Nel 2016 mi chiedevo se il progetto architettonico trionfale delle biblioteche francesi non servisse più da vetrina che da servizio (al) pubblico1. Dopo cinque anni e una crisi sanitaria prolungata devo ricredermi e riconsiderare l’utilità sociale (e sanitaria) degli ampi spazi che offrono le mediateche francesi: unici luoghi aperti quando ogni altro sportello pubblico era chiuso o sovraffollato, queste strutture avevano anticipato e superato i limiti della distanza fisica e dell’interazione sociale.
Già onnipresenti nelle aeree urbane e suburbane, nelle zone rurali e nei paesini di montagna, le biblioteche godono di una capillarità territoriale, rivelatasi preziosa in tempi di crisi. Capillarità che si è spinta ben oltre, durante i lockdown successivi, grazie alla presenza attiva e dinamica degli spazi sul web di alcune biblioteche, sulle piattaforme e sui social.
I lunghi mesi di epidemia di Covid-19 e le misure precauzionali che hanno costretto in casa ragazzi, adulti e anziani dimostrano che lo spazio (fisico e digitale) fa la differenza, soprattutto quando la distanza fisica va controllata e le relazioni sociali, se pure ambite e ricercate più che mai, vanno limitate e mediate.
Così le biblioteche-cattedrali, certo intimorenti e dispersive, offrono oggi il perimetro ideale per stare ‘da soli tra gli altri’, senza nessun rischio. Oltre a offrire servizi alla persona, ‘welfare culturale’, consumi culturali differenziati, sollecitazioni a informarsi ed educarsi, luoghi di scambi cognitivi e sociali, esse sono all’origine di spazi digitali dinamici e apprezzati in tempi di isolamento obbligato: scambi, riflessioni, dibattiti, risorse messe in comune, possibilità di interpellare voci e fonti qualificate su problematiche sociali trovano un ambito ideale in cui crescere ed evolvere.
Gli spazi online gestiti e animati dalle biblioteche comunali sembrano ridistribuire e rendere più fluide per i cittadini le possibilità di accesso a fonti e documenti utili in tempi di pandemia, quando si vuole più che mai essere informati, accedere alla conoscenza e capire. Le esperienze di scambi e dibattiti virtuali, nate dalle iniziative di quelle biblioteche comunali che hanno deciso non solo di non chiudere ma di rafforzare la loro missione durante i tre periodi di lockdown (da marzo 2020 a maggio 2021), hanno portato online storie di vita più o meno costruite o legittime, testimonianze di come persone diverse da noi abitino il mondo, abbiano percezioni diverse delle crisi e trovino soluzioni inedite.
Allora la biblioteca, già ospitale come luogo, diventa ospitale anche e soprattutto come punto di incrocio tra voci di gente ordinaria, e non solo di autori riconosciuti e dominanti. Così lo spazio in rete della biblioteca comunale, grande o piccola che sia, moderna o antica, può diventare un luogo politico che ospita racconti e storie di vita, costituendo quell’insieme di risorse comuni e condivise, necessarie per pensare, capire, immaginare. La vicinanza alla quotidianità dei cittadini, sperimentata e ampiamente collaudata durante la crisi, va rafforzata per stabilizzare e irrobustire l’azione pubblica culturale e sociale di queste strutture. Lo slancio di empatia e solidarietà potrebbe diventare un punto di partenza per dare una svolta all’azione delle biblioteche, come proposto da alcuni responsabili di struttura in Francia.
Il recente congresso dell’Association des bibliothécaires de France (ABF, giugno 2021) si è focalizzato sull’esperienza della crisi sanitaria per le biblioteche e la loro visibilità per i cittadini, giovani e meno giovani. Appare chiaramente che la biblioteca, essendo rimasta aperta laddove la scuola era chiusa, ha offerto una opportunità di emancipazione, soprattutto nelle zone in cui è stata l’unica istituzione pubblica a continuare a proporre servizi e soprattutto a offrire spazi disponibili2.
Di sicuro, tra le missioni civili tradizionalmente espletate dalle biblioteche comunali, quella dei servizi di prossimità si è rivelata la più visibile agli occhi degli abitanti e soprattutto la più utile per coloro che hanno saputo sollecitarne i molteplici usi (pensiamo, ad esempio, ai numerosi studenti che, tornati a casa, si sono avvalsi dei servizi della biblioteca comunale per moltiplicare le letture di documenti online, procurarsi libri, riviste o addirittura farsi arrivare un originale raro attraverso il servizio di prestito interbibliotecario).
In realtà, i vantaggi della prossimità, raddoppiati da nuove e più profonde relazioni personali con gli utenti e dalla solidarietà che si sviluppa in tempo di crisi, uniti all’estrema adattabilità umana, tecnologica e cognitiva di tali strutture, hanno portato alla luce un nuovo senso della biblioteca.
Nei paesini e nelle zone limitrofe dove tutti gli altri servizi – sanitari, sociali, assistenziali – hanno tardato, la biblioteca è servita in primis da sportello informativo e da ancora di salvataggio, quando tutti i servizi erano chiusi o occupati. Ci si è recati in biblioteca prima di tutto per rompere l’isolamento, rivalutando quella funzione di stabilità cui fanno riferimento i senzatetto che trovano rifugio nella parigina Bibliothèque publique d’information3.
La biblioteca, luogo ospitale, viene dunque rivisitata e rivalutata, col vantaggio tecnologico di spazi connessi accessibili con servizi, animazioni, piattaforme, media, workshop e, soprattutto, contatti umani e interazioni sociali (a distanza!). Un senso nuovo di ospitalità emerge intorno alla struttura che, tradizionalmente associata alla lettura, si è ritrovata di fatto adibita a usi inediti di centro informativo sui generis, punto di coaching per persone isolate o senza collegamento al web o addirittura sportello di mediazione e consulenza sociosanitaria.
Consapevole del punto di rottura e della possibilità di rinnovo che rappresenta per le biblioteche la crisi sanitaria, Raphaëlle Bats4 ha lanciato l’iniziativa di un seminario di riflessione e scambi durante il primo lockdown (marzo 2020)5. Le condizioni di accoglienza, già da tempo al centro delle preoccupazioni dei professionisti della lettura pubblica, si sono rivelate in tal contesto decisive: sicurezza, salute, comfort e atmosfera. Ma sono gli spazi nel web ad aver ampliato notevolmente il ruolo delle biblioteche nelle interazioni sociali, coi social e con le animazioni organizzate sulle piattaforme di scambi a distanza, portando in primo piano (e in particolare sugli schermi dei computer e smartphone) queste strutture poco frequentate in tempi normali.
La mediazione digitale che vede attualmente le biblioteche protagoniste sulle piattaforme e sulle animazioni deve garantire quei quattro punti dell’accoglienza anche sullo spazio virtuale. Così facendo si potrà passare da una biblioteca accogliente a una biblioteca ospitale perché accessibile ovunque e aperta sempre, oltre a essere utile (salutare per elevare i livelli di conoscenza di tutti), comoda e sicura per coloro che vogliano frequentarla fisicamente. In altri termini, il paradigma diventerebbe ‘dare e ricevere’ dall’utenza – e non solo dare all’utenza –, per arricchirsi gli uni e gli altri dell’unicità dei racconti, delle testimonianze e delle interpretazioni di come, altrove, la gente attraversa e supera le difficoltà. In tal modo le strutture per la pubblica lettura potrebbero offrire ospitalità (fisica e digitale) in qualità di luogo organizzato e attrezzato per prendersi cura di coloro che passano, circolano, si insediano o transitano6.
Il primo lockdown legato alla crisi sanitaria ha portato a conoscenza dei bibliotecari non i problemi di accessibilità degli utenti alla biblioteca, ma i bisogni delle persone confinate, bisogni che andavano ben al di là dell’accesso in biblioteca. Con l’esperienza dell’emergenza sanitaria, le biblioteche hanno altresì dovuto ridefinire il proprio ruolo per prendersi cura, in un’ottica sociale ricettiva, delle vulnerabilità subite e registrate dai cittadini. In altri termini, la situazione di lockdown ha creato per i bibliotecari delle condizioni inedite per entrare in empatia non solo con gli utenti, ma con gli abitanti in genere, che di solito non incontrano.
Per esempio, l’empatia è nata dalla scoperta della vulnerabilità in cui si sono ritrovate persone isolate o ammalate. Ma questa esperienza non basta per imprimere un profondo cambiamento nel senso che diamo alla biblioteca: per questo, è necessaria una presa di coscienza delle molteplici vulnerabilità delle persone (con formazioni adeguate ai professionisti) in modo da essere capaci di immaginare l’isolamento tecnologico, ‘sociale’ e ‘psicologico’ e sviluppare le competenze giuste per rispondere a situazioni come la dipendenza dagli schermi o l’isolamento da frattura sociale o virtuale. In questo senso, la missione di servizio pubblico della biblioteca, fondata sul principio di uguaglianza tra i cittadini, può includere una dimensione etica, fondata sulla solidarietà e sulla responsabilità sociale.
Solo in questo modo la biblioteca può proiettare la propria azione in modo dinamico e reattivo con la società in cui si inserisce, mettendo certo a disposizione le risorse per conoscere e capire il perché delle crisi, ma anche diventando motore di contatto e circolazione tra idee e dibattiti che permettano a chiunque – anche a chi non è iscritto come lettore – di aver accesso a fonti ricche, qualificate e controllate in un’ottica di educazione alla complessità.
Mariangela Roselli