di Maurizio Vivarelli
Introduzione allo studio della biblioteconomia di Giovanni Solimine è indubbiamente un’opera importante nella storia recente del campo disciplinare in cui si situa, per i motivi che vorrei qui cercare di mettere in evidenza1. Il libro è diviso in tre grandi sezioni tematiche: I. La biblioteca; II. La mediazione; III. L’organizzazione, secondo le modalità dello schematico indice che segue:
I. La biblioteca: La biblioteca nella società attuale; Dalla biblioteca all’informazione; Il dominio disciplinare della biblioteconomia; Bibliografia, Biblioteconomia, Documentazione; Le componenti della biblioteca; Il servizio di consultazione informazione; La biblioteca come sistema interattivo; Rinnovamento della biblioteca e della biblioteconomia; Il bibliotecario come intellettuale e come tecnico.
II. La mediazione: L’organizzazione della biblioteca; I servizi bibliografici nazionali; Standardizzazione e normalizzazione; Il catalogo come strumento di mediazione; Il processo di catalogazione; Il catalogo in linea.
III. L’organizzazione: La cultura organizzativa e la biblioteconomia; Metodologie di management e biblioteche; Programmare la biblioteca; Il management della biblioteca e il “caso italiano”; Il marketing: una strategia di sviluppo e servizio; Metodi e strumenti di valutazione; Le tecnologie dell’informazione e i servizi bibliotecari.
Con questo volume veniva avviata la collana Bibliografia, bibliologia e biblioteconomia di Vecchiarelli, in un panorama editoriale di settore in cui risultava evidente un notevole dinamismo2.
I contenuti della Introduzione sono la rielaborazione delle lezioni dei corsi di biblioteconomia tenuti nei primi anni Novanta presso la Facoltà di Conservazione dei beni culturali dell’Università della Tuscia, con l’obiettivo di integrarli organicamente nella forma di un autentico manuale, che si differenziava sensibilmente da altri tentativi coevi di sistematizzare il campo di una disciplina in rapida trasformazione.
L’elemento centrale che caratterizza l’Introduzione può essere individuato anzitutto nella sua architettura strutturale, lucidamente delineata intorno al modello triadico biblioteca/mediazione/organizzazione.
La biblioteca qualifica la sua «utilità sociale» per la «vitalità con cui […] riesce ad inserirsi in [un] processo circolare di produzione, trasferimento ed uso della conoscenza», cercando «un punto di equilibrio dinamico tra le diverse componenti che concorrono a definir[ne] la fisionomia»3; la biblioteconomia ha per oggetto, complessivamente, l’organizzazione di tutte le componenti e funzioni della biblioteca, finalizzandole alla mediazione, e non solo l’attività di descrivere e indicizzare libri e documenti4, avendo sempre ben chiaro che le differenze tra i campi della bibliografia, della biblioteconomia e della documentazione «sono sfaccettature diverse di un’unica attività»5, e che tutto il plesso dei diversi servizi deve fondarsi sulla capacità della biblioteca «di mettersi in posizione di ascolto nei confronti delle esigenze della comunità che è chiamata a servire»6. Per l’insieme di queste attività serve una identità professionale realmente complessa, sia sul versante tecnico che intellettuale7.
La mediazione individua il cuore del modello tracciato nell’opera, ribadendo ancora, però, che «la mediazione che la biblioteca esercita non si esaurisce […] nell’allestimento e nella consultazione dei cataloghi ma implica, a monte, le attività di selezione e controllo della produzione editoriale e, a valle, quelle di fornitura dei documenti»8.
La terza parte (L’organizzazione) è quella in cui si concentrano forse i principali elementi di novità dell’Introduzione. Qui troviamo trattate le premesse teoriche del pensiero organizzativo, individuate nella teoria dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy; il trasferimento dei principi teorici nell’ambito delle scienze dell’organizzazione e delle culture del management; e ancora la programmazione e gestione per obiettivi e una idea di welfare della società e della conoscenza cui Solimine ha dedicato significative riflessioni negli anni successivi. Alla fine di questa organico ciclo di vita delle attività della biblioteca pagine importanti sono dedicate alla misurazione e valutazione dei servizi, indispensabili per riprogrammare gli obiettivi di volta in volta conseguiti.
Personalmente ho imparato molto sia da questo libro, sia dal rapporto personale e diretto con l’autore, maturato già dalla fine degli anni Novanta durante i miei contratti di insegnamento alla Università della Tuscia, sia nella mia ventennale attività professionale, riguardante soprattutto la progettazione biblioteconomica della Biblioteca San Giorgio, realizzata anch’essa grazie alla preziosa collaborazione di Giovanni Solimine. Sono convinto che questo libro abbia contribuito non poco ad adeguare il passo della biblioteconomia italiana al mutare dei tempi, con l’auspicio teoricamente e metodologicamente organico di garantire una efficacia sempre maggiore ai servizi offerti alle diverse comunità di riferimento. Per questi obiettivi serviva una ‘nuova’ biblioteconomia, la ‘biblioteconomia gestionale’, in cui l’elemento aggettivale aggiunto al sostantivo ne qualificava gli elementi ulteriori, e aggiuntivi, che al campo disciplinare andavano ad aggiungersi. Nella elaborazione di allora, insomma, il modello classico della public e reference library era interpretato come dotato di una sua solida identità. Si trattava, dunque, di trovare le condizioni per farlo funzionare bene, e sempre meglio.
Negli anni successivi alla pubblicazione del libro i fattori di mutamento hanno continuato inesorabilmente a progredire, sospinti anche dalle onde tumultuanti del web, che hanno condotto infine alla ‘tempesta perfetta’ delle biblioteche, accelerata infine dalla drammatica pandemia nella quale ancora siamo immersi. Ciò che è andato in ‘crisi’, dunque, è proprio il modello di biblioteca che con gli strumenti gestionali si intendeva rafforzare e potenziare. La progressiva metamorfosi, tuttora in atto, del paradigma otto-novecentesco precedente, ci ha infine posti di fronte a un panorama nuovo, inaspettato e anche inquietante, attraversato da flussi di dati enormi, relazionati e ‘ordinati’ da procedure gestite dalle stesse macchine, in una inedita commistione di umano e di artificiale. Per questo è iniziata anche la crisi della biblioteconomia con cui si cercavano di gestire le relazioni delle biblioteche con i loro ormai molto alterati contesti. E così, in un avvicendarsi di prefigurazioni disciplinari, la ‘biblioteconomia gestionale,’ nata sulle spalle della ‘biblioteconomia documentale’, potrebbe essere inserita in un nuovo nascente paradigma, quello della ‘biblioteconomia sociale’. Si tratta di un’area vasta, rispetto alla quale esiste una letteratura di riferimento consistente a livello nazionale e internazionale, governata dal campo semantico amplissimo del termine e del concetto di ‘sociale’, entro la quale, con modalità diverse, si situano le esperienze applicative della cosiddetta ‘biblioteca sociale’, il modello partecipativo di David Lankes, e appunto, in Italia, il campo della ‘biblioteconomia sociale’, su cui si è orientata la riflessione sia di Solimine che, in particolare, di Chiara Faggiolani e Anna Galluzzi.
Per quanto mi riguarda sono convinto che, entro il campo variegato e sfrangiato della biblioteconomia e più in generale delle culture documentarie nel loro insieme, dovranno continuare a essere ‘co-presenti’ i contenuti e le competenze cui si fa riferimento con le locuzioni aggettivali ‘documentale’, ‘gestionale’, ‘sociale’, che vedo intrecciati in una rete fitta di relazioni che presumibilmente si svilupperà in modo integrato e sinergico; e credo anche che questo approccio trasversale ai diversi versanti della biblioteconomia potrebbe essere promosso e sostenuto proprio, diciamo così, dal suo lato ‘sociale’, anzitutto per la sua ampiezza metodologica. Sono convinto anche che a questi tre sottocampi della biblioteconomia debba essere aggiunto e compiutamente legittimato quello della ‘biblioteconomia digitale’, a sua volta parte del mare magnum delle digital humanities. Credo infine che la promozione della ricerca sui principi dei modelli di selezione, rappresentazione e ordinamento, comunicazione e uso delle informazioni non possa prescindere da un nuovo posizionamento nei contesti attuali di produzione della conoscenza, profondamente alterati dalla ‘datificazione’, e con i quali è possibile confrontarsi solo utilizzando il potere computazionale delle macchine orientato da data e network science. Inoltre, e a un livello ancora più generale, ritengo che la crisi della biblioteconomia non riguardi solo la variante ‘pubblica’ (cioè la public library), secondo l’asse periodizzato e canonizzato che da Antonio Panizzi punta fino a Michael Gorman, ma investa anche i fondamenti epistemologici del concetto di bibliotheca sviluppato nella storia moderna della cultura bibliografica. E ad andare in crisi non è stata solo la ‘teca’, cioè la biblioteca nella sua concretezza materiale e organizzativa, ma anche il nomos, cioè l’insieme dei principi di ordinamento concettuale, per la più ampia crisi della razionalità occidentale, da Cartesio alla postmodernità che, infrangendo il sogno positivista, ha lasciato affiorare di nuovo la percezione di quel ‘mal d’archivio’ di cui sia le biblioteche che la biblioteconomia sono con evidenza affette9.
Il modello e i metodi prefigurati con l’Introduzione, come si è visto, hanno progressivamente attenuato la propria stabilità, per l’affiorare di numerose ‘anomalie’ previste nei cicli di vita dei paradigmi, in accordo con le teorie di Thomas Kuhn. Lo stesso Solimine, nella sua successiva attività, ha molto lavorato sia sull’analisi di questa crisi del canone biblioteconomico e sulla ‘complessificazione’ della realtà, bibliotecaria ed extrabibliotecaria10, sia sulla presentazione panoramica del campo complessivo della biblioteconomia, attraverso la cura, insieme a Paul Gabriele Weston, di due volumi pubblicati da Carocci11. La scelta di produrre in modalità collettanea queste opere testimonia dunque la convinzione che non sia più possibile pensare e scrivere un manuale sistematico, espressione di uno specifico punto di vista teorico e metodologico.
Parrebbe dunque che un ‘nuovo’ manuale di una ‘nuova’ biblioteconomia non sia possibile, o quanto meno che sia molto difficile immaginarlo, pensarlo, realizzarlo.
Vorrei infine proporre qualche rapida considerazione finale, che richiama argomenti in parte discussi in precedenza. Credo in primo luogo che, in una fase storica e documentaria caratterizzata da imponenti trasformazioni, sia indispensabile una riflessione sui principi, oltre che sulle applicazioni – e dunque sulla library science oltre che sulla librarianship, prendendo dunque in esame le parole e i concetti chiave su cui si fondano il campo della disciplina e, a valle, le pratiche e l’agire bibliotecario; parole come dato, informazione, documento, libro, collezione, biblioteca, ad esempio, facendo riferimento all’oggetto più che al punto di vista disciplinare secondo cui l’oggetto è trattato. In secondo luogo, e anche per i motivi indicati in precedenza, mi pare necessaria una estensione della periodizzazione del campo disciplinare, che vada ben oltre la cosiddetta great tradition angloamericana, catalografica e non solo, risalendo all’indietro fino alle origini della cultura bibliografica nella prima età moderna. In terzo luogo, attribuirei un ruolo e una funzione centrale alla creatività, abbandonando dunque lo scientismo oggettivante della tradizione positivista.
Penso insomma che esistano, e vadano sostenute e sviluppate, nello sfumato campo disciplinare del libro, delle informazioni, delle biblioteche, le energie generose e le intelligenze curiose che in esso si muovono, orientandole con convinzione all’interpretazione critica del cambiamento in atto, cercandone il radicamento nelle invarianti profonde su cui la tradizione disciplinare si è gradualmente e storicamente costituita. Da questa integrazione tra creatività delle persone e azione degli elementi profondi credo che possa nascere il profilo di una ‘biblioteconomia’ aperta, interpretativa, meta e transdisciplinare, in cui si possano muovere agevolmente le diverse ‘tribù disciplinari’, e anche le rispettive ‘comunità’ di riferimento, unite grazie alla identità degli oggetti di cui si occupano, e a cui sono collegate pratiche fondative della nostra tradizione culturale, tutte collegate reticolarmente tra di loro. Su queste basi, complesse e incerte, credo che possa forse essere prefigurato un nuovo ‘manuale’, utile per la biblioteconomia e per le biblioteche del presente e del futuro, aggiungendo a quelli maturati nell’ambito delle diverse tradizioni ulteriori ‘strati’ di conoscenze e competenze, con cui cercare di comprendere l’insieme delle ‘arti del fare’ documentarie ed extradocumentarie12.
La rilettura della Introduzione allo studio della biblioteconomia, in questo senso, è dunque ancora di grande utilità per continuare a riflettere sulla profonda trasformazione dei contesti, presenti e futuri, in cui un possibile ‘nuovo’ manuale di una ‘nuova’ biblioteconomia potrebbe collocarsi, a quali domande cercare di rispondere, e quale ‘mondo possibile’ per le biblioteche potrebbe aiutare a immaginare.
Ultima consultazione siti web: 27 agosto 2021.