La manifesta attualità di un «canone biblioteconomico» per le collezioni

Gianfranco Crupi

Ci sono libri di lunga durata, libri che – come direbbe Calvino - non hanno mai finito di dire quel che hanno da dire. E ci sono libri che con il trascorrere del tempo rivelano invece la loro inattualità, perché hanno finito di dire quel che avevano da dire. Infine, ci sono libri che, pur scontando la loro inattualità per il trascolorare dei contesti storici e delle circostanze culturali che ne sono stati all’origine, conservano tuttavia una loro ineffabile attualità, un’aura – verrebbe da dire - che ne determina il carattere unico e distintivo. Ebbene, il volume di Giovanni Solimine, Le raccolte delle biblioteche: progetto e gestione, pubblicato nel 1999 dall’Editrice bibliografica, appartiene a quest’ultima categoria, perché palesemente inattuale e, al contempo, indubitabilmente moderno.
Vediamo perché.
Il libro nasce in un contesto storico e culturale fortemente suggestionato dalle metodologie delle discipline organizzative e gestionali, mutuate dal mondo dell’impresa, ma non ancora condizionato dall’affermazione di una variabile storica, quella delle tecnologie digitali, di cui non si poteva prevedere l’effetto dirompente e pervasivo che esse avrebbero avuto nella dimensione sociale dell’umanità, oltre che nell’organizzazione del lavoro e nella gestione della conoscenza. Eppure, nel libro si avverte una decisa consapevolezza del cambiamento epocale che stava investendo il mondo delle istituzioni della memoria e, in particolare, delle biblioteche, sia per quel che riguarda le metodologie, gli strumenti e le tecniche di rilevamento e analisi dei servizi, sia relativamente alle nuove e differenti tipologie documentarie, ai loro supporti, nonché ai codici di trattamento descrittivo e catalografico. Consapevole dunque di questo progressivo e imprevedibile mutamento di contesti culturali e di scenari tecnologici, Solimine si è però tenuto saggiamente a distanza dalla fedele illustrazione delle tecniche da applicare nell’attività di selezione, organizzazione e mediazione dei documenti che «a volte si evolvono molto rapidamente e, se avessero costituito il nucleo principale di questo lavoro, lo avrebbero datato irrimediabilmente»1; e parimenti ha evitato, con altrettanta sagacia, di rapportarsi con l’incontrollabile varietà dei supporti documentari: «la volatilità e la mutevolezza dei documenti elettronici spesso portano con sé una evoluzione egualmente rapida delle tecniche adottate per la loro gestione»2. Ciò che premeva all’autore era, infatti, «comprendere le motivazioni»3 e dimostrare come il trattamento delle collezioni investa l'intero ciclo gestionale del sistema biblioteca. Ne deriva l’assunto secondo il quale la qualità di una biblioteca non è la risultante quantitativa del numero di unità bibliografiche possedute, ma è l’esito di un più complesso processo organizzativo; vale a dire che, secondo questa visione olistica, le collezioni sono al centro di un articolato sistema che mette in relazione di interdipendenza reciproca le funzioni e i servizi che sono propri di una biblioteca.
Da questo punto di vista il libro rispecchia il fervente clima culturale che aveva animato tra gli anni Ottanta e Novanta il mondo delle biblioteche e della professione. Basti ricordare la pubblicazione di alcuni strumenti a supporto della valutazione delle raccolte e della scelta degli acquisti librari, come Conspectus (1978)4, la “griglia di Whittaker” (1982)5, e poi alcuni saggi e manuali, soprattutto di area anglosassone6, ma anche alcuni significativi contributi italiani7. Secondo una partizione epocale richiamata dallo stesso Solimine8, si tratta dunque della fortunata stagione della ‘biblioteconomia gestionale’, al cui paradigma concettuale «è riconducibile il “canone biblioteconomico”, con cui, alla fine degli anni Novanta Giovanni Solimine aveva modellizzato procedure fondate sull’efficacia del “sistema” biblioteca, entro le quali “compito del bibliotecario […] è innanzi tutto quello di mettere a fuoco il “valore biblioteconomico” di un documento”»9. Intendendo con l’espressione ‘valore biblioteconomico’, mutuata da Rinaldo Lunati10, la contestualizzazione del singolo libro acquisito all’interno della collezione, in relazione alle finalità di servizio della biblioteca e alle esigenze del suo pubblico, con lo scopo di costruire su tali basi la fisionomia di una raccolta organica e coerente. Siamo quindi ancora al di qua del modello di ‘biblioteconomia sociale’ che rappresenta il punto di approdo più recente di Giovanni Solimine, secondo cui «parafrasando l’efficace espressione di Krugman, [essa] si configura come la disciplina che si occupa della biblioteca come “sistema sociale fatto dalle persone per le persone”»11, avendo prioritariamente cura del benessere e della qualità della vita degli individui e delle loro comunità di appartenenza.
Come si diceva, va da sé che il contesto di riferimento del libro sia storicamente molto diverso da oggi, a partire dall’universo documentario che, nella singolare varietà delle tipologie concettuali, rappresenta i nuovi paradigmi della società della conoscenza, fondati sulla contaminazione e ibridazione delle culture e dei linguaggi e sul principio della interoperabilità tra sistemi e contesti eterogenei. Lo stesso concetto di biblioteca digitale denuncia la radicale trasformazione concettuale della biblioteca nel contesto degli scenari digitali e, come sappiamo, il suo posizionamento non più esclusivo nell’universo della mediazione informativa, sempre meno dipendente dalle biblioteche e dove si candidano nuovi soggetti concorrenti (sia pubblici che privati, o frutto di ibridazioni istituzionali o di partnership tra pubblico e privato), che competono autorevolmente a ridisegnare la geografia dei saperi e i luoghi dell’accesso alla conoscenza. Di contro, il modello di infrastruttura fisica e organizzativa più praticato è quello della biblioteca ibrida, in cui le collezioni digitali sono parte di una complessa architettura di funzioni e di servizi e in cui le politiche di conservazione del patrimonio documentario si affiancano a quelle dell’accesso all’informazione, secondo modelli commisurati alla tipologia della biblioteca e al suo bacino di utenza reale, potenziale e virtuale. Difatti, questo modello organizzativo e concettuale di biblioteca è un modello in divenire, espressione di un’identità plurale, che va ridefinita e rimodulata nel tempo a seconda delle opportunità e degli scenari. Un modello, che comporta una dilatazione semantica e fattuale del concetto di collezione, sempre più responsiva, just in time, alle richieste dell’utente e in grado di accogliere, senza distinzione di generi letterari, una proteiforme varietà di tipologie documentarie (non solo bibliografiche) e di supporti, sempre più dematerializzati. Scardinata nei fatti l’opposizione dicotomica tra possesso e accesso e dovendosi misurare con la gestione di una straordinaria quantità di dati (mai così tanti nella storia dell’umanità), alla biblioteca si richiedono dunque flessibilità nel riorientare il proprio modello gestionale e nuove competenze professionali, tanto da prefigurare una ‘biblioteconomia dei dati’ (data librarianship), che «ha a che fare con la rappresentazione, l’organizzazione e la disseminazione dei dati e con l’uso delle tecnologie per progettare la gestione dei dati della ricerca e i servizi relativi ai dati»12.
Infine, nel complesso processo di trattamento e cura delle collezioni, le biblioteche, soprattutto quelle accademiche e di ricerca, stanno spostando l’asse delle loro attività verso la valorizzazione delle raccolte, favorendone il riuso e la creazione, l’elaborazione e la risemantizzazione dei contenuti, grazie a più raffinati strumenti descrittivi e gestionali, che posizionano le funzioni della biblioteca nella «gestione dell’intero flusso della conoscenza, ossia del knowledge management, in quanto processo unitario che va dalla creazione dei contenuti all’accesso»13. Tanto più se, accogliendo le considerazioni di Klaus Kempf, l’oggetto della collezione, in futuro, sarà ‘puro contenuto’ e si modificherà considerevolmente anche la nostra rappresentazione, la nostra immagine dell’oggetto e del medium dell’informazione, sempre più caratterizzato dalla multimedialità e dall’interattività14. In questa prospettiva ampia, quel che vent’anni fa era un auspicio, e cioè la gestione collaborativa delle raccolte, da intendersi in senso largo come apertura alla collaborazione con le altre istituzioni della memoria (archivi e musei), oggi si impone come una necessità, dal punto di vista culturale, innanzitutto, istituzionale ed economico.
Questo a grandi linee è l’attuale contesto in cui si colloca il tema della gestione e dello sviluppo delle raccolte bibliotecarie, ben diverso per molteplici punti di vista da quello che più di vent’anni fa diede vita al libro di Solimine e che, tuttavia, ne misura la sua indubbia modernità, le cui ragioni profonde risiedono – a mio giudizio - in alcune riflessioni e considerazioni che trovano spazio, in particolare, nel capitolo introduttivo del libro, Per inquadrare il problema, e in quello conclusivo, Un canone biblioteconomico per la gestione delle collezioni.
Partirò proprio da quest’ultimo capitolo perché in esso Solimine prefigura il futuro per le biblioteche, raffigurandolo sotto forma di una stringente serie di domande, che ruotano intorno ad alcuni temi guida, tra cui: la sostenibilità nel combinare efficacemente risorse economiche e umane con la crescita nella produzione informativa e documentaria; il ruolo delle biblioteche, il loro posizionamento nell’universo della mediazione informativa rispetto alla presenza competitiva di soggetti privati e agenti commerciali; la gestione del cambiamento dal punto di vista organizzativo, in bilico tra soddisfacimento delle aspettative degli utenti e capacità di governare l’accesso alle fonti della conoscenza sia tradizionali che nuove; l’impatto delle tecnologie nella creazione di nuovi servizi e la loro pervasività nei processi di disseminazione delle risorse informative; la completezza e la qualità strutturale delle informazioni, a fronte di una loro atomizzazione nei codici descrittivi e catalografici; la modifica del comportamento degli utenti nell’uso delle raccolte; il trattamento delle collezioni tradizionali e digitali e la loro conservazione; la gestione dei diritti e la tutela della proprietà intellettuale di contro a una sempre più diffusa richiesta di accessibilità globale all’informazione e ai documenti; lo sviluppo dell’istruzione distribuita e a distanza e la sua incidenza sulla politica delle raccolte e di diffusione della conoscenza; e, non da ultimo, le competenze conoscitive e operative richieste al personale delle biblioteche per gestire l’intero pacchetto di queste criticità, ma con particolare riguardo allo sviluppo delle raccolte.
Questo elenco, sia pure incompleto, dà conto di una delle maggiori qualità intellettuali di Giovanni Solimine: saper ascoltare il presente per poter leggere il futuro. Questa sua capacità si traduce in una visione che è anche un canone biblioteconomico (quello da lui stesso indicato), in cui le raccolte costituiscono sì la ‘scatola nera’ della biblioteca, ma all’interno di un sistema reticolare di relazioni tra le diverse funzioni e i diversi servizi che la costituiscono; commisurati, tuttavia, ai contesti reali, alle esigenze concrete degli utenti, alle comunità di appartenenza. Appare dunque chiaro come l’indicazione nel capitolo introduttivo (Per inquadrare il problema) della quinta legge di Ranganathan, «Library is a growing organism», lungi dall’essere una citazione di circostanza, sia invece espressione di un profondo sentire, che dimensiona la crescita della biblioteca e lo sviluppo delle sue collezioni non in termini numerici e quantitativi, ma in quanto

risultato della incisività con cui essa riesce a inserirsi in un più ampio sistema di circolazione del sapere, rappresentando ai propri utenti in modo multiforme i prodotti dell’industria editoriale e offrendo loro le informazioni sui documenti disponibili e sulla loro localizzazione15.

 

Si spiega allora perché questa visione così radicalmente umanistica, che pone al centro l’utente in quanto innanzitutto essere umano, abbia trovato sbocco nella prospettiva teorica della biblioteconomia sociale, che guarda al benessere delle persone, per garantire loro «i diritti di cittadinanza in una società realmente “inclusiva” e coesa»16.


Note

Ultima consultazione dei siti web: 22 ottobre 2021.

1 Giovanni Solimine, Le raccolte delle biblioteche: progetto e gestione. Milano: Editrice bibliografica, 1999, p. 9.
2 Ivi, p. 10.
3 Ivi, p. 36.
4 Il manuale applicativo fu pubblicato invece nel 1997: Mary Bushing, Using the Conspectus Method: a collection assessment handbook. Washington: Lacey, 1997.
5 Kenneth Whittaker, Systematic evaluation: methods and sources for assessing books. London: Clive Bingley, 1982.
6 Ne ricordo solo alcuni: Approval plans: issues and innovations, a cura di John H. Sandy. New York, London: The Haworth press, 1996; Access, resource sharing and collection development, a cura di Sul H. Lee. New York, London: The Haworth press, 1996; Collection development: past and future, a cura di Maureen Pastine. New York, London: The Haworth press, 1996; Collection management for the 21" century: a handbook for librarians, a cura di G.E. Gorman e Ruth H. Miller. Westport, London: Greenwood press, 1997.
7 Carlo Carotti, Gli acquisti in biblioteca: formazione e accrescimento del patrimonio documentario. Milano: Editrice bibliografica, 1989; Ead., Costruzione e sviluppo delle raccolte. Roma: Associazione italiana biblioteche, 1997; Madel Crasta, La costruzione delle raccolte. In: Lineamenti di biblioteconomia, a cura di Paola Geretto. Roma: La nuova Italia scientifica, 1991, p. 43-78.
8 Chiara Faggiolani; Giovanni Solimine, Biblioteche moltiplicatrici di welfare: verso la biblioteconomia sociale, «Biblioteche oggi», 31 (2013), n. 3, p. 15-19, DOI: 10.3302/0392-8586-201303-015-1.
9 Maurizio Vivarelli, C’è bisogno di collezioni? Teorie, modelli, pratiche per l’organizzazione di spazi documentari connessi e condivisi, «Biblioteche oggi trends», 1 (2015), n. 1, p. 16-27: p. 20, DOI: 10.3302/2421-3810-201501-018-1.
10 Rinaldo Lunati, La scelta del libro per la formazione e lo sviluppo delle biblioteche. Firenze: Olschki, 1972.
11 C. Faggiolani; G. Solimine, Biblioteche moltiplicatrici di welfare cit., p. 18. Il riferimento è all’economista statunitense Paul Krugman.
12 Alexandre Ribas Semeler; Adilson Luiz Pinto; Helen Beatriz Frota Rozados,  Data science in data librarianship: core competencies of a data librarian, «Journal of Librarianship and Information Science», 51 (2019), p. 771-780, DOI: 10.1177%2F0961000617742465. La citazione è tratta da Rossana Morriello, Birth and development of data librarianship, «JLIS.it», 11 (2020), n. 3, p. 1-15: p. 2, DOI: 10.4403/jlis.it-12653. Per le nuove competenze richieste ai bibliotecari che si occupano di gestione e sviluppo delle collezioni, anche per affrontare le sfide legate all’open science, ai metodi di valutazione della ricerca scientifica, alla tutela dei diritti, alle questioni etiche, all’interazione consapevole con editori e fornitori di servizi, cfr. Rossana Morriello, Le raccolte bibliotecarie digitali nella società dei dati. Milano: Editrice bibliografica, 2020; il volume aggiorna e integra il precedente libro della stessa autrice, Rossana Moriello, La gestione delle raccolte digitali in biblioteca. Milano: Editrice bibliografica, 2008.
13 Sara Dinotola, Lo sviluppo delle collezioni nelle biblioteche pubbliche: metodi, pratiche e nuove strategie. Milano: Editrice bibliografica, 2020, p. 302.
14 Klaus Kempf, Der Sammlungsgedanke im digitalen Zeitalter = L’idea della collezione nell’età digitale. Fiesole (Firenze): Casalini libri, 2013, p. 114.
15 G. Solimine, Le raccolte delle biblioteche, progetto e gestione cit., p. 14-15.
16 C. Faggiolani; G. Solimine, Biblioteche moltiplicatrici di welfare cit., p. 16.