Che cos’è la cultura?

Alfredo Serrai


Per intendere correttamente il significato appropriato del termine ‘cultura’, e in particolare per distinguerlo da quello di ‘informazione’, col quale viene spesso interscambiato, è d’uopo esordire segnalando che quest’ultima corrispondenza può venir interpretata e raffigurata mediante la stessa singolare analogia che si verifica e si applica ogniqualvolta si vadano a stabilire relazioni, contrapposizioni e similitudini equivoche o confuse del tipo ‘mente-cervello’, oppure ‘pensiero-computer’, ovvero ‘uomo-macchina’.
Le suddette corrispondenze pseudoparallele prendono origine dalla circostanza che esistono e si confrontano due realtà, entrambe astratte e apparentemente simili o analoghe, le quali, tuttavia, vengono a prodursi per l’azione di due agenti e di due classi di fattori toto genere differenti.
Uno dei due agenti, di tipo logico-informazionale, è presente e si esplica in quelle trasmissioni e in quelle elaborazioni che consistono nei processi e nelle procedure, sia logiche che matematiche, di previsione e di calcolo, che vengono a effettuarsi, sia per mezzo di strutture cerebrali specifiche – le quali, per quanto si sa, sono proprie ed esclusive della specie umana – sia, analogamente, per mezzo di appropriati dispositivi meccanico-elettronici.
Il secondo agente opera invece in un’altra realtà, del tutto diversa, la quale, a differenza della prima, può venir caratterizzata in base a una natura che potremmo qualificare non più come matematica, bensì come ‘esoterica’ o ‘fantomatica’; e tale natura non solo non risulta né imitabile né riproducibile artificialmente, come accade per le suddette operazioni di tipo quantitativo, ma che, inoltre, a differenza della prima, ha origine in quelle particolari aree dell’encefalo umano che sono adibite alla percezione e alla genesi di ben altri e diversi elementi, che generalmente sono connotati o stimoli di tipo quantitativo.
Queste altre manifestazioni sono finalizzate alla percezione soggettiva di alcune particolari condizioni o stimolazioni ambientali, che vanno dalla gamma dei suoni a quella dei colori, dalle situazioni di rischio e di pericolo alle percezioni visive discriminative delle forme corporali, al loro significato biologico e alla loro funzione riproduttiva, e che comprendono i segnali, sia visivi che sonori, che risultano connessi con la sopravvivenza e con il pericolo, vuoi in funzione di rassicurazione e di compiacimento che, altrimenti, di ostilità e di minaccia.
In questo secondo teatro di realtà, che è di natura esclusivamente biologica, risultano attive quelle facoltà e quei centri cerebrali che non si limitano a risultare implicati nella genesi degli istinti amorosi e dei legami affettivi, ma anche, ad esempio, nella generazione dei sogni – ossia di quell’insieme di rappresentazioni che solo gli animali superiori sono in grado di produrre e che, al contrario, i computer non saranno mai in grado di effettuare. Ancora, per il tramite del linguaggio umano, sia parlato che scritto, quelle facoltà si esprimono nella capacità, ad esempio, di descrivere, di narrare e di riprodurre gli scenari e gli eventi della vita reale.
Nelle situazioni generate da questo secondo caso accade infatti che, mediante il tramite della scrittura e delle arti figurative e poietiche, possano quindi nascere, e venir trasmesse, rappresentazioni sia di eventi esterni che di realtà che vengono a generarsi all’interno del soggetto, in quanto ne scaturiscono e vengono prodotte negli ambiti esclusivi della sua propria specifica interiorità.
L’uomo, come l’ha definito Martin Heidegger, è un ‘essere per la morte’; in quanto tale deve perciò non solo garantirsi la sopravvivenza ma affrontare i pericoli e le minacce che possono abbreviare la durata di un’esistenza che è comunque inevitabilmente condannata, prima o poi, alla totale sparizione.
L’apparato umano finalizzato alla sopravvivenza, quello che serve cioè non solo a impedire una morte anzi tempo ma anche a favorire un’esistenza adeguata e sopportabile, risulta perciò equipaggiato da una serie di dispositivi di adattamento e di controllo che risultano governati sia direttamente dai centri nervosi che dall’insieme delle connesse e derivate strategie di sopravvivenza, vuoi fisica che biologica, sociale come antropica.
È tuttavia innegabile il fatto che, oltre ai meccanismi di mera sopravvivenza e di riproducibilità – dagli appetiti ai meccanismi del piacere, della assistenza alla prole e a quelli di evasione e di fuga, tutti gestiti dai sensi e dai corrispondenti centri nervosi, oggi tutti perfettamente simulabili tramite specifici dispositivi informatici – risultino presenti, agenti e capaci di influire, una sorta di ‘fantasmi’ cerebrali, capaci di generare e di proiettare, vuoi sugli schermi della coscienza consapevole come di quella ctonica e subconscia, non solo lo scenario biologico e ambientale esterno ma anche quelle pulsioni interiori che vanno a esprimersi e a manifestarsi sia all’interno del singolo organismo individuo che nei suoi rapporti con i propri simili e con l’ambiente in cui vive.
Mentre i fenomeni e le presenze che risultano nell’ambito di una coscienza consapevole, ossia algoritmica, possono venir formulati mediante e sulla base di strutture logiche che si caratterizzano per il possesso di un'impalcatura logico-matematica di natura informazionale – e che sono quindi suscettibili di venir interpretate e realizzate esattamente alla stregua degli stimoli che possono venir manipolati per mezzo di circuiti elettronici – i processi che si manifestano nei sotterranei della coscienza danno origine, invece, a reazioni e a strutture che posseggono natura e caratteri che non sono più dotati di una architettura meramente informazionale, ma che, nella suddetta realtà specificatamente ed esclusivamente umana, hanno acquisito l’impronta di un singolare stigma, che, a questo punto, potremmo qualificare come dotato di un’impronta squisitamente ‘culturale’.
La cultura viene a consistere, allora, appunto, in un insieme di espressioni o di manifestazioni – linguistiche, verbali, grafiche, pittoriche, plastiche, musicali, di immagini o di suoni – che non si propongono di trasmettere informazioni e comunicazioni fattuali riguardanti il mondo esterno o i rapporti, immediati o correnti, con gli altri soggetti, ma piuttosto espressioni e reazioni che appartengono alla sfera delle percezioni generate da una sensibilità intima e profonda, sia che si tratti di quelle immaginazioni che appaiono disincarnate e generate vuoi dai sogni metafisici alle combinazioni e ai modelli irreali, sia di quelle sensazioni impalpabili che non derivano da alcuno dei sensi di origine animale e che si generano abitualmente sublimandosi in costruzioni di natura metafisica e religiosa, in slanci mistici, in tormenti poetici, oppure nella esaltazione creativa di pure morfologie, sia imitative che astratte, in stimoli e impulsi di natura meramente estetica, come pure nei travagli di una spiritualità e di una esaltazione mentale che aspirano e ricreano realtà immaginarie, o negli struggimenti per realtà e bellezze misteriose o per armonie indefinite; e tuttavia comunque vincolate, insieme all’organismo che le ha generate, al risultato finale di un irrevocabile destino di decadenza e di dissoluzione.
In altre parole ci stiamo riferendo, cioè, a tutte quelle espressioni o slanci, o tormenti, sia intellettuali che psichici, sentimentali, erotici o fantastici e onirici, che trovano poi generalmente espressione linguistica e visiva, e quindi realtà tangibile nelle manifestazioni dell’arte e della cultura.
Dal momento che è facile constatare come una espansione smodata e irragionevole – perché senza scopo apparente e funzionale – delle facoltà e delle potenzialità cerebrali abbia generato il fenomeno e i processi della cultura, ecco che proprio sulla base della natura, delle caratteristiche e degli esiti di tale creazione si ha dunque modo di mettere in luce non solo le differenze tra cultura e informazione ma anche di delucidare il nesso fra mente, psiche e cervello; per giungere, conseguentemente, all’attingimento della capacità di valutare e di apprezzare la loro rispettiva essenziale difformità, non sempre esattamente riconosciuta e valutata, nei confronti di quell’altra realtà astratta che sappiamo risultare incarnata nel funzionamento dei computer, delle macchine elettroniche e degli automi.
I cento miliardi di neuroni del nostro cervello hanno generato un’entità che, svincolandosi dagli orizzonti e dai vincoli non solo della fisica ma della biologia, non solo è giunta a scoprire razionalmente la inevitabilità della morte ma ha anche aperto gli orizzonti della filosofia, oltre che aver generato i turbamenti e le architetture della metafisica, della mistica e delle religioni; e che, ancora, è stata inoltre in grado di generare la bellezza esaltante dei contenuti e delle espressioni della poesia, della musica e delle arti figurative.
Come sosteneva correttamente e sagacemente il moralista Joseph Joubert (1754-1824) «l’illusione è una parte integrante della realtà»1; mentre, ancora, va citato il poeta Paul Claudel (1868-1955) con il giudizio che «l’ordre est le plaisir de la raison; mais le desordre est le délice de l’imagination»2.
Le testimonianze della nascita e dello sviluppo di tali conquiste dello spirito, o meglio delle correlate attività cerebrali, si trovano nei depositi mentali della conoscenza storica e in quegli archivi della cultura che si conservano nelle biblioteche, non, come oggi superficialmente si auspica, centrali di informazione, ma luoghi in cui, secondo il detto dell’antica sapienza ‘i morti aprono gli occhi ai vivi’.
Nelle biblioteche, autentici archivi della creazione intellettuale e spirituale degli uomini, si conservano, infatti, non solo le testimonianze della storia e dei travagli dell’umanità ma i passi tangibili della sua ascesa, oltre che verso l’informazione oggettivamente tecnologica, quella dei bit che alimentano i circuiti degli inanimati computer, nei confronti di quell’altra meta cerebrale, quel fantasma della cultura vivente, che si genera e si anima nei plessi neuronali di un organismo attivo e consapevole, unitamente alle ansie e ai tormenti che palpitano nell’oscuro, e finora ingiustificato, destino dell’uomo.
Rammentando che la cultura è l’accensione dei colori della mente, ripetiamoci, fra l’altro, che il fenomeno di una gamma dei colori non esiste affatto nella scienza della fisica se non come una scala di sequenze elettromagnetiche. Il colore, infatti, si genera esclusivamente nei cervelli di alcuni, pochi, fra gli animali superiori e fra gli insetti.
Non solo il vocabolo ‘cultura’ è uno dei più utilizzati negli scambi e nei discorsi umani, al punto da venir impiegato per qualificare persino il carattere e il comportamento di un uomo in quanto essere civile e educato, ma addirittura uno dei primi articoli del testo della Costituzione italiana, nel primo comma dell’art. 9, precisa che «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica».
Purtroppo in nessun altro punto né la Costituzione né la legislazione della Repubblica italiana – esiste persino un ‘Ministero della cultura’ – definisce e specifica che cosa sia esattamente la ‘cultura’, come la stessa si qualifichi, si origini e soprattutto si differenzi da ciò che non è ‘cultura’.
Una delle conseguenze più perniciose di tale indeterminatezza è la molteplice, confusa e indiscriminata applicazione del termine, il cui impiego va da una specificazione meramente antropologica a una qualificazione piattamente e indiscriminatamente scolastica e burocratica. In sostanza poiché l’applicazione della qualifica di ‘culturale’ vuol dire tutto e nulla, ecco che una sua caratterizzazione e demarcazione semantica risultano quanto di più confuso, e sostanzialmente pernicioso, si possa generare.
Una delle vittime più illustri di tale confusione sono le biblioteche storiche, comprese quelle degli istituti più significativi gestiti dallo Stato, dalle università, e dalle amministrazioni locali.
Le biblioteche non solo conservano le memorie storiche e culturali del passato e provvedono a illustrarle, ma raccolgono anche gli studi e le pubblicazioni che ne documentano la conoscenza. A tal fine gli istituti bibliotecari, dovendo rappresentare un ponte fra la cultura del passato e quella del presente, non possono venir gestite che da studiosi e da specialisti altamente qualificati, sia nelle lingue antiche coinvolte, che nella storiografia generale e nella storia della bibliografia.
Fino a mezzo secolo fa, lo Stato italiano bandiva dei concorsi specifici per la carriera scientifica dei bibliotecari, ma furono soppressi perché risultavano troppo difficili e perciò venivano sostanzialmente disertati. Fino a qualche decennio fa esisteva presso l’Università di Roma una scuola post-laurea per direttori di biblioteca e di archivio, ma anche quella venne eliminata. Oggi le biblioteche dello Stato – per non parlare delle altre – si trovano in una condizione intrinsecamente aculturale, sia per quanto attiene alla loro direzione che alla loro gestione.
Un ultimo e fatale colpo è loro venuto dalla cieca e piattamente tecnologica rivoluzione informatica che ha semplificato e appiattito tutte le operazioni di intermediazione e di indicizzazione. La ricerca scientifica applicata quasi esclusivamente al campo fisico, chimico, medico e naturale ha finito inoltre per assorbire quelle risorse che prima, almeno in parte, erano destinate alla conservazione e all’incremento dei depositi bibliotecari.
Che ne è, e ne sarà, delle biblioteche storiche, di quei documenti del passato di cui continueremo ad aver bisogno per approfondire e conoscere meglio la storia degli uomini, e quindi anche la loro sorte futura?
Continueremo a riempirci la bocca della parola ‘cultura’, in modo oscuro ma taumaturgico, senza capirne il senso e la reale portata, e forse probabilmente decidendoci di rimpiazzarla con il più attuale e meno impegnativo vocabolo di ‘scienza’?
La cultura è stata rappresentata per secoli dal patrimonio documentario in cui si racchiudeva, e si specchiava, la realtà sia concreta che immaginaria dell’uomo. Oggi, dilatata dalla scienza, la cultura ha smarrito i suoi connotati tradizionali, al punto che sono entrate in crisi di identità sia la sua configurazione che il suo futuro.
Il breve profilo che ne abbiamo voluto tracciare non costituisce che l’anatomia sommaria di una sua eventuale ridefinizione, necessaria per rifondarne sia la struttura che i suoi futuri impegni. La precipitosa ascesa delle capacità intellettive umane e dei suoi orizzonti esplicativi dovrà urgentemente ridefinire anche gli spazi, il senso e il futuro della cultura, non più solamente un simbolo indefinito e incomprensibile di un’eredità oramai insensata e incomprensibile.


Note

1Citazione tratta da Joseph Joubert, Les carnets, textes recueillis sur les manuscrits autographes par André Beaunier, préface de André Beaunier et André Bellessort. Paris: Gallimard, 1938, 2 vol.
2Citazione tratta da Paul Claudel, Le soulier de satin: version integrale. Paris: Gallimard, 1929.