Federica Olivotto
Si affronta la lettura del denso tomo miscellaneo1 dalla copertina rossa con un po’ di soggezione, dettata senz’altro dal considerevole numero di contributi raccolti – sono quarantaquattro i saggi in totale – e dall’autorevolezza dei nomi che figurano nell’indice, ma anche e soprattutto per i sentimenti di affetto e partecipazione di cui la pubblicazione è, fin dalle sue prime pagine, pervasa. I cinquantaquattro autori coinvolti – principalmente, ma non esclusivamente, colleghi bibliotecari – che per ragioni professionali o personali, ma più spesso entrambe le cose, hanno condiviso con Maria Abenante una parte del suo percorso lavorativo e di vita, hanno costellato i loro saggi di accenni, riferimenti, dediche e ideali conversazioni con la bibliotecaria a cui il volume è dedicato, riuscendo in questo modo a trasmettere quel senso di partecipazione, anche emotiva, che ne ha accompagnato la pubblicazione a cura di Vittorio Ponzani e per i tipi dell’Associazione italiana biblioteche, associazione professionale della quale Maria Abenante è stata componente attiva sia nell’ambito della sezione pugliese (come presidente regionale dal 2017), sia a livello nazionale (nel Comitato esecutivo nazionale, prima con la delega a Lavoro e professione e poi nel ruolo di vicepresidente, dal 2014 al 2017).
Ciascun intervento contribuisce in un suo modo peculiare a precisare i tratti distintivi che hanno caratterizzato la sua figura di bibliotecaria competente, dotata di una spiccata attitudine comunicativa e di curiosità intellettuale, di spirito critico, di un notevole spessore etico e di fine sensibilità, quest’ultima una qualità che difficilmente si tende ad annoverare tra quelle necessarie per svolgere efficacemente una professione caratterizzata, tra le altre cose, da rigore e precisione. Questi tratti caratteriali si trovano esplicitamente evocati nei Ricordi2 – così è intitolata la prima parte del volume – di chi l’ha conosciuta (uno tra tutti, Maria nel cuore e nell’anima dell’amica Cecilia Mangini, prima documentarista donna in Italia) ma sono anche continuamente richiamati all’interno dei saggi, negli argomenti trattati, nei soggetti scelti. È in questo modo che quest’opera collettiva è riuscita nell’intento di celebrare il ricordo di Maria Abenante per mezzo di un ‘oggetto duraturo’ quale per sua stessa natura un libro è.
Proprio per concedere spazio a una spontanea iniziativa personale legata al ricordo, agli autori è stata lasciata piena libertà di scrivere ciascuno sulla base delle proprie competenze e inclinazioni. Nonostante ciò, e sebbene i saggi approfondiscano argomenti diversi e i contenuti siano presentati con un’ampia varietà di approcci e un diverso livello di approfondimento, ruotano però tutti coerentemente intorno a sei motivi ben identificabili, che fanno riferimento a temi cari, interessi personali e ambiti di attività propri della bibliotecaria a cui sono dedicati, e si trovano raggruppati in altrettante sezioni del volume.
Procedendo per ordine, nella sezione Biblioteche viste dal Sud3 sono riuniti ad esempio tre contributi che tratteggiano la situazione della realtà bibliotecaria nel Meridione del nostro Paese, lì dove Maria Abenante aveva studiato, viveva e lavorava, presso Teca del Mediterraneo, la Biblioteca multimediale del Consiglio regionale della Puglia a Bari. A questa biblioteca specializzata in ambito economico-giuridico, afferente alla pubblica amministrazione ma aperta «alla pubblica lettura, senza restrizioni o eccezioni di sorta, semplicemente aderendo ai principi del Manifesto Unesco sulle biblioteche pubbliche» (Waldemaro Morgese, Teca del Mediterraneo: la fase aurorale, p. 107) è dedicata tutta la successiva sezione, intitolata appunto Teca del Mediterraneo4. Al suo sviluppo Maria Abenante ha contribuito, anche attraverso l’organizzazione dell’annuale Workshop tenuto da Teca, ovvero il più importante convegno del Mezzogiorno su temi bibliotecari, di cui ha anche curato le pubblicazioni degli atti, e la gestione di diverse attività culturali e produzioni editoriali a quella biblioteca legate. Teca è anche la biblioteca presso la quale è oggi conservato il “Fondo Abenante”, costituito da una parte della sua personale raccolta di libri.
È però nelle tre parti centrali del libro – intitolate rispettivamente Biblioteche pubbliche, ovvero Dell’inclusione5; Professione ed etica bibliotecaria6; Diritti e servizi7 – che si delinea più chiaramente quel complesso articolato di valori che la figura di questa sensibile bibliotecaria – evidentemente – ha saputo incarnare: inclusione, etica professionale e diritti declinati nell’ambito dei servizi offerti dalla biblioteca ai suoi utenti.
A conclusione del volume, un’ultima parte racconta in sei Percorsi bibliografico-bibliotecari8 alcuni casi bibliografici e vicende professionali di personalità che, sotto differenti aspetti e in diversi contesti, oltre che in varie parti del mondo, hanno offerto contributi determinanti alle biblioteche e all’evoluzione degli studi biblioteconomici.
Il curatore Vittorio Ponzani ha saputo raggruppare in sezioni dai titoli esemplificativi, articolare e concertare in un complesso coerente tutti questi contributi dalle differenze formali e di contenuto, con uno sguardo di insieme che ha permesso di restituirli in un’opera collettiva che è – così come lui stesso una volta, molto genuinamente, l’ha definita – ‘un libro pieno di pregi’, nel senso di avere molte, diverse e buone qualità.
Per chi, come me, non ha avuto il privilegio di conoscere Maria Abenante, leggendo i ‘ricordi’ condivisi dai colleghi, nel considerare i temi scelti dagli autori, nel soffermarsi sulle riflessioni proposte e le trattazioni affrontate, sembra di poter delineare con una certa concretezza i caratteri distintivi di una bibliotecaria che – evidentemente, e coerentemente con il libro – era dotata di tanti pregi, possedeva molte, diverse e buone qualità.
Evidentemente Maria è ‘orgogliosa’ di essere una bibliotecaria, come si evince immediatamente dal titolo del libro. Si intende, naturalmente, nell’accezione positiva del termine, nell’attribuire un peso ai valori insiti nel ruolo di cui è investito (o di cui si auto investe) chi sceglie di essere un bibliotecario; nel considerare l’onere pubblico e sociale che caratterizza questa professione, l’impegno a offrire alla comunità pari opportunità informative, di formazione e di partecipazione. Si traduce nella pratica in una sollecitudine e una dedizione, come ben argomentato da Franco Neri nel suo ricordo Altri echi abitano il giardino (T.S. Eliot): lo sguardo di Maria, quando si sofferma sul concetto di ‘cura’, o ‘cura paziente’, nel suo senso più nobile: di «assunzione di responsabilità, che deriva da un coinvolgimento intimo, profondo nei confronti di qualcosa e qualcuno il cui destino ‘ci sta a cuore’» (p. 48).
È una responsabilità che coinvolge l’etica professionale, a cui è dedicata l’intera sesta partizione del volume, intitolata proprio Professione ed etica bibliotecaria. Vi si affronta il tema complesso dello scarso riconoscimento di cui essa gode nell’ambito culturale italiano: certamente dal punto di vista normativo ed economico, ma anche da quello sociale, ovvero relativamente alla percezione da parte dell’opinione pubblica, degli utenti e degli stessi bibliotecari, così come da parte di quanti nella realtà attuale a vario titolo cooperano nella gestione delle biblioteche (su questo secondo aspetto si soffermano in particolare Chiara Faggiolani e Anna Galluzzi nel contributo La parola ai bibliotecari: ritratto di una professione in bilico tra apertura e ripiegamento). La complessa e articolata, quanto spesso problematica, composizione del personale oggi operante nelle biblioteche, in misura determinante composta da collaboratori, spesso anche opportunamente formati in ormai consolidati percorsi universitari o comunque specialistici, ma la cui condizione lavorativa rimane caratterizzata da flessibilità e precarietà, da temporaneità e mancanza di sicurezze (condizione descritta da Luca Bellingeri in Chi lavora in biblioteca?: breve storia del precariato (e non solo) nelle biblioteche), rappresenta infatti un ulteriore fattore di debolezza della professione. Tutti questi elementi di ‘fragilità’ concorrono al persistere di un misconoscimento dell’autorevolezza della figura del bibliotecario, che rimanda spesso a stereotipi squalificanti o perlomeno fortemente limitanti, e finiscono inevitabilmente per comportare ricadute negative sull'adeguatezza e la qualità dei servizi, sull’immagine dell’istituzione della biblioteca e della figura del professionista dell’informazione agli occhi della comunità, nonché sulla sua stessa percezione identitaria. Se il saggio di Simonetta Buttò e Alberto Petrucciani (dal titolo Bibliotecario: una professione debole?) insiste proprio sulla ricerca di identità del bibliotecario, sul suo auto riconoscimento e sulla sua auto definizione, Alberto Salarelli (nel contributo Competenze bibliografiche e orgoglio professionale) individua però nell’esercizio delle competenze bibliografiche che sono proprie della sua funzione di mediatore, non neutrale ma piuttosto critico, un elemento fortemente caratterizzante e altamente professionalizzante.
Sempre a proposito di valori e responsabilità, evidentemente Maria è una persona e una bibliotecaria ‘inclusiva’: nell’approccio collaborativo e partecipativo verso la collettività, nell’attitudine al servizio; e poi nell’attenzione alle diversità e nell’interesse verso la multiculturalità, nel modo in cui entrambe si concretizzano nella realtà della biblioteca.
L’inclusività è certamente un elemento fondante delle biblioteche, «nate dall’esigenza di organizzare la memoria registrata [...] a beneficio di fasce sempre più ampie di popolazione fino a diventare istituti pubblici per definizione, quando si è avvertito il bisogno di luoghi della conoscenza appartenenti a tutti, rivolti a tutti e orientati a includere» (Rosa Maiello, Il sogno di una cosa, p. 12 nell’Introduzione9 del volume); ma è anche un ideale a cui devono tendere, sulla base di una precipua responsabilità sociale, per garantire un diritto il cui fine ultimo è «soddisfare l’esigenza di libertà e di liberazione nell’accesso alla conoscenza, condizione indispensabile per la crescita della consapevolezza dei singoli e per lo sviluppo della conoscenza collettiva» (Piero Cavaleri, La biblioteca è azione sociale, p. 142).
L’intera sezione del volume dal titolo Biblioteche pubbliche, ovvero Dell’inclusione, è dedicata a questo tema, ma anche al di fuori di questa il concetto – estendere a quante più persone possibili benefici e creare un senso di appartenenza, partecipazione e coinvolgimento capace di rendere nessuno ‘straniero’ – è richiamato o esplicitamente affrontato da differenti punti di vista in numerosi contributi. Se ne definiscono le modalità secondo cui si concretizza mediante i servizi di una biblioteca pubblica e, più in generale, in una risorsa educativa offerta alla comunità. Se ne approfondiscono i temi correlati della biblioteca come espressione del diritto allo sviluppo culturale, all’accrescimento delle conoscenze e all’apprendimento permanente, come istituzione in grado di contribuire a creare equità e giustizia sociale, anche quando si rivolge a specifici gruppi sociali dalle caratteristiche peculiari (nei contributi di Francesca Cadeddu Concas, Biblioteche carcerarie oggi e Luisa Marquardt, Biblioteche scolastiche innovative: necessarie per apprendere e orientarsi sempre). Se ne riconosce poi un’ulteriore declinazione nella tendenza a collocare al centro dell’interesse dell’azione della biblioteca l’utente: è questo il punto focale di molti dei contributi raccolti nella parte dedicata a Diritti e servizi, molti dei quali si soffermano su quegli aspetti dell’attività del bibliotecario che più di altri lo mettono in relazione diretta con l’utenza, come i servizi di reference e information literacy (ad esempio Laura Ballestra, nel contributo Il diritto di essere consigliati: il servizio di reference in biblioteca, ne riafferma la funzione, già indicata da Salarelli, di mediatore che si assume la responsabilità di un giudizio coscientemente motivato) o che lo inducono a interrogarsi sulle sue esigenze, reali o potenziali, e sugli strumenti informativi più efficaci e adatti a soddisfarle.
L’inclusività è un tratto così distintivo della persona di Maria Abenante, e tanto unanimemente riconosciuto dai suoi colleghi, che a partire dal 2019 l'AIB ha indetto il Premio “Maria A. Abenante”, ogni anno conferito a progetti e attività innovativi volti a valorizzarne l’aspetto sociale e culturale in ambito bibliotecario.
Maria è poi, evidentemente, anche molto ‘legata alla sua terra’, alla Calabria e, in modo estensivo, al Sud del nostro Paese.
Una realtà sociale complessa quella del Meridione, gravemente compromessa nel passato come anche oggi (e lucidamente analizzata nel saggio di Giovanni Solimine, Questione meridionale, questione culturale), la cui perdurante difficoltà a contrastarne le criticità è riconducibile «anche alla gracilità dei presidi culturali che dovrebbero contribuire a migliorare la qualità della vita, nelle grandi città, nelle periferie urbane, nelle realtà di provincia e nei piccoli centri» (p. 62) e che continua a richiedere riflessione e strategie per lo sviluppo di una rete bibliotecaria efficiente a sostegno di un reale progresso culturale. A questo Maria Abenante ha contribuito, con il suo attivo coinvolgimento nelle attività della sezione AIB Puglia, sua regione di adozione, con il rapporto lavorativo costante e duraturo presso Teca del Mediterraneo, così come con il coordinamento di specifici progetti di carattere culturale su base territoriale.
Nonostante la conoscenza diretta di questa difficile realtà culturale, Maria evidentemente è rimasta ‘lungimirante’.
I temi attualissimi dell’identità e del multiculturalismo – da lei particolarmente sentiti anche perché legati alla sua stessa identità culturale, essendo arbëreshë, ovvero originaria della minoranza albanese storicamente stabilitisi in alcune zone dell’Italia meridionale – e quelli dell’ecologia e della sostenibilità – oggi efficacemente sintetizzati dall’ONU nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile – che non possono non stimolare una riflessione sulla futura evoluzione della nostra società e coinvolgere anche l’ambito delle biblioteche, sono più volte citati e affrontati sotto diverse angolazioni. La biblioteca, in particolare quella pubblica, assume in relazione a tali questioni peculiari della realtà contemporanea un ruolo cruciale. Come argomenta Franco Mercurio in Fra identità e multiculturalismo: appunti sui “valori” della biblioteca pubblica, le si chiede di rifletterli nelle sue collezioni, nel modo di conservarle, trasmetterle e promuoverle, e nell’espletamento di tutti i suoi servizi; si esige aderenza alle caratteristiche dell’utenza che serve e che deve rappresentare, indipendentemente dalla sua composita combinazione multiculturale, dalla complessità che la origina, così da rispondere ai suoi bisogni peculiari, chiaramente espressi o anche non coscientemente esplicitati; si auspicano adeguate politiche di conservazione e promozione della cultura delle comunità di riferimento, sulla base del principio di equità di accesso all’informazione, per promuovere conoscenza reciproca e dialogo interculturale. E, infine, le si impone di rispondere alla richiesta della comunità internazionale partecipando alla realizzazione di ciascuno dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile, poiché in ciascuno di essi la biblioteca può trovare, o definire, la sua area di intervento (in particolare nel saggio di Cecilia Cognigni, La biblioteca pubblica fra strategia e “antifragilità”, per progettare il futuro).
La complessità e gli esiti spesso non soddisfacenti dell’azione delle biblioteche nel contesto italiano hanno chiarito, se mai ce ne fosse stato bisogno, che non esistono soluzioni certe o strategie estemporanee per affrontare le molte e complesse criticità che la realtà presente offre al mondo dei professionisti dell’informazione. Alcuni percorsi però sono già stati tracciati, e un punto fermo di riferimento rimane la definizione stessa di biblioteca pubblica come strumento libertà, «idealmente istituto della democrazia perché il suo agire trova collocazione nell’ambito di alcuni principi costitutivi delle democrazie liberali: la tensione verso l’uguaglianza effettiva – di condizioni, di opportunità – dei cittadini, l’esercizio pieno dei diritti civili e di alcune libertà fondamentali, fra cui quella di pensiero e di espressione, che presuppongono la piena consapevolezza individuale del loro perimetro di agibilità e il possesso delle competenze necessarie per esercitarle consapevolmente, e l’accesso all’istruzione, alla cultura e alla ricerca scientifica in tutte le sue espressioni come fattori di potenziale riduzione delle diseguaglianze» (Stefano Parise, Hic sunt leones, p. 207). La biblioteca ritrova il suo centro e baricentro richiamandosi a quei principi che sempre l’hanno animata, rifondando in nuove declinazioni i servizi che ha sempre offerto, riaffermando la sua aderenza alla realtà attuale, grazie alla sua capacità di leggere in profondità i bisogni di una cittadinanza oggi completamente immersa in una complessità informativa tanto ricca quanto caotica.
La vita professionale di Maria Abenante – delineata ad apertura del volume e accompagnata dalla bibliografia dei suoi scritti, entrambi a cura di Vittorio Ponzani – è inclusa nel Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari italiani del XX secolo10, il repertorio online che raccoglie le biografie di colleghi che hanno lasciato un segno nella storia delle biblioteche del nostro paese. Questa ‘intensa’ miscellanea dalla vistosa copertina rossa riferisce però anche dei valori che hanno animato, sostenuto e guidato il suo percorso: consapevolezza professionale, condivisione, legame per la propria terra e uno sguardo al futuro. Aggiungerei solidità delle proprie convinzioni.
A chi, come me, che Maria Abenante non ha avuto occasione di incontrarla, gli scritti dei suoi amici e colleghi lasciano percepire quel suo modo ‘mite e rigoroso’ (con questi due aggettivi la si descrive in quarta di copertina) di approcciare alla vita e al lavoro. Altre due qualità che troppo raramente vengono riconosciute come irrinunciabili nell’esercizio di una professione che può, e deve, essere motivo di orgoglio.