Claudia Cantale e Simona Inserra
In questo contributo si presentano alcune riflessioni che emergono dall’analisi dei dati di due progetti di raccolta fondi realizzati attraverso la pratica del crowdfunding, ossia attraverso le donazioni su una piattaforma online; i due progetti si sono svolti tra il 2017 e il 2021 e, seppur accomunati dal simile contenuto, si sono differenziati necessariamente l’uno dall’altro a causa dell’avvento della malattia da coronavirus (Covid-19) che ha modificato alcune pratiche di lavoro in presenza e online, in biblioteca e non solo.
Incunaboli a Catania I: Biblioteche riunite “Civica e A. Ursino Recupero” è un progetto coordinato da Simona Inserra e Marco Palma, nato nel gennaio 2015, incentrato sul censimento e sulla descrizione del patrimonio di libri a stampa del XV secolo conservati presso le Biblioteche riunite “Civica e A. Ursino Recupero” di Catania, l’originaria biblioteca del Monastero benedettino di San Nicolò l’Arena che si è accresciuta negli anni con le collezioni delle biblioteche delle corporazioni soppresse della città etnea e con lasciti e donazioni consistenti.
Il progetto ha condotto alla pubblicazione del primo catalogo degli incunaboli della città etnea, dopo tre anni dal suo avvio, nel 20181.
Per raccogliere i fondi necessari alla pubblicazione del catalogo, il gruppo di ricerca ha scelto di utilizzare il metodo del crowdfunding e ha selezionato, tra le molte esistenti, la piattaforma Produzioni dal basso2. La pagina della piattaforma dedicata al progetto è stata creata dal gruppo di lavoro catanese grazie alla collaborazione con Zammù tv, la webtv dell’Università degli studi di Catania, che ha prodotto il video utilizzato per lanciare la campagna3, diffusa soprattutto attraverso i social media.
Incunaboli a Catania II: Biblioteca regionale è il progetto che ha preso avvio subito dopo la chiusura del primo, nel maggio 2018, e che si è incentrato sul censimento e la descrizione del patrimonio dei libri a stampa del Quattrocento conservati presso la Biblioteca regionale di Catania, già Universitaria. Il progetto si è concluso nella primavera del 2021 con la pubblicazione del secondo catalogo dedicato al patrimonio incunabolistico cittadino4. Anche in questo caso si è utilizzata la stessa piattaforma di crowdfunding e ci si è avvalsi della collaborazione di Zammù tv per la predisposizione e la messa online del video di presentazione del progetto5; occorre precisare però che, in pieno lockdown nazionale, il ruolo svolto dai social media è stato molto più rilevante rispetto alla prima esperienza.
Concluso il secondo progetto, abbiamo già avviato il terzo, dedicato ai fondi minori di altre biblioteche cittadine e ai libri a stampa del Quattrocento presenti nelle biblioteche del territorio provinciale; si prevede di chiuderlo entro il 2024 con la pubblicazione del terzo catalogo degli incunaboli ancora per l’editore Viella, di proseguire, per la pubblicazione, con lo strumento del crowdfunding e di utilizzare ancora in buona parte i social media per la diffusione dell’iniziativa.
I progetti catanesi, al di là degli aspetti prettamente bibliografici e biblioteconomici, presentano alcuni aspetti innovativi sul profilo dell’engagement: su questi aspetti saranno incentrate le riflessioni che seguono.
I due progetti catanesi già condotti a termine hanno interessato due biblioteche che hanno avuto fondazione e sviluppo differenti, che sono percepite come un patrimonio cittadino e che, ieri come oggi, hanno un’utenza diversificata.
Le Biblioteche riunite “Civica e A. Ursino Recupero”, collocate all’interno dell’edificio monastico una volta appartenuto ai padri benedettini di San Nicolò l’Arena, oggi sede del Dipartimento di scienze umanistiche dell’Università di Catania, è una biblioteca di fondazione monastica caratterizzata, nel corso dei secoli, dall’essere uno spazio fisico e simbolico in cui si manifestava (e si manifesta tuttora) la magnificenza culturale di un ordine monastico mediante la grandiosità delle architetture e la ricca e pregiata collezione libraria. La Sala Vaccarini, quella in cui sono presenti le scaffalature lignee realizzate nella seconda metà del XVIII secolo, è il cuore del nucleo librario della collezione benedettina, reificazione delle ambizioni dell’ordine unitamente alla cultura musicale e alle collezioni dei naturalia et artificialia, dispostivi mediatici utilizzati per esprimere potere e magnificenza6.
Le Biblioteche riunite sono oggi il risultato di un fitto susseguirsi di eventi che hanno caratterizzato l’insediamento e il consolidamento dell’ordine monastico benedettino cassinese già a partire dal 1558: i monaci vantavano sin dall’origine una collezione bibliografica imponente nella quale figuravano codici miniati, pergamene e incunaboli riccamente decorati. Amante delle scienze e del sapere, sin dagli albori, l’ordine catanese aveva reinterpretato la regola dell’ora et labora con lo studio e la produzione scientifica.
Andata perduta buona parte dall’originaria collezione libraria all’indomani del terremoto del 1693, i Benedettini ricostruirono uno spazio consono allo stile e alle esigenze della biblioteca; a partire dal XVIII secolo la nuova biblioteca occuperà l’ala nord del monastero costituendosi come uno degli imponenti corpi architettonici adibiti alla vita di comunità: una teoria di fabbriche neoclassiche legate l’un l’altra a un fulcro, l’anti refettorio. Si tratta, com’è evidente a chi visita ancora oggi l’edificio, di un impianto monumentale sia nella forma architettonica sia nella ricchezza delle collezioni, spazio che accoglie e al contempo inibisce l’ospite che si trova al suo cospetto7.
Nonostante gli sconvolgimenti subìti dell’edificio a seguito delle leggi eversive, la Sala Vaccarini conserva tuttora l’impianto e l’aspetto originario, grazie a una serie di restauri conservativi e soprattutto grazie alla scelta, conseguente ai regi decreti, di mantenere la sua funzione di monumento della conoscenza. Dopo l’Unità, la biblioteca ha acquisito la denominazione di ‘civica’ e ha assunto la funzione di istituto collettore delle raccolte provenienti dalle biblioteche degli ordini soppressi nella città di Catania8; infine, negli anni Trenta del secolo scorso, alla Civica si è unita la consistente raccolta, giunta in dono con lascito testamentario, del barone e bibliofilo Antonio Ursino Recupero da cui l’istituto ha tratto la seconda parte del suo nome9.
La Biblioteca regionale, ex Biblioteca dei regi studi, è una biblioteca nata a metà del Settecento a sostegno degli studi universitari; è collocata all’interno del Palazzo centrale dell’Università di Catania, con accesso dal piano nobile. A differenza della biblioteca benedettina, però, la Biblioteca dei regi studi nasceva con una vocazione già dichiaratamente pubblica, a uso della comunità di studenti e professori dell’università catanese. Come avvenne in seguito per la benedettina, le sue raccolte furono arricchite già alla fine del XVIII secolo grazie ai fondi librari provenienti dai soppressi collegi dei Gesuiti del Val di Noto10.
Allo stesso modo di altre biblioteche cittadine, essa ha subito trasformazioni varie, anche relative alla propria fisionomia bibliografica, in seguito alle donazioni ricevute da bibliofili, collezionisti, professori e storici locali. Oggi la Biblioteca regionale sta vivendo una fase di ammodernamento e ampliamento degli spazi; è già stato avviato in parte il trasferimento delle raccolte nella sede, in corso di restauro, del Collegio dei Gesuiti di Catania, nella monumentale via Crociferi, poco distante dal Palazzo centrale dell’Università11.
Il progetto Incunaboli a Catania risulta significativamente interessante non solo per gli aspetti connessi al censimento e alla descrizione degli esemplari di edizioni a stampa del Quattrocento, ma anche per quelli legati al tentativo di coinvolgimento di una comunità più o meno eterogenea di persone che hanno contribuito al raggiungimento dell’obiettivo finale, ovvero la pubblicazione dei due cataloghi. Sia per il primo che per il secondo catalogo, infatti, sono state avviate due campagne di crowdfunding che hanno avuto la duplice finalità di pubblicare i cataloghi coprendo interamente le spese editoriali e di sperimentare una forma di narrazione e disseminazione di un progetto scientifico di ambito umanistico.
Il focus su un oggetto quanto mai di nicchia quale il libro a stampa della seconda metà del Quattrocento, rende ancora più interessante il successo in termini di obiettivi raggiunti12.
Per quanto, infatti, questa prima indagine sui pubblici delle due biblioteche non abbia lo scopo di dimostrare la fragilità ancora presente sul piano cognitivo ed emotivo per il superamento delle soglie di accesso ai contenuti umanistici, possiamo già affermare di aver rilevato, attraverso la somministrazione dei questionari costruiti intorno al progetto, un certo grado di ritrosia alla compilazione: molti di coloro che hanno declinato il nostro invito alla compilazione hanno dichiarato di sentirsi inadeguati a rispondere a domande su un argomento che viene considerato distante della proprie competenze e conoscenze. Trattandosi di alcune dichiarazioni spontanee, abbiamo fatto tesoro di quanto consegnatoci, progettando di avviare, in una seconda fase, una ricerca esplorativa sulla percezione dei fondi antichi e, in modo specifico, degli incunaboli, all’interno delle biblioteche catanesi.
Con questa prima indagine, quindi, si è tentato di comprendere se il successo delle due iniziative in termini di donazione e di partecipazione mediante forme di personalizzazione e facilitazione fosse anche dovuto a una maggiore percezione del patrimonio culturale (di cui quello librario è parte integrante) come bene comune13.
La locuzione e la nozione di ‘beni comuni’ iniziano a entrare nel vocabolario accademico e scientifico già a partire dai primi anni di questo secolo, grazie anche ad alcuni eventi di interesse transnazionale legati soprattutto al deperimento delle materie prime e al depauperamento delle risorse ambientali. A partire infatti dalla analisi sulle governance partecipative e collettive dei beni comuni di Elinor Ostrom14, il dibattito sul concetto di ‘bene’ ha acquisito connotazioni di significato sulla base della sua funzione nel contesto della società, divenendo ‘comune’ allorquando contribuisce a sostenere i diritti fondamentali e il libero sviluppo della personalità; in quanto comune, il bene deve essere salvaguardato e tutelato, sottraendolo alla logica distruttiva e consegnandolo alle generazioni future15.
Ha scritto Ugo Mattei:
I beni comuni sono infatti un tentativo di diffusione del potere decisionale, di recupero di elementi di accesso, di partecipazione, di organizzazione pubblica opposta rispetto alla concentrazione dell’intero potere, sia esso privato o pubblico, nelle mani di un soggetto unico. Un soggetto che diventa poi, tra il resto, l’unico interlocutore accreditato del processo del capitale multinazionale16.
In Italia il dibattito acquisisce anche una dimensione mainstream all’indomani del referendum ‘sull’acqua’, esito del lavoro della Commissione Rodotà, ma anche grazie all’impegno civico e alle battaglie condotte da Salvatore Settis e Tomaso Montanari contro la privatizzazione del patrimonio storico-artistico italiano che hanno avviato le riflessioni in Italia sul tema del patrimonio culturale come bene comune17.
Pietre miliari in questo senso sono rappresentate dai lavori di Salvatore Settis, Italia S.P.A., del 2002 e di Tomaso Montanari, Le pietre e il popolo, del 201318. Entrambi gli autori sottolineavano come la progressiva deregulation e lo svilimento del ruolo di alcune istituzioni di pubblica tutela, quali ad esempio le soprintendenze, definissero una progressiva gestione politica e amministrativa della cosa pubblica che avrebbe portato a una svendita del patrimonio storico-artistico e paesaggistico italiano, se non direttamente, mediante la cessione degli immobili, attraverso la mise en valeur a fini turistici e gli affidamenti dei servizi, con conseguenze nette in termini di gentrificazione o airificazione dei centri cittadini. Secondo Salvatore Settis
i cittadini sono gli eredi e i proprietari del Patrimonio Culturale, tanto nel suo valore monetario quanto nel suo valore simbolico e metaforico, come incarnazione dello Stato e della sua memoria storica, come segno di appartenenza, come figura di cittadinanza e dell’identità del Paese: questa è la funzione del civile del nostro patrimonio19.
Una delle narrative a cui si oppongono i sostenitori dei beni culturali come beni comuni è quella della monocoltura del turismo che invece appare destinata a risollevare le sorti del Paese, laddove, alla retorica dei giacimenti minerari, abbiamo sostituito quella dei giacimenti culturali o paesaggistici. È proprio alla metafora dei giacimenti culturali, che soggiace alla logica dell’estrazione delle risorse al fine della valorizzazione economica, che si contrappone il concetto di bene comune, che invece prevede pratiche di partecipazione e di diffusione del potere decisionale e del recupero di elementi di accesso20.
La vivace attenzione che si è manifestata attorno al tema dei beni comuni è anche una reazione critica con l’avvio di percorsi di vero e proprio attivismo, secondo quanto sostiene Marotta, contro
le inefficienze dell’amministrazione pubblica burocraticamente organizzata e in un momento che vede un fortissimo indebolimento degli Stati nazionali dovuto soprattutto a fenomeni esterni quali la globalizzazione non solo dei rapporti giuridici, ma anche – e soprattutto – dei sistemi economici e dei mercati21.
A questo dibattito non si è di certo sottratto il mondo delle biblioteche e quello degli archivi che vengono considerati beni non escludibili oltre che non rivali22. Robert Darnton, per esempio, nel 2009 aveva condiviso le sue riflessioni sui rischi della larga concessione in favore del progetto Google Books da parte delle biblioteche pubbliche, ricordando che, se da un lato esiste la necessità della digitalizzazione del patrimonio librario, dall’altro questo processo non può essere lasciato nelle mani di un’azienda che si prefigge obiettivi di profitto23.
Altra questione connessa all’erosione della fiducia di coloro che amministrano la cosa pubblica è il progressivo ricorso agli affidamenti ai privati dei servizi bibliotecari e, al contempo, al diffondersi di procedure ‘a ribasso’, in quella logica del risparmio giustificata da una sempre più stringente necessità di ottimizzazione delle risorse da parte delle amministrazioni pubbliche: all’obiettivo del risparmio e dell’austerità è corrisposto, però, un impoverimento generale delle attività interne delle istituzioni culturali e, di conseguenza, un abbassamento del livello culturale dei fruitori24.
Inoltre, come ha efficacemente sintetizzato Fiammetta Sabba, il ruolo assunto dalle biblioteche segue i percorsi già tracciati per la valorizzazione del patrimonio culturale: le biblioteche sono un presidio culturale che dovrà esercitare il proprio ruolo sociale innanzitutto sul territorio, al fine di costruire forme di cittadinanza e, contemporaneamente, di assolvere ai doveri di conservazione e mediazione, divenendo laboratori e «luoghi ‘comuni’ di sperimentazione conoscitiva e di apprendimento»25.
Progettualità significative divengono in questo senso quelle in cui i cittadini e le associazioni, non sostituendosi al ruolo dello Stato, integrano le attività, mantenendo un ruolo attivo nella vita della biblioteca stessa.
La partecipazione a campagne di crowdfunding avviene sotto la spinta di una forte carica emotiva che si traduce nel raduno digitale di folle, destinate a sciogliersi una volta raggiunto l’obiettivo del progetto.
Lo scopo della nostra indagine è stato quello di analizzare le caratteristiche di questa crowd che pare essere interessata a contribuire non solo al progetto di ricerca in sé, ma anche a rendere un bene culturale pubblico un bene comune accessibile, comprensibile, condiviso; e questo intende farlo non solo mediante la donazione economica, ma anche attraverso la partecipazione attiva. La comprensione del sistema affettivo-valoriale di riferimento dei partecipanti dei due progetti Incunaboli a Catania risulta essere uno dei tasselli di maggiore interesse per la costruzione del processo di public engagement necessario alla partecipazione delle comunità alla vita delle due maggiori biblioteche pubbliche catanesi.
Incunaboli a Catania I e II si configurano di fatto come un’azione di reach, strumento utile per la fase iniziale e attraverso il quale è possibile intercettare e avvicinare i pubblici reali e i pubblici potenziali. Sinteticamente possiamo affermare che, a partire dalla prima campagna di crowdfunding, quella del progetto Incunaboli a Catania I: Biblioteche riunite “Civica e A. Ursino Recupero”, è stata costruita la strategia comunicativa che ha incluso processi di co-design nella direzione dei ‘laboratori per i luoghi comuni’ di cui scriveva Fiammetta Sabba nel saggio testé citato.
Come primo passaggio, però, è indispensabile comprendere chi sono stati i destinatari di questo processo comunicativo, quali erano o sono i loro interessi e i loro bisogni culturali, personali, scientifici. In aggiunta a questo, occorre definire quali interventi sono stati individuati come i più efficaci per migliorare il dialogo tra la biblioteca e i suoi differenti pubblici26.
Nel caso di una campagna di crowdfunding, il ruolo della tecnologia e quello della rete sono centrali poiché, come Christian Russ ci ricorda, una folla online per essere definita tale necessita di riunirsi e di agire collettivamente, provocando effetti/fenomeni che altrimenti non sarebbero possibili27.
Si comprende dunque che i concetti classici di comunità e folla, che ci sono stati consegnati da Gustave Le Bon, Gabriel Tarde o Ferdinand Tönnies, sono sottoposti a una rinnovata concettualizzazione dovuta anche alle dinamiche di interazione legate all’uso del web come piattaforma28 e alla conseguente comparsa di luoghi e dispositivi digitali che favoriscono l’incontro tra individui con medesimi interessi e che possono decidere di agire collettivamente29.
Non di meno, insieme al fattore tecnologico, Carsten Stage sostiene che l’affollamento online sia possibile solo grazie all’esistenza di un certo grado di affettività tale da permettere la sincronizzazione di un pubblico rispetto a un dato problema, in un dato periodo, nello stesso spazio digitale30.
Come già anticipato, le due campagne di raccolta fondi dei progetti Incunaboli a Catania I e II sono state portate a termine in due fasi differenti: la prima nel 2017 e la seconda a cavallo tra il 2020 e il 2021.
La prima campagna, lanciata online a maggio 2017 e chiusa ad agosto dello stesso anno al raggiungimento dell’obiettivo, ha coinvolto circa 150 finanziatori con una copertura complessiva di 5.000 euro; la seconda campagna, lanciata a novembre del 2020 e chiusa a febbraio del 2021, invece, ha raggiunto quasi 10.000 euro, grazie al supporto di oltre 250 sostenitori. Entrambe le campagne di crowdfunding sono state gestite attraverso la medesima piattaforma di raccolta fondi: l’italiana e oramai storica Produzioni dal basso.
Le due campagne miravano al medesimo obiettivo, cioè la copertura dei costi di stampa del catalogo da pubblicare con l’editore Viella, all’interno della neonata collana Incunaboli31 e, al contempo, si ponevano anche l’obiettivo di coinvolgere, in maniera innovativa, un pubblico eterogeneo per l’esplorazione di un tema considerato di nicchia.
Tra la prima e la seconda edizione si è però verificato un fattore imprevisto: la lunga crisi legata alla pandemia da Covid-1932. In seguito a questo evento non solo le modalità e i tempi di svolgimento della ricerca, ma anche la campagna di raccolta fondi di Incunaboli a Catania II si sono dovute adattare alle conseguenze legate alla pandemia e al distanziamento personale, nonché alla parziale sospensione delle attività in presenza. Dall’altro lato, però, la nostra esposizione ai device e le nostre abitudini d’uso delle piattaforme digitali si è intensificato non solo durante le ore di lavoro, ma anche durante il tempo libero.
In linea generale, per nessuna delle due campagne è stato pianificato un rigoroso programma di attività di comunicazione o un piano editoriale, ma in entrambi i casi il gruppo di ricerca si è dato spontaneamente degli obiettivi, cercando di ottenere dei risultati mediante alcune azioni – largamente condivise – di promozione, quali ad esempio il lancio dei tre profili social, su Facebook (@incunaboliacatania), Instagram (@incunaboli_catania) e Twitter (@AIncunaboli), e la distribuzione di materiale informativo in linea coordinata presso le librerie di fiducia presenti sul territorio, le biblioteche, i musei e in occasione di convegni nazionali e internazionali o ancora di presentazioni editoriali (nel caso della prima campagna).
Durante la pandemia il gruppo di lavoro ha necessariamente abbandonato queste forme di promozione offline, dedicandosi maggiormente, se non addirittura esclusivamente, a quelle online; in tal modo potremmo definire queste azioni come una promozione integrata basata su social network, newsletter, comunicazioni istituzionali nel sito del Dipartimento di scienze umanistiche dell’Università di Catania.
In aggiunta a questo, sono stati progettati e tenuti due workshop di sette ore ciascuno, grazie alla collaborazione delle due sezioni regionali Campania e Liguria dell’AIB, sul tema della descrizione degli incunaboli secondo le metodologie adottate nei progetti in questione; i partecipanti sono stati in tutto circa 200 e, con la somma di 20 euro, hanno ottenuto l’iscrizione al workshop e una copia del catalogo acquistandolo (come tutti durante la campagna di crowdfunding) prima ancora che venisse stampato.
Ha colpito molto, specialmente con la seconda campagna, il fatto che i donatori, oltre al sostegno economico all’iniziativa hanno interpretato spontaneamente il proprio ruolo di partecipanti attivi, inviando contributi audiovisivi e fotografici attraverso un processo propagazione ‘da contagio’ a seguito della pubblicazione di alcune fotografie negli account social di Incunaboli a Catania dove alcuni componenti del gruppo, amici e sostenitori della cerchia più stretta, divenuti simili ad ambassador, venivano ritratti nel momento della consegna della copia del catalogo.
Si è trattato di una sorta di ‘co-presenza’ aumentata33: prendere parte alla costruzione della galleria dei cultori e dei sostenitori della ricerca è divenuta una testimonianza e mediante la rappresentazione digitale del sé e attraverso l’esposizione mediatica del proprio corpo ci si è proposti di essere vicini, nello stesso luogo, ma digitalmente.
Dopo la chiusura della seconda campagna si è deciso di procedere alla somministrazione di un questionario, per osservare e descrivere meglio i comportamenti di quanti hanno partecipato alla raccolta fondi. Il questionario, inviato tramite newsletter, è stato destinato ai 151 partecipanti della prima edizione e ai 258 della seconda; in totale hanno risposto 107 partecipanti, una larga maggioranza dei quali (68 su 107) si sono dichiarati neofiti della prassi del crowdfunding come forma di sostegno di progetti di loro interesse.
Se dunque Incunaboli a Catania è stato da un lato, per molti, la porta d’accesso alla pratica del crowdfunding, dall’altro lato sappiamo che quanti hanno partecipato all’indagine sono conoscitori del tema centrale della campagna, ovvero gli incunaboli; essi ne forniscono, infatti, nel corso del questionario, una precisa descrizione definendo l’incunabolo quale «libro a stampa prodotto tra il 1450 e il 1500 e che si caratterizza come forma di accesso alla cosiddetta democratizzazione della conoscenza e del sapere», sintetizzando al massimo gli studi condotti da Elizabeth Eisenstein34.
Un elemento interessante nella definizione degli incunaboli emerge anche dalle risposte che riportano come campo semantico il ‘tesoro’: i libri a stampa del XV secolo sono intesi come tesori, qualcosa di prezioso che va contemporaneamente ‘custodito’, ‘preservato’, come si fa con i gioielli di famiglia, tramandato di generazione in generazione ed esibito all’occorrenza, ma per i quali la conoscenza della storia, della provenienza, dei materiali con cui sono assemblati, diviene fondamentale affinché possa avvenire la trasmissione del set dei significati e dei simboli.
Di seguito alcune delle definizioni date nel questionario alla richiesta di definizione di ‘incunaboli’:
Gioielli preziosi da conservare per far conoscere alle nuove generazioni.
Delle reliquie sacre!
Tesori. Inestimabili testimonianze di modernità, innovazione e cultura.
Oggetti rari e preziosi perché testimoniano il passaggio dal vecchio al nuovo.
Un prezioso tesoro da valorizzare.
Superbi tesori di biblioteca.
Tesori preziosi da studiare e tramandare nella loro peculiarità.
Un prezioso tesoro da custodire gelosamente, promuovere e valorizzare.
L’analisi dei partecipanti, condotta attraverso gli strumenti forniti dalla piattaforma, consente di verificare che si tratta di un gruppo di persone con un’età media compresa tra i 35 e i 50 anni, con un’istruzione superiore corrispondente a una laurea magistrale (45/107); in non pochi casi si tratta di persone impiegate con diverse mansioni presso biblioteche o archivi (Figure 1-2). Quest’ultima informazione è in parte dedotta dalla qualità delle risposte aperte; in alcuni casi, tuttavia, sono gli stessi partecipanti al questionario che, nel campo libero dedicato al grado di istruzione o all’impiego hanno sentito la necessità di dettagliare il proprio campo di specializzazione e l’appartenenza all’ambito lavorativo delle biblioteche: è un atteggiamento che denota l’esigenza di voler essere riconosciuti come parte di una specifica formazione sociale e rafforza per noi, contemporaneamente, l’idea di un elevato grado di coinvolgimento emotivo dei partecipanti.
Figura 1 – Età e titolo di studio dei donatori
Figura 2 – Provenienza dei donatori
Risulta chiaro come questo gruppo sia composto da bibliotecari o da amateur distribuiti in tutto il territorio italiano che dichiarano di non fruire regolarmente dei servizi delle due biblioteche nelle quali si sono svolti i progetti di catalogazione, per ragioni prevalentemente di distanza fisica. Non esiste quindi una relazione o un legame affettivo che si esprimono mediante la condivisione di spazi o di oggetti che sono manifestazione culturale del territorio, ma si tratta di un’espressione di omofilia alla base di una rete sociale dove il nodo più significativo a sostegno del passaparola digitale è stato fornito da alcune sezioni regionali dell’AIB e dai rapporti professionali, accademici o parentali con i componenti del gruppo di ricerca.
Nel grafico successivo (Figura 3), riscontriamo l’occorrenza delle risposte a un’altra domanda posta ai partecipanti al questionario, cioè “Come sei venuto a conoscenza del progetto di crowdfunding Incunaboli a Catania?”. In particolare, nel primo cerchio registriamo l’occorrenza della risposta “Conosco personalmente un componente del team”; nel secondo cerchio: “Ho saputo tramite AIB”; nel terzo cerchio: “Ho saputo tramite una/un amicÉ™ - parente - collega”; nel quarto cerchio: “Ho saputo tramite gli account social dei componenti del team”.
Figura 3 – La comunità
Ciò che, infatti, in definitiva, ha funzionato nel digital word-of-mouth di Incunaboli a Catania I e II sono le relazioni tra le persone; questo è confermato anche dai dati di referral presenti sulla pagina della seconda campagna che mostrano il traffico proveniente principalmente da Facebook, quindi da una cerchia di persone vicine al gruppo di ricerca, e dal sito dell’AIB.
Certamente il coinvolgimento attivo degli associati AIB attraverso e in seguito al workshop dedicato al tema della descrizione degli incunaboli ha favorito un atteggiamento di maggiore interesse nei confronti del progetto che in alcuni casi si è trasformato in una donazione: il tasso di conversione delle visite della pagina in donazioni supera di poco il 5% e di questo solo una piccola parte proviene dall’AIB.
Figura 4 – Le motivazioni alla partecipazione
Essere legati a livello emotivo e affettivo, in maniera diretta, ai nodi del nucleo primario di comunicazione è un fattore di influenza centrale nella scelta di donare, non solo economicamente, ma anche nel senso di donare il proprio tempo e la propria immagine sociale che viene ‘investita’ per la promozione e per la crescita del progetto (Figura 4). Questa che possiamo considerare una collaborazione pubblico-privato sociale è quindi uno scambio carico di valore simbolico, poiché la sfera dell’individuo non è separata dalle cose che vengono scambiate35: non si tratta, infatti, semplicemente di effettuare un pre-acquisto di un libro a un prezzo conveniente, elemento che è risultato utile ma non determinante, ma di fare parte del processo.
Infatti, dal punto di vista della condivisione dei valori e delle idee fondamentali alla base del progetto, i partecipanti alla campagna di crowdfunding appaiono quasi tutti animati dai medesimi interessi del gruppo di lavoro; pur non negando la complessità e la specificità dell’oggetto culturale di studio per un pubblico eterogeneo, essi sentono la necessità che siano sviluppati strumenti di maggiore consapevolezza dei cittadini rispetto al proprio patrimonio culturale.
Agli incunaboli i partecipanti riconoscono il ruolo simbolico che segna il passaggio di un’epoca fondamentale per la tecnologia della scrittura come forma di emancipazione della conoscenza e di conservazione dei progressi umani e desiderano che questa funzione simbolica sia riconosciuta anche al di fuori della stretta cerchia di esperti o addetti ai lavori. Nella maggioranza dei casi, infatti, i partecipanti attribuiscono un miglioramento della vita delle comunità cittadine all’aumento della consapevolezza dell’importanza del patrimonio librario conservato nelle proprie biblioteche.
Progetti come Incunaboli a Catania si trasformano quindi in occasioni per ridiscutere il ruolo dei cittadini all’interno della governance delle biblioteche: l’invito partecipare a una campagna di raccolta fondi è un’azione utile per aumentare la consapevolezza e il senso di responsabilità nei confronti della gestione delle risorse pubbliche e, al contempo, fornisce ai cittadini uno strumento di monitoraggio delle azioni stesse e dei risultati ottenuti (Figura 5).
Figura 5 – La ricerca come bene comune
La partecipazione alla vita delle biblioteche, intesa come un più facile accesso alle risorse e ai servizi e un maggiore coinvolgimento dei cittadini nelle attività di programmazione e monitoraggio della vita stessa delle istituzioni culturali, è vista come un insieme di azioni di rafforzamento possibili solo mediante un miglioramento della vita interna delle biblioteche. In questo processo il bibliotecario rappresenta il nodo centrale.
Relativamente a questo tema, i campi a risposta libera del questionario ci hanno fornito alcuni elementi di riflessione e ci hanno consentito di rintracciare tre topic: una maggiore richiesta di occasioni di accesso, più o meno formali, alle biblioteche e alle loro raccolte di pregio; maggiori strumenti e opportunità per la digitalizzazione del patrimonio librario antico; maggiori occasioni di coinvolgimento del personale delle biblioteche nei processi di programmazione e pianificazione delle attività.
Anche il contributo della ricerca umanistica in termini di impatto sul territorio è riconosciuto come fondamentale e per questo i donatori sentono che la propria donazione può rappresentare un piccolo sostegno economico, in quanto azione di partecipazione attiva; il ruolo delle istituzioni, tuttavia, è percepito ancora come decisivo e centrale nel sostegno alle attività per la libera ricerca.
I due progetti di raccolta fondi Incunaboli a Catania I e II hanno avuto il merito di aggregare attorno al tema del libro antico, e mediante un uso sapiente dei social media, una comunità che, a differenza delle folle online, ha la caratteristica di essere persistente nel tempo. Questa comunità appare già strutturalmente connotata attorno ad alcuni temi culturali condivisi, determinati dall’impegno quotidiano nei confronti del tema specifico della biblioteca e delle sue raccolte antiche.
Emerge quindi il ruolo dei bibliotecari nei processi di community engagement: se da una parte lo strumento del crowdfunding è stato interpretato come un’azione di sperimentazione verso forme di governance condivisa delle biblioteche, dall’altro emerge la necessità di rafforzare il ruolo del bibliotecario, riconoscendogli la giusta dimensione nell’espressione delle sue funzioni, ma anche nella sperimentazione di nuovi percorsi e di creazione di nuove pratiche culturali.
Ultima consultazione siti web: 19 settembre 2021.
Il contributo nasce da una riflessione comune delle due autrici; nello specifico a Simona Inserra si devono i primi due paragrafi e a Claudia Cantale i successivi; le conclusioni sono comuni. Le autrici ringraziano i partecipanti ai due progetti di crowdfunding che hanno compilato il questionario, il gruppo di ricerca di Incunaboli a Catania, i responsabili delle biblioteche coinvolte per la cortesia e la disponibilità.