di Edoardo Roberto Barbieri
Anche gli spettatori coatti dell'ennesima replica estiva del ciclo filmico sulla principessa Sissi interpretata da Romy Schneider ricorderanno, nel secondo episodio intitolato Sissi. La giovane imperatrice (1956), la sua incoronazione a regina d'Ungheria per mano di un nobile e aitante magiaro, Gyula (Julius) Andrássy - Walter Reyer, nella pellicola - conte di Csik Szent-Király e Kraszna-Horka. Proprio all'antico casato di costui apparteneva il palazzo-castello (splendido il parco) di Betliar, oggi nella Slovacchia centro-orientale: l'unica residenza nobiliare dell'Ungheria transdanubiana non saccheggiata al momento della caduta dell'Impero, si dice per il rispettoso e generoso rapporto intrattenuto dagli Andrássy con la servitù, la quale preservò la dimora, diventata ben presto un bel museo. Fra i tanti motivi di interesse dell'edificio - oltre alla biblioteca, alle ceramiche, alla raccolta di trofei dai safari (non fotografici) in Africa, oltre persino a un'autentica mummia dell'Antico Egitto - colpisce una camera da letto arredata con materiale di evidente importazione orientale. Che dei nobili militari ungheresi coltivassero da secoli una sorta di morboso amore/odio per la cultura islamica (ottomana in particolare) potrebbe, ovviamente, non stupire più di tanto. Ma qui ci si trova dinnanzi a un citazionismo combinatorio che documenta una reale passione e un gusto raffinato (forse connessi anche a un viaggio lungo il Nilo alla ricerca di antichità egizie) per tessuti, drappi, decorazioni, iscrizioni di tipo ornamentale islamico, indizio di una chiara fascinazione per il Vicino Oriente. Si tratta di un capitolo di storia culturale dell'orientalismo occidentale che si potrebbe etichettare come "estetico", da porre a fianco a quello cristiano indirizzato ai pellegrinaggi e alla riscoperta della Terra Santa1, o a quello suscitato maggiormente da interessi scientifici di varia tipologia, dal naturalistico all'archeologico2.
È esistita però, parallela e variamente intrecciata ai percorsi cui si è fatto cenno, anche un'attenzione di ordine propriamente linguistico per il Vicino Oriente, prodromica alla conoscenza e al lento apprendimento delle lingue orientali in Occidente.
A questo punto è necessario osservare che la bibliografia è una di quelle discipline nelle quali il metodo è davvero determinante, in quanto la rende capace di affrontare con una logica propria le più svariate situazioni. Se l'approfondimento dei singoli temi spetterà, giustamente, agli specialisti di ciascun settore, la coscienza della potenzialità storica e conoscitiva della disciplina deve indurre chi la professa a non accontentarsi di rincorrere l'ultimo specchietto per le allodole di qualche tematica alla moda, per cimentarsi piuttosto nell'interpretazione di fenomeni anche complessi e dai molteplici significati culturali. In tal senso, la mostra digitale cui si vuole qui accennare centra con precisione un bersaglio di primaria importanza: la convivenza di diverse comunità linguistiche, religiose e culturali nella città di Gerusalemme.
Presso la Biblioteca generale della Custodia di Terra Santa, ossia la biblioteca storica dei francescani a San Salvatore di Gerusalemme (New Gate), si conserva un'importante raccolta di materiale librario accumulato dai frati minori durante i secoli della loro permanenza nei territori della Palestina storica, solo parzialmente coincidenti con gli attuali confini dello stato di Israele3. Oggetto di un progetto di valorizzazione che dura da più di un decennio svolto dal Centro di ricerca europeo libro editoria biblioteca dell'Università Cattolica, tale biblioteca vuole essere punto di incontro, scambio e amicizia tra gli abitanti della Città Santa4. Per questo, su indicazione dei Custodi che si sono succeduti, padre Pierbattista Pizzaballa (oggi Patriarca di Gerusalemme dei Latini) e padre Francesco Patton, e sotto gli auspici dei direttori della biblioteca, prima padre Marcello Badalamenti, poi padre Lionel Goh, si sono organizzate diverse mostre bibliografiche, alcune in presenza, altre (anche prima della pandemia) in formato solo digitale5.
Quella cui si vuole accennare ha per titolo "Grammatica Orientalia Hierosolymitana. Lexicons and grammar books of Semitic languages between 16th and 18th centuries from the Franciscan libraries in Jerusalem" con una premessa di Martino Diez, è programmata per l'inizio del 2022 ed è stata realizzata da Pierfilippo Saviotti durante il suo periodo di servizio civile universale presso la suddetta biblioteca6. L'esposizione digitale ha voluto documentare la presenza presso la biblioteca francescana (comprendendo anche quella dello Studium Biblicum Franciscanum, sempre a Gerusalemme, ma alla Flagellazione presso Lions' Gate) di antiche edizioni dei secoli che vanno dal XVI al XVIII di strumenti quali grammatiche e lessici per l'apprendimento delle lingue semitiche, in particolare arabo, ebraico e siriaco7. Parte di questo materiale è storicamente collegato all'attività pastorale e di studio dei francescani in loco, parte è invece frutto di acquisti moderni sul mercato antiquario internazionale, dovuti soprattutto all'attività del Commissariato di Washington (USA), la cui preziosa raccolta libraria è confluita a Gerusalemme in anni recenti8.
Il materiale librario ora collocato presso la Biblioteca generale della Custodia di Terra Santa ha dunque una provenienza ibrida, dovuta alla storia della comunità francescana gerosolimitana non meno che a vicende di tipo collezionistico9. Se i volumi del XVI secolo erano già stati catalogati con l'intera produzione di quel periodo da Luca Rivali10 (che ha descritto anche gli incunaboli), quelli del XVII sono stati interamente inseriti da Fabrizio Fossati nel catalogo digitale online con un livello descrittivo encomiabile per le secentine11, mentre quelli del XVIII presentati sono stati estratti e catalogati ad hoc solo in quest'occasione dal Saviotti.
Il materiale editoriale di cui ci si occupa è particolarmente raro e prezioso. Infatti, proprio per il loro alto grado di specializzazione, i libri qui considerati non sono solitamente presenti nelle biblioteche genericamente dotate di fondi antichi o di interesse religioso. Piuttosto, occorrerebbe ricercare questa tipologia libraria presso istituzioni di istruzione superiore in cui già lungo l'età moderna lo studio delle lingue orientali fosse stato particolarmente coltivato: basti pensare a università di lunga e solida tradizione negli studi linguistici o biblici, o a esperienze di specifico interesse verso l'orientalistica, come istituti missionari o seminari cattolici12. Inoltre, la stessa produzione di libri in cui convivessero i caratteri latini con quelli orientali era particolarmente complessa, per non parlare delle difficoltà specifiche della composizione tipografica in una scrittura sempre corsiva come quella dell'arabo, nella quale la forma delle singole lettere si modifica a seconda della posizione all'interno della parola e della forma delle lettere che precedono e seguono. Sull'origine della stampa in arabo si è detto e scritto molto negli ultimi decenni, soprattutto dopo il ritrovamento dell'unico esemplare sopravvissuto del Corano impresso da Alessandro Paganini nel 1537-153813. Ma qui si è davanti a un momento molto più avanzato della produzione, quando i più spinosi problemi tecnologici erano stati risolti e quando ormai esisteva un pubblico (sia pur specialistico ed elitario, sicuramente di vocazione internazionale, o per meglio dire europea) interessato all'apprendimento di queste lingue14.
Se, infatti, l'ebraico in Italia (e non solo) aveva trovato all'interno delle comunità confessionali chi si era preoccupato di stamparlo sin dai primi decenni dalla scoperta dell'ars artificialiter scribendi con investimenti culturali ed economici assai significativi, e se il siriaco (e in misura minore il ge'ez) costituì un erudito esperimento privo però di reali problemi grafico-tipografici, l'avvio di un'editoria in arabo ebbe una sua complessa origine, connessa con le difficoltà inerenti alla copia e all'impressione del testo fondativo della cultura islamica, il Corano stesso. Mentre l'organizzazione della mostra che si vuole qui brevemente presentare (cioè le introduzioni al Cinque, al Sei e quindi al Settecento ciascuna seguita dalle schede relative agli esemplari via via presentati) segue la scansione dei tre secoli prescelti, per arrivare in fine alla Bibbia poliglotta di Londra con gli annessi volumi di lessici e grammatiche, in questa occasione si tenterà piuttosto di enucleare lo sviluppo della stampa nelle tre principali lingue semitiche: arabo, siriaco ed ebraico.
Per ciò che riguarda l'arabo, dopo gli esperimenti che contraddistinsero la prima metà del XVI secolo (ma non si dimentichino i risultati positivi ottenuti con la stampa di due testi cristiani, il Kitab Salat al-Sawai di Fano 151415 nonché lo Psalterium poliglotta di Genova 151616: fu davvero l'impressione del testo sacro dell'Islam a creare ad Alessandro Paganini problemi insormontabili)17, una delle più entusiasmanti imprese editoriali fu quella della Tipografia Medicea Orientale, operante a Roma alla fine del Cinquecento per l'esplicito volere dei papi di proseguire e integrare l'attività della tipografia poliglotta pontificia18. Essa attuava un vero e proprio programma di pubblicazioni, che prevedeva una campagna di acquisti nei paesi arabi di testi manoscritti atti a essere riprodotti e la collaborazione di intellettuali capaci di seguire l'edizione delle opere e di redigere strumenti linguistici adeguati19.
Il secolo successivo assistette alla fondazione, sempre a Roma, della Congregatio de Propaganda Fide, avente per fine la formazione di predicatori e di catechisti destinati alla missio ad gentes cattolica, anche in paesi arabofoni20. Così, a fianco di un prezioso lessico arabo-turco-persiano del diplomatico polacco Franciszek a Mesgnien Meninski (Vienna 1680), ecco la pubblicazione presso la tipografia di Propaganda Fide di grammatiche e lessici arabi, con una progressione che giungerà sino all'impresa della Bibbia arabo-latina del 1671, un vero monumento della cultura cristiana21. Ivi si stampava peraltro anche in altri idiomi semitici, come il ge'ez, l'antica lingua liturgica etiopica.
Il Settecento vide poi la messa a fuoco di una conoscenza più puntuale delle lingue orientali grazie all'edizione della grande raccolta testuale di Giuseppe Simone Assemani e, più in generale, alla penetrazione dello studio e della stampa dell'arabo presso i maggiori centri di ricerca europei, forse anche sulla base dell'equivoco riguardo alla sua utilità per la conoscenza comparata dell'ebraico, e quindi quale lingua ausiliaria delle scienze bibliche.
Il siriaco, invece, non avendo come l'arabo problemi di corsività nella riproduzione tipografica (ci sono anche testi arabi stampati usando tale alfabeto, assai più semplice da comporre), oltre a essere riscoperto come un serbatoio di testi delle antichità cristiane (se ne era interessato anche Marcello Cervini)22, veniva a costituire uno strumento essenziale per quel dialogo con le comunità cristiane della Siria interna e di quella costiera, il Libano, che avrebbe portato alla piena comunione con Roma della Chiesa Maronita23. Varie personalità di tale comunità, legate in parte all'attività del Collegio Maronita di Roma, ebbero la funzione non solo di mediazione col mondo arabo-cristiano, ma divennero la fonte primaria di conoscenza del siriaco stesso, la cui stampa ebbe in Roma il suo principale centro.
Quanto all'ebraico biblico, occorre considerare come questo non fosse parlato dagli ebrei dell'età moderna, che lo imparavano nelle scuole sinagogali direttamente sui testi veterotestamentari che venivano tradotti alla lettera. Pur esistendo sin dal Medioevo grammatiche e lessici per l'uso interno delle comunità giudaiche, è la nascita dell'ebraismo cristiano a portare allo sviluppo degli strumenti linguistici qui in esame. Non a caso tra i maggiori editori di questi materiali troviamo, nel XVI secolo, l'imprenditore cristiano Daniel Bomberg, un fiammingo trapiantato a Venezia e ben inserito nella locale comunità ebraica24; nel Seicento, una figura come quella di Stefano Paolini, attivo a Roma; nel Settecento, a Venezia i diversi membri della famiglia Bragadin, che con Alvise erano però attivi nel settore sin dalla metà del Cinquecento25. Figura di spicco e autore di strumenti più volte ristampati (compresa una traduzione letterale della Bibbia ebraica in latino)26 fu anche il domenicano Sante Pagnini, che aveva iniziato lo studio dell'ebraico su invito di Gerolamo Savonarola27.
Dal punto di vista della storia degli studi, la mostra giustamente si conclude (con un climax solo cronologicamente imperfetto) con la mirabile edizione della Bibbia poliglotta di Londra di pieno XVII secolo. Ciò non solo perché la sua pubblicazione costituì il culmine di una serie di esperimenti che, partendo da Aldo Manuzio a fine Quattrocento28 e passando per le poliglotte Complutense e Regia di Anversa, nonché il progetto (rimasto però tale) romano di Giovanni Battista (1654-1657) particolarmente evidente con gli scritti del francescano Francisco Cañes (1730-1795), missionario in Oriente. Egli fu autore di una grammatica arabo-spagnola (Madrid 1776) e di un Diccionario español-latino-arábigo (Madrid 1787), del quale la biblioteca francescana possiede ben 36 esemplari, indizio sicuro dell'uso fattone dai frati per l'apprendimento della lingua araba. Ciò non solo documenta per quegli anni la proficua presenza di francescani spagnoli in Terra Santa, ma indica un vero cambiamento di rotta con un rinnovato interesse per l'attività pastorale rivolta ai cristiani locali. Andrà in effetti attribuito allo stesso periodo un fenomeno strettamente connesso, cioè l'inserimento di segni per delimitare le pericopi liturgiche in una delle copie del Vangelo in arabo dell'edizione romana del 1590-1591, così da trasformare quell'evangeliario in un evangelistario, cioè in una raccolta di testi da leggere durante la messa29. Tutto ciò individua il momento nel quale i frati iniziarono sistematicamente a celebrare e predicare in favore della popolazione arabofona, ossia a occuparsi in maniera continua della cura delle anime presso la comunità cristiana locale.
Tale fenomeno avrà un esito inaspettato ed eccezionale. Dopo altri vani tentativi, i francescani di Gerusalemme a metà XIX secolo, approfittando anche di una legislazione ottomana inaspettatamente liberale30 e godendo di un importante finanziamento della corte imperiale di Vienna (e torniamo al punto di partenza di queste pagine), aprirono una loro tipografia. Tra i primi titoli da loro impressi vi furono catechismi e libri di scuola in arabo31 (anzi, la tipografia francescana fu la prima a Gerusalemme a stampare in quella lingua). Un'impresa di eccezionale valore tecnologico, culturale, didattico32. L'erudizione occidentale (o, se si vuole, l'orientalismo linguistico) dell'età moderna dava infine i suoi frutti anche a favore della popolazione locale, che poteva così accedere a corsi regolari di studi.
Ultima consultazione dei siti web: 16 agosto 2021.
È con grande piacere che dedico all'amico Giovanni Solimine queste poche pagine. A lui, che ha saputo indagare con acume le prassi e i modi della lettura nell'Italia contemporanea, spero non dispiaccia questo breve viaggio tra la storia di una biblioteca e quella di un genere editoriale. Ringrazio i primi lettori: Pierfilippo Saviotti, Claudio Passera, Eleonora Gamba.
Il testo è stato scritto a Telgárt (Banská Bystrica) tra il 20 e il 24 luglio 2021.