Recensioni

a cura di Desirée de Stefano e Federica Olivotto

Alberto Petrucciani, Simona Turbanti, Manuale di catalogazione. Milano: Editrice bibliografica; Roma: Associazione italiana biblioteche, 2021. 287 p.: ill. (Professione bibliotecario; 2). ISBN 9788893571685 (cartaceo); 9788893573689 (e-book: PDF).

«Le norme, come le regole di grammatica di una lingua, si limitano più che altro ad indicare ciò che è consentito, oltre a quanto è decisamente errato. Spetta al catalogatore, alla sua esperienza e capacità professionale, alla sua cultura, di dare le informazioni che ritiene necessarie, nel rispetto del codice di norme, come delle altre istruzioni e convenzioni proprie del contesto informativo in cui opera». Così scriveva ormai quaranta anni fa Diego Maltese in La biblioteca come linguaggio e come sistema (Editrice bibliografica, 1985, p. 15), costante presenza in questo Manuale di catalogazione che esce quindici anni dopo il precedente Manuale pratico di catalogazione, ora per i tipi di Editrice bibliografica in coedizione con l’Associazione italiana biblioteche. Sebbene varie parti del libro siano riproposte in modo pressoché immutato e undici dei ventuno esempi presentati e discussi si trovassero già nel Manuale pratico, non si può certamente parlare, in questo caso, di una nuova edizione, bensì di un’opera nuova, come segnala fin da subito la caduta dal titolo del termine ‘pratico’. Ben cento pagine si aggiungono in questo volume al precedente e, poiché il numero di esempi sale solo da venti a ventuno, è altrove che si devono cercare le principali novità.
Da questo punto di vista, la parte più significativa è infatti la sezione iniziale di carattere teorico e storico, assente nel Manuale pratico dove i casi catalografici erano preceduti solo da una sia pur interessante e densa introduzione, tuttora peraltro perfettamente valida. Evidentemente, la riflessione che ha condotto alla scelta di integrare in tal modo il volume è stata che il carattere fondamentalmente pratico della catalogazione non debba far perdere mai di vista il fatto che tale pratica deve poggiare su una profonda e ben assimilata conoscenza della teoria che alla catalogazione sottostà, oltre che sulla consapevolezza di dove si situi il catalogo della biblioteca nel circuito dell’informazione, dell’attività di ricerca e dei suoi servizi. Teoria e pratica sono due facce della stessa medaglia, nella catalogazione come in tante altre attività. Non è vero infatti, come più volte si avverte nel volume, che le ‘regole’ della catalogazione siano puramente convenzionali: esse tengono conto di consuetudini editoriali e tipografiche attestate da secoli e sostanzialmente immutate, a loro volta correlate a precisi fenomeni psicologici e percettivi, tali per cui, ad esempio, le informazioni che il libro dà di sé sono abitualmente collocate in determinati punti canonici, che pertanto diventano fonti di informazioni principali o secondarie secondo una logica complessiva e una gerarchia di cui nella catalogazione si deve tener conto, perché è su questo piano che si realizza in modo naturale la comunicazione fra chi cataloga un libro e chi legge la scheda prodotta dal catalogatore. È dunque indispensabile che vi sia un continuo confronto fra princìpi e teorie da una parte e i fenomeni reali che si presentano al catalogatore dall’altra, sempre vari, nuovi e imprevedibili, da interpretare attivamente di volta in volta, in quella che dovrebbe essere una circolarità di studio e applicazione che modifica sia la teoria sia la pratica.
Riprendendo dunque la citazione dalla quale abbiamo preso le mosse, lo scopo di questo manuale – radicato nella tradizione ma aggiornatissimo e nel quale si cercherà invano la parola ‘metadatazione’ (e già questo dice molto, considerando il livello al quale l’opera si colloca) – è appunto contribuire a far sì che l’applicazione delle norme catalografiche avvenga sempre nella consapevolezza dei princìpi che a esse sottostanno, nella convinzione anzi che una corretta applicazione delle norme sia possibile solo se vi è tale consapevolezza, la cui frequente assenza è uno dei grandi problemi dei cataloghi di oggi e, in particolare, di quell’immensa base di dati che è il catalogo collettivo del Servizio bibliotecario nazionale. L’insoddisfacente qualità di SBN è dovuta, come nel volume è ben spiegato, a una molteplicità di fattori: alla sua natura partecipata, al suo essere il risultato di riversamenti di dati creati nel corso di molti decenni, con modalità distinte, con regole differenti, per biblioteche e finalità in parte diverse, ma anche, purtroppo, alla situazione degli organici delle nostre biblioteche, drammatica al di là di ogni immaginazione (oltre che, forse, prossima a un punto di non ritorno) e all’inadeguatezza che spesso si riscontra in chi alimenta la base dati. E non sempre questa mancanza di qualificazione deriva dalla volontà dei bibliotecari di ‘risparmiare’, perché sono di solito ben consapevoli di come le competenze necessarie al catalogatore siano molteplici e debbano essere adeguatamente riconosciute e compensate; ma anche laddove tale consapevolezza è ben forte, le modalità di affidamento dei servizi a collaboratori esterni, cui ricorrere è inevitabile, sono condizionate in modo avverso e apparentemente insuperabile dalla normativa che disciplina gli appalti, dagli effetti spesso paradossali. Vi è inoltre un enorme bisogno di formazione al quale sarebbe forse necessario rispondere anche con metodi diversi dai consueti corsi e in modo strutturato, ad esempio con tirocini per chi è già in possesso dei ‘ferri del mestiere’ e in grado di fare un salto di qualità nella professione.
Altra parte del tutto nuova del libro è la terza appendice sul controllo di autorità, tema oggi molto attuale. L’attività di authority control, che vuole garantire l’uniformità formale dei punti di accesso, ha ricevuto recentemente forte impulso da parte dell’Istituto centrale per il catalogo unico e le informazioni bibliografiche (ICCU) attraverso corsi di formazione rivolti a rappresentanti di tutti i poli SBN, la creazione di gruppi di lavoro appositi e la messa a disposizione sul proprio sito online di adeguati strumenti di supporto (https://www.iccu.sbn.it/it/). Si tratta di un campo, all’atto pratico, piuttosto nuovo per molti catalogatori anche esperti e quindi la lettura sia di questa appendice sia della parte dedicata al titolo uniforme nei singoli casi sarà estremamente proficua.
Gli esempi, come detto, passano da venti a ventuno ma solo undici erano già presenti nel Manuale pratico, mentre dieci sono nuovi e quasi tutti relativi a pubblicazioni edite negli ultimi anni. In alcuni casi sono stati riproposti ma rivisti alla luce dei cambiamenti intervenuti nella normativa. Anche la presentazione della scheda al termine di ogni caso è più dettagliata. Innanzitutto vi è riportato sempre il titolo uniforme, anche per le opere italiane intestate ad autori (Vita di Melania Mazzucco, ad esempio). Sono poi elencate tutte le responsabilità richiamate (principale, coordinata, secondaria, con eventualmente le indicazioni ‘facoltativa’, o ‘per la pubblicazione’, oppure entrambe). Seguono il soggetto, espresso ricorrendo ora al Nuovo soggettario della Biblioteca nazionale centrale di Firenze (e al quale è dedicato nel volume ampio spazio) e il numero di Classificazione decimale Dewey (nella 23. edizione anziché nella 21.).
La scelta degli esempi, seppur in numero limitato, ha voluto evidentemente offrire un’ampia casistica di tipologie di pubblicazioni (delle dieci classi della Classificazione Dewey solo la 600 non è rappresentata) e di problematiche nelle quali spesso i catalogatori si imbattono e che presentano difficoltà più o meno grandi, il cui superamento può avvenire solo (e lo sforzo di aiutare il lettore nell’adottare questo atteggiamento è costante in tutto il libro) portando l’attenzione dal ‘come’ al ‘perché’, ovvero alla comprensione delle finalità e dei princìpi della catalogazione.
In conclusione, il volume costituisce una lettura da affrontare con estrema attenzione non solo da parte di chi si trova in quella che qui viene definita la «terra di nessuno» fra la fine degli studi e l’inizio della professione (p. 10), ma senza alcun dubbio anche da parte di chi ha già esperienza di catalogazione, poiché solo catalogatori esperti potranno apprezzare fino in fondo tutta la grande ricchezza di contenuto di questo pregevolissimo e meditato manuale.

Paolo Woś Bellini
Biblioteca nazionale centrale di Firenze


Simone Dotto, Voci d’archivio: fonografia e culture dell’ascolto nell’Italia tra le due guerre. Milano: Meltemi, 2019. 212 p. (Plexus. Archeologie, archivi e storie dei media; 4). ISBN 9788855191432.

La brillante e trasversale ricerca di Simone Dotto trova un felice esito nella pubblicazione Voci d’archivio, nella quale l’autore ci conduce attraverso le fonti d’archivio lungo il processo di istituzionalizzazione della fonografia, con la nascita della Discoteca di Stato, e quindi della memoria sonora nazionale nell’Italia degli anni Venti e Trenta. Un percorso avvincente che intreccia indagine storica ed epistemologica sulla costruzione, conservazione e valorizzazione del primo archivio sonoro italiano, sull’archeologia e cultura materiale dei media, ma anche della cultura dell’ascolto novecentesca.
Al centro dell’analisi viene assunto l’archivio sonoro sia come repertorio di fonti sia come soggetto di studio, così la narrazione storica fa emergere rappresentazioni inedite di storie immateriali e dei suoi protagonisti, collegandosi con un punto di vista originale della dialettica tra visual e sound studies nella storiografia contemporanea.
Nell’introduzione vengono enunciate le ragioni della ricerca e si contestualizza il focus temporale d’interesse, spiegando come grazie alle innovazioni tecnologiche di fine Ottocento compaiono i primi strumenti per la registrazione e riproduzione del suono.
La struttura del libro si articola in due sezioni: la prima si concentra sulla fonografia ed etnografia, mentre la seconda sulle cosiddette ‘auto(fono)grafie’.
La prima parte pone in evidenza l’importanza della fonografia, come tecnica culturale di iscrizione tanto della dimensione ‘simbolica’, quanto di quella ‘reale’ delle voci e dei suoni, ma sottolinea anche la faticosa e complessa conquista di una sua riconoscibilità disciplinare nella relazione tra museografia, antropologia, etnografia, fino all’esigenza di una fonoteca che ha portato alla ‘nobilitazione culturale’ dei media fonografici.
Nella seconda parte emerge il ritratto di Rodolfo Tonino (in arte De Angelis), protagonista della nascita della prima Discoteca di Stato. Cantante, attore e autore in contatto con i circoli e le sperimentazioni dell’avanguardia futurista, promosse nel 1924 la realizzazione di un ambizioso progetto, intitolato La Parola dei Grandi, con la Società italiana di fonotopia, che vedeva l’incisione di una serie di dischi della ‘viva voce’ di tutti i grandi uomini italiani (politici, intellettuali, artisti, scienziati). Gli obiettivi dell’iniziativa erano quelli di «Divulgare nel popolo, attraverso le scuole, le università e tutte le istituzioni, patriottiche e culturali la parola di coloro che, con le opere, con l’intelletto, con l’esempio contribuiscono a mantenere alto il nome dell’Italia nel mondo» e «Tramandare ai posteri, per secoli e secoli, la voce di coloro che seppero e vollero lavorare per la più grande Italia» (p. 114), come citato dall’autore dal contratto originale presente nel fondo De Angelis. Nasce così nel 1928 la prima Discoteca di Stato (oggi Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi) sulla base del primo fondo archivistico di documentazione sonora de La parola dei Grandi e nel 1939 le venne riconosciuta la funzione di archivio sonoro nazionale.
Infine, l’autore approfondisce le riflessioni sulla valutazione e utilizzo delle fonti nella costruzione di una determinata rappresentazione culturale, evidenziando quanto le fonti sonore non registrino solo suoni, voci o parole, ma esprimano anche le funzioni politico-ideologico e culturali per le quali sono state create.
Questo libro porta alla luce, anzi potremmo dire alla consapevolezza, che «There is always more than one map for a territory, and sound provides a particular path through history.» (p. 8).

Teresita Scalco
Università Iuav di Venezia


Library management 101: a practical guide, edited by Lisa K. Hussey and Diane L. Velasquez. 2. ed. Chicago: ALA, 2019. xiii, 298 p. ISBN 9780838917152 (cartaceo); 9780838918647 (e-book: PDF); 9780838918630 (e-book: ePub); 9780838918654 (e-book: Kindle).

La seconda edizione riveduta e aggiornata di Library management 101, pubblicata dall’American Library Association (ALA), costituisce un punto di riferimento importante per la gestione delle biblioteche. Il volume raccoglie i contributi di diversi autori ed è stato concepito come un manuale destinato a supplire alla carenza di corsi di management all’interno dei programmi di Library and information science (LIS) delle scuole di formazione americane riconosciute dall’ALA. Le curatrici, Lisa K. Hussey e Diane L. Velasquez, sono docenti rispettivamente presso la School of library and information science della Simmons University e la University of South Australia; la seconda ha anche lavorato per diversi anni nei settori del marketing, dell’amministrazione e della gestione delle risorse umane.
La guida è composta da ventidue capitoli, la maggior parte dei quali si conclude con case study ed esercizi, che consentono al lettore di mettere in pratica ciò che ha appreso. Inoltre, alla fine di ciascun capitolo sono riportate bibliografie di riferimento e proposte di ulteriori approfondimenti. Gli argomenti trattati spaziano dalla gestione delle risorse finanziarie alla capacità decisionale, dalle iniziative di inclusione all’etica professionale, dalla comunicazione aziendale alle strategie di promozione. A prima vista, molti degli argomenti trattati sembrerebbero avere poco o nulla da spartire con la professione bibliotecaria, ma in realtà ricoprono un ruolo di primaria importanza per una gestione efficiente della biblioteca. Per esempio, l’uso delle strategie del marketing (capitolo 11) si rivela essenziale per accrescere la visibilità di una biblioteca e per promuovere il suo patrimonio librario e i servizi offerti. Molta rilevanza, tra gli altri, rivestono il capitolo 3 (Mentoring), che analizza uno degli aspetti più importanti del management, cioè quello di supporto allo sviluppo delle competenze e alla crescita professionale, e il capitolo 16 (Conflict negotiation and mediation), che propone suggerimenti utili a risolvere conflitti che possono insorgere all’interno del personale. Altri capitoli, come quello dedicato alla pianificazione strategica (capitolo 6), al project management (capitolo 20) e al grant writing per le richieste di sovvenzioni (capitolo 21), propongono consigli pratici sulle strategie da adottare al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati.
Pur rivolgendosi alla realtà delle biblioteche nordamericane, il libro offre numerosi spunti interessanti anche per il contesto italiano, in quanto i principi manageriali esposti sono applicabili anche ai campi operativi delle nostre biblioteche. L’adozione di questa guida nell’ambito dei corsi universitari di biblioteconomia potrebbe servire da valido orientamento in questioni di gestione bibliotecaria, con un approccio che privilegia lo spirito d’iniziativa: un aspetto fondamentale per formare una figura di bibliotecario con capacità progettuali e di leadership, in grado di gestire un sistema complesso, costituito da persone e situazioni diverse. Oltre a queste qualità, la vocazione al servizio è sicuramente il tema centrale intorno al quale si snoda l’intero volume, perché in una biblioteca ogni scelta fatta a livello gestionale ha come fine ultimo quello di garantire agli utenti la massima efficienza e qualità dei servizi. Questo è ciò che trasforma una biblioteca in un’organizzazione di successo. Infatti, citandole parole di Lisa K. Hussey nella conclusione del quinto capitolo (Customer Service), «Customer service is an essential part of any effective organization. In libraries, our mission is to serve our communities», p.62.

Sofia Fagiolo
Università campus bio-medico di Roma


Cyns Nelson, Oral history in your library: create shelf space for community voice, with contributions by Adam Speirs; foreword by R. David Lankes. Santa Barbara: Libraries unlimited, 2018. 116 p. ISBN 9781440857249; 9781440857256 (e-book: ePub).

Un volume a più voci quello scritto dalla bibliotecaria statunitense Cynthia ‘Cyns’ Nelson. Il libro infatti si arricchisce delle riflessioni e dell’esperienza di Adam Speirs – che da anni si occupa del rapporto tra oral history e biblioteche – e della prefazione di R. David Lankes. È proprio sulla via tracciata da L’atlante della biblioteconomia moderna (Editrice bibliografica, 2014) che l’autrice invita i bibliotecari a scoprire le potenzialità della oral history, uno strumento per favorire il coinvolgimento dei membri della comunità attraverso il dialogo e l’incontro all’interno di una nuova biblioteca ‘partecipativa’.
Sono quattro i pilastri su cui si fondano le riflessioni di Cyns Nelson e ognuno rappresenta un concetto chiave espresso dalla lettera R: recognize, record, represent, reach; a ciascuna idea è dedicato un capitolo. Alle prime quattro sezioni se ne aggiungono altre due: più ‘filosofica’ la prima – tanto che l’autrice suggerisce ai ‘meno riflessivi’ di passare a quella successiva – e più ‘concreta’ la seconda, perché incentrata sull’applicazione dello ‘schema delle 4R’ al progetto curato da Nelson nella Boulder Public Library: il Maria Rogers Oral History Program (MROHP).
All’inizio del volume l’autrice illustra quelle che sono le caratteristiche della oral history, le origini e gli sviluppi. In estrema sintesi, con il termine ‘storia orale’ ci si riferisce alla raccolta, conservazione e uso di interviste realizzate per scopi di ricerca. Nelson è chiara nel definire il ruolo della biblioteca in questo ambito: luogo che accoglie le voci dei membri della comunità, tenendo sempre in considerazione quella che è la propria politica di sviluppo delle collezioni, nell’idea che le interviste possano diventare parte della sua identità. Le voci degli individui rappresentano una molteplicità di prospettive in dialogo tra loro e il fatto che siano accessibili rafforza il processo di riconoscimento dei membri come parte di una comunità.
Il bibliotecario ha il compito di coinvolgere le persone attraverso i canali di comunicazione della biblioteca e scegliere chi può essere intervistato. L’autrice non nasconde che possa ricoprire anche il ruolo di intervistatore, sottolineando però che l’obiettivo è creare contenuti e informazione per la comunità e attraverso di essa. È fondamentale, quindi, produrre una risorsa audio(video) di buona qualità, frequentare corsi di formazione e seguire le indicazioni messe a disposizione dalla Oral History Association (OHA); un’iniziativa condivisa anche dall’Associazione italiana di storia orale (AISO) che ha redatto il documento Buone pratiche per la storia orale, contenente utili indicazioni per svolgere al meglio il lavoro sul campo.
Nelson si sofferma, inoltre, sulle difficoltà che si possono incontrare nel dare accesso alla molteplicità di informazioni contenute nelle interviste, ma anche sulla necessità di produrre quella documentazione di corredo in grado di favorire un avvicinamento del pubblico: trascrizione, scheda dell’intervista, indici. L’autrice sostiene che il modello FRBR possa essere utile a mettere in evidenza le relazioni tra i vari aspetti della risorsa, senza dimenticare la necessità di produrre metadati e di trasferire le informazioni in uno o più record catalografici. Compare solo un accenno, invece, al mondo linked open data e semantic web, in cui la oral history può trovare uno spazio favorevole all’organizzazione dell’informazione e alla creazione di relazioni che favoriscano la circolazione di idee ed esperienze.
Sono varie, infine, le modalità proposte per la condivisione del materiale con chi ha partecipato al progetto di raccolta delle interviste e, più in generale, con il pubblico: la consegna di una copia della registrazione all’intervistato, la creazione di piattaforme web dedicate che consentano di creare un collegamento con il catalogo della biblioteca, ma anche la costituzione di Human Library per favorire la comunicazione e l’incontro.
Un volume che ha il merito di aver (ri)proposto il tema della oral history in biblioteca, non solo da un punto di vista teorico – in continuità con le riflessioni della ‘biblioteconomia moderna’ – ma anche da una prospettiva pratica, che non nasconde le problematiche legate, per esempio, alla catalogazione di queste risorse. Una finestra aperta su una realtà che per i bibliotecari italiani rimane poco conosciuta – generalmente più familiare agli archivisti – e che quindi può rappresentare una prospettiva interessante per creare un ponte tra biblioteca e comunità, per favorire le relazioni tra i suoi membri, promuovere la partecipazione e incentivare nuove narrazioni.

Patrick Urru
Università di Trento


Le biblioteche dell'alta formazione musicale: prove di monitoraggio e valutazione, a cura di Giovanni Di Domenico con Anna Bilotta e Maria Senatore Polisetti. Milano: Ledizioni, 2020. 413 p.: ill. ISBN 9788855262941 (cartaceo); 9788855263078 (e-book: ePub).

Oggetto del volume è una riflessione sull’attività di misurazione e di valutazione dei risultati conseguiti dalle biblioteche musicali italiane, sviluppata mediante la presentazione delle informazioni raccolte nell’ambito del progetto di monitoraggio “Le biblioteche musicali italiane: stato dell’arte e prospettive (2017-2020)”, curato da un gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze del patrimonio culturale (DISPAC) dell’Università degli studi di Salerno in collaborazione con IAML Italia, gruppo nazionale dell’International Association of Music Libraries, Archives and Documentation Centres (IAML).
Nel primo capitolo Giovanni Di Domenico, dopo essersi soffermato sulla natura peculiare propria delle biblioteche musicali, riassume le varie fasi dello studio che ha coinvolto 18 istituti superiori di studi musicali e 55 conservatori musicali. Attraverso metodologie di tipo quantitativo e qualitativo si è tentato di rilevare le criticità delle diverse gestioni bibliotecarie al fine di porvi rimedio: l’analisi della casistica è stata effettuata grazie a una raccolta di dati statistici, elaborazione di indicatori di performance, somministrazione di un questionario strutturato e interviste.
I contributi sulla letteratura nazionale e internazionale in materia di biblioteche musicali presi in esame vengono elencati nella ricca e dettagliata bibliografia compilata da Anna Bilotta, che rappresenta senza dubbio uno strumento indispensabile per quanti vogliano approfondire l’argomento. Questa si articola in quattro sezioni: Music librarianship and music libraries, Valutazione delle biblioteche musicali, Biblioteche musicali e musica nelle biblioteche italiane e Biblioteche dei conservatori statali di musica e degli istituti superiori di studi musicali.
Segue la presentazione del questionario strutturato, somministrato ai responsabili delle diverse biblioteche musicali che raccoglie, in ordine alfabetico di denominazioni di biblioteca e per città, gli elementi informativi più rilevanti associati alle 42 biblioteche rispondenti all’indagine – dati anagrafici, storia, patrimonio, accoglienza, spazi, cataloghi, organici, bacino d’utenza e servizi – assieme ai dati afferenti alle biblioteche non rispondenti, desunti dall’Anagrafe delle biblioteche italiane curata dall’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche (ICCU) e dai rispettivi siti istituzionali. Le risultanze rappresentanti lo stato delle biblioteche nell’anno 2018 e le variazioni in serie storica nel triennio 2015-2017 vengono quindi illustrate sotto forma di tabelle e di grafici a torta o a barre.
Estremamente interessante è il successivo riferimento agli indicatori di performance elaborati incrociando i dati raccolti in conformità allo standard ISO 11620:2014, che rilevano l’efficacia di vari componenti dei sistemi bibliotecari – quali le risorse, gli accessi, le infrastrutture, l’uso, le potenzialità di sviluppo – e sono poi confrontati tra di loro mediante il calcolo dei quartili.
Il primo capitolo si conclude con la trascrizione delle interviste rivolte dal gruppo di studio a vari stakeholder delle biblioteche musicali: direttori di conservatori, utenti semplici, tirocinanti, docenti di storia della musica. Queste da una parte evidenziano l’importanza che le biblioteche speciali rivestono per la ricerca e la didattica musicale e dall’altra la poca attenzione a loro rivolta a livello istituzionale.
Il secondo capitolo esordisce con le riflessioni di Anna Bilotta sulle rilevazioni di performance operate in seno al progetto: tra i differenti aspetti delle gestioni bibliotecarie accertate come soddisfacenti si ricordano l’elevato livello di informatizzazione degli inventari di biblioteca, la percentuale di adesione al Servizio bibliotecario nazionale (SBN), rappresentata dal 75% delle biblioteche oggetto di indagine, e l’incremento dell’utenza sia interna che esterna. Si registrano, invece, nella maggior parte dei casi, la scarsa diffusione delle banche dati specialistiche, investimenti finanziari insufficienti e la necessità di un consistente potenziamento dei servizi offerti.
Maria Senatore Polisetti sottolinea, inoltre, l’opportunità di un continuo aggiornamento professionale del personale bibliotecario, sia dal punto di vista musicale che biblioteconomico, soffermandosi in particolare sulle figure dei bibliotecari-docenti e dei collaboratori di biblioteca.
Vengono quindi evidenziate due delle funzioni principali svolte dalle biblioteche musicali: il ruolo di supporto alle attività di ricerca, di didattica e di apprendimento che vengono svolte all’interno dei conservatori e degli istituti musicali e quello di biblioteche specialistiche aperte anche all’utenza esterna. Tra le criticità rilevate si ricorda, invece, un’inadeguata sponsorizzazione dei vari servizi sia da parte degli stessi istituti che da parte dei docenti.
Il terzo e ultimo capitolo è dedicato all’appassionata ricostruzione, a opera di Vincenzo Trombetta, della storia dalle origini alla vigilia dell’Unità d’Italia del Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli e della sua biblioteca. Si segnala, inoltre, un’interessante citazione del Regolamento interno del 1809, che mirava a definire i compiti dell’archivista bibliotecario.
Segue la postfazione, in cui Tiziana Grande, presidente di IAML Italia, pone l’accento su alcuni elementi significativi emersi dal monitoraggio nel suo complesso, come la discreta produttività delle biblioteche musicali, gli investimenti irrisori da esse ricevuti e la necessità di costituire una rete di biblioteche speciali della musica.
Nell’appendice Anna Bilotta illustra i requisiti fondamentali che secondo IAML, IFLA e la Music Library Association statunitense dovrebbe possedere un bibliotecario musicale – come la capacità di leggere il maggior numero possibile di lingue straniere – e una biblioteca musicale: tra questi per esempio l’inclusione nello staff di almeno un bibliotecario specializzato in biblioteconomia musicale, insignito di autorità nella gestione della biblioteca.
Il volume si chiude con un ulteriore contributo di Tiziana Grande, focalizzato sullo sviluppo del ruolo delle biblioteche musicali e dei bibliotecari musicali a partire dal 1985. Si segnalano, tra le tappe fondamentali, l’inserimento della musica in SBN, la costituzione della base dati Musica nel 1987 e la pubblicazione della Guida alla catalogazione in SBN Musica a cura dell’ICCU nel 2012.
In conclusione si auspica una politica più incisiva di programmazione e potenziamento dell’Alta formazione musicale (AFAM) da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR), assieme a una più diffusa applicazione delle metodologie valutative della performance da parte dei bibliotecari musicali: elementi che costituiscono infatti una risorsa imprescindibile nell’ottica del self-improvement per la verifica dell’allineamento delle prestazioni raggiunte agli obiettivi prefissati.

Francesca Valletta
Biblioteca universitaria Alessandrina


Fernando Venturini, Libri, lettori e bibliotecari a Montecitorio: storia della Biblioteca della Camera dei deputati. Milano: Wolters Kluwer; [Padova]: Cedam, 2019. XXII, 476 p.: ill. (Quaderni di Nomos. Le attualità nel diritto. Nuova serie; 7). ISBN 9788813370640.

Fernando Venturini, con questo volume, che si aggiunge alle sue numerose pubblicazioni scientifiche di bibliografo e di storico delle istituzioni, mette a disposizione una completa e sistematica storia della Biblioteca della Camera dei deputati, non solo ricca di dati storici e politici, ma che ci interroga e ci stimola come bibliotecari. Alla base della ponderosa ricerca vi sono i documenti dell’Archivio storico della Camera, ma anche il fondo relativo agli anni 1848-1948 (non ancora ordinato) della biblioteca, con i suoi verbali della Commissione di vigilanza e, per il periodo fascista, gli Incarti di segreteria (1848-1943), e quindi i verbali dell’Ufficio di Presidenza, i fondi della Questura del Regno e dell’Assemblea costituente e altri archivi pubblici e privati, nonché l’archivio personale di Silvio Furlani (bibliotecario dal 1963 al 1981), ricco di dati e documenti, che egli aveva raccolto per il suo progetto incompiuto di scrivere una storia della biblioteca.
Così, in otto capitoli densi di notizie, di fatti, di personaggi, di cultura e di storia politica, e di aneddoti – come quello riferito alla scrivania di Giacomo Matteotti in una specifica sala di lettura, dove egli si fermò pure la mattina stessa del suo assassinio – Venturini ci racconta ordinatamente ed esaustivamente la storia della Biblioteca della Camera: dalla sua istituzione dopo lo Statuto albertino nella Camera subalpina di Torino, e poi al Palazzo Vecchio di Firenze nel 1866, quindi a Montecitorio dal 1870, fino ai giorni nostri, dopo aver ricordato la parentesi del ventennio fascista e il periodo della Costituente e della ricostruzione democratica. Ci parla, appunto, di ‘libri, lettori e bibliotecari’, cioè dell’incremento del prezioso patrimonio bibliografico e documentale, dei cataloghi, dei servizi a un’utenza ‘speciale’, a personalità della nostra storia politica e culturale, dei bibliotecari, dal primo direttore Leonardo Fea, fino al periodo contemporaneo, a Silvio Furlani e a Emilia Lamaro (bibliotecaria dal 1982 al 2000) negli anni in cui la biblioteca, con l’impulso illuminato della tre volte presidente Nilde Iotti, si trasferì nella nuova sede a via del Seminario, introdusse l’automazione e si aprì al pubblico.
Quegli anni sono per noi bibliotecari i più interessanti e Venturini vi dedica molte pagine, da cui emerge come la ‘nuova’ biblioteca rappresenti il frutto di un grande e coraggioso disegno strategico, di un lungimirante afflato democratico.
Un interessante convegno, dal titolo, appunto, “Nilde Iotti e la ‘nuova’ biblioteca della Camera dei deputati”, si è tenuto lo scorso 25 settembre 2020 a cura della Fondazione Nilde Iotti e del Dipartimento di Lettere e culture moderne di Sapienza Università di Roma, e in quella sede è stato autorevolmente sottolineato, a partire dall’intervento introduttivo di Giovanni Solimine, il ruolo della storica presidente della Camera (come anche ricordato al xxxv congresso AIB di Cefalù nel 1989) nel promuovere con tenacia e passione l’idea dell’apertura al pubblico della biblioteca, che manteneva la sua funzione di servizio di documentazione parlamentare, ma che favoriva una nuova relazione democratica tra il Parlamento e i cittadini.
Dal 23 luglio 1986 la nuova Biblioteca della Camera si apriva a tutti i cittadini, senza filtro di malleverie, e offriva a Roma e all’Italia il suo servizio di documentazione, rilanciando contemporaneamente la sua identità e la sua funzione di biblioteca parlamentare sviluppando innovativi servizi per i deputati e per le commissioni. Ciò fu possibile a seguito della grande operazione culturale del restauro del Palazzo del Seminario, che consentì il trasferimento in una sede dove erano finalmente adeguati gli spazi funzionali, e dove, in un clima di faticosa riorganizzazione ma di grande entusiasmo, la biblioteca si trasformò profondamente, mantenendo la sua identità e il suo prestigio.
L’automazione dei servizi, a partire dalle procedure di accessione e catalogazione, costituì in quegli anni un ulteriore sprone non solo all’apertura al pubblico, ma anche da un punto di vista per così dire istituzionale, attraverso cioè la cooperazione con i servizi bibliotecari e bibliografici nazionali. L’impiego del software DOBIS/LIBIS portò la biblioteca al superamento delle regole vaticane per il catalogo per autori e delle subject heading della Library of Congress (che la biblioteca seguiva dai tempi di Igino Giordani, negli anni cinquanta del secolo scorso) e all’adozione delle norme nazionali e degli standard internazionali (RICA, Soggettario BNI, ISBD, CDD per l’allestimento delle sale di consultazione), favorendo così la normalizzazione necessaria a progetti ambiziosi di cooperazione nazionale, quanto meno in riferimento al deposito legale e al suo trattamento bibliografico.
In quegli anni si costruì la ‘nuova’ Biblioteca della Camera e si operò per realizzare un progetto di grande valore culturale, politico e professionale, per attuare le potenzialità della biblioteca parlamentare di essere anche un’istituzione del sistema bibliotecario nazionale, senza nulla perdere della sua specialità né tantomeno affievolire la mission principale di servizio al Parlamento, anzi rendendo possibile una disponibilità più ampia di documentazione al legislatore, attraverso la cooperazione. Forse mai come in quegli anni la Biblioteca della Camera ebbe peraltro un rapporto di collaborazione e di compartecipazione con l’Associazione italiana bibliotecari, e ciò ha un significato forte, perché ritengo che possa confermarsi in ciò la comune volontà di sviluppare la cooperazione istituzionale come strumento di efficienza dei servizi bibliotecari. E questa mi sembra che possa anche rappresentare una risposta agli interrogativi che, nell’ultimo capitolo, Venturini lascia aperti, quando rappresenta la complessità delle sfide del futuro, però con una riaffermata certezza: «Nel caso italiano, la nascita del Polo bibliotecario parlamentare e le prospettive di unificazione delle due biblioteche parlamentari costituiscono una grande occasione per valorizzare un patrimonio di importanza nazionale» (p. 400).
Le due cose insieme, appunto: il servizio al Parlamento, il servizio alla Nazione.

Giovanni Lazzari
già Biblioteca della Camera dei deputati “Nilde Iotti”


Marco Gasparini, Noemi Pederneschi, Bruno il bibliotecario. Milano: Editrice bibliografica, 2021. 152 p.: fumetti. (Bibliographic novel). ISBN 9788893573634.

Una coppia di bibliotecari della provincia di Mantova, Noemi Pederneschi, illustratrice e bibliotecaria con la passione dei fumetti, e Marco Gasparini, bibliotecario precario con la passione della grafica, molto presenti e seguiti con successo su Facebook, raccontano in una serie di tavole illustrate le giornate tipo, tutte uguali e tutte diverse, dell’unico bibliotecario di un paese immaginario, Rocca Vibrissa, dove umani e animali convivono, in una specie di Paperopoli (o Topolinia) della Valpadana. Il bibliotecario Bruno è in realtà un grosso gatto grigio, grigio come le sue giornate, dagli occhi perennemente socchiusi e dall’aria altrettanto annoiata. Il gatto è una figura letteraria che ricorre in molti racconti ambientati in biblioteca: si ricorda ad esempio Io e Dewey di Vicki Myron, edito in Italia da Sperling & Kupfer (2008), il racconto del micione rosso che, abbandonato dopo poche settimana dalla nascita, fu trovato dalla bibliotecaria di Spencer, nell’Iowa, nella cassetta di restituzione dei libri e che conquistò gli abitanti di quella cittadina per la sua simpatia. Bruno viene assistito nel suo monotono lavoro da Walter, un giovane topo grigio dai lunghi orecchi da coniglio che presta opera come servizio civile, oltre che da altri tre collaboratori che appaiono e scompaiono a seconda delle necessità narrative. Si tratta di un secondo vecchio topo (o coniglio) nel ruolo di archivista storico, che vive sepolto nell’archivio, di un secondo grosso gatto rosso nelle vesti di un frate miniaturista ed erborista, che vive clandestinamente in biblioteca, nonché di un grosso ragno nero, Giobbe, ghiotto di libri (nel senso che li divora letteralmente ingerendoli tutti interi) assunto come mascotte. L’impostazione del fumetto è quella classica, con tre tavole quadrate per ogni striscia, il segno grafico è esile, a significare forse lo stato di leggerezza e di impalpabilità dell’ambiente della biblioteca di paese; il colore è leggero, come se fosse logorato dal tempo che scorre in cicli che si ripetono uguali. Le battute sono a volte assolutamente surreali, altre un po’ ripetitive, in alcune occasioni prevedibili e le migliori sono inevitabilmente quelle legate al titolo o al contenuto dei libri. Le giornate passano scandite dalle eterne lotte per la restituzione dei libri in forte ritardo, per l’assegnazione dei finanziamenti, per la catalogazione dei nuovi arrivi, per i consigli ai lettori incontentabili, per l’invenzione e l’arrangiamento di iniziative promozionali e per le annuali competizioni con le biblioteche dei paesi vicini, gestite da altrettanti gatti bibliotecari grigi, copia esatta del nostro Bruno.
Un bel ‘libro’, redatto con cura e competenza da chi vive quotidianamente la realtà delle piccole biblioteche di ente locale e ha un’alta considerazione della professione. Forse nelle strisce compare troppo testo e alcuni stacchi tematici sono troppo accentuati dalle pagine bianche; forse, ancora il protagonista avrebbe potuto chiamarsi Mario, Dario, Ilario o Berengario, tutti nomi che fanno rima con ‘bibliotecario’. Un’opera interessante e stimolante in cui realtà e mondo fiabesco s’intrecciano, un titolo che apre una nuova serie editoriale dell’Editrice bibliografica: Bibliographic novel.

Una coppia di bibliotecari della provincia di Mantova, Noemi Pederneschi, illustratrice e bibliotecaria con la passione dei fumetti, e Marco Gasparini, bibliotecario precario con la passione della grafica, molto presenti e seguiti con successo su Facebook, raccontano in una serie di tavole illustrate le giornate tipo, tutte uguali e tutte diverse, dell’unico bibliotecario di un paese immaginario, Rocca Vibrissa, dove umani e animali convivono, in una specie di Paperopoli (o Topolinia) della Valpadana. Il bibliotecario Bruno è in realtà un grosso gatto grigio, grigio come le sue giornate, dagli occhi perennemente socchiusi e dall’aria altrettanto annoiata. Il gatto è una figura letteraria che ricorre in molti racconti ambientati in biblioteca: si ricorda ad esempio Io e Dewey di Vicki Myron, edito in Italia da Sperling & Kupfer (2008), il racconto del micione rosso che, abbandonato dopo poche settimana dalla nascita, fu trovato dalla bibliotecaria di Spencer, nell’Iowa, nella cassetta di restituzione dei libri, e che conquistò gli abitanti di quella cittadina per la sua simpatia. Bruno viene assistito nel suo monotono lavoro da Walter, un giovane topo grigio dai lunghi orecchi da coniglio che presta opera come servizio civile, oltre che da altri tre collaboratori che appaiono e scompaiono a seconda delle necessità narrative. Si tratta di un secondo vecchio topo (o coniglio) nel ruolo di archivista storico, che vive sepolto nell’archivio, di un secondo grosso gatto rosso nelle vesti di un frate miniaturista ed erborista, che vive clandestinamente in biblioteca, nonché di un grosso ragno nero, Giobbe, ghiotto di libri (nel senso che li divora letteralmente ingerendoli tutti interi) assunto come mascotte. L’impostazione del fumetto è quella classica, con tre tavole quadrate per ogni striscia, il segno grafico è esile, a significare forse lo stato di leggerezza e di impalpabilità dell’ambiente della biblioteca di paese; il colore è leggero, come se fosse logorato dal tempo che scorre in cicli che si ripetono uguali. Le battute sono a volte assolutamente surreali, altre un po’ ripetitive, in alcune occasioni prevedibili e le migliori sono inevitabilmente quelle legate al titolo o al contenuto dei libri. Le giornate passano scandite dalle eterne lotte per la restituzione dei libri in forte ritardo, per l’assegnazione dei nuovi finanziamenti, per la catalogazione dei nuovi arrivi, per i consigli ai lettori incontentabili, per l’invenzione e l’arrangiamento di iniziative promozionali e per le annuali competizioni con le biblioteche dei paesi vicini, gestite da altrettanti gatti bibliotecari grigi, copia esatta del nostro Bruno.
Un bel ‘libro’, redatto con cura e competenza da chi vive quotidianamente la realtà delle piccole biblioteche di ente locale e ha un’alta considerazione della professione. Forse nelle strisce compare troppo testo e alcuni stacchi tematici sono troppo accentuati dalle pagine bianche; forse, ancora il protagonista avrebbe potuto chiamarsi Mario, Dario, Ilario o Berengario, tutti nomi che fanno rima con ‘bibliotecario’. Un’opera interessante e stimolante in cui realtà e mondo fiabesco s’intrecciano, un titolo che apre una nuova serie editoriale dell’Editrice bibliografica: Bibliographic novel.

Mauro Guerrini
Università degli studi di Firenze


David Howell, Ludo Snijders, Conservation research in libraries, with contributions by Andrew Beeby, Kelly Domoney, and Anita Quye. Berlin; Boston: De Gruyter Saur, 2020. VIII, 248 p.: ill. (Current topics in library and information practice). ISBN 9783110375251 (cartaceo); 9783110375374 (e-book: PDF); 9783110396331 (e-book: ePub).

La ricerca scientifica è attiva nei musei già da almeno un secolo, mentre opera solo da poco tempo presso le biblioteche. La sua introduzione per lo studio dei materiali librari, per lo più organici e spesso di struttura complessa, è certamente legata all’evoluzione della strumentazione, sempre più portatile e meno invasiva, anche solo rispetto a qualche anno fa.
Il volume di Howell e Snijders passa in rassegna tutte le tecniche più comunemente utilizzate per lo studio diagnostico dei materiali librari conservati nelle biblioteche, con esemplificazioni di indagini eseguite presso le Bodleian Libraries. Partendo dalle domande che più frequentemente vengono poste da studiosi, bibliotecari o restauratori – Di cosa è fatto? Quanto è antico? Dove è stato prodotto? – Conservation research in libraries spiega in modo dettagliato, ma comprensibile a un pubblico ampio, quali siano le strumentazioni adottabili per l’analisi di questa tipologia di manufatti: dal microscopio ottico alle più recenti tecniche di imaging iperspettrale, gli autori descrivono le caratteristiche tecniche di ciascun procedimento e l’uso dei vari dispositivi, sottolineando vantaggi e svantaggi e commentando l’efficacia dei risultati che vi si possono ottenere.
Particolare attenzione viene riservata al grado di invasività della tecnica sul materiale oggetto di indagine; sono indicati i rischi che si possono correre adottando l’una o l’altra strumentazione e i limiti che possono presentare, specialmente in termini di affidabilità e portabilità.
Chimico e restauratore accreditato, David Howell dal 1984 al 2004 ha svolto ricerche e analisi su tessuti storici e coloranti presso l’Historic Royal Palaces nel Regno Unito e dal 2004 al 2020, in qualità di Head of heritage science presso le Bodleian Libraries, si dedica all’identificazione non distruttiva di pigmenti e all’uso delle tecniche avanzate di imaging per rivelare testi nascosti e disegni preparatori. Durante la sua lunga carriera ha potuto lavorare su molti tipi di materiale organico conservato presso musei, istituti storici e biblioteche.
Ludo Snijders, archeologo presso l’Università di Leida, è esperto di manoscritti mesoamericani e ha collaborato per diversi anni con le Bodleian Libraries. Quale professionista meno coinvolto nell’ambito della conservazione, il suo ruolo di coautore nella stesura del libro è stato funzionale – come dichiara lo stesso Howell nella prefazione – ad agevolare la leggibilità e la comprensione del testo.
Il manuale è di agevole lettura e fornisce utili spunti e riflessioni sull’efficacia dell’analisi scientifica in biblioteca, in particolare a supporto dello studio codicologico o di interventi di restauro conservativi, anche in rapporto ai costi spesso elevati che prevedono. Preziose sono le indicazioni di database e raccolte di dati consultabili online, ad esempio per il riconoscimento e lo studio dei pigmenti o per l’identificazione delle fibre vegetali che possono comporre la carta. Può essere dunque uno strumento di riferimento e rappresentare una guida per eventuali richieste di indagini diagnostiche da parte del personale addetto alla gestione e alla conservazione delle raccolte.

Federica Delìa
Roma


Giovanni Michetti, Introduzione alla blockchain: una guida per archivisti. Napoli: Editoriale scientifica, 2020. 292 p. (Impronte culturali; 5). ISBN 9788893918862.

Chi si occupa di processi culturali sa che le società umane producono, accolgono, respingono – e più sovente reinterpretano e riplasmano – i nuovi oggetti secondo le proprie consuetudini e ideologie, il momento storico, le esigenze emergenti dalle trasformazioni sociali in essere. È esattamente questo l’approccio intellettuale con cui Giovanni Michetti introduce quella che, in linea con il titolo, rappresenta una vera e propria guida per orientarsi nella comprensione di un’innovazione tecnologica dal carattere potenzialmente dirompente, ma i cui ambiti di applicabilità futura sono ancora in gran parte da valutare.
Nell’attenta lettura dell’autore la blockchain è, infatti, ben lontana dal collocarsi in posizione neutra rispetto al contesto culturale in cui essa nasce, è recepita ed è fruita. Risponde invece a una ben precisa visione del mondo e della società ed è a sua volta destinata ad agire come dispositivo culturale, operando profonde trasformazioni nella prassi di gestione delle informazioni e inducendo un drastico riorientamento rispetto ai modelli consolidati in tale ambito.
La prima parte del libro, dalla scrittura scorrevole ma al contempo dal contenuto eccezionalmente denso, è dedicata all’analisi del substrato culturale di quello che è identificato come un ben preciso mutamento di paradigma: la blockchain non si colloca nel panorama delle tecnologie come una semplice innovazione ma incorpora istanze rivoluzionarie, costituendo una possibile risposta a più profonde esigenze di tipo socio-culturale. In particolare l’autore ne individua la natura dirompente nella configurazione di nuove possibilità di gestione della fiducia nella società digitale, a supporto del profondo mutamento in atto in un sistema tradizionalmente caratterizzato dalla centralizzazione del controllo.
Nei due capitoli successivi sono quindi approfondite, con estrema chiarezza espositiva pur nell’esame puntuale di aspetti tecnici complessi, le caratteristiche della blockchain: la sua architettura, il funzionamento, le sue differenti tipologie e configurazioni. È inoltre condotta un’accurata analisi della sua duplice natura di documento e di sistema documentale, operando uno scrupoloso raffronto con i criteri di valutazione e le indicazioni fornite dallo standard ISO 15489-1, evidenziandone i punti di forza e di debolezza anche attraverso un’attenta disamina degli aspetti normativi. In particolare ne è considerata la posizione all’interno dell'ordinamento giuridico nazionale e le criticità emergenti in relazione al tema della protezione dei dati personali, vincolata alle prescrizioni stabilite nel General Data Protection Regulation (GDPR).
Il quarto e quinto capitolo passano infine in rassegna i vari ambiti di applicazione della blockchain, da quelli esistenti a quelli ancora da immaginare: dalla funzione originaria di modello per lo scambio di criptovalute, al fenomeno degli smart contract, alle esperienze in ambito sanitario, logistico, assicurativo, educativo, sino a quelle ancora poco indagate, come le possibilità di implementazione in ambito librario.
È infine affrontato il tema del futuro della blockchain, immaginandone possibili declinazioni con uno sguardo specificamente archivistico. Il nodo interpretativo è sempre nell’idea latente: la tensione della blockchain verso la decentralizzazione, il consenso, la non-discriminazione, l’universalità e la partecipazione, caratteri già iscritti nell’atto di nascita del web, e che hanno inesorabilmente trasformato il nostro modo di concepire il vivere sociale. L’intento dichiarato dell'autore è di «non subire il futuro, ma inventarne proattivamente la forma» (p. 274) grazie alla consapevolezza critica: fidarsi, ma controllare, come recita l'esergo al primo capitolo. Individuare le criticità, calibrare gli obiettivi, fornire strumenti per accompagnare un processo, senza dogmi né facili entusiasmi, ma con rigore e onestà intellettuale: un compito proprio dei professionisti dell’informazione, che questa guida assolve egregiamente.

Elena Musumeci
Sapienza Università di Roma


Irene Piazzoni, Il Novecento dei libri: una storia dell’editoria in Italia. Roma: Carocci, 2021. 511 p. (Frecce; 315). ISBN 9788843098927.

L’editoria libraria è un campo di studi fondamentale per comprendere la fisionomia di una comunità, indagarne i gusti, osservare come le diverse discipline mutano nel tempo e capire i meccanismi che permettono la diffusione dei saperi. È la stessa Irene Piazzoni a ricordarlo nell’Introduzione al suo volume, e a sottolineare anche come sia un settore a cavallo tra mercato e attività creativa e intellettuale. Ciò significa che l’editoria non rappresenta solo uno strumento che permette di diffondere cultura, saperi, conoscenze, ma è anche un’industria che deve generare un profitto per poter sopravvivere. Queste due componenti che la governano raggiungono la massima tensione nel corso del Novecento, ed è sulla base di queste riflessioni che si struttura Il Novecento dei libri, ponendo sotto la lente d’ingrandimento proprio il XX secolo in Italia, partendo dalla belle époque per arrivare al postmoderno e alla nascita dei grandi cartelli editoriali.
Il primo e il secondo capitolo sono dedicati ai primi anni del Novecento fino all’avvento della dittatura fascista. Nonostante lo scenario desolante dell’Italia dal punto di vista culturale, all’inizio del secolo si intravedono margini di miglioramento: nelle grandi città si respira un certo fermento culturale, nasce il concetto di ‘tempo libero’ e questo, in ambito editoriale, si traduce in una nuova categoria di libro, 'il libro per tutti, il libro medio'. A farsi interpreti di questa nuova necessità sono due editori su tutti: Treves (editore «per il Signor Tutti» come lo definisce Renato Serra, p. 38) e Sonzogno. Dalla fine della Prima guerra mondiale una certa conflittualità finanziaria, insieme alla crisi del libro di cultura alta, porterà gli editori a promuovere in modo crescente una saggistica di ‘pronto uso’, vale a dire capace di occuparsi di politica e quotidianità con una dialettica snella e semplice. È proprio il libro politico a riscuotere maggior successo; così, se da un lato nascono le prime case editrici fasciste o filofasciste – come Alpes e Popolo d’Italia – dall’altro troviamo il catalogo di Avanti! incentrato sulla divulgazione dei capisaldi della rivoluzione bolscevica. Ma le cose sono destinate a cambiare, soprattutto dopo la scomparsa di Piero Gobetti nel 1926 e della sua iniziativa editoriale, lasciando un panorama così composto: «da una parte gli editori pronti a diventare gli interlocutori più funzionali al regime, e dall’altra i marchi editoriali industriali» (p. 83).
I successivi due capitoli sono dedicati al secondo dopoguerra fino agli anni Sessanta, preludio di una fase cruciale e di grandi mutamenti. Il nord del paese è sempre più il centro nevralgico dell’editoria italiana, con Milano e Torino come sue roccaforti. D’altronde è nel capoluogo piemontese che ha sede Einaudi, indiscutibilmente l’astro in ascesa di questi anni, che si afferma sempre di più come casa editrice di cultura, anche grazie alla collaborazione di numerosi intellettuali. Ma questi sono senza dubbio anche gli anni delle collane ‘universali’, pensate per chi ama la cultura ma non ha ancora i mezzi economici per permettersela. Fanno così il loro esordio la Biblioteca moderna di Mondadori, la Piccola biblioteca scientifico letteraria di Einaudi e la più celebre tra le universali, BUR di Rizzoli. La fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta rappresenta un periodo decisivo che condurrà da una parte alla defascistizzazione del settore dell’editoria scolastica e dall’altra a ripensare la libreria come luogo: non più spazi dominati da grandi banconi che rischiano di mettere in soggezione chi entra, ma luoghi sempre più accoglienti, amichevoli e con libri disposti sui tavoli in modo da essere ben visibili. Nonostante queste importanti innovazioni, però, l’editoria è ancora un mondo che funziona su logiche tradizionali: aziende in cui il fondatore e i suoi eredi hanno un ruolo fondamentale, che «traggono il loro reddito più che dal libro dai patrimoni di famiglia, da interventi mecenateschi o attività extra librarie» (p. 257).
Il quinto capitolo è incentrato sul crollo della tradizionale architettura editoriale italiana. La fine degli anni Sessanta, come è noto, condurrà a mutamenti profondi non solo nella società italiana e internazionale ma anche nella cultura, e quindi nell’editoria. Un esempio tra tutti è la messa in discussione dell’efficacia e della centralità di pratiche assodate come l’uso dei classici per la trasmissione della cultura, che porterà al ripensamento dei cataloghi e delle collane. A tutto ciò si aggiunge la morte, nei primissimi anni Settanta, di tre tra i più grandi protagonisti dell’editoria italiana – Arnoldo Mondadori, Angelo Rizzoli e Giangiacomo Feltrinelli – che di fatto sancirà la fine di un’epoca. Lentamente ci si avvia alla nascita dei grandi cartelli editoriali.
Nell’ultimo capitolo si affronta la crisi economica degli anni Ottanta che condurrà i grandi marchi ad adottare politiche di massimizzazione dei profitti. L’editoria cambia così il suo baricentro: non più la collana come rappresentante di una specifica identità e progettualità, ma il singolo libro, il best seller. In un tale contesto si avvia l’epoca dei grandi gruppi editoriali come Mondadori e GeMS (Gruppo editoriale Mauri Spagnol), ma allo stesso tempo nascono anche realtà più piccole che sopravvivono grazie alla loro specializzazione, come Iperborea, Voland e Minimum fax.
Il volume di Irene Piazzoni non si limita a una semplice cronaca degli eventi, ma propone di osservare l’editoria libraria come uno dei campi utili a comprendere una comunità. L’ampio spazio dedicato alla storia e alla genesi delle collane e dei cataloghi sottolinea non solo la loro specificità culturale, ma anche la presenza di spinte commerciali. Le ricchissime note che corredano il volume danno poi conto non solo del notevole lavoro di ricerca condotto dall’autrice, ma risultano uno straordinario strumento di consultazione e di approfondimento.

Marco Ingallina
Roma


Marilena Maniaci, Breve storia del libro manoscritto. Roma: Carocci, 2019. 127 p. (Bussole; 593). ISBN 9788843096503.

«Saper leggere – insieme e al di là dei contenuti – i materiali, le strutture e le modalità di presentazione dei libri manoscritti equivale quindi a disporre di una chiave di accesso diretta e privilegiata alla vita intellettuale e pratica delle epoche e degli ambienti in cui sono stati prodotti e utilizzati» (p. 7). Con questo esordio Marilena Maniaci, professoressa ordinaria di Storia del libro manoscritto presso l’Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale, introduce il lettore alla sua Breve storia del libro manoscritto. Il manuale, pubblicato per la prima volta in Italia nel 2019 da Carocci per la collana Bussole, è già alla sua seconda ristampa.
A chi ha avuto modo di leggere le altre monografie della stessa autrice – Terminologia del libro manoscritto (Istituto centrale per la patologia del libro; Editrice bibliografica, 1996), Costruzione e gestione della pagina nel manoscritto bizantino (Edizioni dell’Università degli studi di Cassino, 2002), Archeologia del manoscritto (Viella, 2002), La syntaxe du codex (Brepols, 2013) – questo libro potrà apparire come la tappa ricognitiva di un ideale percorso narrativo, incentrato sulla ricostruzione delle vicende storiche e sulle questioni nodali riguardanti la produzione materiale del manoscritto, ‘oggetto’ tanto affascinante quanto ricco di interrogativi. Tracciare la storia del libro manoscritto significa muoversi nel campo sconfinato delle discipline storiche e letterarie, dei procedimenti artigianali, delle tipologie librarie diffuse, della catalogazione, delle raccolte museali pubbliche e private, delle riproduzioni fotografiche, della conservazione, del restauro e della prevenzione, perfino dell’informatica e della didattica.
Delineare una ‘storia universale’ del libro manoscritto sarebbe stata impresa assai ardua se non impossibile, per questo Maniaci ha scelto di circoscrivere la trattazione al libro in forma di codice prodotto in area latina, realizzando così una sorta di vademecum, senza tralasciare però di inserire la trattazione nel contesto più ampio della disciplina e richiamando l’attenzione, occasionalmente, agli esempi prodotti in area orientale e greca.
Oggetto d’uso prima e talvolta anche cimelio (o feticcio) dopo, il libro manoscritto non è un contenitore inerte, uno sterile supporto materiale, un veicolo di diffusione della parola scritta, ma un manufatto culturalmente complesso e mutevole, capace di rispondere ai cambiamenti sociali e intellettuali delle ere storiche attraversate, diventando viva testimonianza di circostanze millenarie. Ecco quindi che ogni elemento materiale che concorre alla composizione fisica di un libro manoscritto ritrova un preciso connotato culturale, aprendo all’osservatore privilegiato una finestra immaginaria sulla storia.
Avvalendosi di un lessico tecnico – soprattutto per quanto concerne la descrizione delle fasi di confezionamento dei codici (nel terzo capitolo, La fabbrica del manoscritto) – dall’esposizione però discorsiva e godibilissima, il testo si dimostra adeguato non soltanto a un pubblico di professionisti ma anche (e forse soprattutto) a studenti alle prime armi o neofiti, i quali potranno trovare in questo manuale uno strumento di orientamento alla comprensione delle questioni, spesso date per scontate, inerenti la ‘costruzione’ materiale del libro manoscritto e il ruolo da esso ricoperto all’interno delle comunità che lo hanno prodotto, usato, (talvolta) riusato e studiato.
Il breve ma denso excursus storico è corredato infine da un apparato bibliografico conciso, ma aggiornato sulle più recenti pubblicazioni in materia, nel quale trovano posto contributi sia italiani che stranieri. I riferimenti bibliografici segnalati sono per lo più di taglio generalista, ma sono pensati per fornire una raccolta di testi di riferimento e di approfondimento imprescindibile anche per chi si avvicina per la prima volta allo studio delle discipline codicologiche e bibliologiche.
Per chi ha avuto modo di confrontarsi spesso con questa tipologia di materiale e con le relative problematiche, la lettura di queste pagine offre nuovi orizzonti di indagine ai fini di un approccio critico nei confronti degli aspetti connessi alle attività di catalogazione, conservazione e valorizzazione dei codici manoscritti. Descrivere un manoscritto significa infatti anche 'raccontare il manoscritto'; (p. 123) non solamente in quanto fonte di interesse per la storia culturale, sociale e letteraria dell’età arcaica e medievale, ma anche – come scrive l’autrice a conclusione del volume – in quanto strumento di conoscenza del nostro presente quotidiano e delle trasformazioni attuali, in costante divenire.

Alessandra Corbo
Roma


Storie d’autore, storie di persone: fondi speciali tra conservazione e valorizzazione, a cura di Francesca Ghersetti, Annantonia Martorano, Elisabetta Zonca. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2020. 336 p.: ill. ISBN 9788878122925 (cartaceo); 9788878122949 (e-book: PDF).

Per descrivere con una semplice locuzione questo volume si potrebbe dire che – oltre al tema centrale relativo alla definizione e alla gestione di biblioteche d’autore e archivi di persona – un nodo focale è rappresentato dal ‘multiforme ingegno’. Non solo quello agevolmente attribuibile ai detentori originari delle biblioteche e degli archivi personali qui richiamati, ma anche quello che ben si adatta alle figure professionali impegnate nelle non facili attività di gestione e valorizzazione di un’entità terza che si posiziona a metà strada tra biblioteca e archivio. Entità che in passato è stata definita ‘archivio culturale’, grazie al conio di Luigi Crocetti, figura di riferimento più volte evocata tra queste pagine per legittimare la ricerca di elementi formulari applicabili alle raccolte documentarie di cui si tratta.
Il volume offre dignità di stampa alle relazioni presentate in quattro diverse giornate di studio organizzate dalla Commissione biblioteche speciali, archivi e biblioteche d’autore dell’Associazione Italiana Biblioteche tra il 2016 e il 2017: “Biblioteche e carte d’autore. Tra questioni cruciali e modelli di studio e gestione” (Ravenna, 3 maggio 2016), “Fondi e collezioni di persona e personalità negli archivi, nelle biblioteche, nei musei: una risorsa, un'opportunità” (Bologna, 26 ottobre 2016), “Femminile plurale, narrazioni di donne attraverso biblioteche e archivi” (Firenze, 12 maggio 2017), e “Fondi e collezioni di persona e personalità. Verso un’ipotesi di linee guida” (Treviso, 22 giugno 2017). Il risultato è un corpus omogeneo dove ciascun contributo aggiunge un elemento funzionale alla mappatura della biblioteca d’autore, adeguatamente definita nell’intervento di Alberto Petrucciani come «terra non solo di incerti e problematici confini, ma anche esplorabile da diverse prospettive, e non da una sola» (p. 33).
Le attente curatrici del volume si pongono quindi l’obiettivo di offrire un contesto di riferimento per le biblioteche d’autore e gli archivi di persona, guidando il lettore attraverso una triplice articolazione. I contributi della prima sezione offrono un quadro generale dei temi affrontati nella raccolta e lo fanno attraverso la complementare alternanza tra principi formali ed esempi pratici, tra modelli teorici e buone pratiche, tra requisiti funzionali di linee guida generali e modelli di schede descrittive dei fondi. La seconda parte mostra casi di studio su fondi e biblioteche di persona descritti in relazione al contenuto, al valore storico-culturale e all’importanza del territorio di appartenenza, ma anche in base alle metodologie gestionali e catalografiche adottate, indugiando anche su particolari aspetti tecnologici per fornire utili suggerimenti sull’utilizzo e la scelta di software e applicazioni. L’ultima sezione del volume riporta casi di studio istituzionali: anche qui la prassi diventa esemplare grazie alle diverse esperienze che, al di là delle circostanziate narrazioni sui singoli fondi, guidano nella cura di un patrimonio che, indipendentemente dall’ente di appartenenza o di destinazione, risulta sempre adeguatamente conservato, contestualizzato e valorizzato.
Il volume, che raccoglie i contributi sulla base di tematiche e impostazioni condivise piuttosto che seguire le ripartizioni dei quattro seminari, è corredato da un’appendice che riporta i singoli programmi delle giornate di studio promosse dalla Commissione. In chiusura sono presentati anche due indici, da consultare eventualmente anche in modo combinato: quello dei nomi citati e quello utilissimo dei nomi dei fondi, ciascuno dei quali corredato dall’indicazione della rispettiva localizzazione.
Per concludere, in questa raccolta risulta evidente una correlazione tra forma e contenuto: come il contesto d’appartenenza unito alla coerente gestione di libri e documenti dà forma e valore al singolo ‘archivio culturale’, allo stesso modo la summa dei diversi contributi qui raccolti offre al lettore una mappa che restituisce la morfologia di una biblioteca d’autore ideale. Lo sguardo d’insieme, come suggerito da Rosaria Campioni nel suo intervento, è quindi il miglior paradigma per affrontarne la gestione, ma anche per individuare un metodo ricavabile dalla combinazione delle singole e diversificate esperienze raccontate nei contributi pubblicati.
A un occhio attento non sfuggirà, infine, che un’adeguata ed efficace gestione delle biblioteche d’autore e degli archivi personali richiede la compresenza di competenze professionali e di improvvisazione, di rispetto delle norme catalografiche e di capacità di adattamento, di rigore e di apertura: tutte qualità e capacità degne di un moderno Odisseo.

Lucia Antonelli
Biblioteca della Direzione centrale per le autonomie, Albo nazionale dei segretari comunali e provinciali


Davide Crepaldi, Neuropsicologia della lettura: un’introduzione per chi studia, insegna o è solo curioso. Roma: Carocci, 2020. 114 p. (Quality paperbacks; 601). ISBN 9788843098958.

Se esiste una parola in grado di spaventare molti, persino i bibliotecari più tradizionalisti sempre pronti a criticare ogni novità, quella è ‘neuropsicologia’. La figura mitologica del neuroscienziato viene percepita da molti come distante e intricata, fortemente votata all’incomprensibilità linguistica.
Con il suo volume, Davide Crepaldi si insinua con successo in quella corrente di divulgazione scientifica volta a offrire gli strumenti di base per superare le nostre idiosincrasie umanistiche, mostrandoci come anche una ‘pratica misterica’ quale la neuropsicologia possa diventare accessibile, persino irrinunciabile, una volta che ci si è addentrati nei suoi meandri.
Il complemento del titolo – un’introduzione per chi studia, insegna o è solo curioso – esemplifica la sostanza di questo breve volume, che della sua apparenza innocua vuole fare da ‘cavallo di Troia’ per vincere le diffidenze del lettore, affrontando in maniera agevole ma tutt’altro che semplicistica i nodi cruciali del discorso neuroscientifico sulla lettura.
Saremo pure ‘nati per leggere’ (per citare il celebre progetto nazionale di promozione della lettura in età prescolare) ma non nasciamo lettori e Crepaldi ci spiega brevemente quando, perché e, soprattutto, come ci diventiamo, partendo dal denominatore comune della società umana: il linguaggio.
Seguire l’evoluzione del linguaggio nella nostra specie e l’affiorare del suo principale potenziamento tecnologico – la scrittura – offre al neofita una comoda postazione storico-biologica da cui iniziare a osservare la questione e addentrarsi nei circuiti cerebrali che sottendono l’atto del leggere, temi che l’autore anticipa già nel primo capitolo. Immergendo fluidamente il lettore nella mappatura del cervello umano durante la lettura, Crepaldi non teme di offrirgli in pasto termini tecnici e descrivere le pratiche cliniche usate per studiare e comprendere i processi complessi di decodifica, associazione e comprensione dello scritto, dando modo a tutti coloro che nel testo trovano lavoro e passione di comprenderne davvero l’eccezionalità tecnologica.
Superati il secondo e il terzo capitolo si hanno già mezzi sufficienti per analizzare la propria ontogenesi di lettore e ripensare alle pratiche di apprendimento sperimentate in prima persona o proposte ai propri alunni e utenti. Si sa qualcosa circa le differenze ortografiche tra lingue trasparenti e non, si è venuti a conoscenza del fatto che per leggere si possono seguire due vie, fonologica o lessicale, e che anche se noi ci sentiamo completamente refrattari alla statistica, il nostro cervello non lo è, anzi.
Questa infarinatura permette di affrontare con più coscienza due temi caldi dell’attualità, trattati negli ultimi due capitoli. Il primo riguarda l’arcinota disputa sui tipi di lettura e le relative potenzialità di apprendimento: Carta o schermo? (come si intitola il relativo paragrafo). La discussione si protrae ormai da anni in diverse sedi ed è dibattuta da voci più o meno autorevoli e competenti; ma l’autore non si smentisce nel fornire anche in questo caso un’utile e imparziale panoramica, ammettendo i limiti delle scienze nel decretare sentenza per una diatriba tanto giovane e offrendo spunti di riflessione interdisciplinari e a tratti inediti.
Il secondo tema, trattato come ultimo argomento, anche questo noto ai più e decisamente impattante sulle realtà educative della società contemporanea, è quello della dislessia. Giocatrice di punta nella squadra dei disturbi specifici dell'apprendimento (DSA) e presenza ingombrante nel mondo scolastico, la dislessia è diventata negli ultimi anni croce e delizia di alunni e docenti. Proprio sulla portata sociale di questo disturbo si concentra Crepaldi, offrendoci ancora una volta un punto di vista non deterministico, anche se molto critico, volto a farci riflettere sulla natura, le metodologie di rilevazione e, soprattutto, le possibili ripercussioni di una sua diagnosi affrettata.
A fine trattazione, l’autore auspica il raggiungimento di almeno uno tra gli obiettivi del testo: delectare e docere (ma anche un po’ movere), di sicuro offrendo alla platea dei professionisti dell’informazione e dell’educazione alla lettura un utile e pratico strumento per vincere la possibile diffidenza scientifica e salire di un gradino verso la comprensione del nostro ‘io’ che legge.

Beatrice Eleuteri
Università degli studi di Roma Tre


Antonella Trombone, Teresa Motta: una bibliotecaria e “un anno di vicende memorabili”, con lettere inedite di Francesco Barberi e Manlio Rossi-Doria (1943-1949); presentazione di Alberto Petrucciani. Rionero in Vulture: Caliceditori, 2020. 161 p.: ill. (Le mimose; 15). ISBN 9788884581525.

Le ricerche di Antonella Trombone sulla Biblioteca provinciale di Potenza e sulla storia professionale di Teresa Motta (Potenza, 1890-1953), abilitata da maestra elementare e aiuto-bibliotecaria dal 1919 al 1950 (in parte anticipate nei contributi sull’uso pubblico della Provinciale, fra cui quello presentato in occasione del convegno romano del 2018 "What happened in the library? Cosa è successo in biblioteca? Lettori e biblioteche tra indagine storica e problemi attuali"), sono ora confluite in un volume a lei interamente dedicato: ‘protagonista nascosta’, come altre donne, della storia delle bibliotecarie.
Un profilo biografico e una sintesi della storia della Provinciale di Potenza prima del suo arrivo introducono al capitolo sulla formazione e il lavoro in biblioteca, segnato dal rapporto con Francesco Barberi, a capo della Soprintendenza bibliografica per la Puglia e la Lucania, con sede a Bari, dal 1935 all’estate del 1943. Grazie alla complicità tra la bibliotecaria e il soprintendente, tra il 1940 e il 1943, la biblioteca di Potenza assume un ruolo centrale: diventa luogo di lettura e di incontro di donne e uomini ritenuti oppositori del regime, destinati per motivi politici e razziali all’internamento civile in città e in molti comuni della provincia. Il rapporto tra Barberi e Motta emerge prima di tutto dal loro carteggio, finora inedito, riportato nell’Appendice documentaria insieme a 3 lettere di Manlio Rossi-Doria: in totale 25 documenti, datati tra il 1943 e il 1949, conservati nell’archivio storico della biblioteca di Potenza e nell’archivio storico dell’AIB, corredati da un ricco apparato di note. La documentazione è accompagnata da un’appendice fotografica.
In mancanza del fascicolo personale di Teresa, l’archivio storico della biblioteca ha costituito la principale fonte di indagine, per individuare le date di permanenza in servizio, durante la direzione di Sergio De Pilato e i suoi successori, nonché gli aspetti peculiari dell'attività della bibliotecaria, che acquisisce professionalità e autonomia di gestione a partire dagli anni Trenta. L’occasione di un contatto personale tra Motta e Barberi coincise con il corso di formazione tenuto da quest’ultimo presso la Provinciale tra giugno e luglio 1941; le sue proposte di acquisto di testi di letteratura bibliotecaria, puntualmente annotati da Teresa sul registro dei desiderata, probabilmente costituirono la base per la formazione da autodidatta della giovane. Ma fu soprattutto nello scambio quotidiano con Barberi che Teresa trovò una guida preziosa per la gestione della biblioteca: dalla correzione della modulistica per i registri dei servizi al pubblico alle questioni più complesse, come provano le lettere fino al 1949, successive al trasferimento di Barberi a Roma.
Dalle missive si ricavano molte informazioni, oltre a percepire tratti di complicità tra i due, ma la fonte indispensabile per ricostruire le presenze in biblioteca negli ultimi anni del fascismo sono i registri di lettura e di prestito, scoperti con l’esplorazione dell’archivio storico. Sono emersi i nomi di molti internati, favoriti dalla coraggiosa accoglienza della bibliotecaria, tra i quali si impone il giovane Franco Venturi. Il futuro storico del populismo russo e dell’illuminismo riformatore del Settecento, confinato ad Avigliano, contravviene (come altri nelle sue condizioni) alle disposizioni del Ministero dell’Interno sulle restrizioni della libertà personale degli internati, spostandosi a Potenza per frequentare la biblioteca fin dal 1941, e ottenendo anche la tessera per il prestito. Quando Manlio Rossi-Doria, anche lui internato politico, lo raggiunge ad Avigliano nel 1942, i due cercano altre strade per trovare i libri necessari ai loro studi; per questo Rossi-Doria ricorre a Francesco Barberi, conosciuto fin dai tempi del liceo: «Alla Biblioteca di Potenza – come ben sai – c’è ben poco. Da quelle di Roma [Venturi] qualcosa riceve, ma il servizio è naturalmente lento. […] Ti vorrei quindi chiedere, a nome suo e mio, di procurare il prestito presso le biblioteche di Bari» (p. 96). Da questa lettera (già pubblicata nell'appendice del Carteggio tra Benedetto Croce e Franco Venturi curato da Silvia Berti, Il mulino, 2008), la prima dello scambio epistolare tra Barberi, Motta e Rossi-Doria ricostruito integralmente in appendice, prende avvio una vicenda in cui, complice Teresa Motta, la Provinciale diventa il crocevia del «traffico di libri» tra Potenza, Bari, Roma ma anche il luogo dell’incontro tra Barberi e i due studiosi, avvenuto ai primi di maggio dell’‘anno memorabile’. Come lascia intendere Teresa nella lettera al soprintendente del 27 maggio 1943, tutto si svolge nella clandestinità: «Ad evitare complicazioni non ne ho parlato al Direttore e tanto meno al Provveditorato» (p. 101).
Nella corrispondenza tra Teresa e Barberi si parla molto di pacchi di libri: pacchi spediti, ricevuti e rispediti, da Bari a Potenza e viceversa, ma i prestiti esterni non avvengono solo attraverso la Soprintendenza: il 6 maggio 1943 Teresa Motta richiede per conto di Venturi alla Biblioteca nazionale centrale di Roma l’opera completa di David Hume in francese (Essais moraux et politiques, J.H. Schneider, 1764) e tre volumi di indici cumulativi del Bollettino delle opere moderne straniere acquistate dalle biblioteche pubbliche governative del Regno d'Italia (BOMS), per gli anni 1886-1920. In entrambi i casi la restituzione ebbe molte traversie: il pacco con i quattro volumi di Hume, restituiti dallo studioso il 9 luglio 1943, non fu inviato a Roma a causa del divieto di effettuare spedizioni, e dopo l’8 settembre la biblioteca rimase chiusa per i danni subiti dai bombardamenti fino al 2 settembre 1944, pur continuando a svolgere i servizi essenziali. Il 21 luglio 1944 Teresa, erroneamente convinta che il prestito fosse avvenuto tramite la Soprintendenza di Bari, aveva chiesto a Barberi istruzioni per la restituzione dei volumi, che in realtà rientreranno nella biblioteca di appartenenza solo dopo la fine della guerra, nel luglio 1947: è quanto si ricava dai registri del “Prestito dalle altre biblioteche” della biblioteca di Potenza e da quello del “Prestito esterno” della Nazionale di Roma.
Il metodo di ricerca seguito da Trombone per ricostruire i tasselli di un pezzo di storia della biblioteca potentina nel periodo fascista, dei suoi frequentatori e delle loro letture, anche tramite prestito esterno, poggia su indagini capillari negli archivi delle biblioteche, estese ai registri di lettura e a tutta la documentazione relativa all’utenza (bollettari delle tessere, registri dei desiderata, oltre al protocollo): una rete che collega la Biblioteca di Potenza con l’archivio storico della Biblioteca nazionale centrale di Roma, l’Archivio di Stato di Bari con gli archivi dei comuni di Avigliano e di Potenza. Una messe di documentazione, per lo più sconosciuta, in cui l'autrice si addentra sapientemente, collegando avvenimenti, luoghi, persone, libri e letture, in una trama che restituisce a Teresa Motta il ruolo centrale svolto alla Provinciale di Potenza, e più in generale nella vita culturale del nostro paese in anni difficili.

Laura Desideri
già Gabinetto Scientifico Letterario G. P. Vieusseux