Alessandro Bollo
Mai come adesso si discute dell’importanza di ‘pianificare’, di attrezzare con visione, metodo e contenuti quei processi cui stiamo affidando la possibilità di rilancio del nostro Paese. Questo sta avvenendo con un grado di attesa generale tale da attribuire a questi percorsi di pianificazione proprietà quasi taumaturgiche in relazione alla loro capacità di farci uscire dalla crisi e di reagire positivamente a uno shock globale le cui ricadute sociali ed economiche saranno difficili da prevedere. La terminologia utilizzata per qualificare questi documenti è, infatti, piuttosto emblematica perché si fa esplicito riferimento ai concetti di ‘ripresa’, ‘resilienza’, ‘rinascita generazionale’ e i confronti con i grandi avvenimenti di discontinuità storica del Novecento, come nel caso del secondo dopoguerra, sembrano ineludibili. L’unica cosa certa è che occorrerà davvero impegnarsi collettivamente e in modo straordinario per immaginare e disegnare un futuro auspicabile oltre che possibile, definendo priorità, focalizzando obiettivi, abilitando contesti privilegiati di azione e di investimento, scegliendo cosa sostenere (e implicitamente cosa abbandonare), individuando chi più di altri deve essere aiutato; questo, in ultima istanza, dovrebbe rappresentare il senso della volontà di pianificare e programmare in termini strategici.
In questo contesto, così radicalmente mutato e in mutazione, occorre valutare e interpretare con occhi attenti il significato e le potenzialità di Disegnare il futuro della biblioteca1, il documento che definisce le linee guida per la redazione dei piani strategici delle biblioteche, curato dalla Commissione nazionale biblioteche pubbliche dell’Associazione italiana biblioteche attraverso un percorso di elaborazione, confronto e maturazione durato diversi anni. La crisi pandemica ha agito, infatti, da fattore di accelerazione in relazione a una molteplicità di fenomeni a livello sociale, economico e culturale, evidenziando da un lato la capacità di adattamento e di risposta del settore culturale con particolare attenzione alle sperimentazioni del digitale e alla capacità di cogliere bisogni e istanze emergenti, ma ha anche messo in luce gap, approcci e visioni di breve periodo, debolezze infrastrutturali e una certa fragilità dal punto di vista delle organizzazioni e delle competenze necessarie per affrontare il cambiamento. Per quanto concerne l’ambito di interesse si consideri che nel 2020 quasi il 40% delle biblioteche ha ancora un organico composto esclusivamente da personale che opera in maniera volontaria e gratuita e che lavora con orari part time, con significative e preoccupanti differenze a livello territoriale2. Se durante la pandemia una biblioteca su tre ha chiuso3, occorre però segnalare come molte altre si siano riorganizzate moltiplicando la loro offerta di contenuti e servizi a distanza (anche con inedite forme di consegna a domicilio) caratterizzandosi sovente come tra i soli presidi attivi a sostegno dei territori e delle comunità di prossimità. Complessivamente parlando, la crisi ha obbligato a mettere in discussione e ripensare il senso, il perimetro d’azione e le meccaniche d’uso dei luoghi della cultura; quelli ‘fisici’ in primis, privati in tutto o in parte di pubblico e organizzati in proposte esperienziali che hanno dovuto essere riconsiderate alla luce di una socialità depotenziata, irreggimentata e asettica, quando non del tutto assente. Questo è valso in particolare per le biblioteche di pubblica lettura che negli ultimi anni sono andate configurandosi per essere abitate più che utilizzate, pensate per far convivere e intrecciare destinatari e traiettorie d’uso differenti. Luoghi, insomma, dove diventa importante riscaldare la temperatura media della socialità, abbassare la soglia, stimolare modelli di partecipazione attiva e aumentare le probabilità degli incontri inaspettati (in termini sociali, culturali e relazionali). Tutti aspetti, questi, che sono stati resi impraticabili dalla crisi pandemica e che dovranno essere messi al centro di un processo più ampio di ‘ripensamento generativo’ dell’identità, della missione e della gestione dei luoghi della cultura dal punto di vista dell’ibridazione dei modelli di offerta, dei modelli di partecipazione, della (ri)costruzione dello spazio della pratica culturale, delle competenze e delle risorse da mettere in gioco, della capacità di cogliere istanze, bisogni e capacità emergenti e di interpretare in senso ancora più centrale e coerente le sfide e le indicazioni degli obiettivi dell’Agenda 2030.
Ecco, allora, che Disegnare il futuro della biblioteca può diventare davvero il documento necessario al momento giusto perché in grado di agire come dispositivo di animazione di un percorso più generale di presa di consapevolezza politica in merito al ruolo che le biblioteche possono e devono giocare in questo nuovo scenario, ma anche come bussola che concretamente individui gli snodi programmatici, tecnici, amministrativi, economici, organizzativi e financo culturali necessari per avviare un plausibile quanto indispensabile percorso di cambiamento, evitando di perdere un treno di straordinaria importanza. La logica e l’impianto del documento sono indubbiamente meritori perché muovono dall’intenzione di aiutare le biblioteche ad agire in termini di coerenza rispetto a valori e obiettivi condivisi, ma anche a misurare, valutare e raccontare in termini multidimensionali l’impatto delle proprie attività e dei propri servizi e di rafforzarne la legittimazione e la rilevanza nei confronti di una gamma ampia e diversificata di portatori di interessi. Il piano strategico può rappresentare, infatti, un importante strumento di advocacy sia in fase di emersione e mediazione degli obiettivi con i diversi stakeholder sia in fase di negoziazione delle risorse (economiche, umane, progettuali) con i decisori e finanziatori.
Senza volere entrare nel merito delle metodologie e delle strumentazioni di cui le organizzazioni possano giovarsi4 – il documento da questo punto di vista è piuttosto utile nel riferire di diversi approcci di progettazione e nel fornire una ‘cassetta degli attrezzi’ a supporto della redazione del piano – preme semmai evidenziare qui alcuni punti ‘topici’ nella catena di funzionamento della pianificazione strategica, particolarmente rilevanti per quelle organizzazioni culturali come le biblioteche che devono fare riferimento in modo più o meno stringente con obiettivi e aspettative di natura pubblica e istituzionale:
In termini preliminari occorre segnalare come il rapporto tra biblioteca e pianificazione strategica rischi di rimanere eccessivamente astratto se non si considerano due aspetti che spesso fungono da blocchi inerziali del processo: il rapporto con la politica (meglio, la relazione con l’architettura delle politiche pubbliche in essere e in divenire) e la relazione con il capitale umano e organizzativo disponibile. È utile, infatti, ricordare come l’adozione di un approccio strategico «richieda di intervenire a diverse latitudini istituzionali e organizzative e di innestare cambiamenti e innovazione in diverse fasi del processo gestionale»5. Si tratta, pertanto, di una scelta che, se interpretata in modo serio e rigoroso, richiede investimenti e sforzi di natura culturale, procedurale, organizzativa e nel campo delle risorse umane tutt’altro che indifferenti. Presuppone tempo e produzione di conoscenza necessaria alla costruzione di un quadro analitico che aiuti a ridurre l’incertezza e a mettere a fuoco lo spettro delle opportunità e dei vincoli su cui imbastire un’opzione plausibile di consolidamento e sviluppo. Esige, inoltre, un sistema informativo ricco dal punto di vista della varietà dei dati di cui deve nutrirsi e solido nelle procedure di raccolta e interpretazione. In ultimo, ma non meno importante, prevede un ambiente di direzione e di lavoro disponibile a mettersi in gioco, a «esplicitare già in fase ex-ante gli obiettivi, a farsi valutare e mantenere una conduzione trasparente internamente e esternamente all’organizzazione»6. Tali e tante implicazioni suggeriscono che l’adozione di un approccio strategico che non voglia tradursi in mero atto formale ed esercizio procedurale, debba richiedere un’attenta riflessione ed esplicitazione del fabbisogno da parte degli organi di governo e di orientamento – il 68,5% delle biblioteche dipende da amministrazioni civiche – e conseguentemente tradursi in una richiesta di predisposizione e messa in pratica a carico diretto o indiretto del management dell’istituzione.
L’individuazione e la scelta degli obiettivi assume un carattere di rilevanza determinante nella misura in cui rappresenti il risultato di un lavoro di ascolto, di confronto e di concertazione con i principali stakeholder dell’istituzione. Il campo di intervento di un’organizzazione culturale oggi può essere infatti molto ampio e articolato, così come allargata e diversificata può essere la dimensione del valore generato e lo spettro dei destinatari e dei portatori di interesse coinvolti. Questo vale in particolare per le biblioteche, qualora venissero legittimate e considerate per quello che già sono (o che potrebbero essere), ovvero la più importante infrastruttura diffusa, democratica, plurale, dinamica, adattiva e inclusiva della conoscenza del nostro Paese e che, come tale, dovrebbe/potrebbe essere in grado di perseguire una gamma differenziata di obiettivi alla scala delle politiche territoriali e nazionali. Essere, pertanto, riconosciute come uno degli interlocutori chiave in relazione alla possibilità di generare e favorire processi di crescita culturale e sociale, coesione, cittadinanza e rigenerazione territoriale nei confronti di platee eterogenee di partner e destinatari, il tutto con particolare riguardo agli obiettivi dell’Agenda 2030. Obiettivi che potrebbero apparire, a una prima e superficiale lettura, enormi e ‘fuori portata’ rispetto alla scala di intervento della singola istituzione bibliotecaria7, ma che in realtà risuonano con molte delle azioni e degli interventi che già si realizzano a livello puntuale nei confronti di comunità e territori di prossimità8. Lo statuto identitario delle biblioteche appare percepito spesso in modo sfocato, limitato e disallineato (anche e soprattutto da parte dei decisori politici) rispetto alle potenzialità di intervento e di impatto. Ne deriva un effetto di depotenziamento del processo di legittimazione e consolidamento del mandato istituzionale e di individuazione di un perimetro strategico che sia davvero coerente e plasmato sulle capacità delle biblioteche di agire come infrastrutture di presidio e di abilitazione rispetto alle vecchie e nuove sfide che devono affrontare le politiche suddette.
In termini metodologici gli obiettivi e le priorità potranno essere esplicitati direttamente dai rappresentanti della dimensione politico-strategica dell’istituzione oppure desunti da documenti di programmazione più generale che riguardano l’ambito di intervento dell’organizzazione stessa. Bisogna qui evidenziare come molto sovente si operi in ambiti territoriali che sono sprovvisti di linee strategiche di orientamento locale, all’interno di un contesto più ampio in cui latitano anche indicazioni e priorità sovraordinate di carattere nazionale, ma, da questo punto di vista, il documento Disegnare il futuro della biblioteca e l’architettura degli obiettivi e sotto-obiettivi dell’Agenda 2030 possono rappresentare un utile quadro di partenza che potrà essere specificatamente contestualizzato. Diventa, pertanto, particolarmente importante la sottolineatura del Manifesto AIB per la ripartenza delle biblioteche italiane9 laddove richiama l’importanza di integrare il Piano nazionale per la lettura con gli altri piani d’azione nazionali per l’istruzione, per la ricerca, per la competenza informativa, per le politiche sociali, per la rigenerazione urbana, per la tutela, la valorizzazione e la fruizione a lungo termine del patrimonio culturale e la promozione di progettualità condivise (e quindi di finalità condivise) a livello inter-istituzionale in cui Regioni e Comuni inseriscano le biblioteche come punto nodale di un sistema territoriale basato su interconnessioni tra le filiere della lettura, della conoscenza, della produzione e del welfare in senso ampio. L’analisi del contesto socioculturale e delle istanze delle comunità di riferimento rappresenta, altresì, un’operazione di supporto preliminare molto utile nel fare emergere bisogni latenti o ridefinire priorità e logiche di intervento. È pertanto auspicabile che in questa fase vengano individuate e sollecitate anche altre categorie di stakeholder (ad esempio lo staff oppure specifiche categorie di destinatari dell’attività culturale) interessate a farsi coinvolgere nei processi di pianificazione strategica e nell’esplicitare sollecitazioni e aspirazioni specifiche.
Il processo di impostazione strategica per una biblioteca significa, molto concretamente, dover fare i conti con la valutazione delle risorse (umane, organizzative, economiche, progettuali) necessarie per avviarlo e mantenerlo nel tempo, unitamente a una valutazione del grado di controllo e di governo che il management potrà esercitare nelle fasi cruciali dello sviluppo istituzionale prefigurato e delle azioni cardine più significative. Come giustamente ci ricorda il documento Disegnare il futuro della biblioteca, l’impostazione del piano strategico dovrà inevitabilmente considerare come preliminare la definizione delle risorse umane (interne ed esterne) e delle competenze necessarie a realizzarlo come anche i percorsi di empowerment che dovranno essere messi in campo per consolidare e acquisire le competenze necessarie, per governare e dare attuazione alle principali indicazioni strategiche. Il tema delle risorse e delle competenze deve essere qui analizzato in una duplice prospettiva: quelle strettamente necessarie per impostare, governare, implementare e valutare il piano e quelle (ordinarie e straordinarie) necessarie per realizzare i servizi, le funzioni, le attività e i progetti che consentono, nel medio termine, il perseguimento degli obiettivi indicati nel piano stesso. Le due prospettive sono strettamente interconnesse nella misura in cui l’assenza della prima non consente di operare all’interno di una visione strategica condivisa e controllabile e la mancanza della seconda rende teorica, impraticabile e sicuramente frustrante la realizzazione operativa. Si tratta di un aspetto particolarmente critico per le biblioteche italiane per la carenza media di personale dedicato (l’ultimo censimento parla di tre addetti in media per biblioteca) per la qualificazione professionale (come già ricordato è molto alto il numero di volontari e stagisti) e per le competenze richieste. Il tema delle competenze rappresenta, forse, una delle sfide più grandi nella misura in cui gli obiettivi e le azioni chiave per il rilancio strategico della biblioteca proposte dal documento in oggetto – tra le altre, ripensare il design dei luoghi, facilitare i processi di inclusione, promuovere ed educare alla lettura, organizzare eventi, iniziative, percorsi di educazione civica e digitale, abilitare contesti di crescita delle competenze dei pubblici, realizzare partenariati e alleanze strategiche, fare informazione e divulgazione, affrontare le sfide della sostenibilità e della trasformazione digitale – da un lato comportano azioni di aggiornamento professionale nei confronti del personale bibliotecario già presente (di upskilling, ma soprattutto di reskilling), dall’altro richiedono il reclutamento di competenze e profili che nella biblioteca normalmente non sono presenti. Su questo aspetto penso si debba essere molto chiari: il piano strategico della biblioteca è anche il piano delle risorse professionali presenti e future, interne ed esterne, formate e da formare che lo potrà rendere plausibile e che consentirà alle biblioteche di poter abitare il futuro con un ritrovato protagonismo. Il documento strategico, da questo punto di vista, può diventare il terreno di un’interessante negoziazione nella misura in cui il gap iniziale di risorse (in termini di posizioni, profili e competenze) può essere progressivamente colmato nella misura in cui viene vincolato a obiettivi, risultati, progetti chiave e accordi interistituzionali definiti e validati nel processo di pianificazione. L’ambito di applicazione del piano può riguardare, altresì, reti e sistemi bibliotecari in contesti urbani e non urbani con evidenti economie e razionalizzazioni dal punto di vista del coordinamento, della centralizzazione e della condivisione di competenze, risorse e attrezzature.
La misurazione dei risultati ottenuti e del valore generato rappresenta un altro punto cruciale dell’approccio strategico, così come il successivo percorso di comunicazione e condivisione pubblica. Non è mai scontato ricordare che per potere misurare tale valore (fornendo anche giudizi di efficienza e di efficacia sui processi e sul rapporto tra costi e benefici) occorra partire sempre dagli obiettivi individuati e dal ruolo più o meno trasformativo che si intende attribuire ai processi culturali generati. Se si specifica una visione a cui tendere, implicitamente si sta specificando anche il sistema di misura attraverso cui dovrà essere giudicata la bontà di quel percorso. Le metriche basate su output e su outcome dovranno, pertanto, essere integrate anche da indicatori di processo che siano in grado di valutare miglioramenti in termini di efficienza organizzativa, gestione congruente delle risorse, crescita dello staff, miglioramento degli impatti a parità di input ecc. Appare evidente come non esistano parametri e metriche validi in assoluto, permane semmai l’esigenza di rivendicare anche per le biblioteche un’attenzione nuova verso il tema della produzione di valore e della sua valutazione attraverso la realizzazione di piani strategici improntati ad affrontare la multidimensionalità dell’agire culturale.
In ultima istanza, come il documento Disegnare il futuro della biblioteca giustamente ci ricorda, l’obiettivo principale è quello di costruire in modo condiviso il futuro della biblioteca, mettendo in campo delle narrazioni capaci di evidenziare le specificità e il valore delle biblioteche, infrastrutture culturali essenziali che, pur tra tutte le difficoltà e le fragilità, rimangono ancora tra le più adeguate nel leggere, anticipare, affrontare i mutamenti, nel favorire la conoscenza in ambienti informativi sempre più complessi e nel generare capitale culturale e sociale in contesti caratterizzati da condizioni di disparità e diseguaglianza crescenti.
Ultima consultazione siti web: 29 agosto 2021.