Una nuova antologia per una nuova scuola: progetti culturali e strategie editoriali da Carducci a Calvino

di Tommaso Munari

Protagonista indiscussa della scuola, grande dimenticata dalle biblioteche, sfida ricorrente per le case editrici, l'antologia d'italiano rappresenta da sempre una questione centrale nei molteplici mondi del libro. Sebbene i programmi scolastici non ne abbiano mai raccomandato esplicitamente l'impiego, essa si affermò come strumento sussidiario al lavoro dell'insegnante sin dai tempi delle Crestomazie leopardiane 1, riuscendo a superare indenne perfino le forche caudine della riforma Gentile, che ne scoraggiava l'utilizzo in nome dell'integrità dei testi. La crescente fortuna che da allora arrise a questo genere editoriale lo rese tuttavia paradossalmente effimero. Il fatto che le tirature siano cresciute proporzionalmente all'incremento della scolarizzazione non ha infatti sottratto l'antologia al suo destino di oggetto d'uso quotidiano e dunque caduco. Chi abbia provato a cercare in biblioteca questi libri non potrà non dare ragione a quel noto antologista che un secolo fa domandava preoccupato al suo editore: «Avete rinunciato alle copie legate? Sarà dura far durare questo libro tre anni, in mano ai ragazzi»2. L'oblio in cui sono caduti migliaia di libri di testo non deve però offuscare l'immenso sforzo compiuto dall'editoria per rispondere alla domanda di un settore del mercato profondamente influenzato dalle riforme scolastiche3.

Ripercorrendo la storia delle antologie per la scuola media dall'unificazione del paese agli anni Sessanta del Novecento, le pagine che seguono intendono riportare alla luce questo sforzo, con particolare riguardo all'attività della casa editrice Zanichelli e al caso de La lettura di Italo Calvino e Giambattista Salinari.

Libri di classe

Dopo un dibattito pluriennale che vide contrapporsi partiti, intellettuali, insegnanti e genitori, il 31 dicembre 1962 il Parlamento italiano approvò la legge istitutiva della Scuola media statale, cancellando con un colpo di spugna ogni forma preesistente di scuola secondaria di primo grado, ivi compresa la controversa scuola di avviamento professionale di mussoliniana memoria. A quindici anni esatti dalla sua promulgazione, l'art. 34 della Costituzione, che sanciva l'obbligatorietà e la gratuità dell'istruzione inferiore, trovava finalmente una piena attuazione. Un decano della scuola italiana come Augusto Monti non esitò a parlare di questa «riforma» come di una «rivoluzione», a condizione che si traducesse tempestivamente in «aule, suppellettili, libri, orari e turni umani, doposcuola e assistenza e soprattutto maestri – e maestre – fieri di essere quello che sono e rispettati dalla opinione pubblica»4. Una speranza non condivisa da Lorenzo Milani, priore di Barbiana, secondo il quale senza una modifica sostanziale dell'orario e l'introduzione diffusa del doposcuola la ‘nuova media' sarebbe rimasta una scuola classista, «tagliata su misura dei ricchi»5. Perfino Guido Calogero, dall'alto della sua cattedra di filosofia teoretica all'Università di Roma, dubitava che la riforma riuscisse a scardinare tutte le disuguaglianze del sistema educativo italiano. Ma chi come lui, come Dina Bertoni Jovine, Aldo Capitini, o gli altri membri dell'Associazione per la difesa e lo sviluppo della scuola pubblica italiana (Adesspi), si era battuto alacremente per la sua introduzione, non poteva non rallegrarsi che un primo, fondamentale traguardo fosse stato raggiunto6.
Oltre a fissarne i criteri di ammissione (art. 4), i vincoli di frequenza (art. 5) e i sistemi di valutazione (art. 6), la legge, firmata dai ministri Fanfani, Gui, Taviani, Trabucchi e Tremelloni (ma ispirata dal deputato socialista Tristano Codignola), ne stabiliva l'ordinamento generale. La durata del percorso scolastico era fissata in tre anni (art. 1), per un totale minimo di 26 ore settimanali più 10 di doposcuola (art. 3). Le materie obbligatorie erano italiano, storia ed educazione civica, geografia, matematica, osservazioni ed elementi di scienze naturali, lingua straniera, educazione artistica, educazione fisica, applicazioni tecniche ed educazione musicale, queste ultime due solo il primo anno. Obbligatorio, ma non oggetto d'esame, era anche l'insegnamento della religione, mentre quello del latino era facoltativo e rivolto solo alla terza classe (art. 2)7. Precisazioni sugli orari e sui programmi erano fornite dal decreto ministeriale del 24 aprile 1963, da cui emergeva implicitamente anche la centralità conferita all'insegnamento dell'italiano. Con 6 ore settimanali nella prima classe, 9 nella seconda (alcune delle quali propedeutiche al latino) e 5 nella terza, costituiva di fatto la materia cardine della scuola media unica, come lo era stata del resto in ogni istituto del Regno sin dai tempi della legge Casati. L'obiettivo generale dell'insegnamento era «promuovere la maturazione della personalità dell'alunno mediante l'espressione linguistica» e il suo strumento principale era «la lettura quanto più ampia possibile, anche in connessione con le vive esperienze dell'alunno». Nel massimo rispetto della libertà didattica dell'insegnante, il decreto restava vago sia sui contenuti che sui metodi: nessun limite cronologico o geografico alle letture, purché fossero scritte o tradotte in buon italiano; nessuna preclusione verso opere o autori, a condizione che sollecitassero l'interesse degli alunni; nessuna indicazione metodologica particolare, fuorché la raccomandazione di fornire un minimo di ambientazione storica ai testi8.
Quanto agli strumenti didattici, i riferimenti erano altrettanto generici: si alludeva alla «lettura antologica» da svolgere in classe e da integrare con quella di «un'opera narrativa moderna»; si accennava all'utilizzo di dischi e magnetofoni «allo scopo di eliminare gli errori di pronuncia e le cadenze regionali»; si menzionava lo «studio della grammatica» condotto con metodo induttivo; e si suggeriva l'impiego di una «piccola antologia» per avviare l'alunno di seconda alla studio del latino. Ma tanto bastava a suscitare l'interesse e la fantasia degli editori, soprattutto verso quello che il decreto definiva di sfuggita il «libro comune di classe»9.
Non era del resto la prima volta che una riforma della scuola innescava una corsa alla produzione dei ‘libri di testo'. Dalla legge Casati del 1859 alla legge Orlando del 1904, fino alla riforma Gentile del 1923, all'azione della politica era sempre corrisposta una reazione dell'editoria uguale e contraria.
Se già all'indomani dell'unificazione nazionale si potevano cogliere le prime avvisaglie di quella speculazione editoriale che un partecipante all'inchiesta Scialoja (1872-1875) avrebbe definito ‘camorra libraria', vent'anni dopo circolavano in Italia quasi quattromila manuali, di cui 1.033 per le scuole elementari e popolari, 814 per i ginnasi, 342 per i licei, 1.048 per le scuole tecniche e 415 per quelle normali: una conseguenza diretta della preminenza accordata dai programmi del 1867 allo studio del «patrio idioma», e dunque allo strumento della lettura, in tutti gli ordini di scuola10. Forti di antiche tradizioni tipografiche, nonché di solidi legami politici, le case editrici piemontesi, e fra queste soprattutto Loescher e Paravia, dominarono il mercato del ‘libro di testo' fin quando la capitale del Regno fu Torino. Poi l'asse si spostò a Firenze, dove l'egemonia di Felice Le Monnier fu garantita dalla consulenza del futuro titolare della Minerva Pasquale Villari, all'epoca membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione con delega ai libri di testo11, mentre il suo ex garzone di bottega Gaspero Barbèra riuscì ad assicurarsi quella del Provveditore centrale agli studi Domenico Carbone, che per lui diresse la Nuova collezione scolastica (1868).
Man mano che l'obbligo scolastico s'innalzava a colpi di leggi (quella Coppino del 1877 lo portò dall'ottavo al nono anno d'età, mentre quella Orlando del 1904 lo estese al dodicesimo)12, il bacino dei giovani lettori cresceva al punto da trasformare alcuni libri per ragazzi in luoghi della memoria italiana. È il caso di Giannettino di Carlo Collodi (Paggi, 1877), le cui monellerie a lieto fine sono assai più edificanti delle perturbanti peripezie di Pinocchio, ma soprattutto di Cuore di Edmondo De Amicis (Treves, 1886), ‘abbecedario del crispismo' in cui si allineano uno dopo l'altro tutti gli idoli del nuovo Stato unitario: popolo, re, nazione, lavoro, esercito e, soprattutto, scuola, dove il romanzo è, non a caso, metalinguisticamente ambientato13. Dietro a questi classici si nascondono tuttavia migliaia di altri titoli che i cataloghi delle biblioteche faticano a contenere. Si pensi, per fare un solo esempio, alla vastissima produzione per le scuole elementari della maestra Ida Baccini, paladina dei diminutivi e dei modi di dire, che dopo il successo delle Memorie di un pulcino (Paggi, 1875) fu contesa da Trevisini, Carrara, Treves, Le Monnier, Paravia, Bemporad, Hoepli, Cappelli, Salani e Sandron. Perché se gli scrittori si misero senza esitazioni al servizio dell'ideologia italiana, gli editori, ancor più attenti a fiutare il vento, non fecero di meno. Esemplare in tal senso la parabola della piccola libreria scolastica di Decio Sandron, fondata nella Palermo borbonica del 1839 e trasformata dal figlio Remo in un'impresa nazionale in grado di competere con i principali editori dell'Italia centro-settentrionale. È per i suoi tipi, rigorosamente bodoniani, che allo scoccare del secolo vedranno la luce due delle antologie scolastiche più influenti del Novecento: Sul limitare (1899) e Fior da fiore (1900) di Giovanni Pascoli. Più influenti anche per ciò che concerne l'annosa questione della lingua. Nel proemio a Fior da fiore, infatti, l'antologista perorò in chiave anti-manzoniana la causa del dialetto, raccomandando alla scuola di non bandirlo con troppa severità, pena l'impoverimento della lingua:

Sarà agevole o almeno possibile trovar le parole italiane o toscane equivalenti a quelle del nostro vernacolo. Ma se non riteniamo nemmen queste, quelle non le ricerchiamo nemmen più. E senz'esse, noi non ritroviamo o non riconosciamo più le cose che esse esprimono. Senz'esse, gran parte del mondo si scolorisce, si appanna, si annulla per noi14.

Durante il ventennio fascista, a dispetto dei vari tentativi compiuti dallo ‘Stato educatore' di controllare il mercato del libro scolastico, l'iniziativa privata degli editori fu altrettanto impetuosa. Concedendo a ciascun insegnante la libertà di scelta dei libri di testo15, la riforma Gentile non solo generò una concorrenza spietata, ma produsse una sorta di bolla speculativa, in cui la moltiplicazione dell'offerta non coincise con un abbassamento dei prezzi. Se è vero che l'introduzione del libro di Stato nella scuola elementare (1929), affidato alla penna di funzionari di provata fede (fra cui Grazia Deledda) e al torchio del giovanissimo Istituto poligrafico dello Stato, riuscì a sbarrare la strada persino a un long seller apparentemente inarrestabile come Ragazzi, evviva la vita! di Enrico Toscano (pseudonimo dell'editore Bemporad, 1914) o a un best seller unanimemente osannato come Vivere di Oronzina Quercia Tanzarella (Mondadori, 1923), è anche vero che la scuola media, resa obbligatoria fino al quattordicesimo anno d'età, continuò a restare un territorio di caccia libera, per quanto assai più ristretto di quello rappresentato dall'istruzione primaria16.
Qui primeggiavano, ancora una volta, gli editori fiorentini che, in linea con la rilevanza assegnata dalla riforma Gentile alla lettura integrale dei classici, potenziarono vecchie collane scolastiche o ne vararono di nuove. Sansoni, per esempio, rinfrescò la gloriosa Biblioteca scolastica di classici italiani fondata da Giosue Carducci (1885), mentre Vallecchi affidò a Ernesto Codignola, allievo e collaboratore di Gentile, la direzione della neonata Classici italiani commentati (1923). Tra le collane scolastiche di classici greci e latini, invece, spiccavano per longevità quella della Paravia (Torino), per diffusione quella della Signorelli (Milano) e per qualità quella della Principato (Messina-Milano), che nel 1925-1927 pubblicò anche l'influente Storia della letteratura latina di Concetto Marchesi. Ma la ristrettezza dell'orario e l'ampiezza dei programmi continuavano a rendere indispensabili, pur con i necessari adeguamenti, le vecchie, solide antologie.
Per molti anni ancora sui banchi dei licei continuò a dominare un pilastro della scuola storica come il Manuale della letteratura italiana di Alessandro D'Ancona e Orazio Bacci, pubblicato dalla Barbèra nel 1895 e recensito con sostanziale rispetto dallo stesso Gentile17. Dal 1928 gli fece concorrenza e infine lo soppiantò un altro manuale antologico stampato da Le Monnier e sopravvissuto perfino all'epurazione: Scrittori italiani di Plinio Carli e Augusto Sainati. E due anni prima, sempre per Le Monnier, era uscita una fortunatissima Antologia italiana di prose e poesie per il ginnasio inferiore curata da una coppia di italianisti che negli anni a venire avrebbe profuso nell'editoria scolastica ben altre energie, e non solo per la gloria: «Diventeremo ricchi e famosi, da fare schifo», aveva scritto Pietro Pancrazi a Giuseppe De Robertis il 20 febbraio 192618. Previsione più che azzeccata, se è vero che dopo la pubblicazione dell'antologia per i ginnasi inferiori, seguita a ruota da una per gli istituti tecnici, Pancrazi proporrà al suo sodale di curarne una per le scuole elementari adducendo come argomento: «Ho una voglia matta dell'Alfa Romeo!»19.
Quanto alla riforma del 1962, il fermento editoriale che essa generò è ben testimoniato da una lettera di Roberto Cerati a Giulio Einaudi del 20 agosto 1963. Secondo il direttore commerciale dell'Einaudi, infatti, il processo di rinnovamento che la scuola stava attraversando rendeva più che mai opportuno elaborare un programma organico di libri a essa destinati, anche in considerazione del fatto che i docenti appena entrati in ruolo appartenevano alla generazione che la casa editrice aveva contribuito a formare:

Lasciar mancare a questi insegnanti il sussidio di testi che possono facilitare l'insegnamento e l'indirizzo culturale di un certo tipo, e limitarsi a dare soltanto strumenti collaterali ed integrativi, mi pare sia venire meno non soltanto a una direzione nella quale c'è legittima attesa, ma anche non partecipare a quell'azione culturale che va fatta e che la Casa ha sempre posto tra i presupposti di ogni sua iniziativa.

Naturalmente inserirsi in un nuovo settore significava prepararsi ad affrontare un nuovo tipo di concorrenza, ma Cerati aveva le idee chiare anche al riguardo: le case editrici da battere sul tempo erano le giovani e scattanti Feltrinelli e Il saggiatore; quella più esperta nel settore e quindi più temibile era la Sansoni; quella invece da non prendere a modello era la Laterza che, a suo dire, non aveva mai saputo compiere il grande salto dall'università alla scuola20.
Il suggerimento di Cerati rimase sostanzialmente inascoltato, dal momento che il solo intervento dell'Einaudi nel nuovo settore si limitò a uno ‘strumento collaterale' quale la collana Letture per la scuola media (1965), destinata alle classi seconde e terze, che per programma erano tenute a leggere almeno un'opera di narrativa italiana o straniera nel corso dell'anno. Ciò non rendeva la sua intuizione meno vera.
All'indomani della riforma, infatti, il mercato editoriale fu inondato da un fiume di antologie, ma più che dall'alto numero di opere pubblicate, il senso di rinnovamento di quella stagione si può cogliere dai loro titoli, che promettevano ai fanciulli degli anni Sessanta un triennio di giochi, canti, tuffi, avventure e scoperte: Primavera gioiosa di Pasquale Pugliese e Giuseppe Rubiola (Loescher, 1963); Concerto di Mario Lussignoli (Fabbri, 1963); Sinfonia di voci di Lia Fenici Piazza (Mondadori, 1963); Onda viva di Carmelo e Angelina Sambugar (Principato, 1964); Spera di sole di Ernesta Paniate e Adriana Valente Barraja (Lattes, 1964); L'avventura di Angelo Gianni e Giuseppe Galleno (La nuova Italia, 1968); Incontri '70 di Lamberto Valli (Sei, 1969), Mondodoggi di Alda Diatto e Rita Mortara (Sei, 1970), La bussola di Salvatore Guglielmino e Virgilio Lavore (Principato, 1970), per citarne solo alcune21. Tutte erano firmate da valenti insegnanti delle scuole secondarie; tutte erano articolate in un percorso triennale di difficoltà crescente; tutte erano strutturate in sezioni tematiche e corredate da un ricco apparato di note.
A differenza di quanto pensava Cerati, la Feltrinelli e Il saggiatore non avrebbero spiccato il salto nel mondo della scuola, mentre la Sansoni, acquisita da Giovanni Gentile nel 1935 e passata nelle mani del figlio Federico dopo la sua morte, vi si gettò a capofitto, affidandosi al gusto schiettamente accademico di tre allievi fiorentini di Giuseppe De Robertis – Giorgio Luti, Enzo Ronconi e il redattore sansoniano Odoardo Strigelli – che nel corso degli anni Sessanta firmarono ben tre antologie destinate alla scuola media unificata: Arcipelago (19632), Nuovi orizzonti (1968) e Planetario (1969). L'avversario che Cerati avrebbe dovuto temere di più era tuttavia un altro, e non solo per ragioni di esperienza.

Laboravi fidenter

L'impegno scolastico della casa editrice di Nicola Zanichelli, fondata a Modena nel 1859 e trasferitasi a Bologna nel 1866, era cominciato verso la fine dell'Ottocento con la pubblicazione delle eruditissime Letture italiane, scelte e ordinate ad uso delle scuole del ginnasio inferiore da Giosue Carducci e dal suo allievo Ugo Brilli (1883). Con quest'opera, che rappresenta una sorta di antologia primigenia della scuola italiana, l'esimio professore di Eloquenza dell'ateneo bolognese intendeva «ausare le fresche menti» dei giovani italiani «a quel più austero e più brusco, più vivido e più frizzante, più zampillante e più mosso che è nella elocuzione dei grandi scrittori classici», educandole così a concepire come indissolubile l'intreccio di lingua e letteratura22. Come raccomandato dai programmi ministeriali del 1881, la selezione carducciana dava ampio spazio agli scrittori del Trecento, attingeva abbondantemente dai novellieri dei secoli successivi, includeva Annibale Caro fra gli esempi di scrittura epistolare e presentava le più belle pagine giornalistiche di Gasparo Gozzi23. Ma inserendo anche innumerevoli brani di Bembo, Ariosto, Rucellai, Firenzuola, Speroni, Cellini, Della Casa, Doni, Tasso e Baldi, Carducci correggeva il tiro del decreto Baccelli eleggendo di fatto il Cinquecento, e non il Trecento, a secolo d'oro della lingua letteraria24. Al netto di alcune polemiche sul presunto ‘manzonicidio' perpetrato dagli antologisti, l'opera fu premiata da numerose edizioni (dodici al 1897) e ottenne i complimenti del segretario generale del Ministero della pubblica istruzione Ferdinando Martini:

 Fui assente da Roma – scriveva a Cesare Zanichelli l'8 ottobre 1884 – e non ebbi agio a ringraziarla subito del suo dono, tanto elegante nella severità della sua legatura, e tanto utile alle scuole nostre per l'opera sapiente e diligente dei compilatori. Ella continua come meglio non si potrebbe le ottime tradizioni del padre suo, ed io Le auguro non Le venga meno quella fortuna che tanto la casa Zanichelli si merita. Voglia proseguire coraggiosamente nella buona impresa di dare libri buoni alle scuole nostre che ne hanno tanto bisogno25.

E Zanichelli coraggiosamente proseguì.
Mentre le Letture italiane tagliavano il traguardo della dodicesima edizione, Federigo Enriques dava alle stampe le Lezioni di geometria proiettiva (1898), nate dal corso universitario che teneva a Bologna dal 1894. Pioniere della geometria algebrica e seguace del razionalismo sperimentale, di lì a pochi anni Enriques sarebbe diventato un'eminenza grigia della Zanichelli. Non fu però il modesto pacchetto d'azioni che acquistò quando la casa editrice fu trasformata in società anonima (1906) a renderlo tale. Oltre a essere un insigne matematico, infatti, egli possedeva la stoffa del divulgatore scientifico e il fiuto dell'organizzatore culturale. Sull'onda dei nuovi programmi che ripristinavano l'insegnamento della geometria nelle scuole medie, nel 1903 pubblicò insieme con Ugo Amaldi un manuale della materia ristampato ininterrottamente fino al 198626. Nello stesso anno promosse la collana Attualità scientifiche, in cui accanto a opere di Augusto Righi, Giacomo Ciamician, Augusto Murri, Giuseppe Levi e Vittorio Benussi, apparve la Teoria speciale e generale della relatività di Albert Einstein (1921). Per la Zanichelli fu inoltre il condirettore della Rivista di scienza (1907; dal 1910 Scientia), stampata in coedizione con Williams and Norgate, Félix Alcan e Wilhelm Engelmann; il responsabile della collezione Per la storia e la filosofia delle matematiche, rilevata dall'editore romano Alberto Stock nel 1927; e soprattutto il trait d'union con alcuni dei suoi autori più illustri, come Guido Castelnuovo (Spazio e tempo secondo le vedute di A. Einstein, 1923), Enrico Fermi (Introduzione alla fisica atomica, 1928) e Tullio Levi-Civita (Lezioni di meccanica razionale, 1923, con U. Amaldi)27. Schematizzando un poco, si potrebbe dire che Enriques è stato per la Zanichelli ciò che Benedetto Croce è stato per la Laterza; detto altrimenti, che la Zanichelli è stata per la cultura scientifica ciò che la Laterza è stata per quella umanistica. Del resto, perfino uno storico della filosofia attento alle sfumature come Eugenio Garin, ricostruendo la polemica scoppiata al Congresso internazionale di filosofia del 1911 fra Croce ed Enriques, la ricondusse a una mera contrapposizione fra le due culture28.
A riequilibrare la bilancia dei saperi nel catalogo editoriale intervenne la riforma Gentile che, imbevuta com'era di neo-umanesimo, accordò allo studio delle lingue antiche e moderne una smaccata preminenza in ogni ordine scolastico. Per l'antologia d'italiano, che era ormai divenuto il libro liturgico della scuola italiana, la Zanichelli si affidò ciecamente all'esperienza di due insegnanti del prestigioso liceo Galvani di Bologna, Ferruccio Bernini e Lorenzo Bianchi, quest'ultimo destinato a diventare un pilastro tanto dell'Alma Mater (come professore di Lingua e letteratura tedesca) quanto della stessa Zanichelli (come consigliere del direttore Ezio Della Monica, dal 1930). Nel 1924 i due studiosi selezionarono Le letture italiane per le scuole complementari secondo i nuovi programmi (2 vol.) e nel 1925 adattarono la scelta ai ginnasi inferiori (3 vol.); ma ogni ordine di scuola contemplato dalla riforma Gentile ebbe il suo ‘Bernini-Bianchi': per gli istituti tecnici e magistrali Prose e poesie di scrittori italiani e stranieri dei secoli XIX e XX (2 vol., 1926); per le scuole medie inferiori Carducci Pascoli D'Annunzio (1933), Antologia della lirica moderna (1934) e Limpide voci (1935); e per le scuole di avviamento professionale Zolla feconda (3 vol., 1935), titolo d'inaudito classismo. Tutti volumi continuamente ristampati fino alla caduta del fascismo, e alcuni anche dopo:

Egregio Signor Direttore – assicurava Bernini a Della Monica il 5 agosto 1943 –, ho esaminato il volume Carducci Pascoli D'Annunzio, sopprimendo o ritoccando i pochi luoghi dove si cita Mussolini o si accenna al passato regime29.

Non è privo d'ironia il fatto che tale operazione fosse antitetica a quella compiuta durante l'allestimento dell'antologia, quando Bianchi aveva raccomandato alla Zanichelli di inserire Il centurione di Pascoli, tradotta da Adolfo Gandiglio, per il suo ‘forte senso di romanità' e di sopprimere il Dante di Carducci per nascondere il lato ‘troppo democratico e anticlericale' del suo autore30.
Il successo della casa bolognese nel settore scolastico era comunque garantito da una sorta di rendita di posizione. Rispettivamente dal 1877 (ossia dalla pubblicazione delle Odi barbare) e dal 1903 (ossia da quella dei Canti di Castelvecchio) Zanichelli fu l'editore esclusivo delle opere di Carducci e di Pascoli, entrambi canonizzati dai programmi fascisti. In forza dell'art. 22 delle Disposizioni sul diritto d'autore, ciò significava che qualunque casa editrice desiderasse antologizzare un'opera di una delle ‘due corone' (la terza – d'Annunzio – era rappresentata nel catalogo Zanichelli dalle sole Elegie romane), doveva ottenere il consenso del direttore generale Oliviero Franchi e limitarsi a un massimo di tre pagine per raccolta (quindi Davanti San Guido sì, la Canzone di Legnano no, per fare un solo esempio)31. Franchi, inutile dirlo, aveva saputo far fruttare la sua ‘proprietà letteraria' così bene che già il 22 marzo 1924 Arnoldo Mondadori si era lamentato della cosa col ministro Gentile: «Il patrimonio culturale dei morti non può essere rifiutato per la perpetuazione della cultura dei vivi». Un'indignazione del tutto fuori luogo se si considera che nel corso degli anni Trenta, quando nel suo catalogo confluirono autori come d'Annunzio, Fogazzaro, Pascoli e Verga e i suoi legami col regime gli consentirono di indirizzare i programmi scolastici a proprio vantaggio, Mondadori fece altrettanto con i colleghi32.
Quanto alle antologie del dopoguerra, il catalogo Zanichelli continuò a essere plasmato da Lorenzo Bianchi per almeno tre lustri. Impossibile elencare in una pagina tutti i volumi che firmò con l'antico sodale Bernini, o con Paolo Nediani, Vittorio Mistruzzi, Ugo Masetti e Mario Pazzaglia33, autore di un'Antologia della letteratura italiana (1964) che insieme con il Corso di fisica di Edoardo e Ginestra Amaldi (1952), il manuale di Storia di Augusto Camera e Renato Fabietti (1965) e l'immarcescibile vocabolario della lingua italiana Zingarelli, fece della Zanichelli una colonna portante della scuola repubblicana. La morte di Bianchi, nel 1960, lasciò la casa editrice priva di una bussola sicura proprio mentre il sistema scolastico entrava in una fase di tempestosa modernizzazione. Quando ne uscì, l'ultimo giorno del 1962, la Zanichelli era riuscita ugualmente a mettere in cantiere un'antologia «concepita e approntata in vista delle esigenze della nuova scuola media». Scritta da insegnanti per gli insegnanti, Leggere di Maria Luisa Santoli e Mirena Stanghellini intendeva «rinnovare, almeno in parte, il repertorio antologico tradizionale, pur conservando la necessaria fedeltà a quanto c'è di ancor vivo e attuale, poeticamente o culturalmente, in tale tradizione».
Allo stesso tempo, assecondando le teorie pedagogiche e gli orientamenti didattici che avevano presieduto ai nuovi programmi, mirava a «stabilire concreti legami fra l'insegnamento dell'italiano e quelli di altre discipline, dalla geografia alla storia, dalle scienze all'educazione artistica e musicale»34. A cominciare dalla struttura dell'antologia, che accanto ai classici nuclei sulla fiaba, sulle stagioni e sulla scuola, ne includeva altri di carattere interdisciplinare sul paesaggio italiano, sui fatti del Risorgimento e sulle conquiste della scienza. Il tutto incorniciato da apparati e sussidi così abbondanti – nulla, comunque, di paragonabile a quelli di oggi – da guidare lo studente in ogni minima fase dell'apprendimento. Condurlo per mano, senza mai lasciargliela. Ottant'anni dopo Carducci, l'accento pedagogico cominciava a spostarsi dal cosa leggere al come leggere.
Il lungo viaggio della Zanichelli nel mondo delle antologie è ben illustrato dall'evoluzione grafica delle loro copertine. Il colore grigio-verde della carta, la scelta del carattere Bodoni, la modulazione dei corpi e degli spazi, tutto, nella ‘soglia' delle Letture italiane di Carducci e Brilli, converge a trasmettere lo stesso senso di austerità che emana dalle sue pagine interne, così come dai programmi Baccelli. Ultimi riflessi della Belle Époque, i fregi e le anfore liberty disegnate da Antonello Moroni (allievo del ben più grande Adolfo De Carolis)35 che adornano le antologie di Bernini e Bianchi dei primi anni Venti, saranno immancabilmente sostituite dalle fascistissime sovraccoperte di Dino Tofani nelle edizioni degli anni Trenta: l'illustrazione di un paesino di montagna nascosto tra i boschi e attraversato da un ruscello introduce gli studenti delle medie inferiori in un mondo di «limpide voci»; quella di un contadino intento ad arare di fronte a una fabbrica sbuffante ricorda agli allievi delle scuole di avviamento professionale il loro destino di «zolle feconde». Bisognerà attendere i primi anni Sessanta, con la pubblicazione di Leggere, perché sulla copertina di un'antologia compaia il dettaglio monocromo di un dipinto; e la fine di quel decennio, con l'uscita de La lettura di Italo Calvino e Giambattista Salinari, per vederne una pensata e stampata in pentacromia con la nuova tecnologia offset. Nei primi anni Sessanta sarà modificato anche il marchio della Zanichelli, ma non il motto: laboravi fidenter.

Osservare e descrivere

Scrittore tra i più famosi della sua generazione, nel 1965 Italo Calvino aveva fatto il suo ingresso nelle scuole grazie a due edizioni ridotte e annotate del Barone rampante e di Marcovaldo. La collana in cui erano apparse era la Letture per la scuola media dell'editore Einaudi, per il quale Calvino lavorava da circa vent'anni come redattore. Con Einaudi, inoltre, aveva pubblicato tutti i suoi libri, comprese le Fiabe italiane (1956), da cui le antologie degli anni Sessanta avevano attinto a piene mani. Tanto bastava, nella mente del presidente della Zanichelli Giovanni Enriques (figlio di Federigo e nipote dell'industriale fascista Isaia Levi, che nel 1930 aveva salvato la casa editrice dal fallimento), per farne un candidato ideale a curare una nuova, innovativa antologia. Non conosciamo i termini dell'offerta che Enriques fece a Calvino nell'estate del 1967, ma sappiamo che l'8 settembre lo scrittore gli confermò di essere disposto a unirsi a Giambattista Salinari e a Tullio De Mauro «nella cura dell'antologia per la scuola dell'obbligo, alle condizioni da te proposte»36. De Mauro, incaricato di curare la parte storico-geografica, avrebbe rinunciato in seguito alla sua chiamata a cattedra, mentre Calvino e Salinari (preside del liceo Castelnuovo di Roma), responsabili rispettivamente della parte narrativa e di quella poetica, sarebbero stati coadiuvati in corso d'opera da quattro insegnanti: Maria D'Angiolini, Melina Insolera, Mietta Penati e Isa Violante; mentre Dario Fo, Renzo Renzi e Giovanni Gandini avrebbero firmato le sezioni rispettivamente di teatro, cinema e fumetti. Il coordinamento del lavoro fu affidato al redattore Gianni Sofri; la sua supervisione al direttore editoriale Delfino Insolera.
La prima riunione editoriale, del 4 ottobre 1967, servì soprattutto agli autori per conoscersi, ma si giunse ugualmente a definire un'impostazione di massima, che privilegiasse la funzione linguistica dei testi rispetto al loro raggruppamento in «centri d'interesse»37. Già nella seconda, del 29 novembre, furono tuttavia discussi i primi nuclei tematici. Le proposte più originali vennero da Calvino, che suggerì di far cominciare il volume 1 con quattro sezioni così concepite: 1) I grandi parlano ai ragazzi, con brani dei libri di lettura di Tolstoj e delle lettere di Gramsci; 2) I ragazzi parlano ai grandi, con passi dei quaderni di San Gersolè e del diario di Anne Frank; 3) I grandi scrivono di quando erano ragazzi, di carattere memorialistico; e 4) Cosa farò da grande, dedicata ai mestieri e alle professioni. Lo stesso gioco di punti di vista propose per le sezioni di storia e geografia, da suddividere nelle sottosezioni I tempi antichi visti dagli antichi (documenti) e I tempi antichi ricostruiti dai moderni (brani storiografici), da un lato; Il mio paese e Pagine di viaggio, dall'altro. A bassa voce e con nonchalance, consigliò inoltre due sezioni che, unite infine in una intitolata Osservare e descrivere, sarebbero state le sole a essere realizzate e avrebbero costituito l'elemento più innovativo e apprezzato dell'antologia: Conoscere le cose e Saper fare le cose38.
L'idea didattica alla base di Osservare e descrivere era tanto semplice quanto originale: s'impara a scrivere imparando a guardare.

Descrivere – sottolineava Calvino nella nota introduttiva alla sezione – vuol dire tentare delle approssimazioni che ci portano sempre un po' più vicino a quello che vogliamo dire, e nello stesso tempo ci lasciano sempre un po' insoddisfatti, per cui dobbiamo continuamente rimetterci ad osservare e a cercare come esprimere meglio quel che abbiamo osservato39.

Quello sforzo di ‘esattezza' che quindici anni dopo sarebbe diventato un tema centrale delle sue Lezioni americane, veniva già allora presentato ai ragazzi delle medie come la chiave per entrare nel mondo della scrittura. Calvino ne dimostrava l'efficacia ricorrendo ai brani meno prevedibili. Le descrizioni di stagioni, mestieri e paesaggi che abbondavano nelle antologie del decennio precedente – si apra a caso, per una riprova, la pur originale Lalage di Marsilio Bacci e Settimo Lelli (Celi, Bologna 1957) – cedevano il passo a quelle di giochi, oggetti, operazioni, ambienti, cose viste per strada, impressioni e ricordi40. E la scelta degli autori antologizzati non era meno sorprendente. Si andava dalle pagine di un racconto di Ernest Hemingway, che «nel suo stile semplice e limpido, tutto a frasi brevi, spesso ripetendo le stesse parole, come in un manuale d'istruzioni», spiegava come si pianta la tenda in un bosco41, a quelle del romanzo La noia di Alberto Moravia, che attraverso la descrizione di una stanza disabitata, evocava «un modo di vivere, un determinato tipo di società umana» e trasmetteva «un'impressione di freddo, d'antipatia, di squallore»42; da un articolo di Cesare Zavattini sul boom della bicicletta nell'Italia del miracolo economico, che dimostrava come una carraia della Bassa possa diventare una miniera inesauribile per chi sa usare «la penna come una macchina fotografica»43; a una passo della Prigioniera di Marcel Proust, in cui ascoltando con le palpebre ancora chiuse i rumori attutiti del mattino, l'io narrante riusciva a indovinare con sorprendente precisione che tempo faceva fuori44; fino alla virtuosistica descrizione di una saponetta fatta dal poeta francese Francis Ponge, allora semisconosciuto, che Calvino tradusse appositamente per La lettura:

Non esiste in natura nulla di simile al sapone. Non c'è pietra che sfugga così facilmente dalle mani appena è stimolata dall'acqua, e che – se riuscite a trattenerla – abbia una così strana reazione: una bava voluminosa e madreperlacea, a grappoli, a bolle pletoriche45.

Assente nel secondo volume, Osservare e descrivere si allargava nel terzo a brani concettualmente più complessi che riuscivano a tradurre in parole tanto l'infinitamente grande quanto l'infinitamente piccolo. Accanto alle descrizioni dell'esercito schierato in battaglia di Niccolò Machiavelli, del fuoco che scoppietta di Leonardo da Vinci, della coda del capodoglio di Herman Melville, degli inquietanti pesci rossi di Emilio Cecchi, del risotto alla milanese di Carlo Emilio Gadda e del libero mercato di Luigi Einaudi, Calvino antologizzava e traduceva sia una pagina dell'Art of drawing di John Ruskin, in cui il grande critico d'arte spiegava a un aspirante pittore come si disegna una nuvola, «trasparente, o fioccosa, o lineare, o ondulata» che fosse46, sia il capitolo del De rerum natura in cui Lucrezio descrive, in un latino nitido ed esatto quanto l'italiano del suo traduttore, il pulviscolo fluttuante nell'aria colpito da un raggio di luce:

Osserva quando attraverso le imposte chiuse un raggio di sole penetra in una stanza: in quel filo di luce vedrai corpuscoli innumerevoli andare e venire per l'aria in tutti i sensi, e come in una guerra perpetua scontrarsi e battagliare, a torme, quali eserciti che un po' serrano le file un po' si disperdono ma non si concedono tregua; e arriverai a intuire – per quel tanto che le piccole cose possono darci un'idea delle grandi e metterci sulla via di capirle – quale dev'essere nello spazio infinito l'agitazione perpetua degli atomi47.

Oltre a riflettere i gusti letterari di Calvino, questa sezione soddisfaceva pienamente la richiesta del Ministero di stimolare negli studenti «l'adozione di processi induttivi» e «l'attenta osservazione della realtà»48. Così come rispondeva allo spirito della riforma la sua scelta di riscrivere in italiano moderno tre novelle del Novellino49, di tradurre col testo a fronte un brano di Leonardo da Vinci50 e di commentare con particolare ampiezza tre novelle del Boccaccio51: il suo modo per affrontare «il problema della lettura dell'italiano antico in una scuola in cui esso non è più un ponte tra la lingua parlata e il latino»52.
Come si vedrà, la pedagogia di Calvino si espresse soprattutto attraverso l'annotazione, ma talvolta si tradusse anche in piccole riflessioni a uso dei collaboratori all'antologia. Il 2 febbraio 1969, per esempio, propose a Maria D'Angiolini di sostituire il titolo La partita è perduta assegnato a un brano di Paul Ehrlich sullo spettro di future carestie, con Un grido d'allarme: la fame minaccia il mondo, e di aggiungere un commento in cui

dire che bisogna fare qualcosa, anche se è difficile spiegare cosa»: «se ci mettiamo a spiegare – chiariva – che bisognerebbe organizzare tutte le risorse ecc. il discorso resta necessariamente generico, e un po' facilmente tranquillizzatore, mentre è la scossa di questo quadro pessimistico che può essere pedagogica purché non porti alla disperazione53.

Analogamente, alla fine del 1972, a proposito di una testimonianza troppo pessimistica tratta da I lavoratori studenti (Einaudi, 1969) per una nuova edizione de La lettura, Calvino osservò titubante:

C'è la denuncia che ha l'effetto di svegliare e c'è la denuncia che scoraggia. Non dimentichiamoci che sono ragazzi. Dobbiamo dirgli: guarda che ti vogliono schiacciare e non devi lasciarti schiacciare. Ma se gli diciamo: comunque vada sarai sempre schiacciato – non svolgiamo una pedagogia utile54.

E sempre in merito a quella nuova edizione, raccomandò tra il serio e il faceto di correggerne l'impostazione ‘maschiocentrica', provando a creare attraverso nuovi commenti

la coscienza che gli uomini devono sapersi fare da mangiare, rifarsi il letto, spazzare la casa, senza aspettare che sia la mamma o la moglie che glielo fa; che finché il maschio italiano non impara questo, come già lo hanno imparato i maschi di altre popolazioni sulla terra, sarà magari proletario, sarà magari intellettuale rivoluzionario, ma resterà sempre un piccolo sfruttatore.

Salvo chiosare: «(Naturalmente, io sono un tipico maschio italiano di questo tipo, quindi è inutile che parli)»55.
Sebbene la sua creatura fosse Osservare e descrivere, Calvino collaborò alacremente anche alle sezioni dedicate al Senso del comico, alle Storie di avventura e alle Avventure di fantascienza; scrisse dei microsaggi riguardanti la favola, la fiaba, la fantascienza, la differenza fra novella e racconto, e il romanzo; e infine presentò, antologizzò e commentò quattro classici della letteratura europea: I viaggi di Gulliver, Robinson Crusoe, Don Chisciotte e Le confessioni d'un italiano. Quest'ultima sezione fu anch'essa concepita sull'onda della libertà didattica concessa dai programmi, che non vincolavano gli insegnanti a trattare «quei poemi e quelle opere che pure tradizionalmente hanno sollecitato la fantasia e l'interesse degli allievi», come l'Iliade, l'Odissea, la Chanson de Roland, l'Orlando furioso e la Gerusalemme liberata56. L'epica di Calvino era il romanzo moderno, e i grandi classici del genere, al pari delle letture epiche, si prestavano a essere presentati attraverso «una serie di capitoli scelti collegati da riassunti e inquadrati in un discorso organico»57. Così infatti fece e, da abile sarto delle parole qual era, premise a ciascun capitolo una nota introduttiva in cui, oltre a inquadrare l'autore nel suo contesto storico, suggeriva una chiave di lettura dell'opera a portata di fanciullo: il gioco dei punti di vista in Swift, il rapporto natura-civiltà in Defoe, il contrasto fra ragione e ideali in Cervantes e la trepidazione della giovinezza in Nievo. Il progetto originario dell'antologia prevedeva anche un capitolo sui Promessi sposi, per il quale Calvino selezionò l'incontro di Don Abbondio con i Bravi, le descrizioni di Perpetua, Renzo, Azzecca-Garbugli e Padre Cristoforo, il fallimento del matrimonio a sorpresa e l'«addio monti» di Lucia58. Soppresso in bozze verosimilmente per ragioni di spazio, sopravvive in forma manoscritta insieme con la nota introduttiva, in cui Calvino individuava il «vero segreto» del romanzo «nel tono manzoniano»: «questo continuo commento d'una saggezza arguta, che se sentenzia lo fa sempre senza pedanteria né presunzione, e soprattutto s'interroga, riflette sui casi del mondo, alternando il sospiro e il sorriso»59.
Se il capitolo sui Promessi sposi cadde poco prima della stampa, altre proposte di Calvino furono scartate in corso d'opera. Cassata l'idea di una sezione di indovinelli, sciarade e rebus in cui avrebbe voluto includere la fiaba ‘enigmistica' di Antonio Rubino Logogrifo (poi inserita nella sezione Fiabe del vol. 1)60; ignorato il suggerimento di arricchire il Senso del comico con racconti umoristici di Ambrose Bierce, Georges Courteline, Ring Lardner e James Thurber (quest'ultimo incluso nella seconda edizione dell'antologia)61; disattesa la raccomandazione di selezionare qualche brano «che possa piacere alle ragazzine (dato che abbiamo trascurato un po' troppo i gusti del gentil sesso)», come Il compleanno dell'Infanta di Oscar Wilde62; inascoltato il consiglio di accogliere fra le poesie L'orario ferroviario di Marino Moretti («particolarmente facile e graziosa») e La passeggiata di Aldo Palazzeschi («straordinaria modernissima poesia tutta fatta di scritte stradali, insegne, titoli di giornali»)63. Ciò dipese in larga parte dalla dittatura dello spazio.
Come si può intuire sia dalle proposte accolte sia da quelle scartate, le scelte di Calvino inseguivano tanto i suoi gusti di scrittore quanto i suoi ricordi di lettore. È il caso, per esempio, di Fare un fuoco di Jack London (Storie d'avventura, vol. 2) proveniente da un volume Sonzogno del 1930 letto negli anni dell'adolescenza64, o della Leggenda di Teodorico di Giosue Carducci (Poesia e storia, vol. 2) suggerito a Salinari perché «da ragazzo mi piaceva tanto»65. Ciò non toglie che durante il lavoro di selezione tenne sulla scrivania una decina di testi scolastici, attingendo in particolare dall'Antologia di letture per la scuola media di Walter Binni e Lanfranco Caretti (Mursia, 1966) e dalle Voci moderne e antiche di Giulio Bruno Bianchi e L. Lamberti (Garzanti, 1967)66. Il suo modello ‘come stile dell'antologia' era tuttavia la grammatica di Maria D'Angiolini e Melina Insolera La lingua italiana (Zanichelli, 1964)67, mentre il suo punto di riferimento pedagogico era un'opera ben più antica e illustre: «La Crestomazia di Leopardi – ora pubblicata con un bellissimo studio di Bollati – era già il mio livre de chevet da quando ho intrapreso questo lavoro», confidava a Sofri il 27 luglio 1968.

Didattica delle note

La querelle des notes scoppiò il 5 novembre 1968:

Caro Sofri – scriveva Calvino da Parigi –, sono spaventato dalla mole delle note. Mi pare che non possiamo dare per un breve brano una massa di note più lunga del brano. Se tante note sono indispensabili vuol dire che il brano è stato scelto male e va eliminato. Ma sono davvero indispensabili? Non ho mai visto un'antologia così annotata. Spaventiamo i ragazzi e i professori». E aggiungeva: «Mi pare che molte di queste note sono inutili perché spiegano parole le più comuni (perfino pala) o ripetono quasi con le stesse parole il testo; e in altri casi sono molto più complicate del testo, ingenerano confusione.

A distanza di circa un anno dall'apertura del cantiere de La lettura e dopo lunghi dibattiti sull'impostazione dei volumi, Calvino sollevava una questione apparentemente minore, ma in realtà annosa per tutta l'editoria scolastica: come si annota un'antologia?
Non si annota, avrebbe risposto Carducci. O quanto meno lo si fa il meno possibile. Da questo punto di vista le sue Letture italiane sono esemplari per sobrietà. Piuttosto che aggiungere una nota, Carducci riteneva preferibile tagliare le parole o le frasi più complesse «come foglie morte e ramicelli secchi e intristiti», purché ciò che era vivo del lessico e della sintassi rimanesse intatto68. Sebbene leggermente più generoso del maestro, ma pur sempre in linea con lo stile dell'epoca, Pascoli fu un annotatore altrettanto parco, soprattutto nella sua prima antologia. Per la seconda, su sollecitazione di Remo Sandron («Note un po' – badi un po' – più larghe di quelle di Sul limitare», gli scriveva il 20 giugno 1920 a proposito di Fior da fiore)69, fu meno avaro e all'occorrenza non disdegnò di accostare a un chiarimento lessicale un giudizio estetico, come nel caso di Tobia e la mosca di Giuseppe Giusti: «Con un ditino: e non vuol già dire che Tobia avesse le dita piccine; ma che la toccò appena, con la punta del dito. Modo molto grazioso»70.
Come la grafica delle copertine, così l'annotazione dei testi mutò col mutare della scuola. Più il bacino degli studenti si allargava, più gli antologisti abbondavano nelle spiegazioni, pur continuando a porsi il problema della giusta misura. Pancrazi osservava giustamente «che commentare un libro intero d'un solo autore si presta a un lavoro di contrappunto, di richiamo, insomma una conversazione col lettore che non è invece possibile sui pezzi d'un'antologia»71. Non solo: un conto era annotare una poesia, un altro annotare un racconto, come ancora Pancrazi ricordava all'amico De Robertis: «Nella prosa forse corri il pericolo di un più di esattezza e di minuzia, e qualche spiegazione grammaticale ovvia. Non tutta la prosa sopporta tanta attenzione stilistica, quanta la poesia. Ti pare?»72. Il successo arriso alle loro antologie pubblicate dalla Le Monnier è in larga parte dovuto all'equilibrio che i due riuscirono a raggiungere nell'annotazione, sebbene non sempre calibrato al pubblico a cui erano destinate. O almeno questa era l'opinione di un illustre commentatore di Dante e di Pascoli come Luigi Pietrobono:

Il De Robertis è un annotatore eccellente; ha dottrina, sentimento; possiede l'arte; ma qualche volta sembra pensi più ad appagare sé che i piccoli lettori, ai quali si rivolge. Ma questo, sarei tentato di dire col Giusti, ‘è un bel difetto'73.

Nel progetto de La lettura la critica di Pietrobono sarebbe assurta a criterio di lavoro. Il 16 maggio 1968 Sofri si premurò di rammentarlo a tutti i collaboratori: «ogni parola destinata a comparire nell'antologia dovrà essere rivolta allo studente e soltanto a lui»74. Ne derivava un corollario, sottolineato a più riprese da Calvino, sintetizzabile nella massima: «Ricordiamoci che questa è un'antologia, non un'enciclopedia», con la quale intendeva chiarire che il loro compito non era quello di offrire una trattazione esauriente di ogni argomento, ma quello di stimolare nei ragazzi il piacere della lettura75. Un'impostazione in controtendenza rispetto agli orientamenti didattici degli anni Sessanta e ancor più rispetto a quelli degli anni Settanta che, convalidati dai programmi del 1979, avrebbero sancito il trionfo di un modello enciclopedico di testo organizzato attorno a ‘centri d'interesse'. L'apprezzamento manifestato da Calvino per l'antologia La vita di Clorinda Gallo e Natalia Ginzburg (3 vol., De Agostini, 1981) nasceva proprio dal fatto che le autrici erano riuscite a rinnovare quel modello raggruppando la materia in «grandi categorie esistenziali che per la loro universalità e permanenza» potevano considerarsi i soli punti di partenza indiscussi di qualunque discorso educativo: Nascere, Infanzia, Gioco, Cibo, Sonno, Guerra, Amore, Casa, Malattia...76.
L'attenzione primaria ai ragazzi e al loro punto di vista aveva suggerito all'équipe de La lettura di adottare uno stile di commento estremamente sobrio. Mentre il cappello introduttivo doveva servire a presentare i personaggi, raccontare l'antefatto e accennare alla trama, le note a piè di pagina dovevano limitarsi a sciogliere allusioni, fornire indicazioni su fatti, luoghi e personaggi, e spiegare parole «non appartenenti con sicurezza alla cultura comune dei ragazzi della Scuola media»77. Nonostante l'iniziale consenso di tutti, l'apparato di note cominciò a crescere a dismisura e il 5 novembre 1968, come si è detto, Calvino ne scrisse allarmato a Sofri.
Il problema, infatti, non riguardava solo la forma, ma la sostanza. Nel caso di un brano tratto da Libera nos a malo di Luigi Meneghello, per esempio, una nota come «stadera: bilancia in cui il peso dell'oggetto viene equilibrato con un metodo che tien conto di fondamentali leggi meccaniche», preparata da un collaboratore della redazione, non solo rendeva «difficile una parola che fa parte del linguaggio e dell'esperienza popolari quotidiani, ma è antieducativa perché sostituisce un termine preciso con concetti vaghi che non voglion dire nulla». Se proprio una nota era indispensabile, Calvino proponeva allora «bilancia come quella usata dai fruttivendoli al mercato». Quanto alle definizioni scientifiche, esse dovevano essere necessariamente esatte e chiare (‘peso specifico' non era «il rapporto fra il peso e il volume di una parte di una sostanza», ma quello fra il peso e il volume «di un corpo o di una sostanza»); e, nei limiti del possibile, accendere la fantasia dei ragazzi: l'antracite menzionata in un passo di Ponge è «un minerale (roccia) che ha la stessa origine vegetale dei giacimenti di petrolio; la sua formazione sotterranea ha richiesto centinaia di migliaia d'anni; ma brucia in pochi minuti». Del tutto legittimo, infine, apportare una modifica al testo (tanto più se tradotto) se ciò consentiva di risparmiare una nota78.
L'appello alla moderazione di Calvino non riuscì a frenare il ‘delirio annotatorio' che colpì la redazione della Zanichelli e investì anche parole comunissime come ‘serbatoio', ‘ingranaggi', ‘tonfo' e ‘s'avvide'79. Ciò nondimeno continuò a predicare la buona novella della nota indispensabile ed essenziale, soprattutto quando questa mancava: «Perché poi quando di una nota c'è bisogno davvero, come per bayard, nome (credo) di un pesce, che tutti avremmo voglia di sapere che diavolo è, la nota non c'è!», sbottava correggendo le bozze di un passo tratto da Mala Kebír di Folco Quilici80. Per scrivere una nota ben fatta, del resto, era sufficiente disporre di un pizzico di buon senso e del Dizionario enciclopedico Treccani81, tenendosi alla larga da un «repertorio d'idiozie» come il Dizionario della lingua italiana Garzanti82. Quanto poi alle note biografiche, si trattava di distinguere le notizie utili da quelle inutili. Nel caso di Picasso, per esempio

Chi se ne frega se ha avuto il Premio Lenin? Queste trombonate del potere sovietico (dopo aver costantemente vituperato la sua pittura) sono l'ultima cosa che può caratterizzare un artista come Picasso. Direi: ... impegnato nel raffigurare il travaglio del mondo contemporaneo in tutta la sua spietatezza e le sue speranze. La guerra civile spagnola e la protesta appassionata contro l'oppressione del regime di Franco gli ispirarono l'affresco Guernica83.

Malgrado gli sforzi di Calvino, la moltiplicazione dei collaboratori e delle sezioni impedì a La lettura di svilupparsi secondo un'impostazione organica e unitaria. Il prestigio del suo nome garantì tuttavia all'antologia una vasta diffusione. Al suo apparire il primo volume poté contare su 45 mila adozioni, cresciute negli anni successivi grazie anche a un prezzo estremamente competitivo (1.800 lire contro le circa 2.300 delle antologie concorrenti). Un'indagine commerciale interna rivela che fu adottata soprattutto da «docenti non tradizionali o polemici nei riguardi della nuova scuola media», «aperti ad una viva concezione della lingua» e «sensibili ai problemi sociali del mondo». Nonostante l'alto grado di obsolescenza di questo genere editoriale, specialmente in anni tanto densi di cambiamenti politici e culturali84, l'antologia ebbe cinque edizioni e numerose ristampe. Gli insegnanti di mezza Italia scrissero agli autori e alla casa editrice per complimentarsi o segnalare errori, segno comunque di una vivace ricezione. Chi non gradì affatto gli imponenti e sgargianti volumi de La lettura, fu la casa editrice Einaudi, che Calvino era riuscito a tenere all'oscuro di tutto fino al 18 settembre 1968.

Per anni – gli scrisse quel giorno Roberto Cerati – ti ho chiesto di pensare ad una antologia e di farla per noi. Sarebbe stato lo strumento con il quale entrare a fondo nella scuola. Non ce lo hai dato [...]. Io che non vendo libri perché ci traggo vantaggi e guadagni, in un caso come questo non mi sento più molto a posto tra l'impegno e come vanno le cose del mondo. Ho voluto dirtelo. Tutto qui85.


Note

1 Marino Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione. Torino: Einaudi, 1980, p. 197.
2 Pietro Pancrazi a Giuseppe De Robertis, 27 settembre 1926, Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti, Firenze (d'ora in poi ACAB), fondo Giuseppe De Robertis, DR.1.49.144.
3 È quanto emerge, in tutta la sua evidenza numerica, dai due repertori Teseo: tipografi e editori scolastico-educativi dell'Ottocento e Teseo '900: editori scolastico-educativi del primo Novecento pubblicati sotto la direzione di Giorgio Chiosso rispettivamente nel 2003 e nel 2008 (Editrice bibliografica, Milano). Così come l'entità della damnatio memoriae a cui le biblioteche hanno condannato i testi scolastici è misurabile, nel caso della Mondadori, attraverso il Catalogo storico dei libri per la Scuola (1910-1945) faticosamente compilato da Elisa Rebellato (Milano: Franco Angeli, 2008). Anche se non si occupa dei riflessi delle riforme scolastiche sul mondo dei libri, Adolfo Scotto di Luzio ha tracciato le linee essenziali della storia dell'istruzione nel nostro paese in La scuola italiana (Bologna: Il mulino, 2007).
4 Augusto Monti, I miei conti con la scuola. Torino: Einaudi, 1965, p. 264-269.
5 Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa. Firenze: Libreria editrice fiorentina, 1967, p. 30-33.
6 Una testimonianza collettiva delle battaglie dell'Adesspi si trova in Democrazia e autonomia nella scuola. Torino: Einaudi, 1961.
7 L. 31 dicembre 1962, n. 1.859, Istituzione e ordinamento della scuola media statale. G. U. 30 gennaio 1963, n. 27.
8 D.min. 24 aprile 1963, Orari e programmi d'insegnamento della scuola media statale. G. U. 11 maggio 1963, n. 124, s. o. n. 1.
9 Ibidem.
10 R.d. 10 ottobre 1867, n. 1.842, Istruzioni e programmi per l'insegnamento secondario classico e tecnico, normale e magistrale, ed elementare nelle pubbliche scuole del Regno. G. U. 24 ottobre 1967, n. 291 e s. 1°.
11 Ilaria Porciani, Il libro di testo come oggetto di ricerca: i manuali scolastici nell'Italia postunitaria. In: Antonio Santoni Rugiu [et al.], Storia della scuola e storia d'Italia dall'Unità a oggi. Bari: De Donato, 1982, p. 237-271.
12 Rispettivamente l. 15 luglio 1877, n. 3.961, Sull'obbligo dell'istruzione elementare. G. U. 30 luglio 1877, n. 177 e l. 8 luglio 1904, n. 407, Dell'obbligo dell'istruzione e della scuola primaria. G. U. 4 agosto 1904, n. 182.
13 Silvio Lanaro, Il Plutarco italiano: l'istruzione del «popolo» dopo l'Unità (1981). In: Retorica e politica: alle origini dell'Italia contemporanea. Roma: Donzelli, 2011, p. 79-115.
14 Giovanni Pascoli, Fior da fiore. Prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori. Palermo: Sandron, 1902, p. XIII. Sul limitare era invece destinato alle scuole tecniche e complementari, ma fu adottato soprattutto nei ginnasi superiori.
15 R.d. 14 ottobre 1923, n. 2.345, Approvazione degli orari e dei programmi per le Regie scuole medie, art. 3. G. U. 14 novembre 1923, n. 267, s. o.
16 Monica Galfrè, Il regime degli editori: libri, scuola e fascismo. Roma-Bari: Laterza, 2005, p. 3-46.
17 Giovanni Gentile, recensione di A. D'Ancona, O. Bacci, Manuale di letteratura italiana, nuova ed. interamente rifatta. Firenze: Barbèra, 1901-1904, 6 vol., in «La critica», 2 (1904), n. 4, p. 389-394.
18 ACAB, fondo Giuseppe De Robertis, DR.1.49.94.
19 Pancrazi a De Robertis, 3 febbraio 1927, ACAB, fondo De Robertis, DR.1.49.169. Oltre all'Antologia italiana di prose e poesie per il ginnasio inferiore (1926), De Robertis e Pancrazi curarono per Le Monnier I moderni: poeti e prosatori italiani e stranieri per gli istituti tecnici inferiori e le scuole magistrali inferiori (1926) e Italia nuova e antica: prose e poesie d'ogni secolo con i giudizi dei maggiori scrittori per il ginnasio superiore (1930).
20 Roberto Cerati, Lettere a Giulio Einaudi e alla casa editrice (1946-1979), a cura di Mauro Bersani. Torino: Einaudi, 2014, p. 40-41.
21 Cfr. lo schedario delle antologie compilato da Gabriella Stassi, in Brano a brano: l'antologia di italiano nella scuola media inferiore, a cura di Carlo Ossola. Bologna: Il mulino, 1978, p. 347-371.
22 Giosue Carducci; Ugo Brilli, Letture italiane scelte e ordinate a uso delle scuole del ginnasio inferiore. Bologna: Zanichelli, 1883, p. vi. Per uno sguardo critico sulle antologie scolastiche pubblicate negli anni Ottanta dell'Ottocento, si veda la recensione complessiva di Ruggiero Bonghi pubblicata in «La cultura», 4 (1885), n. 6, p. 220-225.
23 Cfr. Istruzioni e programmi per l'insegnamento nei Licei e nei Ginnasi in esecuzione del Regio Decreto 16 giugno 1881, «Bollettino ufficiale del Ministero della pubblica istruzione», 7 (1881), n. 10, p. 785-787. Il r.d. 16 giugno 1881, n. 323, s. 3°. G. U. 31 agosto 1881, n. 203, modificava in modo non sostanziale i programmi stabiliti dal r.d. 10 ottobre 1867, n. 1.942. G.U. 24 ottobre 1867, n. 291 e 1° supplemento.
24 Sulla genesi di questa antologia, cfr. Lorenzo Cantatore, L'antologia scolastica nel secondo Ottocento e il laboratorio Carducci-Brilli. Modena: Mucchi, 1999.
25 Cit. in Le edizioni Zanichelli 1859-1939. Bologna: Zanichelli, 1984, p. 158. Lo stesso Martini aveva curato un'antologia di Prose italiane moderne per le scuole secondarie inferiori pubblicata dalla Sansoni nel 1894.
26 «Non senza turbamento affidiamo l'opera nostra al giudizio degli insegnanti cui la patria commette l'ufficio di mantenere e diffondere nei giovani il culto della Geometria. Confidiamo di trovare nel loro sapere, nel retto senso pedagogico, e nell'amore che essi portano alla scuola la più valida collaborazione, giacché un libro elementare ha bisogno piuttosto di collaboratori che di interpreti» (Federigo Enriques; Ugo Amaldi, Elementi di geometria ad uso delle scuole secondarie superiori. Bologna: Zanichelli, 1903, p. XIV).
27 Grazie alle sollecitazioni di Enriques, Fermi preparò per la Zanichelli anche un fortunato manuale di Fisica ad uso dei licei, 1929.
28 Eugenio Garin, Cronache di filosofia italiana 1900-1960, 2 vol. Roma-Bari: Laterza, 1966, I, p. 8, p. 96-98. Cfr. anche Sandro Gerbi, Giovanni Enriques dalla Olivetti alla Zanichelli. Milano: Hoepli, 2013, p. 9-14.
29 Archivio Zanichelli, Bologna (d'ora in poi AZ), incart. Carducci Pascoli D'Annunzio.
30 Cfr. rispettivamente le lettere di Bianchi a Della Monica del 20 agosto 1933 e del 3 settembre 1933, AZ, incart. Carducci Pascoli D'Annunzio.
31 R.d. 7 novembre 1925, n. 1.950, Disposizioni sul diritto di autore, art. 22. G. U. 20 novembre 1925, n. 270: «Nelle antologie ad uso scolastico è lecito riprodurre brani di opere di autori viventi o defunti, purché tali brani non superino complessivamente tre pagine dell'opera riprodotta e non oltrepassino la metà dell'opera secondo la sua ultima edizione. La riproduzione deve essere inoltre accompagnata dalla menzione dell'opera, del nome dell'autore e di quello dell'editore. Per tale riproduzione è dovuto un compenso, che, in caso di disaccordo tra le parti, sarà stabilito inappellabilmente dal direttore dell'ufficio della proprietà intellettuale presso il Ministero dell'economia nazionale».
32 M. Galfrè, Il regime degli editori cit., p. 44, p. 131-132.
33 Classicista di formazione e germanista di professione, Bianchi curò per la Zanichelli anche antologie di latino (con Claudio Vaioli) e di tedesco (con Ludwig Gorm).
34 Maria Luisa; Chiti Santoli; Mirena Bernardini Stanghellini, Leggere: antologia italiana per la scuola media inferiore, 3 vol. Bologna: Zanichelli, 1963, I, p. V.
35 De Carolis cominciò a collaborare con la Zanichelli nel 1903 illustrando la copertina dei Canti di Castelvecchio di Pascoli. Il suo capolavoro grafico fu l'antologia postuma di quest'ultimo Limpido rivo (1912).
36 Calvino a Enriques, 8 settembre 1967, AZ, incart. La lettura (prima edizione). Salvo diversa indicazione, tutte le lettere e i verbali citati di seguito sono conservati ibid.
37 Resoconto della riunione del 4 ottobre 1967 sul problema dell'antologia per la Scuola media.
38 Resoconto della riunione del 29 novembre 1967 sul problema dell'antologia per la Scuola media.
39 Italo Calvino; Giambattista Salinari, La lettura: antologia per la scuola media, 3 vol., con la collaborazione di Maria D'Angiolini, Melina Insolera, Mietta Penati e Isa Violante. Bologna: Zanichelli, 1969, I, p. 364.
40 Calvino alla Zanichelli, 2 febbraio 1968: «Evitando le “descrizioni” tipiche da antologia, le belle prose ecc., cerco degli esempi di vera osservazione, e qui può venire una raccolta bella, ricca e nuova, senza la georgica stagionale che infesta le altre antologie».
41 I. Calvino; G. Salinari, La lettura cit., I, p. 382.
42 Ivi, I, p. 394.
43 Ivi, I, p. 403.
44 Ivi, I, p. 419.
45 Ivi, I, p. 376-377.
46 Ivi, III, p. 178.
47 Ivi, III, p. 177.
48 D.min. 24 aprile 1963, Orari e programmi d'insegnamento della scuola media statale.
49 I. Calvino; G. Salinari, La lettura cit., I, p. 194-196.
50 Ivi, III, p. 180-182.
51 Ivi, III, p. 681-698.
52 Calvino alla Zanichelli, 2 febbraio 1968.
53 Calvino a Sofri, 2 febbraio 1969; Sofri a D'Angolini, 6 febbraio 1969.
54 Calvino a Sofri, 9 dicembre 1972, all. Osservazioni alle sezioni 3-7.
55 Ibidem.
56 D.min. 24 aprile 1963, Orari e programmi d'insegnamento della scuola media statale.
57 Calvino alla Zanichelli, 2 febbraio 1968.
58 Cfr. Italo Calvino; Giambattista Salinari, La lettura: antologia per la scuola media. Specimen. Bologna: Zanichelli, 1969, p. 27.
59 Ringrazio Luca Baranelli per avermi fatto leggere questo documento inedito avuto da Isa Bezzera Violante.
60 Calvino alla Zanichelli, 9 marzo 1968.
61 Calvino alla Zanichelli, 28 dicembre 1967.
62 Calvino a Sofri, 27 luglio 1968, all. Suggerimenti vari (per sezioni di cui non mi occupo io).
63 Calvino a Sofri, 27 luglio 1968, e Calvino a Sofri, Torino, 13 settembre 1968.
64 Calvino alla Zanichelli, 28 dicembre 1967.
65 Calvino a Sofri, 13 settembre 1968; Sofri a Salinari, 17 settembre 1968.
66 Calvino alla Zanichelli, 2 gennaio 1968. Consultò inoltre Dialogo aperto di Aurelio Verra e Francesco Pollo (Paravia, 1966), Il ponte di Fernando Figurelli e Raffaele Sirri Rubes (Principato, 1967) e L'avventura di Angelo Gianni e Giuseppe Galleno (La nuova Italia, 1968), oltre alle già citate Spera di sole di Paniate e Valente, Arcipelago di Luti, Ronconi e Strigelli e Leggere di Santoli e Stanghellini.
67 Calvino a Insolera e Sofri, 24 febbraio 1968.
68 G. Carducci; U. Brilli, Letture italiane scelte e ordinate a uso delle scuole del ginnasio inferiore cit., p. VII.
69 Sandron a Pascoli, 20 giugno 1900, in Archivio Giovanni Pascoli, Castelvecchio, Carteggio per corrispondenti, fasc. Remo Sandron, G.45.1.64.
70 G. Pascoli, Fior da fiore cit., p. 21.
71 Pancrazi a De Robertis, 13 febbraio 1926, ACAB, fondo De Robertis, DR.1.49.93.
72 Pancrazi a De Robertis, 2 agosto 1926, ACAB, fondo De Robertis, DR.1.49.123.
73 Pietrobono a Pancrazi, 7 novembre 1926, ACAB, fondo De Robertis, DR.1.49.154.
74 Sofri ai collaboratori de La lettura, Bologna, 16 maggio 1968.
75 Calvino a Sofri, 9 dicembre 1972, all. Osservazioni alle sezioni 3-7.
76 Italo Calvino, Le quattro strade di Primo Levi (1981). In: Saggi 1945-1985, 2 vol., a cura di Mario Barenghi. Milano: Mondadori, 1995, I, p. 1136-1137. Sull'unità del sapere promossa dai nuovi programmi si veda in particolare la parte IV del d.min. 9 febbraio 1979, Programmi, orari di insegnamento e prove di esame per la scuola media statale. G. U. 20 febbraio 1979, n. 50, s. o.
77 Resoconto della riunione del 19 aprile 1968.
78 Calvino a Sofri, 5 novembre 1968 e allegati.
79 Calvino a Sofri, 30 novembre 1968.
80 Calvino a Sofri, 30 novembre 1968.
81 Calvino a Sofri, 9 dicembre 1968.
82 Calvino a Sofri, 16 marzo 1969.
83 Calvino a Sofri, 15 febbraio 1973.
84 Il 22 luglio 1969 Mietta Penati scriveva a Sofri: «l'uomo ha messo piede sulla Luna e la nostra antologia è invecchiata prima ancora di uscire. Mi riferisco al ‘cappello' de I primi uomini sulla Luna di Wells, vol. 1°, in cui si parla di un probabile prossimo sbarco dell'uomo sul satellite».
85 R. Cerati, Lettere a Giulio Einaudi e alla casa editrice cit., p. 80.