Carmen Caligiuri
Questo contributo ha l’obiettivo di avanzare una serie di riflessioni su una singolare raccolta documentaria conservata presso la Bibliothèque nationale de France (BNF) e relativa alla repressione del brigantaggio nel decennio francese (1806-1815). Le considerazioni che seguiranno sono il risultato di una ricerca condotta presso il Dipartimento dei manoscritti della BNF, che conserva, nel suo ricco fondo italiano, quattro volumi di documenti manoscritti sotto il titolo collettivo di Répression du brigandage dans les Deux-Siciles au XIXe siècle, nel tentativo di offrire un’utile traccia nella direzione della valorizzazione di una fonte fondamentale per gli studi storiografici sul brigantaggio.
Il corpus delle fonti è costituito da documenti miscellanei redatti tra il 1806 e il 1815, durante l’occupazione francese del Regno di Napoli, essenzialmente di natura militare, compilati da numerosi autori e istituzioni proprie del Decennio in lingua italiana e francese. Tali autori, talvolta anonimi, sono per lo più generali dell’Armata di Napoli o delle legioni provinciali, funzionari della gendarmeria reale, sindaci, ministri della guerra e della marina, giudici di pace, intendenti militari delle province napoletane o sotto-intendenti dei distretti in cui erano divise le province. La collezione non segue un ordine cronologico, topografico o tematico e la raccolta appare disparata anche dal punto di vista contenutistico, per cui, accanto a una documentazione amministrativa e ufficiale, appaiono anche cronache narrative dai marcati toni retorici. Gran parte della documentazione è anonima, slegata dal contesto di appartenenza, redatta in copia, e la difficoltà di attribuire un’appartenenza certa alle carte, e, di rimando, l’impraticabilità di condurre un’analisi sull’attendibilità di tali fonti, spinge a porci delle domande sull’origine delle stesse, nella consapevolezza che, come ebbe a dire Gibelli, un primo passo per poter utilizzare la fonte è lo studio della fonte medesima1. La provenienza di gran parte dei documenti, considerata la forte proporzione di carte relative alle milizie, alle pratiche operative adottate nella repressione del brigantaggio, alla capillare conoscenza dei singoli aderenti alle bande, è attribuibile al Ministero della guerra e della marina e al Ministero di polizia del Regno di Napoli. Se si considera la scarsa documentazione proveniente da tali istituzioni nell’Archivio di Stato di Napoli, per ragioni a oggi ancora sconosciute, si comprende il rilievo e il valore dei manoscritti in questione, che spesso sono rimasti ai margini – quando non del tutto espunti – delle opere storiografiche dedicate all’amministrazione francese e/o al fenomeno del brigantaggio nel decennio. Antonio Quintavalle, autore di un’apologia sul generale Charles Antoine Manhès, aveva scritto che, alla fine della dominazione francese nel sud d’Italia, il generale francese ordinò di bruciare tutte le carte relative alla polizia, probabilmente per salvare alcune personalità troppo compromesse col governo francese2. Una parte di questa documentazione fu tuttavia salvata e trasferita in Francia probabilmente da un funzionario francese o napoletano dopo il 1814. Il processo di dispersione delle carte non ebbe tuttavia inizio col declino del regno murattiano, bensì la situazione caotica in cui a lungo rimasero le province del Regno a causa della presenza del brigantaggio ebbe forti ripercussioni anche sulla conservazione delle carte riguardanti gli affari militari e di polizia fin dal 1806. Da numerosi rapporti degli intendenti al Ministro dell’interno, emerge, infatti, l’esigenza per le élite amministrative di dare al fuoco le carte prodotte particolarmente nei casi in cui le bande brigantesche assediavano le città o minacciavano di occuparle e, d’altra parte, quando non erano gli impiegati a distruggere la documentazione, non di rado furono le stesse bande a demolire perfino gli edifici della conservazione al fine di cancellare le tracce delle accuse nei loro confronti3.
I manoscritti conservati dalla Bibliothèque nationale de France acquisiscono importanza cruciale, ancor più se si considerano la consistente mancanza degli archivi napoletani e le traversie relative alle carte che all’epoca della loro redazione non avevano nemmeno cessato la loro funzione corrente. La ricostruzione della storia di viaggio dei manoscritti acquisisce interesse nella misura in cui essi furono considerati oggetto di conservazione dai contemporanei e che ne giudicarono necessaria la dislocazione dal suolo napoletano a quello francese.
La tematica della repressione del brigantaggio nel decennio francese è stata a varie riprese affrontata in gran parte utilizzando la documentazione degli archivi italiani. Anche se gli studi sul tema sono numerosi, essi hanno sicuramente sofferto della dispersione delle fonti documentarie, presenti per lo più nell’Archivio di Stato di Napoli, nella Sezione militare di Pizzofalcone, nella Biblioteca nazionale di Napoli, nella Biblioteca della Società napoletana di storia patria, ma anche negli archivi di stato dei capoluoghi delle province del Regno, così come a Palermo, che fu sede della Corte borbonica, e, infine, negli Archives nationales de France (ANF), dove è conservata gran parte della corrispondenza dei generali francesi che operarono a Napoli, e negli Archives du service historique de la défense di Vincennes. Il prezioso fondo della Bibliothèque nationale de France è stato spesso omesso dagli studiosi che del tema si sono occupati.
Un excursus storiografico ci è qui utile al fine di comprendere quali studi sono stati condotti sui manoscritti e quanti, tra essi, si sono posti la questione della trasmissione di tale documentazione, analisi necessaria a una critica delle fonti che ne individui il valore storico. Dal 1885, data che appare sui frontespizi dei manoscritti e che ne indica la rilegatura in volumi, agli anni Dieci del Novecento, la raccolta rimase del tutto inutilizzata e, a oggi, è ancora sconosciuta ai più. Il primo storico che citò tale documentazione, e cui dobbiamo la preziosa indicazione, fu Jacques Rambaud, che ha affrontato la tematica dell’occupazione francese del Regno, in particolare sotto Giuseppe Bonaparte, in maniera meticolosa e attenta, utilizzando in parte i manoscritti della BNF e, tuttavia, restando ancorato a profondi pregiudizi che avevano contraddistinto fino ad allora l’approccio alle vicende del Meridione4. Il testo di Angela Valente sul periodo murattiano, d’altro canto, ignorava tali fonti, concentrando l’attenzione piuttosto sulle numerose carte e memorie conservate a Napoli nella prima edizione e arricchendo la seconda delle fonti provenienti dagli archivi di Francia e della recente acquisizione, nel 1951, dell’Archivio Borbone da parte dell’Archivio di Stato di Napoli5. Ad ogni modo, a partire da Rambaud, i manoscritti della biblioteca parigina hanno via via conosciuto un interesse crescente, anche se ancora a lungo bisognerà attendere prima di vederli collocati in un preciso spazio storiografico. La tematica del brigantaggio nelle province calabresi, le più colpite dal fenomeno, ha conosciuto una fioritura storiografica con l’apparizione di Calabria napoleonica di Umberto Caldora negli anni Sessanta del secolo scorso. In un capitolo dedicato all’opposizione al regime napoleonico, Caldora faceva riferimento alla documentazione sulle vite dei più famosi capi briganti delle Calabrie, conservata nel volume 1124 dei manoscritti, citata anche da Gaetano Cingari nel testo dedicato alla controrivoluzione del 1799 in Calabria6. Atanasio Mozzillo coglieva la preziosa indicazione del Caldora, trascrivendo alcuni documenti presenti nello stesso volume e, tuttavia, tralasciando di commentarli7. Quello di Mozzillo può considerarsi il primo serio tentativo di ricostruzione delle vicende della conquista francese delle Calabrie e che abbia al centro l’insorgenza calabrese, corroborato da un’attenta analisi di una cospicua mole di documenti, liberamente disponibili al lettore in appendice. Mozzillo consultò non solo i documenti degli Archivi di Stato di Napoli, Cosenza e Catanzaro, largamente utilizzati dalla storiografia precedente, ma anche quelli degli Archivi della guerra di Parigi e, in parte, della Bibliothèque nationale de France. Un’attenzione maggiore alle fonti fu data all’occasione del VI Congresso storico calabrese, “La Calabria dalle riforme alla restaurazione”, nel 1977, quando Francesco Barra diede un nuovo impulso agli studi: egli indicava, in particolare, due inedite cronache presenti nel volume 1127, rimarcando come, fino ad allora, la storiografia non avesse dato il giusto peso alle voci calabresi in quanto diretti testimoni dei fatti8. Cogliendo l’invito del Barra, Ilario Principe trascrisse in L’ultima plebe numerosi documenti inediti appartenenti ai manoscritti, dei quali però non indicava la provenienza. Egli lamentava una discordanza di premesse e di conclusioni degli studi sul brigantaggio e la mancanza di uno studio esauriente e specifico del fenomeno, sia per la Calabria che per il Mezzogiorno in generale, tuttavia demandando ad altri studiosi l’utilizzo delle fonti che con perizia trascrisse senza provare a fornirne un’interpretazione critica9. Nel 1981, Francesco Barra pubblicò le Cronache, in cui apparirono le cronache tratte dai manoscritti inerenti alle Calabrie, all’Aquilano, al Cilento, alla Costiera amalfitana e, infine, alla Terra di Lavoro, che occuparono, per la prima volta, una precisa collocazione nel contesto storico di riferimento. Nel corso degli anni Ottanta, egli si occupò di portare alla luce altre inedite narrazioni, riguardanti in particolare la provincia di Principato Citra, sulle quali avanzò attente riflessioni storiche10. Tali cronache per quanto tendenziose – o forse in ragione di questo – hanno rappresentato, negli studi storiografici, un primo passo per valorizzare la partecipazione borghese nella lotta al brigantaggio, riflettendo le chiusure e i risentimenti del ceto dei «galantuomini», testimoni diretti e vittime, o al contempo fautori, delle insurrezioni antifrancesi.
Nel nuovo secolo abbiamo assistito a una rinascita dell’interesse nei riguardi, in particolare, della guerra calabrese, assunta a campo d’indagine per comprendere i volti della violenza da un lato e il processo di modernizzazione attuata nel decennio dall’altro, interesse tradottosi sia in contributi in volumi collettanei, sia in biografie che tracciano i profili prosopografici di alcuni protagonisti del brigantaggio calabrese, sia in monografie specificatamente dedicate al tema dell’insurrezione delle Calabrie. Autori quali Milton Finley, John Davis, Nicolas Cadet e Vincent Haegele hanno dedicato al tema attente riflessioni, incrociando le fonti italiane e francesi, e, in particolare, citando alcuni documenti appartenenti al fondo italiano della BNF, conferendogli un adeguato spazio nella ricostruzione storica11. Di recente, il testo Amministrare e punire, titolo di foucaultiana memoria, ha rappresentato un nuovo importante contributo per la ricostruzione dell’insurrezione calabrese di fronte all’installazione dell’apparato governativo e amministrativo francese, inserendo le Calabrie nella diade modernizzazione-reazione che caratterizza il decennio12. L’autrice, Valeria Ferrari, traccia le vicende storiche dell’insurrezione e della repressione vedendone gli svolgimenti attraverso la dimensione politico-istituzionale, basandosi in gran parte sulle fonti del Ministero dell’interno dell’Archivio di Stato di Napoli e sulla documentazione presente negli Archives nationales de France, ma, ancora una volta, espungendo dall’analisi le preziose fonti della biblioteca parigina.
La trascrizione parziale dei documenti presenti nei volumi 1124-1127 da molti autori operata al fine di fornire un valido strumento di consultazione di fonti dirette e il loro utilizzo ai fini della ricostruzione storica non sono stati, tuttavia, affiancati da un’analisi critica delle fonti. La riproduzione, seppur parziale dei documenti, è stata sicuramente fondamentale e, tuttavia, da sola non basta a far ‘parlare’ i documenti. È utile che questa sia corroborata da un’adeguata contestualizzazione e che il contenuto di queste fonti trovi una sua collocazione nella ricostruzione storica delle vicende insurrezionali. Peraltro, questa documentazione appare utilissima per supportare interpretazioni e riflessioni sulla rivolta e per comprendere le dinamiche sottese alle pratiche di guerriglia e controguerriglia nel decennio. I volumi miscellanei raccolgono una documentazione disparata, la quale pone allo storico alcune riflessioni di base sulla natura delle fonti. Il tema del brigantaggio, già vasto e complesso, richiede un approccio prudente nei riguardi di fonti spesso mediate dalle convinzioni degli autori, parziali, tendenziose e permeate da pregiudizi. Aspetti questi che tuttavia ci dicono molto sulle rappresentazioni della rivolta insite nel linguaggio utilizzato dagli scriventi e che molto rivelano delle preoccupazioni dell’apparato governativo francese, nonché della tensione delle élite napoletane a conquistare la fiducia degli alti comandi francesi profondendo la massima diligenza anche nella narrazione, calcando a più riprese toni denigratori nei riguardi dei briganti loro connazionali.
La presenza delle carte relative al brigantaggio del decennio nel fondo italiano della BNF pone delle questioni nient’affatto scontate relative alle motivazioni di questa presenza. Banalmente, perché tali documenti si trovano a Parigi? Possiamo descrivere le tappe della dislocazione dei manoscritti dal suolo italiano a quello francese o, perlomeno, datare l’acquisizione dei documenti da parte della BNF? Un primo passaggio che mi ha permesso di ottenere delle preliminari risposte a tali questioni è stata la consultazione degli inventari del fondo italiano del Dipartimento dei manoscritti.
Nel 1835, Antonio Marsand, che fu professore emerito dell’Università di Padova, cominciò a pubblicare un catalogo dei manoscritti italiani della Biblioteca di Parigi, apparso per la prima volta in due volumi nel 183813. In questo catalogo, i manoscritti italiani sulla repressione del brigantaggio non sono indicati. Nel secondo volume, Marsand precisò che non c’era ragione di credere che egli avesse mancato di catalogare qualche manoscritto. Al tempo, i manoscritti italiani non erano catalogati in un fondo unico, che nascerà soltanto nel 1860, sotto la direzione dell’archivista Natalis de Wailly14, conservatore del Dipartimento dei manoscritti a partire dal 1854. Intellettuale dedito alla conoscenza delle fonti storiche, Wailly occupa in questo discorso un ruolo cardine, se si pensa alla nozione di «respect des fonds», un concetto legato al suo tentativo di rinnovamento degli archivi francesi e che ha molto influenzato l’organizzazione a venire degli istituiti di conservazione: la «méthode historique» o «principe de provenance» diventerà il principio consolidato dell’organizzazione archivistica francese, rispettando l’idea secondo la quale il riordinamento cronologico e a seconda della provenienza istituzionale trovava la sua ragion d’essere nella storia stessa15. Alla nascita, il fondo italiano conservava 1389 volumi, comprendendo sia quelli catalogati da Marsand, sia quelli sfuggiti alle sue ricerche o acquisiti dalla Biblioteca dopo il 1838.
Nel 1882, Gaston Raynaud si occupò di catalogare i manoscritti appartenenti al fondo italiano, pubblicando un inventario per facilitarne la consultazione e per compensare alle mancanze di Marsand16. Nel 1881, il fondo italiano si era arricchito considerevolmente e arrivò a contare 1691 manoscritti. Bisognava, dunque, riformulare il catalogo, aggiungendovi le nuove acquisizioni della Biblioteca. L’inventario che ne risultò fu, perciò, una sorta di supplemento o di completamento al lavoro di Antonio Marsand. È in tale inventario che possiamo trovare la prima indicazione dei manoscritti italiani dediti al brigantaggio, n. 1124-1127. L’indicazione è la seguente: «Liasse (destinée à former 4 volumes) de pièces relatives au brigandage et à l’occupation militaire française du royaume des Deux-Siciles, sous le premier empire – XIXe s. (nouv. acq.)». L’informazione «nouvelle acquisition», in particolare, ci informa che i documenti in questione sono entrati in Biblioteca probabilmente tra il 1838 (catalogo di Marsand) e il 1882 (inventario di Raynaud): non si trattava, dunque, di opere sfuggite alla catalogazione di Marsand, ma acquisite successivamente al 1838. Sul frontespizio dei manoscritti 1124-1127 appare, tuttavia, la data del 1885, riferita, a mio avviso, alla data in cui quel mazzo di documenti sciolti fu rilegato nei quattro volumi del progetto iniziale.
Tra il 1886 e il 1887, il filologo italiano Giuseppe Mazzatinti pubblicò un inventario dei manoscritti della Biblioteca di Parigi, volendo porre rimedio agli errori di Marsand e di Raynaud17. L’intenzione di Mazzatinti non era solo quella di redigere un inventario per facilitare la consultazione dei manoscritti, ma anche quella di tentare di formulare delle ipotesi sull’origine di questi e, in particolare, indicare da quali biblioteche italiane essi provenissero. Tuttavia, Mazzatinti non fece cenno ai manoscritti relativi al brigantaggio.
Informazione preziosa per restringere ulteriormente l’arco cronologico dell’acquisizione dei manoscritti da parte del Dipartimento è il timbro apposto sui documenti. Si tratta, infatti, del timbro della Biblioteca imperiale e, sappiamo, che nell’arco indicato in precedenza, dunque tra 1838 e 1882, solo dal 1852 al 1870 la Biblioteca ha avuto la denominazione di Bibliothèque impériale, in corrispondenza del Secondo Impero di Napoleone III. Il timbro, con molta probabilità, fu impresso alle carte fin dall’entrata dei documenti in BNF, prima della rilegatura in volumi che avvenne solo nel 1885, quando ormai, dal 1871, la BNF aveva acquisito il nome di Bibliothèque nationale.
Questa prima analisi, che nulla ci dice a proposito della trasmissione della documentazione, ha permesso, tuttavia, di inquadrare perlomeno un arco temporale che va dal 1852 al 1870. Restano però ancora delle domande aperte. Dove furono conservati i manoscritti dal 1814 al 1852-1870? Chi si occupò della loro custodia e a quali fini?
Un utile strumento per approdare a una datazione più circoscritta nel tempo e che ci dia utili informazioni in questo senso sono i registri delle acquisizioni del Dipartimento dei manoscritti della BNF, che raccolgono le acquisizioni e i doni del Dipartimento dal 1833 a oggi.
Tra il 1852 e il 1870 non c’è traccia dei manoscritti italiani relativi al brigantaggio nel registro delle donazioni della BNF e, anche ampliando il quadro temporale di ricerca dal 1848 al 1893, non vi sono informazioni in merito18. Possiamo dunque essere certi che l’entrata dei manoscritti al Dipartimento non ebbe carattere di donazione, ma essi furono acquisiti dalla Biblioteca poiché giudicati di interesse storico. E, in effetti, è nei registri delle acquisizioni del Dipartimento tra 1848 e 1893 che mi è stato possibile rinvenire l’indicazione dell’acquisto dei manoscritti relativi al brigantaggio19.
Il numero d’ordine dell’acquisto è 5783. La data di entrata è l’8 ottobre 1863. L’origine dei manoscritti è attribuita a «mademoiselle Année», residente in via Saint Dominique Saint Germain, n. 170. Il titolo collettivo dei documenti è Liasse des pièces relatives à la législation, à l’administration civile et militaire et au brigandage dans le royaume de Naples, depuis les mois de février 1806 jusqu’au 1er février 1814, après la défection de Murat. L’acquisto fu effettuato per la somma di cento franchi. Ho condotto ulteriori ricerche sull’acquisto, consultando i processi verbali del Consiglio del Dipartimento dei manoscritti, ma nulla è emerso a proposito dei manoscritti relativi al brigantaggio nelle riunioni del 1863.
La provenienza ‘femminile’ delle fonti e l’incognita identità di «mademoiselle Année» – la cui omonimia col termine francese «année» rendeva ancor più difficile ottenere risposte – mi hanno spinta a pormi ulteriori domande e a tentare di sciogliere l’intreccio attorno alla figura. Chi era «mademoiselle Année» e qual era il legame con le carte in suo possesso? Vincent Haegele, direttore della Biblioteca di Versailles e storico francese, ha avanzato l’ipotesi, ancora in corso di pubblicazione, secondo la quale le carte proverrebbero da una figlia o nipote di un generale francese operante a Napoli nel decennio, in particolare da qualche personalità legata allo Stato maggiore del generale Jacques-Marie Cavaignac, con cui probabilmente «mademoiselle Année» aveva legami di parentela, ipotesi emersa in ragione della numerosità dei documenti provenienti dal generale francese. Peraltro, egli avanzava dei dubbi in merito al cognome «Année», poco diffuso in Francia e che poteva essere in realtà uno pseudonimo utilizzato ai fini di una donazione più discreta. L’ipotesi di Haegele, sebbene conferisca ulteriore validità all’acquisto, contestualizzandolo nell’ambito di una donazione riservata dettata dal ruolo della famiglia Cavaignac nell’opposizione all’epoca del Secondo Impero di Napoleone III, conserva dei punti deboli derivanti dalla mancanza di fonti a sostegno di tale interpretazione. Le lettere di Cavaignac a Murat, conservate nel manoscritto 1125, sono tutte in copia e sembrano essere state oggetto di una revisione condotta da qualche altra personalità operante all’interno del Ministero della guerra e della marina del Regno di Napoli20. Peraltro, le lettere non sono ricopiate nella loro interezza: si tratta di estratti tematici realizzati, probabilmente, su commissione.
Ulteriori ricerche sulla famiglia Année mi hanno anzitutto condotto a scartare l’ipotesi dello pseudonimo. Il patronimico Année è originario della Normandia e, restringendo il campo di ricerca agli anni della Rivoluzione e dell’Impero, emergono alcune importanti personalità appartenenti alla famiglia. Aimé Antoine de Birague individuava, in particolare, alcuni componenti della famiglia Année che avevano occupato dei ruoli di rilievo nella storia francese, tra i quali Année Pascal (-1814), Année Antoine (1770-1846), Année Monique (-1845) e Année Jean-Louis-Théodore, l’unico ancora in vita nel momento in cui Birague redigeva la storia genealogica e biografica delle principali famiglie francesi21. Tra queste personalità, quella cui potrebbero essere legate le carte oggi conservate in BNF è Antoine Année. Egli nacque in Normandia nel 1770 e fu impiegato nell’armata rivoluzionaria in quanto contabile. A seguito della caduta di Robespierre, si dedicò alla letteratura e al giornalismo. Fu autore di numerose opere drammatiche e di carattere comico. Nel 1808, fu inviato, al seguito di Murat, nel Regno di Napoli, dove occupò il posto di capo del personale della guerra e della marina del Regno e di viceispettore di prima classe alle riviste. Fu, in seguito, decorato dell’Ordine delle Due Sicilie e della Legione d’onore22. Abbiamo ragione di credere che i documenti a oggi in possesso della BNF appartenevano, dunque, ad Antoine Année, che poteva aver avuto accesso alla documentazione del Ministero della guerra e della marina del Regno di Napoli, in quanto ricopriva il ruolo di capo del personale. Probabilmente, egli portò le carte in Francia e, in particolare, a Parigi, a seguito della caduta di Murat e della fine dell’occupazione francese. Li conservò e custodì apparentemente perché, infaticabile scrittore, come ci informa Birague, era in procinto di scrivere una storia del Regno di Napoli durante l’occupazione francese. Possiamo a ragione supporre, dunque, che «mademoiselle Année» sia Hectorine Année, figlia di Antoine Année e che conservò le carte del padre fino a quando non ritenne opportuno donarle alla Biblioteca nel 186323.
I manoscritti erano rimasti perciò custoditi in mano privata dalla caduta del Regno murattiano fino a quando, ormai da tempo cessata la loro funzione corrente e, in seguito, deceduto il detentore delle carte, entrarono a far parte del deposito dei manoscritti della Biblioteca imperiale. Année, da letterato forse, più che in quanto ricoprente un ruolo pubblico nella gestione del personale militare, li conservò essenzialmente per esigenze personali, legate alla volontà di narrare gli eventi dell’occupazione francese del Regno e dunque ai fini di una ricostruzione storica.
Quel che ci spinge, inoltre, ad attribuire la provenienza dei manoscritti ad Antoine Année è la presenza di alcuni documenti da lui firmati nel manoscritto n. 1126. Una glossa al margine di una serie di bozze, redatte tra il 1811 e il 1814, relative al progetto di decreto sulla competenza dei Tribunali militari attivi nel decennio, attribuisce la scrittura ad Année, che fu probabilmente autore delle carte destinate a Murat e alla regina Carolina Bonaparte24. La medesima nota appare pure nelle bozze destinate a Murat e relative al Codice penale, introdotto nel Regno di Napoli nel 1808 sul calco di quello vigente in Francia fin dal 179125. In quanto capo del personale della guerra e della marina e viceispettore alle riviste, Année fu il firmatario di altri documenti riguardanti le somme dovute alle legioni provinciali26.
Nulla sappiamo, tuttavia, a proposito del manoscritto che Antoine Année era in procinto di redigere. Nel 1967, molti anni a seguito della morte di Année, su la Revue de l’Avranchin et du pays de Granville, un’opera postuma attribuita ad Antoine Année fu pubblicata col titolo di Un normand prisonnier en 1810 des bandits de la Calabre27. Ancora una volta i briganti e ancora una volta la Calabria. Il titolo stesso dell’opera fa riferimento a un soggetto molto presente nei manoscritti italiani conservati in BNF. Il «normand» poteva dunque, a ragione, essere Antoine Année, originario di Avremesnil, in Normandia. Tuttavia, probabilmente l’attribuzione, e la successiva assegnazione del titolo, si basarono su un grossolano fraintendimento. Il racconto, infatti, fu redatto dall’allora verificatore dei demani François Astrue, che scrisse nel 1810 un rapporto indirizzato a Pietro Colletta, allora intendente della provincia di Calabria Ultra, sulla prigionia dal 24 luglio al 9 agosto 1810 presso una comitiva di briganti calabresi, guidati da Paolo Mancuso Parafante e Lorenzo Benincasa. Nel racconto, non si fa menzione all’identità del prigioniero, ma l’incrocio di questa fonte con i rapporti che Pietro Colletta indirizzò al Ministro dell’interno nello stesso periodo ci permette piuttosto di attribuire l’opera ad Astrue28. L’attribuzione ad Année, tuttavia, poteva avere un senso, nella misura in cui Colletta inviò il rapporto di Astrue al Ministro dell’interno o al Ministro della guerra e che poi Année conservò assieme alle altre carte custodite, ma che non confluì nella raccolta che poi fu acquisita dalla BNF. Alla fine del racconto, peraltro, Astrue afferma di voler fare oggetto di altro rapporto una caratterizzazione più dettagliata dei briganti che ebbe modo di conoscere a fondo in quei diciassette giorni di prigionia29, biografie che, effettivamente, sono presenti nel volume 1124, sebbene attribuite da una nota anonima all’aiutante generale Antonio Iannelli30.
Questo saggio ha tentato di fare delle vicende legate alla trasmissione dei manoscritti italiani relativi al brigantaggio un preciso oggetto di ricerca. Finora, nessuno studio era stato condotto in merito alla trasmissione di tali manoscritti e la questione diventava preminente alla luce della rinascita degli studi sul tema del brigantaggio nel decennio francese.
I manoscritti relativi al brigantaggio e oggi conservati in BNF restarono a lungo, dunque, in mano privata, almeno dal 1814-1815 al 1863, quando dal chiuso delle stanze di Année passarono agli archivi della biblioteca, dove quasi fin da subito trovarono collocazione nel nuovo nato fondo italiano, dapprima nella loro conformazione in fogli slegati e, a partire dal 1885, nella forma rilegata che oggi consultiamo. Non sappiamo se Antoine Année ricevette specifiche disposizioni sulla conservazione dei documenti, se ebbe il tempo di selezionarli prima di lasciare Napoli, se raccolse carte alla rinfusa appartenenti al Ministero della guerra per soli fini narrativi, come apparentemente ci informa Birague. Peraltro, la tematica del brigantaggio nella penisola italiana, che è preponderante nella raccolta, appare un confermato oggetto di interesse storiografico da parte degli studiosi francesi nella prima e nella seconda metà dell’Ottocento. La rinascente ondata di brigantaggio nel decennio post-unitario nel Mezzogiorno d’Italia corrispose a un rinnovato interesse degli studi sul tema su scala internazionale. L’interesse crescente degli studi sul brigantaggio rispondeva all’esigenza comune di comprendere le cause di un fenomeno che appariva in tutti i suoi caratteri di persistenza e cronicità, ma rispondeva anche a interessi letterari in cui il brigantaggio andava acquisendo via via caratteri mitici31. È del 1862, per citare un esempio, l’opera del Monnier sul brigantaggio in Italia meridionale, frutto di un lungo soggiorno a Napoli e di una serie di indagini sul Meridione32. Del 1875 è invece il testo di Dubarry, in cui raccolse le notizie relative non solo ai tempi più recenti del brigantaggio in Italia, ma volendo approdare a una sua storia generale dalle origini alla contemporaneità33.
Più che una raccolta miscellanea, senza criteri di uniformazione, quella di Année appare, nel panorama storiografico e letterario ottocentesco, il tentativo di recupero di notizie circa avvenimenti specifici delle province napoletane nel decennio. Lo testimoniano, peraltro, le numerose annotazioni che a varie riprese emergono nella documentazione, svariate volte sottolineata da mani differenti rispetto agli scriventi o ripresa con l’aggiunta di glosse al margine. In un’ottica di cucitura di ciascun frammento, Année probabilmente tentava di ricostruire quel passato in cui egli, in prima persona, aveva vissuto e operato. Le carte del Ministero, in quanto tali, possedevano interesse di carattere pubblico, che sarebbero potute confluire negli Archives nationales de France, alla stregua dei fondi Murat, Joseph Bonaparte, Masséna, Reynier e di altri generali che nel Regno di Napoli operarono e che poi fecero ritorno in Francia. Non poteva essere ignota ad Année la funzione pubblica dei documenti sottratti, che non ricadevano nella sfera della proprietà privata. Che sia stata una tendenza al collezionismo, confermata in parte anche dai documenti miscellanei presenti nella raccolta, in cui vi sono anche rari documenti successivi al decennio, oppure che rispondesse alla precisa esigenza di scrivere una storia del Regno di Napoli, funzionale probabilmente alla storia di Francia, la raccolta di Année può, a ragione, costituire un singolare oggetto di ricerca, che ancora richiede verifiche e approfondimenti.
Il presente saggio è frutto di un lavoro di ricerca, ancora in corso, condotto in qualità di ricercatrice associata alla Bibliothèque nationale de France (2020-2021) sui manoscritti n. 1124-1127 del fondo Italien del Dipartimento dei manoscritti. Nell’ottica di consentire una più ampia conoscenza di tali fonti per la comunità degli studiosi, è in corso di pubblicazione un lavoro di inventariazione dei manoscritti, disponibile all’indirizzo https://archivesetmanuscrits.bnf.fr/ark:/12148/cc102167. Ringrazio il professore Roberto Guarasci per la preziosa indicazione delle fonti d’archivio e per aver letto e commentato questo testo e Charles-Éloi Vial, responsabile del mio progetto di ricerca in BNF.
Ultima consultazione siti web: 3 marzo 2021.