Note a margine del libro di Giovanni Solimine L’Italia che legge

Luca Ferrieri

Le considerazioni che seguono, avvenendo a distanza di più di dieci anni dall’uscita del libro, si gioveranno abbondantemente del ‘senno di poi’ e della sua ingiustizia cognitiva: il privilegio di chi sa quello che è accaduto dopo, quali ipotesi si sono confermate e quali sono state smentite dai fatti. È l’autore stesso, in un altro suo intervento1, a menzionare proprio questo scarto temporale, a proposito delle tre ‘letture’ dei dati statistici, quella immediata, quella distanziata, quella storica. Le analisi ex post possono rappresentare un esercizio abbastanza crudele per un testo, che resta inevitabilmente ancorato alla sua realtà storica, ma nello stesso tempo permettono di mettere in luce quelle caratteristiche prefiguranti che tutti i buoni libri posseggono, e non in forza di una qualche sfera di cristallo, ma grazie alla loro profondità di ricerca e di visione. È un piacere farlo, in modo libero e rispettoso, per un autore cui dobbiamo molti insegnamenti e, appunto, molte illuminazioni premonitrici. Per motivi di spazio e di contesto, questa non sarà però una vera recensione, ma una sorta di nota a margine, che dà in parte per scontata la conoscenza e la consultazione del libro.

Questo saggio di Giovanni Solimine è un’opera ricca non solo di scienza ma di immaginazione. Lo si vede dall’auspicio contenuto nelle righe conclusive, o dai richiami che ogni tanto l’autore rivolge a se stesso per tenerla a freno (per esempio: «non disponiamo di elementi reali su cui fondare queste ipotesi, per cui conviene non far lavorare ulteriormente la fantasia»)2. Si tratta di un’ammonizione rivolta anche al lettore, in un testo come sempre molto controllato, privo di voli pindarici e di eccessi esclamativi. Le tendenze del presente sono scandagliate in tutte le direzioni, spesso divergenti, con un occhio non solo alle linee che già hanno ricevuto ampio supporto di dati e di conferme empiriche, ma anche a quelle che si affacciano in forza di una supposizione o di un’intuizione ancora incerte.
Solimine è stato uno tra i primi e pochi studiosi italiani di biblioteconomia a dedicare ai campi della lettura, dell’editoria, dei consumi e dell’industria culturale l’attenzione che meritano. Spesso, come in questo libro, con un puntuale ricorso ai dati e alle risultanze statistiche, capace però di rivelarci particolari che sfuggono a una prima occhiata e vanno oltre il rilievo puramente numerico. Quest’atteggiamento nasce dalla consapevolezza dell’importanza crescente che la materia ha assunto negli ultimi anni, travalicando ampiamente i confini di una singola disciplina e facendosi anzi filo di collegamento per una riflessione più ampia. Solimine stesso se ne è occupato anche in molti suoi successivi contributi (tra cui ricordo almeno il già citato La lettura e il suo contesto, Il senso dei dati della lettura3, i più recenti Lo stargate della lettura4, La circolazione dei libri nel 20205 ecc.), ma quest’opera presenta un quadro completo, capace di offrire una panoramica a 360 gradi sul tema. Solimine coglie il valore dello specifico ‘discorso sulla lettura’6 dei bibliotecari, aprendo la transizione da un’idea di biblioteca come contenitore e come collezione inerte a quella della biblioteca come servizio, in modo coerente con l’indirizzo di quella biblioteconomia sociale di cui è uno dei massimi rappresentanti. Attribuisce così piena cittadinanza, nel coté professionale del bibliotecario, al campo della lettura e della sua promozione.

Le indagini sui livelli di lettura contengono molti aspetti ancora irrisolti o controversi che spesso sono legati anche a posizionamenti e punti di vista generali, e qualche volta ideologici, con cui si leggono i numeri. Il lavoro di Solimine ha un grande merito: pur partendo dai numeri e dalla loro perentorietà, non dimentica che la questione della lettura e del suo sviluppo è innanzitutto una questione culturale e di politica culturale. Le oscillazioni statistiche, le variazioni di qualche punto percentuale assumono rilevanza solo se inserite in un’analisi che sappia leggere i contorni, le caratteristiche strutturali, gli ostacoli che per lungo tempo hanno condizionato negativamente il mercato librario italiano, nonché i timori e i pregiudizi che hanno nutrito le classi dominanti, economicamente e culturalmente, e di cui è infarcita la loro pedagogia della lettura. Anche le opzioni metodologiche, le caratteristiche delle domande, dei campioni, delle elaborazioni, ubbidiscono a presupposti non neutrali e ciò comporta conseguenze sui risultati. Le scelte compiute (e ultimamente in parte riviste, anche sulla base delle analisi critiche di molti analisti) dall’Istat, nell’impostazione delle rilevazioni, hanno comportato per esempio l’esclusione o l’inclusione dalle statistiche di milioni di lettori (come quelli definiti ‘morbidi’, cioè clandestini a se stessi, o, più recentemente, quelli digitali). Il confine rigido che per molti anni si è voluto istituire tra lettori e non lettori appare sempre di più come una linea mobile, discontinua, spesso storicamente e culturalmente fallace. La categoria dei ‘lettori di almeno un libro’, intorno a cui ruota l’impianto statistico dell’Istat, si è dimostrata ampiamente insufficiente, come ricorda Solimine7, per definire i lettori reali e comprendere le diverse modalità di lettura che si sono succedute e moltiplicate fino ad oggi.
Visti sul lungo periodo i dati statistici sulla lettura danno l’impressione di una sostanziale immobilità. Dal 2000 (38,6%) al 2018 (40,6%) il numero dei ‘lettori di almeno un libro’ risulta aumentato solo di due punti percentuali. Curiosamente l’anno di uscita del libro di Solimine (2010) è quello in cui la percentuale di lettori tocca il punto più alto mai raggiunto nel nostro paese, il 46,8%. Il risultato sembra mettere a portata di mano l’agognato ‘sorpasso’ dei lettori sui non-lettori e viene dopo un ventennio di grancassa sulle magnifiche sorti e progressive della lettura. Solimine si tiene lontano dall’ottimismo un po’ propagandistico del periodo, e il decennio successivo gli dà decisamente ragione, con la crisi del libro e la precipitosa discesa dei livelli di lettura. L’impressione di immobilità è, quindi, vera e falsa. Vera, perché, come dice Solimine, il dato duraturo è che la «quota dei lettori […] si è mossa assai poco negli ultimi dieci o quindici anni»8. Falsa, perché nel periodo considerato è successo di tutto, compresa la mutazione digitale che ha scompaginato i vari rapporti Istat.
Ma vi sono molti altri punti su cui questo libretto si mostra ‘presago’ di tendenze e problemi che emergeranno negli anni successivi. Lo si vede per esempio nell’attenzione rivolta ai lettori in carne e ossa, il cui protagonismo è cresciuto nonostante la stasi dei dati di lettura. Tante volte si discute di cifre della lettura come se fossimo di fronte a un bilancio esclusivamente contabile. E invece Solimine dedica un capitolo proprio alla ‘figura del lettore’. E nel successivo, uno dei migliori del libro, analizza i ‘luoghi comuni’ e le ‘verità nascoste’ della lettura. Si passano in rassegna i dubbi amletici («lettori si nasce o si diventa?»), gli stereotipi («Ai miei tempi si leggeva di più»), i paradossi («Si può essere ricchi e ignoranti»), i pregiudizi («Gli ebook sostituiranno i libri»), le accuse infondate («Le biblioteche danneggiano il mercato del libro»). Sono gli stessi e le stesse di cui dibattiamo (o contro cui combattiamo) anche oggi.

Naturalmente l’autore non rinuncia alle sue opinioni e posizioni. Si prenda la vexata quaestio dei lettori forti e della promozione della lettura (perché la promozione fa parte integrante del discorso sulla lettura, e anche questo non è scontato). Io, ad esempio – tanto per non nascondere le mie, di opinioni – appartengo alla schiera di quanti sostengono che l’autocoscienza, la capacità di trascinamento e di empatia dei lettori forti potrà essere decisiva per lo sviluppo dei livelli di lettura e per convincere anche i lettori medi o deboli, perfino i non lettori. Solimine propende per l’opinione opposta e cioè che non si debba perdere troppo tempo a coccolare i lettori forti, per cui prova una ovvia simpatia, e sia più importante lavorare invece sui medi, sui saltuari e sugli indecisi:

consolidare il rapporto che questi 10 milioni di nostri concittadini hanno con il mondo del libro cambierebbe le condizioni socio-culturali del paese molto di più che indurre un accanito lettore a leggere il quindicesimo o ventesimo libro in un anno.

La garbata e indiretta polemica, che coinvolge anche le biblioteche e altre agenzie culturali, viene condotta in modo profondamente dialogico e ospitale verso tutti i punti di vista, con totale onestà intellettuale, tanto che l’autore non tace mai gli eventuali elementi che possono contraddire le sue tesi. In alcune parti del libro questo porta a una sorta di andamento ‘zigzagante’ dell’argomentazione, come se Solimine prendesse in esame i pro e i contro di ogni affermazione e discutesse anche con se stesso mentre formula le sue ragioni. «Forse è vero anche il contrario», osserva ogni tanto. Quando parla della ‘corrispondenza’ tra livelli di istruzione e livelli di lettura (un elemento basico, confermato da quasi tutte le inchieste), Solimine infatti non manca di notare alcune ‘bizzarrie’ al riguardo9. Perché se è vero che tra i laureati i lettori (di almeno un libro) sono circa l’80%, molto di più del livello medio, è abbastanza inquietante che tra di essi vi sia un 20% che non legge ‘mai’ un libro. E che soltanto il 15,8% dei laureati sia un lettore ‘forte’ (> 12 libri/anno). Il dato numerico può essere quindi osservato da due punti di vista opposti, entrambi legittimi, ma che possono portare a priorità differenti. Da un lato abbiamo il dato in sé, che può dar luogo a una interpretazione deterministica (laureato=lettore), dall’altro un’increspatura, un inciampo poco visibile, che rivela però un fattore importante, su cui Solimine torna spesso nel libro: i laureati leggono molto meno di quanto ci sarebbe da aspettarsi, e questo significa che l’aumento dei livelli di lettura ‘non corrisponde affatto’ a quello dei livelli di istruzione, che sono cresciuti parecchio negli ultimi anni, anche se non tanto quanto negli altri paesi europei. Il che ridimensiona un po’ la tesi di partenza. Tutto ciò accade perché la scuola, o la biblioteca, o il sistema culturale, non hanno saputo accendere nei futuri possibili lettori la scintilla necessaria.
Qui entra in gioco il fantasma del ‘piacere della lettura’ e anche questa è una bella novità, perché in genere esso è espunto da ogni ragionamento ‘scientifico’ sulla lettura. La sociologia considera spesso la ‘lettura per piacere’ un sinonimo della ‘lettura nel tempo libero’, e per lungo tempo questa (errata) equivalenza le ha appiccicato un sospetto di collusione con la sfera dell’intrattenimento, oltre che con altre frivolezze. In realtà la netta separazione e contrapposizione tra studio e lettura, cui anche Solimine fa inizialmente riferimento10, non rende conto della ricchezza motivazionale e comportamentale delle diverse pratiche di lettura. Lo sapevano bene gli antichi, per i quali il vocabolo latino studium significava passione, amore del sapere, e la parola greca scholé indicava il libero e piacevole uso delle capacità intellettuali. Proseguendo nell’analisi Solimine restituisce a quest’aspetto della lettura tutta la sua valenza, soprattutto nell’ambito dell’educazione alla lettura, nella scuola e non solo. «Quando si legge per piacere, chi legge lo fa molto intensamente», osserva11, individuando proprio nelle caratteristiche di autonomia, di libera scelta, di gratificazione, uno dei fattori fondamentali di crescita della lettura.

La corrente oscillatoria che percorre alcuni dei passaggi decisivi del libro non è quindi un segno di incertezza o contraddizione, ma se mai di consapevole e naturale aderenza alle pieghe della materia, alle complesse tensioni che agitano la lettura, agli interessi che la condizionano e, talvolta, la deformano. È anche il risultato di una volontà di vedere le cose da diverse angolazioni, di non rassegnarsi alla spiegazione più semplice o a quella più ‘in voga’. Di evitare sia i teoremi che gli slanci mistici. È dunque un’oscillazione che fa onore all’autore, alla sua sensibilità e poliedricità intellettuale.


Note

Ultima consultazione dei siti web: 1 novembre 2021.

1 Giovanni Solimine, La lettura e il suo contesto: i dati analizzati con il grandangolo, «AIB studi», 58 (2018), n. 3, p. 427-437, DOI: 10.2426/aibstudi-11886.
2 Giovanni Solimine, L’Italia che legge. Roma, Bari: Laterza, 2010, p. 120.
3 Giovanni Solimine, Il senso dei dati sulla lettura, «Alfabeta2», 23 settembre 2018, https://www.alfabeta2.it/2018/09/23/il-senso-dei-dati-sulla-lettura.
4 Giovanni Solimine, Lo stargate della lettura, ovvero il passaggio che stiamo attraversando, «AIB studi», 60 (2020), n. 2, p. 325-344, DOI: 10.2426/aibstudi-12179.
5 Gino Roncaglia; Giovanni Solimine, La circolazione dei libri nel 2020: questioni aperte e ipotesi interpretative, «AIB studi», 61 (2021), n. 1, p. 11-30, DOI: 10.2426/aibstudi-13157.
6 Anne-Marie Chartier; Jean Hébrard, Discours sur la lecture (1880-2000). Paris: BPI-Centre Pompidou, Fayard, 2000.
7 G. Solimine, L’Italia che legge cit., p. 11.
8 Ivi, p. 8.
9 Ivi, p. 69.
10 Ivi, p. 29.
11 Ivi, p. 65.