L’attenzione al tema dell’impatto delle biblioteche, inteso come il cambiamento, il miglioramento in un individuo o in una comunità derivante dal contatto con i servizi bibliotecari1 – tema centrale nell’ultimo decennio nel nostro settore anche in Italia – può essere considerata il riflesso di una trasformazione esterna: sociale, politica, economica, tecnologica. Si tratta di un vero cambio di paradigma – nel senso attribuito da Thomas Kuhn a questa espressione – nella definizione del progresso della società non più misurabile soltanto dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale.
Due sono i punti di riferimento per inquadrare il cambiamento: a livello internazionale, a partire dal 2016, l’Agenda 2030 dell’ONU con i suoi 17 Sustainable development goals (SDGs), declinati in 169 target e accompagnati da 240 indicatori attraverso cui misurarli, che rappresentano i valori, le priorità e gli obiettivi, appunto, per un mondo equo e sostenibile2; ancora prima, in Italia, il progetto sul Benessere equo e sostenibile (BES) dell’Istat3, sul quale ci soffermiamo in questa breve riflessione.
Nato nel 2010, da un’iniziativa congiunta del CNEL e dell’Istat, il Rapporto BES si inquadra nel dibattito internazionale sul superamento del prodotto interno lordo (PIL) come indicatore di benessere, alimentato dalla consapevolezza che i parametri sui quali valutare il progresso di una società non possano essere esclusivamente di carattere economico, ma debbano tenere conto anche le fondamentali dimensioni sociali e ambientali del benessere. La multidimensionalità della nozione di benessere e la complessità della sua misurazione sono i temi centrali del rapporto. Non solo, altro tema fondamentale è relativo alla centralità dei dati: nella società dell’informazione, i dati – e i dati statistici in particolare – sempre più vengono presi in considerazione per una migliore informazione e, dunque, per prendere decisioni.
Per intraprendere questo percorso nel 2010 è stato costituito un Comitato di indirizzo sulla misura del progresso della società italiana, composto da rappresentanti delle parti sociali e della società civile che ha avuto il compito di individuare i domini che concorrevano a rappresentare il benessere. Parallelamente una Commissione scientifica, presieduta da Enrico Giovannini – allora presidente dell’Istat, oggi Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili nel governo Draghi – ha avuto il compito di lavorare alla selezione degli indicatori statistici, capaci di rappresentare quei domini. Sono state così definite le 12 dimensioni del benessere equo e sostenibile per l’Italia – 1) Salute; 2) Istruzione e formazione; 3) Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; 4) Benessere economico; 5) Relazioni sociali; 6) Politica e istituzioni; 7) Sicurezza; 8) Benessere soggettivo; 9) Paesaggio e patrimonio culturale; 10) Ambiente; 11) Ricerca e innovazione (oggi Innovazione, ricerca e creatività); 12) Qualità dei servizi – e un set di 130 indicatori.
Questa linea di ricerca ha portato nel 2013 alla pubblicazione del primo Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (BES). Lo scorso 10 marzo è stata presentata l’ottava edizione a dieci anni dall’avvio del progetto4.
Prima di arrivare alla novità introdotta in questo rapporto è utile fare ancora un piccolo passo indietro e ricordare che l’importanza del dibattito sugli indicatori di benessere si basa sul principio espresso con particolare enfasi in un fondamentale documento uscito nel 2009: il Rapporto finale della Commissione sulla misurazione della performance economica e del progresso sociale, – la cosiddetta Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi – il lavoro più significativo che ha influenzato gli studi sul benessere5. Il principio era: «what we measure affects what we do; and if our measurements are flawed, decisions may be distorted».
Chi si occupa di biblioteche e – penso – ancor di più chi le frequenta crede fermamente che queste siano un vero e proprio ‘punto di riferimento’ nei quartieri e nelle città per la ‘crescita culturale’, per il rafforzamento di ‘relazioni sociali positive’, in generale per il ‘benessere’ delle persone (bambini, adulti, anziani, studenti, lavoratori, studiosi ecc.). Percepite come luoghi ‘prossimi’, ‘accoglienti’, ‘sicuri’, le biblioteche si configurano come una vera e propria ‘opportunità di crescita’. Queste evidenziate non sono parole mie ma è quanto emerge dall’indagine nazionale “La biblioteca per te”, la più grande ricerca rivolta ai cittadini mai realizzata nel nostro Paese sul ruolo della biblioteca pubblica nella vita delle persone orientata al paradigma del benessere e alla qualità della vita, evocato in questa riflessione6.
Eppure, nonostante questa evidenza, abbiamo sempre avuto e continuiamo ad avere molta difficoltà nel misurare questo contributo, questo impatto, diciamo pure il valore delle biblioteche per le comunità. Possiamo tranquillamente affermare che nel nostro settore, escludendo l’indagine appena citata e poche altre che non riporto per necessità di sintesi, abbiamo sperimentato e continuiamo a sperimentare gli effetti terribili del principio espresso da Stiglitz, Sen e Fitoussi sopra ricordato: il ‘cosa si misura’ influenza il ‘cosa si fa’ e se gli strumenti utilizzati non sono corretti o non riescono a cogliere tutte le caratteristiche del fenomeno di interesse, essi possono indurre a prendere decisioni inefficaci o sbagliate7. Se pensiamo allo scarso riconoscimento sociale delle biblioteche, alla loro crisi di legittimazione e alla difficoltà di misurarne l’impatto nel paradigma descritto capiamo che le due cose sono fortemente collegate.
Proprio il Rapporto BES poteva essere considerato un esempio potente di questa relazione che esiste tra dati e misurazioni da una parte e identità e immaginario dall’altra: fino allo scorso anno nel set dei 130 indicatori presenti nel Rapporto solo uno faceva riferimento alle biblioteche all’interno del dominio “Paesaggio e patrimonio culturale”: un indicatore di input che offriva una misura della spesa destinata alla valorizzazione dei beni culturali8. Nulla sui risultati prodotti (output), nulla sull’impatto (outcome).
In questo senso con l’ultimo Rapporto BES qualcosa di molto importante è accaduto. Il grande traguardo al quale faccio riferimento nel titolo di questo editoriale riguarda l’inserimento di un nuovo indicatore di output tutto dedicato alle biblioteche all’interno del dominio “Istruzione e formazione”. Questo dominio esprime la relazione fortissima che esiste tra il livello di competenze e il benessere delle persone per le quali si aprono percorsi e opportunità altrimenti preclusi. L’attenzione verso il potenziamento e l’aggiornamento delle competenze è uno dei punti principali per l’attuazione delle politiche europee del Green deal europeo e il fondo Next generation EU ha, tra i suoi contenuti, anche le agende per l’istruzione e le competenze.
Il nuovo indicatore si chiama “Fruizione delle biblioteche” ed è definito come «la percentuale di persone di 3 anni e più che sono andate in biblioteca almeno una volta nei 12 mesi precedenti l’intervista sul totale delle persone»9. Questa integrazione per le biblioteche italiane si configura come una straordinaria opportunità segnando il raggiungimento di un grande traguardo per tutto il settore e per di più in un momento in cui il messaggio che tale risultato veicola è particolarmente importante. Penso ovviamente alla riflessione in corso al momento in cui scrivo sul Piano nazionale ripresa e resilienza (PNRR): il documento, che traccia gli obiettivi, le riforme e gli investimenti che l’Italia vuole realizzare proprio con i fondi europei di Next generation EU.
Alla luce di questa novità le biblioteche, dunque, non si posizionano più solo come una parte importantissima del nostro patrimonio culturale ma anche come una infrastruttura, un mezzo per la crescita delle persone, uno strumento per l’istruzione e la formazione di qualità, richiamato anche dall’Obiettivo 4 dell’Agenda 2030.
L’investimento sulle nuove generazioni che dobbiamo fare in questo momento di progettazione e ricostruzione del futuro passa proprio per una istruzione di qualità – considerata in assoluto la priorità – che vede nella scuola, nella formazione continua, nella partecipazione culturale e anche nelle biblioteche una leva fondamentale10. Utile aggiungere a questo proposito che ancora nel dominio “Istruzione e formazione” è stato inserito anche l’indicatore “Lettura di libri e quotidiani”11.
Il risultato appena descritto non è assolutamente da considerarsi un punto di arrivo – soprattutto se guardiamo all’andamento dell’indicatore stesso che quest’anno presenta una flessione12 – ma solo un punto di partenza per la costruzione di un sistema informativo e valutativo delle biblioteche italiane ispirato al paradigma dello sviluppo sostenibile che abbia come obiettivo il riconoscimento sociale dell’impatto che le biblioteche producono in termini di benessere e qualità della vita. Un percorso nel quale tutti siamo chiamati a fare la nostra parte.
Chiara Faggiolani