Giovanni Di Domenico
Ancora oggi impressiona la compattezza di un volume che, aperto da una breve ma importante introduzione, raccoglie e risistema saggi pubblicati in varie sedi e nell’arco di una quindicina d’anni, a partire dal 1990, con l’aggiunta di un inedito. Parlo de La biblioteca e il suo tempo: scritti di storia della biblioteca di Giovanni Solimine, edito da Vecchiarelli nel 2004. Ne ricordo la struttura: si tratta di otto scritti distribuiti in due parti (Le radici della biblioteca moderna e Figure e momenti di politica bibliotecaria nella storia dell’Italia unita):
Nella prima parte troviamo quattro contributi riguardanti alcuni connotati che nel tempo hanno caratterizzato la biblioteca e le discipline che la governano, mentre i quattro scritti presenti nella seconda parte sono dedicati a momenti nodali e figure di primissimo piano nella politica bibliotecaria in Italia degli ultimi centocinquant’anni: ciò che li accomuna è la volontà di analizzare e comprendere le radici, gli elementi di continuità e i punti di svolta che hanno contrassegnato le questioni di cui qui si discute1.
Titolo e sottotitolo del volume furono scelti – si può ritenere – con particolare cura e un certo coraggio: il termine ‘biblioteca’ è presente due volte e, soprattutto, al singolare, a marcare una netta differenziazione dalla tradizionale storia delle biblioteche, che spesso tende a isolare, con innegabili effetti di appiattimento, le molteplici destinazioni della ricerca: il côté culturale ed erudito, quello politico-istituzionale, i processi interni alle singole strutture, il loro rapporto con le comunità e la collettività. È infatti dell’istituto bibliotecario, della sua evoluzione nel tempo, del suo radicamento e impatto sociale che negli otto scritti si seguono alcune tracce, con l’intento di ancorare la riflessione biblioteconomica a un solido impianto storiografico, di cui si delineano metodo e cornice concettuale: la storia delle funzioni, della politica bibliotecaria, delle pratiche di servizio, delle soluzioni organizzative e gestionali.
L’introduzione svolge (benissimo) un duplice compito: 1) colloca il libro nell’ambito del dibattito nazionale che in quello stesso periodo verte su profili e connessioni disciplinari della storia bibliotecaria (con la biblioteconomia, la bibliografia, gli studi storici tout court), ma anche sui suoi ritardi e sulle prospettive; 2) dà conto di un’esigenza interna al percorso intellettuale dell’autore, il quale sta privilegiando, sì, «obiettivi prevalentemente biblioteconomici e non eminentemente storiografici»2, come è del resto noto e come ampiamente documenta la sua produzione scientifica coeva (La biblioteca: scenari, culture, pratiche di servizio, monografia-chiave del Solimine biblioteconomo, esce con Laterza proprio nel 2004), ma sa che la biblioteca contemporanea è anche espressione di idee, valori, costrutti culturali e sociali di lungo periodo e non sempre lineari, con i quali devono essere necessariamente indagati, studiati, capiti. E sa, anche, che tutto ciò incrocia la storia della disciplina biblioteconomica (vocazioni, ambiti e filoni, persistenze, cambiamenti di paradigma), una storia con la quale è doveroso, inevitabile misurarsi.
I quattro capitoli (possiamo senz’altro chiamarli così) della prima parte ospitano, in tal senso, assaggi interpretativi preziosi, che hanno conservato intatta la loro fecondità.
Il primo (Spazio e funzioni: l’architettura delle biblioteche tra lettura e consultazione), il più esteso e forse il più frequentato, ci accompagna in una sorta di affascinante viaggio attraverso le forme che il rapporto spazio/funzione/servizi ha preso nel tempo, coniugando modelli architettonici e modelli biblioteconomici, in ragione dei cambiamenti di contesto e di una specifica domanda d’uso della biblioteca da riconoscere e accogliere. Dallo scriptorium medievale fino alla biblioteca multimediale e digitale e alla prefigurazione di credibili scenari futuri sono passati in rassegna visioni, orientamenti progettuali e realizzazioni che hanno di volta in volta consegnato o potranno consegnare la biblioteca al suo Zeitgeist. Va evidenziato come una delle componenti che in questo e negli altri saggi del volume intrecciano approccio storiografico ed elaborazione biblioteconomica sia la concezione sistemica della biblioteca, alla quale Solimine ha riservato, anche altrove, più di un approfondimento:
[…] vi è una stretta connessione tra le funzioni di una biblioteca e tutto ciò (gli ambienti, le professionalità, i documenti, gli strumenti e le attrezzature, e così via) che viene impiegato per esercitare tali funzioni. Non sempre si è dedicata la dovuta attenzione a questa impostazione del progetto di biblioteca, dove il termine progetto sta per progetto culturale del servizio che si intende offrire, prima ancora che della struttura in cui ciò dovrà avvenire3.
Il secondo saggio (Le raccolte della biblioteca pubblica e la memoria locale) «si prefigge lo scopo di fornire un contributo al dibattito sulla identità della biblioteca pubblica, in quanto istituzione locale e sede della memoria di una comunità»4. Il tema dell’identità e del radicamento della biblioteca pubblica nelle realtà territoriali – altra costante nel pensiero biblioteconomico di Solimine – è in questo caso affrontato in un’ottica che oltrepassa i confini concettuali e fisici della semplice sezione locale a vantaggio di una più larga e articolata ricerca di «connessione locale», tale da esprimersi mediante più strati di copertura bibliografica e documentaria, la tessitura di relazioni, speciali declinazioni di linguaggio catalografico, lungimiranti progetti di digitalizzazione. La biblioteca e le sue collezioni sono peraltro anche «‘documento’ di storia locale, in quanto rappresentative di gusti, di costumi, di interessi di lettura»5, dunque luoghi «dell’identità culturale di una comunità»6. La ricerca storica nel campo delle biblioteche deve allora districarsi tra fattori interni e fattori ambientali, attingendo, per il secondo aspetto, a risorse e apporti di tutte le scienze sociali, secondo criteri che negli studi di storia locale si sono già affermati e con i quali l’autore si sente in dichiarata sintonia.
A La nascita della bibliografia e della biblioteconomia nell’Europa del XVII secolo è dedicato il terzo contributo, che vede nel Seicento l’epoca nella quale si saldano nuovi modi di concepire e diffondere l’informazione bibliografica corrente e l’allestimento di grandi biblioteche aperte al pubblico: sono elementi che contraddistinguono lo sviluppo della modernità e, insieme, un passaggio fondativo per le discipline del libro, elementi che trovano in Gabriel Naudé e, principalmente, nel suo Advis pour dresser une bibliothèque una sintesi esemplare, di cui Solimine spiega la portata ‘programmatica’, ma di cui coglie anche sottili venature e implicazioni. Il saggio si chiude in modo illuminante, ancorché familiare per chi è in confidenza con la sua sensibilità per le diverse matrici (culturali, bibliografiche, gestionali) che determinano la fisionomia documentaria delle biblioteche:
[…] direi che nelle pratiche di acquisizione si va facendo strada nel corso del XVII secolo un modo nuovo di intendere il rapporto fra la biblioteca e la produzione editoriale: non si costruiscono biblioteche solo sulla spinta del collezionismo e della bibliofilia, ma anche in nome di una concezione laica che intende favorire un uso pubblico del sapere ed un autonomo esercizio della ragione7.
Il trattato di Leopoldo Della Santa e la sua fortuna è il titolo dell’ultimo scritto della prima parte, da collegare idealmente al saggio iniziale per quel medesimo interrogarsi sui caratteri che la biblioteca (le sue funzioni di mediazione, gli spazi, l’assistenza assicurata ai lettori) assume nelle fasi di cambiamento. Grazie alla indispensabile rivisitazione in termini peculiarmente biblioteconomici della monografia di Della Santa (Della costruzione e del regolamento di una pubblica universale biblioteca, 1816), qui è nel mirino la «nascita della biblioteca ottocentesca, funzionale e razionale, con tutto quanto di buono e di meno buono essa ci ha portato»8. Di indubbio interesse, e in qualche modo risolutivi, sono anche gli esiti delle ricerche d’archivio esposti nel paragrafo finale, che indicano in Vincenzo Follini il vero artefice dell’opera.
Della politica bibliotecaria nei primi decenni dell’Italia unita si occupa, invece, il saggio d’apertura della seconda sezione: Enrico Narducci e la ‘primavera sfortunata’ delle biblioteche. Perché tornare sulla figura e sul lavoro di Narducci? Perché riandare alle sue proposte per la realizzazione di un catalogo collettivo delle biblioteche italiane, proposte appesantite da molti difetti, eppure non prive di ragioni, proposte inascoltate, però, quando non duramente respinte? La risposta, per Solimine, è che lì c’è qualcosa di emblematico, qualcosa che investe la responsabilità politica e la sordità dei vertici amministrativi che avevano in cura il settore, qualcosa che molto racconta delle antiche fragilità e dei limiti strutturali nell’organizzazione nazionale dei servizi bibliotecari.
Con Il mito americano e la nascita della public library si discutono le ragioni (ideologiche, culturali, professionali) del peso, spesso del primato, riconosciuto al modello americano di biblioteca pubblica nel dibattito e negli indirizzi politici italiani in materia di pubblica lettura. Tali ragioni attraversano un po’ tutto il Novecento, ma emergono con maggiore forza dapprima in epoca fascista (con i viaggi e gli articoli di Luigi De Gregori) e poi negli anni Cinquanta-Sessanta (con interventi, tra gli altri, di Giangrasso, Bottasso, Barberi). Naturalmente, uno spazio significativo è occupato dalla discussione delle posizioni di Virginia Carini Dainotti, della quale si apprezza il ruolo propulsivo per l’organizzazione della pubblica lettura su scala nazionale, ma non si tacciono le carenze connesse a una visione sostanzialmente centralistica delle soluzioni individuate.
Le Soprintendenze bibliografiche come strumento di una politica centralista per le biblioteche pubbliche è un calibrato excursus sulla storia di un istituto per mezzo del quale lo Stato si è dato un’approssimativa e controversa strategia di presenza e azione nel mondo delle biblioteche locali:
Questo singolare accostamento, che vede riuniti – prima sotto la titolarità dello Stato centrale e poi sotto quella delle Regioni – il compito della salvaguardia di un patrimonio documentario di ingente valore e dimensione e il compito della promozione del servizio bibliotecario di base, è una chiave di lettura indispensabile per chi voglia comprendere alcuni tratti essenziali del sistema bibliotecario del nostro paese9.
Solimine ha tra l’altro modo di riprendere il filo del suo discorso sul servizio nazionale di lettura ispirato e animato dalla Carini Dainotti, intensificando l’analisi delle contraddizioni che minavano quel progetto, compresso fra centralismo e decentramento, diffidente nei confronti delle autonomie, incapace di riconoscere ai Comuni non un qualche ruolo ma la responsabilità a pieno titolo dei servizi bibliotecari locali. Più avanti, precisa:
Un dato è certo: la biblioteca pubblica moderna – ancorata, cioè, alle istituzioni di autogoverno locale – nasce in Italia negli anni Settanta anche da un punto di vista quantitativo, e ciò lo si deve indubbiamente al trasferimento delle competenze alle Regioni10.
Il capitolo di chiusura (I servizi nazionali e l’organizzazione bibliotecaria in Emanuele Casamassima) è anch’esso un riuscito tentativo di riflettere complessivamente sulla politica dei servizi nel Paese e, in special modo, sulla cooperazione interbibliotecaria, partendo dal contributo di idee, iniziative e realizzazioni di un bibliotecario (tale sia pure solamente per un periodo) di alto profilo intellettuale. Del Casamassima direttore della Biblioteca nazionale di Firenze il lettore trova nel saggio un ritratto accurato ed efficace nel mettere in risalto alcuni tratti della personalità e del modo di concepire ed esercitare professione e funzioni (l’intellettuale-tecnico, la cultura gestionale, il conflitto con le burocrazie ministeriali, la capacità di lettura politica delle questioni). Obiettivo primario dell’autore, tuttavia, come nel saggio su Narducci, è indagare, inquadrare (non solo denunciare) le lacune, i nodi, le annose criticità del sistema bibliotecario italiano e delle (in)decisioni che ne hanno penalizzato la crescita. Sono pagine fra le più potenti e appassionate de La biblioteca e il suo tempo. Molte cose sono accadute, naturalmente, molte sono cambiate in questi diciassette anni che ci separano dalla pubblicazione del libro, ma quell’analisi storica della realtà bibliotecaria nell’Italia post-unitaria prima, poi fascista, infine repubblicana, per acutezza e lucidità, reclama e merita una rinnovata attenzione.
Il volume nel suo insieme penso abbia poi messo a nostra disposizione almeno altre due lezioni da non dimenticare. La prima riguarda non la storia della biblioteca, ma la storia della biblioteconomia, e non soltanto per i tanti spunti che Solimine offre all’interpretazione di figure, opere e costruzioni concettuali in epoca moderna e contemporanea, ma per una questione di statuto della disciplina, i cui contorni egli definisce in maniera originale e in rapporto serrato con oggetti e vocazioni (la dimensione di servizio delle biblioteche, per esempio) talvolta trascurati negli studi storici di area. La seconda lezione ha un risvolto metodologico ed è in realtà riscontrabile in tutto il suo percorso: da un lato la conoscenza e l’utilizzo competente delle fonti, dall’altro l’incessante (e assai produttivo) confronto dialettico con le tesi espresse dagli altri studiosi, oltre che la considerazione per i risultati delle loro ricerche. Vive nel libro, e ci conquista, un’idea forte di comunità scientifica (e professionale), un investimento convinto sull’intelligenza collettiva delle cose e sulla condivisione dei saperi.