Un’idea di biblioteca, un’idea di professione

Rosa Maiello

Un punto di riferimento nel mondo della cultura

Non è un caso se Giovanni Solimine, da anni, rappresenta un punto di riferimento nel mondo della cultura ben oltre gli ambiti della biblioteconomia e delle biblioteche. Questa reputazione è effetto della notevole ampiezza del suo campo d’indagine che, a partire dalle biblioteche (esplorate in tutti gli aspetti della loro organizzazione e del loro divenire), si è progressivamente esteso alla lettura, ai consumi culturali, alle politiche della conoscenza, ma soprattutto è effetto della sistematicità e profonda coerenza di questo percorso con cui egli riesce, confrontando fatti e fenomeni apparentemente lontani tra loro, a ricostruire quadri d’insieme via via sempre più articolati, ogni volta aggiungendo nuovi tasselli, e così a indicare prospettive, a fare luce sull’aggrovigliato contesto nel quale ci muoviamo, cogliendo gli elementi più vitali e promettenti delle trasformazioni in corso e suggerendo strategie d’azione.
Mi sembra che un elemento unificante, un filo conduttore di tutto il suo lavoro si possa identificare nella verifica continua di una tesi di fondo, che gli è cara ma che non vuole porre come preconcetta, secondo cui le infrastrutture culturali pubbliche, come le biblioteche, sono necessarie per ampliare le basi sociali della lettura quale condizione di civiltà e benessere; e mi sembra che le evidenze raccolte a sostegno di questa tesi (anche a contrariis, come quando egli riesce a dimostrare «il costo dell’ignoranza in Italia»1) siano ogni volta più persuasive.
Altrettanto forte appare la vocazione alla didattica, l’attitudine a (e la volontà di) condividere i risultati della ricerca perché entrino nel dibattito pubblico e diventino consapevolezza diffusa, un’attitudine riconoscibile persino dalle sedi e formule editoriali scelte e dal linguaggio asciutto, piano, facilmente comprensibile anche dai non addetti ai lavori, usato in tutti i suoi scritti e interventi pubblici. Se le nostre discussioni e riflessioni riescono qualche volta a superare i confini dell’autoreferenzialità e a essere compresi all’esterno del nostro ambiente, molto dobbiamo a lui.
Neppure è casuale l’intensità e la costanza dell’impegno di Solimine con l’AIB, di cui dal 2018 è socio d’onore e dove ha ricoperto molteplici cariche e incarichi, da presidente della sezione Campania a presidente nazionale e poi presidente del Collegio dei probiviri, passando per il coordinamento della Commissione nazionale università e ricerca e del Gruppo di lavoro gestione e valutazione, oltre alla direzione scientifica del Bollettino AIB e del Rapporto sulle biblioteche italiane. Certo, questo riflette un legame affettivo ultratrentennale alla sua comunità professionale d’origine, cresciuta attorno alle battaglie per l’affermazione della necessità e della professionalità del servizio bibliotecario pubblico che lo hanno visto e lo vedono spesso protagonista, ma rispecchia anche la convinzione dell’utilità dell’associazione professionale per affermare il ruolo delle biblioteche e dei bibliotecari nella società, e anche in questo caso denota quanto il nostro – fondatore di più d’una associazione in ambito scientifico e della promozione culturale – sia poco incline all’autoreferenzialità accademica.

Associazione professionale e università: perché e per cosa lavorare insieme

Il rapporto tra scuole universitarie, o anche tra la società scientifica e l’associazione professionale del settore non può che essere un rapporto di mutuo scambio e stimolo pur nel rispetto dei diversi ruoli e della rispettiva autonomia, che sta a entrambe le parti alimentare e rendere assiduo e produttivo, tanto per l’avanzamento degli studi, quanto per lo sviluppo di un servizio bibliotecario qualificato e per la crescita dei livelli occupazionali nel settore.
In Italia le opportunità di accedere a corsi universitari o post-universitari nelle nostre discipline sono state scarse fino all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso e si sono moltiplicate a partire da quel decennio, di pari passo con lo sviluppo dell’automazione e con la crescita di una cultura dei servizi al cittadino che, per cogliere le nuove opportunità di integrazione e miglioramento qualitativo, imponeva anche maggiore professionalità degli operatori, inclusi quelli delle biblioteche.
Da alcuni anni a questa parte, tuttavia, assistiamo a una nuova, allarmante, inversione di tendenza: di pari passo con l’andamento del mercato del lavoro (sempre più asfittico), ma anche con l’avanzare di una visione del mondo tendente a investire sul mercato dell’informazione piuttosto che sui servizi pubblici per la conoscenza, i corsi universitari per bibliotecari, in particolare quelli di secondo o terzo livello, sono presenti solo in alcune sedi localizzate prevalentemente al nord e al centro della penisola, esiste una sola scuola di specializzazione in tutto lo stivale e alcuni corsi sono stati chiusi per carenza di iscritti. Basta guardare i dati di Almalaurea sull’occupazione a tre anni dal conseguimento del titolo di studio per capire come, dal punto di vista delle prospettive di lavoro, fare il bibliotecario oggi cominci a somigliare allo scrivere versi: un’attività bella, edificante e nobile, ma che, oltre a richiedere una forte dose di fatica unita a talento e ispirazione, non dà pane a sufficienza. Inoltre, se i corsi di biblioteconomia e scienze del libro e del documento tendono a ridursi, potrebbero ridursi anche i punti organico per reclutare nuovi ricercatori e professori in queste discipline, e con essi si ridurrebbe la possibilità di alimentare la ricerca scientifica nel settore con le necessarie risorse umane e finanziarie. Come recuperare terreno e scongiurare questi rischi?
Dal canto suo, l’AIB si è sempre caratterizzata per offrire aggiornamento continuo di qualità e per elaborare modelli affidabili di attestazione delle competenze, ma soprattutto è l’unico soggetto in Italia a promuovere l’incontro tra colleghi di diversa estrazione, condizione lavorativa e afferenza istituzionale e, attraverso le sue articolazioni scientifiche e territoriali, costituisce insieme un laboratorio e un osservatorio indipendente dove nascono idee, ricerche, collaborazioni, opportunità di apprendimento e discussione che aiutano a migliorare i servizi alle comunità di riferimento. Tuttavia, l’AIB può intervenire appunto sui fabbisogni di aggiornamento continuo di associati già provvisti di formazione di base in ambito biblioteconomico, ma l’offerta formativa di base ai giovani aspiranti bibliotecari, per avere basi solide, deve essere assicurata dall’università, da scuole universitarie di biblioteconomia sempre più forti e numerose. A maggior ragione dopo le riforme dell’ultimo decennio che hanno portato al riconoscimento normativo delle professioni dei beni culturali, inclusa quella di bibliotecario (mi riferisco in particolare alla l. 14 gennaio 2013, n. 4, alla l. 22 luglio 2014, n. 110 e al d.min. Mibac 20 maggio 2019, n. 244).
Si può dire dunque che, tra comunità accademica e comunità professionale, sussistono sicuramente obiettivi comuni da coltivare e su cui lavorare. Del resto, il confronto, seppure in modo informale e non sistematico, non è mai mancato, anzi è cresciuto dopo la nascita della Società italiana di scienze bibliografiche e biblioteconomiche (SISBB), grazie alla doppia appartenenza alla SISBB e all’AIB di bibliotecari impegnati in attività di ricerca e di docenti, come Giovanni Solimine, attenti alla vita della professione e delle biblioteche.
Si potrebbe o dovrebbe compiere qualche passo ulteriore? Forse sì. Riprendendo la lezione di Solimine, potremmo lavorare più assiduamente insieme sui due piani che costituiscono un terreno comune d’intervento, seppure da diverse angolazioni: promuovere una visione di biblioteca e di sistema bibliotecario adeguato alle sfide dell’epoca presente; difendere la professionalità e la specificità professionale degli operatori. In entrambi i casi, si tratta di farsi capire dal mondo esterno, anche rivisitando i nostri linguaggi tradizionali, e di guardare al futuro con ritrovato ottimismo, pensando che – per quanto lunga – la crisi che stiamo attraversando finirà e sta anche a noi costruire una prospettiva migliore.
Ulteriori possibili ambiti di lavoro comune riguardano progettualità concrete su attività di formazione e stage o di ricerca ed elaborazione dati (in parte già sperimentati con successo con alcune università).

Un’idea di biblioteca (e di futuro sostenibile)

Le biblioteche in Italia non sono mai state concepite come un servizio pubblico essenziale su cui profondere investimenti pubblici significativi, tant’è che molte scuole ne sono prive, così come ne sono prive intere aree urbane. Anche per questo, non avendone mai conosciute d’altro tipo, gran parte della popolazione pensa che le biblioteche siano (solo) quelle monumentali piene di libri antichi, visitabili per turismo ma di fatto utili a cerchie ristrette di studiosi: insomma, che abbiano poco a che fare con la vita quotidiana della maggioranza delle persone. Di quelle aperte, solo una parte è organizzata professionalmente e può fare conto su personale bibliotecario qualificato. Di queste, sono pochissime quelle provviste di adeguate dotazioni, di personale e di risorse finanziarie, strumentali, nonché di sedi confortevoli e accoglienti.
Ma la buona notizia è che, dove esistono e riescono a offrire collezioni e servizi di qualità, spesso le biblioteche diventano centri di attrazione per le comunità di riferimento, fanno complessivamente milioni di accessi e di prestiti e avviano programmi di formazione e promozione culturale anche molto innovativi, in grado di ‘fare la differenza’ in termini di benessere e qualità della vita. Nonostante tutte le loro mancanze, l’indagine dell’Istituto nazionale di statistica (Istat) sulle biblioteche italiane su dati 20192 ha infatti mostrato che proprio le biblioteche sono tra i servizi culturali che generano il maggiore impatto in termini di fruizione su scala nazionale. E proprio durante il lockdown si è visto con chiarezza che non esistono servizi pubblici o privati comparabili alle biblioteche – come luoghi, come servizi e come ambienti digitali – idonei a sostituirle: la loro presenza migliora la qualità della didattica e dell’apprendimento, consente di superare il divario culturale e quello digitale, contrasta la povertà educativa, aiuta a superare isolamento e condizioni di svantaggio sociale, cognitivo, relazionale, rende possibile la ricerca e lo studio personale, accresce le opportunità di partecipazione attiva alle scelte che ci riguardano, salva l’eredità culturale dall’oblio e ne favorisce il riuso creativo, aiuta ad abitare il pianeta, promuove cultura della sostenibilità.
Abbiamo quindi buoni argomenti per affermare che le biblioteche sono istituzioni necessarie quanto lo sono le scuole, gli ospedali e i sistemi di trasporto pubblico e che vanno sostenute e sviluppate. E come il sistema scolastico, quello sanitario e quello dei trasporti, anche le biblioteche non possono essere concepite come monadi singole, devono inserirsi in una visione d’insieme che faccia leva sulla cooperazione tra istituti e consenta di identificarne con maggiore chiarezza i compiti.
Si tratta di impegnarsi, tutti, secondo le rispettive possibilità, senza aspettare che ‘la politica’ faccia proprie le nostre ragioni solo perché sono buone e i nostri valori solo per la loro affinità con quelli costituzionali o con quelli dell’Agenda ONU per il 2030. Per convincere, dobbiamo provare a vederci come ci vedono gli altri e a praticare meglio di come abbiamo fatto finora i valori che predichiamo.


Note

1 Cfr. Giovanni Solimine, Senza sapere: il costo dell’ignoranza in Italia. Roma, Bari: Laterza, 2014.
2 Istituto nazionale di statistica, Le biblioteche in Italia: anno 2019. Roma: Istat, 2021, https://www.istat.it/it/archivio/256963.