Andrea Zanni
Un piccolo excursus biografico è d’obbligo: dopo l’incontro fatale con Bobi Bazlen, avvenuto quand’era giovanissimo, Roberto Calasso entra in Adelphi direttamente alla sua fondazione, a soli ventuno anni. Bazlen muore improvvisamente poco dopo, lasciando la direzione della casa sulle spalle di Luciano Foà e Roberto Calasso – anche se la sua lunghissima ombra è ancora visibile, dato che alcune scelte della casa editrice possono anche oggi, decenni dopo, essere ricondotte al suo influsso.
Calasso diviene direttore editoriale praticamente da subito, dal 1971: facendo libri di altri, scrivendone di propri e costruendo una delle più belle e affascinanti collezioni di libri del mondo.
Si può affermare senza esagerazione, dunque, che Adelphi sia la storia delle letture di Calasso, un’espressione di quello che lui pensa debba essere un ‘libro’: e si può anche aggiungere che in Italia – e forse in Europa – nessuno possa vantare questo ‘triplice’ ruolo di editore, scrittore e lettore a livelli così alti.
La premessa è, spero, utile per inquadrare meglio quello che, nell’opera generale di Calasso, è una deviazione dall’opus magnum.
L’opera calassiana si divide infatti in due: da una parte la celebre ‘opera in corso’, costituita da ben undici volumi e ancora incompleta. Tutti i volumi, a partire da La rovina di Kasch del 1983, sono pubblicati nella Biblioteca Adelphi, la principale collana della casa.
Ma esiste anche una produzione calassiana minore, dove l’autore riunisce scritti brevi, dove spessissimo parla della cosa che più ama e più conosce: i libri, appunto.
E proprio le opere minori hanno spesso il pregio di essere più accessibili, più personali. Come ordinare una biblioteca, uscito nel 2020 nella collana Piccola biblioteca Adelphi, amplia un precedente testo pubblicato fuori catalogo nel 2019, arricchito in questa nuova edizione da tre brevi scritti, di cui uno prima inedito.
È bene anticipare che chi si accosta a questo libro desiderando un serio e definitivo trattato per l’organizzazione di una biblioteca rimarrà certamente deluso. Lo stile di Calasso, come ben argomentato da Elena Sbrojavacca nel suo studio dell’opera calassiana1, è narrativo, aforistico, antisistematico. Ogni frase è una sentenza, una verità che viene rivelata, ogni immagine si ricollega ad altre per analogia. Anche in questo caso, Calasso non spiega: ci rivela semplicemente quello che l’ordine dei libri dovrebbe essere, senza argomentare o confrontare idee diverse.
Non solo: Calasso, come il proprio maestro Bazlen, detesta le trattazioni sistematiche, e preferisce esplorare i problemi che offrire soluzioni. «Qualsiasi tema affronti, Calasso lo legge attraverso il prisma delle possibili interpretazioni, senza dichiarare in maniera esplicita quale onda abbia deciso di seguire e per quale scopo»2.
Sergio Solmi definì Bazlen un «passante sulla terra»3, mentre Calasso preferiva l’aggettivo ‘taoista’: «Taoista era l’immensa agilità, il flusso – “ordine del movimento”, l’alleanza con il vuoto, la familiare circolazione degli opposti, l’ascolto degli avvenimenti germinali»4.
In questo senso, il titolo del libro è una falsa pista: Calasso non ci spiega come ordinare una biblioteca, ci dice come lui ha ordinato la sua, attraverso i racconti degli autori, dei libri, degli avvenimenti fortuiti che hanno portato quel libro sopra quello scaffale.
Aggiustate le nostre aspettative, infine, possiamo goderci il libro: che è ironico ed erudito e Calasso dà ampia prova del suo talento affabulatorio mantenendo il filo in un dedalo di storie, memorie, aneddoti, spigolature, glosse, che si rifanno all’ordine dei libri solo per riflesso, come il centro invisibile di un poliedro viene specchiato nelle sue facce.
Così come Pierre Bayle che costruisce il suo immane Dictionnaire historique et critique liquidando ogni definizione in due sole righe, concedendosi poi intere pagine per le note e gli approfondimenti, giocando a nascondino con il lettore, così Calasso sbriga la questione dell’ordine librario in poche pagine, per poi iniziare una lunga serie di ‘note senza testo’ – come si intitola uno dei pochi scritti di Bazlen – che costeggiano l’infinito tema del comprare, possedere, mantenere, organizzare libri. Di cosa significhi, cioè, essere un lettore che costruisce la sua biblioteca come la lumaca secerne il proprio guscio. Una biblioteca diventa un ‘paesaggio psichico’, un’emanazione di sé.
La costellazione di personaggi che affollano le pagine di questo libretto è vertiginosa: Warburg, Pound, Valery, Kafka, Bazlen, Brodskij, Manuzio, Marguerite Caetani, Jacob Taubes, Pierre Bayle, Thomas Carlyle, Gabriel Naudé, Borges, Kurt Wolff. Un ‘popolo del libro’ che Calasso rievoca come se fossero amici di vecchia data – e alcuni, a ben vedere, lo sono stati davvero. Come detto, il ruolo e la posizione dell’uomo Calasso all’interno del panorama letterario ed editoriale mondiale, ne sono certo, verrà apprezzato solo nei decenni a venire.
Uno degli aspetti più affascinanti del libro sono i piccoli episodi autobiografici che Calasso racconta: la misteriosa immagine di tre macchine da scrivere nel proprio studio (la sua, quella di Bazlen, quella di Brodskij), la volta che Bruce Chatwin lo introdusse come socio nella leggendaria London Library, le fortunate scoperte in librerie antiquarie e bancarelle, tra cui alcuni libri introvabili di Pound, di Freud, di Warburg stesso.
In uno strano ibrido fra saggio, memoir, manuale di etichetta Calasso – con ironia, ma non troppo – ricrea un piccolo galateo del lettore: come si deve sottolineare (sempre a matita, mai a penna, ma il libro deve tenere ‘traccia’ della lettura), come si posizionano i libri (a filo della mensola; se sono spinti in fondo, è segno che il padrone non li legge), cosa si deve o non deve mettere nella propria biblioteca (che viene spesso definita dai libri che ‘non’ ci sono, più che da quelli presenti). Senza dimenticare l’ineffabile sprezzatura di ricoprire i libri di ‘pergamino’, una carta velina apposita, affinché l’importuno visitatore si faccia gli affaracci suoi e non possa carpire nulla del ‘paesaggio mentale’ del padrone di casa.
Il miglior ordine, per i libri, non può che essere plurale, almeno altrettanto quanto la persona che usa quei libri. Non solo, ma deve essere allo stesso tempo sincronico e diacronico: geologico (per strati successivi), storico (per fasi, incapricciamenti), fisiologico (connesso all’uso quotidiano in un certo momento), macchinale (alfabetico, linguistico, tematico). È chiaro che la giustapposizione di questi criteri tende a creare un ordine a chiazze, molto vicino al caos5.
Si potrebbe scrivere un libro solo su questo paragrafo. Per Calasso, naturalmente, l’ordine perfetto non esiste, non può esistere: la pluralità degli ordini che si dovrebbero sovrapporre è in conflitto con lo spazio unidimensionale dei nostri scaffali, per cui un libro può inesorabilmente avere solo due vicini, uno a destra e uno a sinistra.
È eterna la lotta fra un ordine che è per sua natura sfaccettato, proteiforme e multidimensionale, e invece un ordine che è necessariamente fisico, atomico, a una dimensione. I libri possono stare solo in uno scaffale, in un unico luogo: a questo servono i nostri grandi sistemi di classificazione, che sono di fatto sistemi di collocazione. Identifichiamo un luogo con coordinate di sala, libreria e scaffale e questo unico luogo ospiterà il nostro libro. Lì lo posizionerà il bibliotecario, lì lo troverà il lettore, e viceversa.
Di converso, nell’universo digitale il problema dell’ordine non si riproduce: in una libreria online – ma anche in social network di lettura come Anobii, Goodreads o LibraryThing – altri sono i parametri con cui cercare un libro: titolo, autore, editore, data ma anche prezzo, data di lettura, tag generati dagli utenti, rating, recensioni, raccomandazioni. Ogni metadato ricercabile e linkabile permette di creare, ad ogni ricerca, un nuovo scaffale ‘virtuale’.
Ogni libro è, di fatto, un oggetto multidimensionale, un ipervolume in uno spazio a ‘n’ dimensioni: idealmente, in uno spazio di Hilbert6 a infinite dimensioni un libro godrebbe di tutto lo spazio necessario per soddisfare ordinamenti diversi.
Personalmente trovo sempre un po’ triste che, dopo secoli di tradizione bibliotecaria e trent’anni di web, ancora non abbiamo trovato modi davvero efficaci di far esplorare l’universo librario. Modi che permettano all’utente di godere della piena potenzialità della ricerca e della serendipity, dell’esplorazione di una vera ‘iperbiblioteca’.
Nell’attesa, è bene rassegnarci: l’ordine perfetto è teoricamente impossibile, se possibile inconoscibile agli uomini, se conoscibile irrealizzabile.
La regola che Calasso ha usato per la propria biblioteca è, insieme, la più bella e la più difficile: la ‘regola del buon vicino’, che Aby Warburg utilizzò per la biblioteca che porta il suo nome. La regola è semplice quanto paradossale: bisogna posizionare il libro di fianco a un altro più interessante di lui.
La storia di Warburg e della sua biblioteca è celebre e leggendaria: figlio di importanti banchieri, ‘vendette’ la propria primogenitura al fratello minore, a condizione che gli comprasse tutti i libri di cui avesse avuto bisogno. Sviluppò nei decenni un’originalissima biblioteca in cui confluivano discipline diverse, legata al problema teorico che affrontò tutta la vita: la ‘sopravvivenza dell’antico’. Come scrisse il filosofo Ernst Cassirer:
Questa non è una mera raccolta di libri, ma una raccolta di problemi. E non è stato l’ambito abbracciato dalla biblioteca che ha destato in me quest’impressione, ma, molto più forte che il mero ambito, ha agito su di me il principio su cui la biblioteca è costruita. Qui infatti storia dell’arte, storia della religione e del mito, storia linguistica e della cultura palesemente non erano solo poste l’una accanto all’altra ma collegate l’una con l’altra, e collegate tutte a un comune centro ideale: un problema di natura puramente storica, la sopravvivenza dell’antico7.
Già poco dopo la sua morte, il nome di Warburg evocava «più una biblioteca di un uomo»8. La regola del buon vicino, il principio su cui è organizzata, è tuttora il metodo utilizzato al Warburg Institute, sia nella sede originale di Amburgo sia dopo il trasferimento a Londra. Si tratta però di un ordine soggettivo, privato, altamente idiosincratico: Warburg stesso continuava a spostare e riordinare incessantemente i propri libri nello sforzo di riaggiornare la disposizione sugli sviluppi del suo sistema di pensiero; nel tentativo di costruire un ‘luogo psichico’; nella speranza, forse, di ‘trasformarsi’ in una biblioteca.
La disposizione dei libri era egualmente sconcertante e si sarebbe potuto trovare strano, per esempio, che Warburg non si stancasse mai di riordinarli sugli scaffali. Ogni progresso nel suo sistema di pensiero, ogni nuova idea sull’interrelazione dei dati lo obbligava a raggruppare diversamente i libri corrispondenti. La biblioteca cambiava con ogni aggiornamento del suo metodo di ricerca e con ogni variazione dei suoi interessi. Per quanto la collezione fosse piccola, era viva, e Warburg non smise mai di darle forma in modo che esprimesse al meglio le sue idee sulla storia dell’uomo9.
È molto interessante che la biblioteca del Warburg Institute sia anche uno dei pochissimi casi in cui una biblioteca privata diventa biblioteca ‘pubblica’. La biblioteca era il risultato di
un caotico e disperato tentativo di capire le espressioni della mente: la loro natura, storia e interrelazione. Il sistema bibliotecario così creato appariva naturale come se non fosse il risultato ma il punto di partenza delle attività di Warburg. Quello che la rendeva differente era la ricchezza delle idee nelle suddivisioni. Solo una ricerca profonda e stabile poteva risultare nell’accumulare e spesso nel riesumare questa massa di libri interessanti e spesso dimenticati. Nel suo lavoro, il ricercatore sempre dirigeva il bibliotecario, e il bibliotecario restituiva indietro al ricercatore quello che aveva ricevuto10.
La regola del buon vicino è la migliore per ‘scoprire libri che non si sapeva di cercare’, che è poi uno dei nomi della serendipity – in un certo senso, ne è la definizione stessa, tautologica. E forse questo aspetto viene sottovalutato nel suo utilizzo in una biblioteca pubblica. Ogni classificazione bibliotecaria privilegia un aspetto specifico e ne tralascia altri.
L’ordine alfabetico ha il pregio di essere una regola precisa e un algoritmo esatto, condiviso e di facile interpretazione per tutti. La sua soluzione è univoca e comprensibile a chiunque, ma tralascia completamente ogni aspetto cronologico, confonde letteratura e saggi, non si interessa dei temi. Di contro, la classificazione Dewey è un ottimo sistema che permette di posizionare un libro in un unico posto sullo scaffale e allo stesso tempo divide la collezione per argomenti, in maniera gerarchica.
Personalmente non ho mai avuto il piacere di visitare una biblioteca ordinata con la Classificazione Colon, che invece di una sola tassonomia ne combinava ‘cinque’: cinque dimensioni diverse e ortogonali, secondo Ranganathan. Non ho idea di come possano disporre i libri sugli scaffali.
Ogni scelta, dunque, ha i suoi vantaggi e svantaggi: un rigido ordine alfabetico è una scelta semplice ma mortalmente noiosa, oltre ad avere il problema di avere autori che iniziano per ‘A’ al primo piano e quelli con la ‘Z’ all’ultimo. La stessa Dewey, nonostante la sua egemonia globale, soffre di serissimi problemi teorici11 e di un’impostazione, diciamo così, estremamente eurocentrica.
La regola del buon vicino, come detto, è caotica e intrinsecamente soggettiva, il suo obiettivo è la scoperta per il lettore, l’esplorazione di analogia, di legami invisibili fra libri diversi ma simili. È una regola che parla al lettore della biblioteca intera e non solo del singolo libro.
Mentre molte volte sono state proposte versioni aggiornate delle leggi di Ranganathan12 per le biblioteche pubbliche13, non sono a conoscenza di nessun tentativo per le biblioteche ‘private’. Proveremo ora: la mia tesi è che siano praticamente perfette anche per una biblioteca privata.
La prima legge – ‘I libri sono fatti per essere usati’ – rimane molto utile nella costruzione di una biblioteca personale, a meno di non prenderla alla lettera. Sarebbe un grave errore comprare solo e soltanto i libri che si è sicuri di leggere. È bene appellarsi al concetto di ‘antibiblioteca’ attribuito da Nassim Taleb a Umberto Eco, per cui «i libri letti sono molto meno preziosi di quelli non letti. Una biblioteca dovrebbe contenere la maggior parte di quello che non sappiamo. Questa collezione di libri non letti possiamo chiamarla anti-biblioteca»14. Un libro non letto oggi lo potrà essere in futuro e la speranza di farlo basta per renderlo utile. È bene possedere libri che leggerò, o che ho intenzione di leggere, o ancora che proiettano sugli scaffali una versione di me che mi piacerebbe essere.
La seconda e la terza legge sono più lineari e vanno prese insieme: ‘A ogni lettore il suo libro. A ogni libro il suo lettore’. Se nell’ambito della biblioteca pubblica le leggi vogliono mettere in ‘corrispondenza biunivoca’ il lettore con il libro che risponde ai suoi bisogni informativi, e questo investe il bibliotecario del compito di facilitare questo congiungimento fra questi due amanti distanti, nell’ambito della biblioteca privata il lettore è solo di fronte alla caotica Biblioteca di Babele dei libri che è possibile ‘possedere’. Non c’è il bibliotecario ad aiutarlo nel labirinto. Le due leggi rimangono utili per mettere in corrispondenza biunivoca un lettore e la propria biblioteca, rimarcando nuovamente una verità banale quanto autoevidente: data una certa massa critica di libri, ogni biblioteca è unica, ogni lettore è unico. La prima e la seconda legge sono la proprietà iniettiva e suriettiva delle biblioteche: e la corrispondenza biunivoca significa matematicamente che ad ogni lettore corrisponde una biblioteca e ad ogni biblioteca un lettore. Le leggi di probabilità ci dicono che ogni biblioteca è una singolarità, un’impronta digitale di un lettore: tanto più se prendiamo in considerazione ‘accidenti’ come l’edizione, o l’ordine in cui i libri sono disposti sugli scaffali, o ancora più filosoficamente l’ordine in cui i libri sono stati letti dal lettore.
La quarta legge è meno utile, in una biblioteca privata: l’ordinamento sugli scaffali deve essere comprensibile al proprietario, e solitamente questo è naturale. Diventa invece necessaria nei casi patologici di accumulo seriale, di libri accatastati in ogni dove, di copie comprate più volte perché continuamente perse. È interessante notare come lo stesso Calasso utilizzi il pergamino – una sottile carta beige con cui ricoprire i propri libri –, che insieme amplifica e diminuisce l’esperienza della serendipity. Se da una parte è più impossibile riconoscere la fisionomia della biblioteca guardando i dorsi, soprattutto per un osservatore esterno, l’esperienza di prendere un libro in mano e riscoprirlo appena lo si apre deve essere insieme straniante ed entusiasmante. Oltre che frustrante quando uno deve trovare un libro preciso.
La quinta legge, ‘La biblioteca è un organismo che cresce’, restituisce la natura evolutiva, oserei dire vivente, di ogni biblioteca. La metafora del libro come mattone con cui costruire sé stessi è forse banale, ma non è falsa. È una costruzione discreta, pezzo per pezzo. Un lettore costruisce la propria biblioteca un rametto alla volta come un uccello si circonda del proprio nido, la secerne come una lumaca secerne il proprio guscio. Una biblioteca è un carapace, un esoscheletro. Serve per proteggerci.
L'articolo seguente espande, arricchisce e aggiorna una precedente recensione: Andrea Zanni, Come ordinare una biblioteca,
«Iltascabile», 2 luglio 2020, https://www.iltascabile.com/recensioni/ordinare-biblioteca-calasso. Le traduzioni in italiano non diversamente attribuite sono mie.
Ultima consultazione dei siti web: 11 aprile 2021