonio culturale dellUniversità di Torino, Vivarelli ha sottolineato proprio limportanza dellinterdisciplinarietà e della necessità, oggi, di formare figure professionali ed esperti dotati delle giuste competenze teoriche, metodologiche, tecnologiche e pratiche per interpretare, organizzare e gestire ambienti complessi quali le istituzioni documentarie complessivamente intese, con unapertura alla cultura e alla promozione del libro e della lettura. A questo proposito Vivarelli ha paragonato anche il mercato del lavoro tra Italia e Spagna che, rispetto alla media europea degli operatori impiegati nel settore pari al 3,8% del totale dei lavoratori dipendenti (8,7 milioni di persone), si collocano leggermente al di sotto entrambe con il 3,6% (in Italia le persone impiegate sono 600.000). In particolare, relativamente al mercato del lavoro spagnolo per i professionisti dellinformazione, anche Ana María Morales ha riportato alcuni dati dai quali si evince un profondo calo, a partire dal 2008, nel numero di occupati, con una grande prevalenza di contratti a tempo non indeterminato (pari al 93% del totale) e di impieghi offerti nel settore privato (87%).
Pérez Pulido e Faggiolani hanno ragionato sullaggettivo sociale applicato alla biblioteconomia e alla biblioteca. La prima ha individuato i principi fondamentali della biblioteconomia sociale quali il coinvolgimento e la partecipazione delle comunità, lo spazio fisico e digitale al servizio dei cittadini, lapprendimento permanente come punto forte, le tecnologie accessibili per tutti, la gestione etica della biblioteca e la responsabilità sociale. La teoria della biblioteconomia sociale, ormai ampiamente sviluppata sia in Spagna che in Italia, si traduce, concretamente, nelle pratiche sociali e partecipative della biblioteca come, ad esempio, laboratori e makerspace, consultazioni cittadine, analisi di comunità e studi di impatto, sviluppo di collezioni e servizi digitali, collaborazioni tra pubblico e privato, progetti di inclusione delle categorie più svantaggiate. Faggiolani ha evidenziato come il concetto di biblioteca sociale sia strettamente legato, come anticipato da Pérez Pulido, alla comunicazione, allaggregazione, allincontro e alle conversazioni; quando lo stesso aggettivo si lega alla biblioteconomia come disciplina si evidenzia la necessità di restituire il ruolo della biblioteca come infrastruttura culturale a servizio della società, infrastruttura di cui diventa fondamentale misurare limpatto, il ruolo, il valore per la crescita e la qualità della vita delle persone. Se, come ribadito più volte nel corso delle sessioni del seminario, in generale il rapporto tra mondo accademico e mondo della professione è tipico della biblioteconomia22, il pericolo, invece, è che rispetto allaggettivo sociale si stia andando in due direzioni diverse, contrapponendo la biblioteca sociale alla biblioteca tradizionale, le comunità alle collezioni, la specificità di un servizio pubblico culturale a un più generale servizio sociale. Di conseguenza, il rischio per la biblioteconomia come disciplina è lallontanamento dalla professione, la mancanza di fiducia da parte degli operatori e la riduzione della capacità di incidere sulle pratiche professionali. Lavvento della biblioteconomia sociale in Spagna e in Italia coincide anche, ha osservato González-Teruel, con il passaggio nelle indagini relative al comportamento informazionale da un paradigma orientato ai sistemi informativi e agli strumenti di ricerca a un paradigma orientato agli utenti, in cui gli utenti diventano partner della biblioteca di cui contribuiscono a disegnare i servizi e che partecipano attivamente a processi di innovazione e co-creazione.
Nel lontano 1933, nella premessa al suo La biblioteca popolare moderna, Ettore Fabietti osservava come luso chiamasse «popolare, in tutti i paesi latini, la biblioteca pubblica non riservata agli studiosi», sottolineando la limitatezza della definizione, quasi a riservarne la frequentazione «ai soli ceti che esercitano attività di ordine manuale» e distinguendo, così, questo modello latino da un modello anglosassone di biblioteca per tutti «dove il servizio della pubblica lettura ha raggiunto uno sviluppo e una perfezione di mezzi a noi ignoti», una biblioteca moderna che ha il compito di far circolare i libri e farli leggere al maggior numero possibile di persone di ogni ceto e di ogni età e che egli auspicava potesse diffondersi anche nel nostro paese come «lo strumento più potente e più idoneo anche più della stessa scuola pubblica di progresso civile ed economico»23.
Quando parliamo di paesi latini ci riferiamo, naturalmente, ai paesi dellEuropa meridionale come la Francia, lItalia e la Spagna. Spesso le culture biblioteconomiche di questi paesi e, più in generale, le loro politiche culturali sono definite in contrapposizione al mondo anglosassone: una tradizione più conservativa e legata al patrimonio quella latina, una tradizione principalmente di servizio e di informazione quella anglosassone e nordeuropea.
Più di recente, la studiosa francese Émilie Bettega si è interrogata sullesistenza di un vero e proprio modello latino di biblioteca pubblica, intesa come istituzione culturale fortemente distinta dal modello anglosassone, e, per darsi una risposta, ha messo a confronto lo sviluppo storico delle biblioteche pubbliche in Francia, Italia e Spagna24. Una prima e forte consonanza tra i tre paesi la studiosa la ritrova nella genesi stessa delle biblioteche: tutti e tre, infatti, hanno vissuto, tra la fine del Settecento e tutto lOttocento (anche se con modalità, tempi ed esiti diversi), la confisca e la ridistribuzione dei beni librari appartenenti alla Chiesa cattolica. La vicenda dellespropriazione dei beni librari ecclesiastici si verificò dapprima in Francia durante la Rivoluzione francese; in Spagna fu durante le guerre carliste e quindi a partire dagli anni Trenta dellOttocento che sullonda di una forte spinta anticlericale furono chiusi i maggiori conventi e monasteri e la Chiesa fu pesantemente colpita dalle leggi di esproprio e confisca dei beni; in Italia le confische iniziarono allindomani dellUnità, dopo che il paese aveva già ereditato dagli Stati preunitari raccolte dalla straordinaria ricchezza storico-documentaria. In Francia e in Italia i beni librari così confiscati diedero vita alle prime biblioteche locali, con un significativo sforzo progettuale, almeno sul piano teorico, nel contesto francese ma con esiti analoghi in termini di inadeguatezza delle biblioteche così formatesi; in Spagna, invece, osserva Bettega, nonostante gli auspici la confisca dei beni del clero non corrispose alla nascita di vere e proprie biblioteche a uso pubblico.
Italia e Francia condividono, quindi, una forte cultura del patrimonio che, nella genesi delle loro biblioteche pubbliche, ha visto configurare queste ultime come istituzioni culturali, riflesso di momenti fondanti nella storia dei due paesi (la Rivoluzione francese e lUnità dItalia, per lappunto) a differenza della Spagna in cui la confisca non ha coinciso con un periodo altrettanto storicamente significativo. In Spagna è così mancata quella che Bettega definisce pesanteur patrimoniale, cioè il peso, la gravità e quindi la responsabilità del patrimonio storico nazionale e della memoria del paese. Questa concezione di biblioteca fortemente legata al patrimonio resterà radicata nella cultura italiana (e in quella francese) che, come ha osservato Paolo Traniello, «vede nella biblioteca stessa, come istituto, e nelle sue raccolte, una eredità, vale a dire una sorta di patrimonio, valutabile anche sul piano economico come una grande ricchezza, ma soprattutto da tutelare e salvaguardare per il suo valore di testimonianza e memoria della vita culturale della nazione»25.
Unaltra differenza sottolineata da Bettega è la più forte tradizione spagnola, nata proprio allindomani delle confische, di uno stretto legame tra biblioteca e scuola giacché molte di queste raccolte furono collocate proprio negli istituti di istruzione superiore. La politica culturale nella quale si inserirono e si inseriscono le biblioteche spagnole è, quindi, secondo la studiosa, parte di un più ampio progetto educativo nazionale. A queste riflessioni vanno, poi, associate più di recente le politiche culturali intraprese dal regime fascista in Italia e da quello franchista in Spagna in termini di controllo e propaganda e, ancora più di recente, le politiche di decentramento che hanno investito anche le biblioteche in tutti e tre i paesi (meno in Francia in cui il ruolo dello Stato resta molto forte) e, quindi, le responsabilità (anche legislative) attribuite alle amministrazioni locali: regioni in primis ma anche province e comuni per lItalia, régions, départements, municipalités per la Francia, comunidades autónomas, provincias e municipios per la Spagna.
In sintesi, la studiosa osserva molte più convergenze tra Italia e Spagna che tra questi paesi e la Francia; il decentramento e la maggiore apertura al territorio avrebbero, infatti, secondo Bettega, affrancato negli ultimi anni le biblioteche italiane dal ruolo patrimoniale e le avrebbero avvicinate, allo stesso modo che in Spagna, a un modello anglosassone di biblioteca dellutente radicata nella comunità, a un servizio dinformazione in cui la dimensione di istituzione culturale (al servizio soprattutto di determinate categorie di utenti, i cosiddetti savants), così ancora invece fortemente radicata in Francia, resta sullo sfondo. Bettega termina la sua riflessione sostenendo che, se un modello latino esiste, esso è più caratterizzato dalla divergenza che dalla convergenza.
Ma, del resto, per poter cogliere davvero e in profondità divergenze e convergenze è necessario un confronto costante. Nellintrodurre le ragioni del seminario italo-spagnolo si è già detto come uno degli obiettivi principali sia proprio quello di costruire e mantenere un confronto e un dialogo tra i due paesi. Già nei due incontri torinesi del maggio 2019 che ne hanno preannunciato la genesi i relatori si erano soffermati più volte su questa necessità. In particolare, il primo incontro, coordinato da Andrea Capaccioni e non a caso intitolato Biblioteconomia e culture del libro in Italia e Spagna: un progetto di collaborazione, ha rappresentato un importante momento di scambio per le comunità universitarie dei due paesi. Questo ha visto un intervento di Ernest Abadal che presentava unanalisi delle ricerche pubblicate su alcune riviste spagnole di settore (indicizzate in Web of Science e Scopus) con lobiettivo di restituire una panoramica delle tematiche più affrontate, dei metodi e delle tecniche utilizzati. Anche in questo contesto Abadal individuava linternazionalizzazione come una delle problematiche più attuali per la ricerca biblioteconomica spagnola e ribadiva limportanza del confronto e del dialogo concreto per approfondire la ricerca del settore.
Anche Mauro Guerrini, nel soffermarsi sul problema della definizione e della delimitazione disciplinare della biblioteconomia, ribadiva in quelloccasione il problema dellinternazionalizzazione per troppo tempo intesa, nel nostro paese, esclusivamente come contatto con la biblioteconomia angloamericana, e concludeva con lauspicio di poter valorizzare una specificità mediterranea della disciplina.
Seguiva lintervento di Giovanni Solimine che, nel ricordare come la frequentazione tra i due paesi sia iniziata ormai ventanni fa26, osservava differenze culturali importanti. Se in Italia, infatti, il dibattito si concentra perlopiù sugli utenti e sul posizionamento delle biblioteche nella società, con una riflessione teorica forse più astratta rispetto a ciò che accade in Spagna, nel nostro paese vi è comunque una forte applicabilità degli studi nella pratica, probabilmente legata al fatto che spesso i docenti universitari vengono da precedenti esperienze professionali come bibliotecari. Il contesto spagnolo, continuava Solimine, sembra invece concentrarsi di più sul mondo dellinformazione e della documentazione (disciplina meno praticata nel nostro paese) e lapproccio alla ricerca sembra essere più sistematico e organizzato. Detto questo, concludeva anche lui auspicando una collaborazione più concreta che parta necessariamente da una maggiore e più profonda conoscenza reciproca.
Benito Rial Costas auspicava una collaborazione in grado di andare oltre i confini delle discipline che si interessano al libro esclusivamente come testo e manufatto e che guardi al libro come un sistema; infine, José Luis Gonzalo Sánchez-Molero definiva lincontro tra i due paesi estremamente necessario, da intendersi come unalleanza non solo tra docenti e ricercatori ma anche con studenti e professionisti del settore, ribadendo limportanza di una collaborazione non soltanto italo-spagnola ma latina, mediterranea.
E lauspicio dellaffermarsi di una biblioteconomia mediterranea ha idealmente aperto e chiuso anche il seminario italo-spagnolo, proprio con i saluti di Gonzalo Sánchez-Molero e Vivarelli. Di fronte a unancora troppo scarsa collaborazione allinterno della disciplina tra paesi diversi e con altre discipline (testimoniata, dati alla mano, da Cristóbal Urbano che ha riflettuto sulla poca cooperazione nelle pubblicazioni e nel modo di fare ricerca tra accademici e professionisti, a livello internazionale e interdisciplinare), bisognerebbe partire, ha osservato Vivarelli, dalle radici culturali comuni (mediterranee, o meglio europee, se non occidentali). Il seminario ha rappresentato un primo momento di condivisione, collaborazione e scambio che Vivarelli spera possa aiutare a definire «il profilo di una biblioteconomia mediterranea che sappia confrontarsi con la dimensione globale della disciplina in unottica che non è di natura localistica o peggio ancora sovranista ma che sappia interpretare criticamente e magari anche creativamente le grandi trasformazioni che stanno avendo luogo nella nostra disciplina e nella realtà nel suo insieme».
Complessivamente, nonostante le divergenze emerse anche nelle presentazioni e nelle comunicazioni del seminario, le consonanze ci sono e non sembra azzardato provare a ricondurle non tanto a un modello quanto a un sentire comune, a una comunione di intenti, che ci spinge ad accogliere con favore lidea di una biblioteconomia mediterranea intesa come una guida, uno stimolo a dare continuità al dibattito inaugurato con questo primo seminario. Uno stimolo che parta proprio da quelle somiglianze e da quelle differenze che in queste pagine ci si è sforzati di far emergere e che riguardano sia la pratica della biblioteca e della professione bibliotecaria nei due paesi che la teoria biblioteconomica e la riflessione accademica e che quindi si possono misurare, come si è provato a fare, sia su un piano puramente quantitativo che, ancor di più, su un piano qualitativo e interpretativo. Unoccasione da cogliere per creare, con le parole di Gonzalo Sánchez-Molero, «uno spazio di comunicazione, di interscambio e soprattutto uno spazio di futuro» in grado di consolidarsi in un campo di interessi che forse sarebbe augurabile allargare e arricchire con il coinvolgimento anche di altri paesi che sul Mediterraneo si affacciano, tra tutti la Francia. Al di là delle etichette o delle categorie concettuali (che forse è troppo prematuro poter definire), lauspicio è che le ragioni e gli intenti che hanno spinto alla realizzazione di questo primo momento di incontro e di riflessione possano durare e rafforzarsi nel tempo.
Ultima consultazione dei siti web: 29 novembre 2020.