La persistente attualità di La biblioteca: scenari, culture, pratiche di servizio di Giovanni Solimine

Paul Gabriele Weston 

Come ben sa chi lo conosce, nelle conversazioni Giovanni ama spaziare (direi anche spiazzare) e questa caratteristica, propria di chi racconta un viaggio, la si ritrova anche nel modo in cui egli espone le proprie riflessioni biblioteconomiche e culturali. È un approccio (potremmo definirlo ipertestuale) che, oltre a incarnare lo spirito della comunicazione del nostro tempo, arricchisce chi lo ascolta di una quantità di spunti, che vanno ben oltre la mera comprensione della questione della quale sta trattando.
Il libro del quale ci occupiamo – La biblioteca: scenari, culture, pratiche di servizio1 – è un esempio di questo tipo di narrazione. Già il titolo lascia intuire che si parlerà sì di biblioteche, ma che la finalità non è quella di sezionare l’istituzione per descrivere in dettaglio tutte le componenti interne, di sottoporre in altri termini la biblioteca a una sorta di autopsia anatomica (mi si passi il termine) volta ad accertare identità, funzioni, stato di conservazione ed eventuali patologie delle sue parti, bensì di collocarla al centro del sistema sociale di creazione, trasferimento, trasformazione della conoscenza. L’intento è precisamente definito nelle prime righe della premessa:

Scopo di questo volume è quello di proporre una lettura delle trasformazioni che stanno investendo il sistema di produzione e circolazione delle conoscenze e, su queste basi, riflettere sulla collocazione che in tale contesto assume la biblioteca, intesa come servizio pubblico finalizzato a garantire l’accesso alle informazioni e al sapere registrato nei documenti2.

E, in qualche modo anticipando questioni di scottante attualità, come la gestione dell’innovazione (internet e l’impatto della Digital age), aggiunge:

l’enorme quantità di sapere che viene prodotta e che sembra essere a portata di mano per ciascuno di noi rischia di divenire uno dei principali fattori di discriminazione tra gli esseri umani3.

Queste riflessioni hanno condotto uno dei relatori intervenuti nel corso della giornata organizzata in suo onore alla fine di ottobre presso la Facoltà di Lettere e filosofia della Sapienza Università di Roma e intitolata “La conoscenza rende liberi” a individuare in questa pubblicazione il punto di partenza delle considerazioni di Solimine sul ruolo di infrastruttura culturale della biblioteca e lo snodo che collega le ricerche a carattere biblioteconomico con le analisi culturali, sociali ed economiche connesse alla pratica della lettura. Il fatto stesso che egli sia stato tra i primi in Italia a riferirsi alla biblioteca pubblica come un presidio per una società che ambisca a essere civile, libera e democratica e che la biblioteca pubblica possa continuare a svolgere questo ruolo a condizione di continuare a essere un soggetto neutrale, come ha sottolineato nel proprio intervento Massimo Belotti, fa comprendere quanto le molteplici ramificazioni del pensiero soliminiano che emergono dall’insieme delle sue pubblicazioni nel corso degli anni, ma anche dalla sua partecipazione con ruoli di responsabilità in comitati, associazioni e fondazioni che perseguono finalità connesse alla valorizzazione e alla promozione del libro e della lettura, siano in realtà due modi di dare sostanza al medesimo concetto: libertà e conoscenza sono fra loro strettamente correlate, come ricorda il titolo del blog da lui gestito, appunto La conoscenza rende liberi4.
Ricordiamo un motto di ben altro e cupo tenore anch’esso, cinicamente, connesso al tema della libertà. La contrapposizione valoriale tra lavoro e conoscenza ai fini della liberazione della persona richiama il tema del discorso pronunciato da Bruno Trentin nel 2002 a Venezia in occasione del conferimento della laurea honoris causa da parte dell’Università Ca’ Foscari5. Per quanto il fenomeno dal quale scaturisce la riflessione di Trentin – «la grande trasformazione del lavoro e del mercato del lavoro, che ha preso le mosse dal salto di qualità registrato, negli anni ’70-’80 del secolo scorso, dalla rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni e dai processi di mondializzazione degli scambi, dei saperi e delle conoscenze» – sia apparentemente distante dall’ambito in cui si muove Solimine, la preoccupazione civile è, in fin dei conti, la medesima. Motivando la scelta dell’argomento della propria lectio Trentin afferma, infatti:

Il tema di questo mio intervento riguarda il rapporto fra lavoro e conoscenza. L’ho scelto perché mi sembra che in questo straordinario intreccio che può portare il lavoro a divenire sempre più conoscenza e quindi capacità di scelta e, quindi, creatività e libertà, proprio perché si tratta soltanto di una potenzialità, di un esito possibile ma non certo, delle trasformazioni in atto nelle economie e nella società contemporanea, sta la più grande sfida che si presenta al mondo all’inizio di questo secolo. La sfida che può portare a sconfiggere le vecchie e nuove disuguaglianze, e le varie forme di miseria che dipendono soprattutto dall’esclusione di miliardi di persone da una comunità condivisa.

Il capitolo iniziale del volume di Giovanni è senz’altro quello nel quale si comprendono meglio le motivazioni (alla luce di quanto è accaduto nei successivi venti anni direi le giustificate preoccupazioni), l’approccio e le prospettive della sua lunga e articolata riflessione, che conserva intatta la sua forza propulsiva. Il termine ‘riflessione’ non appare nel testo, almeno non nel senso che intendo attribuirgli, così come non appare il termine ‘manuale’. Certamente aver deliberatamente rifiutato la scelta di scrivere un manuale ha avuto un peso determinante nel garantire longevità al suo volume. Un manuale, come correttamente osserva Rossana Morriello nella sua perspicua recensione al volume6, avrebbe comportato un taglio ‘didattico’ e ‘tecnicistico’ in conseguenza del quale i contenuti sarebbero stati collegati strettamente a un tempo, a degli standard, a delle tecnologie, a dei bibliotecari circoscritti diventando inevitabilmente obsoleti in breve tempo. Morriello aggiunge:

La vera protagonista del libro, infatti, non è la biblioteconomia, ma la biblioteca, la biblioteca intesa sempre e costantemente come un servizio, e in quanto tale l’immagine che ne risulta è quella di una struttura, di un sistema, estremamente vitale e dinamico, proprio quell’‘organismo in crescita’ che Ranganathan descriveva, e la cui definizione Solimine riprende e ribadisce.

Nella propria ‘riflessione’ Solimine procede costantemente da una disamina del contesto nel quale si collocano la biblioteca stessa come istituzione sociale e civile e tutte le componenti – siano esse procedure o servizi – che danno vita al ‘sistema biblioteca’. Questo richiamo al contesto è quanto mai lungimirante, pensando da un lato a quanto la considerazione della storia e addirittura la sua conoscenza sembrano nel corso di questi anni essersi preoccupantemente affievoliti. Allo stesso tempo è necessaria a contrastare quel senso di straniamento derivante dalla ripetizione quasi automatica delle procedure, dall’abitudine al multitasking e, in tempi più recenti, anche dalla virtualizzazione degli utenti, tutti fenomeni collegati alla diffusione del digitale, che da un lato rende più difficile, a chi opera in biblioteca, conoscere e apprezzare il senso e il significato del proprio impegno e dall’altro contribuisce a ridurre sensibilmente quella fantasia creativa che consente di sentirsi parte integrante, intelligente e propositiva della comunità di appartenenza.
Se nel primo capitolo, significativamente intitolato L’universo digitale e l’accesso alla conoscenza7, Solimine affronta ad ampio raggio e lucidamente problematiche che oggi vengono considerate acquisite, anche, se in taluni casi, ancora lontane dall’essere risolte, è nel settimo e penultimo capitolo che, a mio avviso, il suo testo affronta il tema di più scottante attualità. La biblioteca ‘plurale’, incontro fra culture è il titolo della prima sezione del capitolo. Che la biblioteca sia un luogo di incontro tra le persone – e con le idee registrate nei libri non è certamente una novità – così come che essa sia essenzialmente un crocevia e una fucina di culture diverse per il fatto di ospitare testimonianze di ambiti, periodi storici, lingue, provenienze differenti e per aver favorito, a motivo di questa sua connotazione, contaminazioni e percorsi interdisciplinari. È in questo terreno che affonda le proprie radici la biblioteca come conversazione.
Ma lasciamo che siano le parole di Solimine ad aggiungere un ulteriore tassello:

Tra i compiti della biblioteca c’è quello di rappresentare la molteplicità del reale e di fornire chiavi di lettura di questa realtà, strumenti per interpretarla, e non rassicuranti certezze dietro le quali nascondere i problemi. Talvolta, entrando in biblioteca, si può avere la sensazione che ‘tutto sia già previsto’: gli utenti hanno il loro posto che nessuno osa occupare, i sistemi di ordinamento delle collezioni hanno la presunzione di incasellare tutto lo scibile umano, il bibliotecario ‘conosce i suoi polli’. […] Ma le biblioteche non si possono limitare a mettere ordine, classificare, sistematizzare, condurre a sintesi. La biblioteca […] deve anche ‘mettere in discussione’ ogni cosa, stimolare la curiosità, favorire l’incontro imprevedibile8.

La biblioteca, quindi, è ‘il luogo del dubbio e dell’incertezza’. Ecco il forte richiamo al valore identitario della biblioteca come protagonista di una società civile, democratica, plurale, l’antidoto alle logiche della top ten, della bolla in cui viviamo quando usiamo i motori di ricerca e i social per connetterci al mondo, di ciò che alcuni definiscono ‘il pensiero unico universale’.

Anche soltanto per questa riflessione e le pagine che ne seguono, il libro conserva intatta, a quasi vent’anni dalla pubblicazione, la sua forza vitale. E non poteva che provenire dal magistero di un docente che ha pervicacemente aborrito l’omologazione dei propri studenti, augurandosi invece che aspirassero a mettere in crisi il suo pensiero e a volare alto con le proprie ali.
Come interpretare altrimenti quelle parole con le quali Giovanni conclude la presentazione al volume di Anna Galluzzi Biblioteche e cooperazione: modelli, strumenti, esperienze in Italia nel novembre 2003?

Anna Galluzzi ed io abbiamo messo piede per la prima volta nella Facoltà viterbese di Conservazione dei beni culturali lo stesso giorno, nel novembre del 1992, lei giovanissima matricola del corso di laurea ad indirizzo biblioteconomico ed io alla mia prima esperienza di docente in quel corso: ho avuto modo di seguire Galluzzi nei suoi primi studi, nei primi passi in campo professionale, nelle sue prime prove di studiosa e quando ha iniziato ad affacciarsi all’interno del dibattito professionale. Leggendo in anteprima questo volume, che si può considerare il primo autonomo e maturo prodotto della sua produzione scientifica, ho avuto la percezione del tempo trascorso, ma ho anche misurato la distanza che Galluzzi nell’arco di poco più di un decennio è riuscita a metter tra la scolara di allora e la bibliotecaria / biblioteconoma che è divenuta nel frattempo: debbo dire che per un insegnante questa è la soddisfazione più bella che si possa ricevere dagli allievi. Buon lavoro, Anna! il corsivo è mio]9.


Note

Ultima consultazione dei siti web: 10 dicembre 2021.

1 Giovanni Solimine, La biblioteca: scenari, culture, pratiche di servizio. Roma, Bari: Laterza, 2004.
2 Ivi, p. [v].
3 Ibidem.
4 Cfr. http://www.giovannisolimine.it.
5 Bruno Trentin, Lavoro e conoscenza, «La CGIL nel Novecento», 8 novembre 2019, http://lacgilnelnovecento.blogspot.com/2019/11/universita-ca-foscarivenezia-13.html.
6 Rossana Morriello, Giovanni Solimine, La biblioteca: scenari, culture, pratiche di servizio, «Bibliotime», 7 (2004), n. 3, https://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-vii-3/morriell.htm.
7 A proposito della preferenza accordata al termine ‘conoscenza’ rispetto a ‘informazione’, è opportuno richiamare un’altra osservazione di Morriello che ritiene «Fondamentale il punto fermo da cui si sviluppa l’intero discorso, ovvero la separazione del concetto di informazione da quello di conoscenza, ed interessante e condivisibile la prospettiva adottata che individua proprio nella biblioteca in luogo in cui l’informazione, opportunamente selezionata, mediata e filtrata, si trasforma in conoscenza oppure, per usare l’efficace espressione che Solimine mutua da Lévi-Strauss, l’informazione “cruda” viene “cotta”, in modo da poter essere consumata». Ibidem.
8 G. Solimine, La biblioteca cit., p. 191.
9 Giovanni Solimine, Prefazione. In: Anna Galluzzi, Biblioteche e cooperazione: modelli, strumenti, esperienze in Italia. Milano: Editrice bibliografica, 2004, p. 9-12: p. 12.