a cura di Desirée de Stefano e Federica Olivotto
È difficile dar conto di un volume così ricco e corposo ed è un’impresa solo in parte resa più facile dalla partizione di questa miscellanea in cinque distinte sezioni (Incursioni sul metodo; Biblioteche e bibliotecari; Bibliografie e cataloghi; Storie di libri; Letture riletture indagini), in cui attraverso i trentatré contributi che le costituiscono, opera di amici e colleghi del festeggiato, è possibile leggere in filigrana gli interessi scientifici e le curiosità culturali di una personalità intellettualmente complessa e culturalmente raffinata come quella di Alberto Petrucciani.
La prima sezione, Incursioni sul metodo, spigola tra le tante attività di Petrucciani, espressioni – verrebbe da dire – di una biblioteconomia militante, visibile non solo nell’impegno evidente in seno all’AIB ma già nei suoi interessi scientifici che non perdono mai di vista anche il fare, il farsi concreto di una disciplina in una professione. A ricordarlo non è solo l’intervento di apertura del volume a cura di Rosa Maiello, emblematicamente condensato nel suo titolo (Un monumento), ma anche gli affettuosi e partecipati contributi di Diego Maltese, Domenico Scarpa e Giovanna Mazzola Merola, che insistono, lungo il filo dei ricordi personali, sulla cifra umana e sulle qualità caratteriali di Petrucciani. A essi vanno affiancati gli interventi di Chiara Faggiolani e di Valeria Lo Castro, che ricostruiscono la storia del «Bollettino AIB» e dei «Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari» sotto la sua direzione. Idealmente associabili con questi (sebbene collocati nella sezione Biblioteche e bibliotecari) sono i contributi di Giovanni Di Domenico e di Antonella Trombone, rispettivamente dedicati a «Notizie AIB» e ad «Accademie e biblioteche d’Italia», due periodici altrettanto importanti per la cultura scientifica e professionale della disciplina. Nella medesima sezione figurano poi una fitta serie di saggi che si segnalano per la loro stimolante eterogeneità: medaglioni di bibliotecari illustri che ne rivelano tratti personali e professionali spesso inediti o poco noti, oppure non sufficientemente scandagliati, com’è nel caso delle figure di Desiderio Chilovi (nel contributo di Luca Bellingeri e Giovanna Lambroni) e di Antonio Panizzi (trattato da Paul Gabriele Weston). C’è poi un significativo nucleo di contributi la cui sfera di interesse ruota intorno al concetto di biblioteca e alla sua storia, alle espressioni materiali delle biblioteche, alle loro radici umanistiche e alle loro manifestazioni moderne e contemporanee (di Antonio Manfredi, Renato Taburrini e Marcello Ciocchetti), alla loro frequentazione, come si esplicita nel saggio che Enrico Ardolino dedica a Benedetto Croce e alla sua consuetudine e familiarità con numerose biblioteche italiane e straniere. Giovanni Solimine si chiede infine come contemperare la serendipità della ricerca con il necessario ordinamento delle raccolte e come mantenerle vive e dinamiche, generando nuove relazioni tra idee, libri, interessi e curiosità dei lettori.
Al centro della seconda sezione della miscellanea trovano spazio alcuni contributi che riflettono intorno ad aspetti della semantica del linguaggio bibliografico, dei codici di catalogazione e alla natura identitaria di termini ed espressioni della tradizione biblioteconomica e della scienza della documentazione: Paola Castellucci su Suzanne Briet, Alfredo Serrai sul catalogo alfabetico per soggetti, Riccardo Ridi sul concetto di documento e a seguire Simona Turbanti e Mauro Guerrini.
Protagonisti della quarta parte sono i libri (di cui il volume ci offre un suggestivo campionario esemplificativo) e le tante tracce lasciate dai lettori all’interno di essi: testimonianze di provenienza e altri marks in books, dediche d’esemplare, che documentano la rete di rapporti personali; tracce costituite anche da elementi mobili del paratesto, inserti, ad esempio, finiti più o meno occasionalmente tra le carte e tra le pagine dei libri (come nel contributo, emotivamente partecipato, di Guido Melis). E poi i tanti indizi, trasmessi da carte, epistole, registri di prestito e di lettura. Tracce editoriali, infine, costituite dalle dediche, come quelle al femminile nel Cinquecento italiano, su cui Lorenzo Baldacchini ci offre una sagace ipotesi interpretativa. Alcune di queste belle storie ci sono raccontate nel volume da Laura Desideri, Eleonora Lattanzi, Lorenzo Mancini e Marisa Borraccini: come l’avvincente storia che riguarda Dostoevskij, il suo soggiorno a Firenze e una copia di Madame Bovary presa in prestito presso la biblioteca circolante Vieusseux (Desideri); o la vicenda dei libri ricevuti nel carcere da Antonio Gramsci che, dopo essere rimasti per circa dodici anni in Unione Sovietica, nel 1950 si ricongiunsero, seppur idealmente, all’archivio e alla raccolta degli autografi (Lattanzi); o quella, ancora, che documenta l’antigesuitismo di Nicolò Pagliarini, sulla scorta delle carte conservate nell’Archivio generale della Compagnia di Gesù (Mancini); infine, la storia di un raro opuscolo sulla correzione delle bozze pubblicato nel 1926 dall’editore Federico Cappelli (Borraccini).
L’ultima sezione del volume propone ipotesi e risultati di alcuni studi e ricerche, frutto perlopiù di investigazioni archivistiche, come nel contributo di Graziano Ruffini, che ci rende partecipi della scoperta di due epistole di Salvatore Bongi relative a un’ingarbugliata vicenda che vide protagonista la famiglia Spinola; oppure nel saggio di Simonetta Buttò che, spulciando tra i carteggi di Luigi De Gregori, ci restituisce un significativo spaccato della storia culturale romana degli anni Venti del Novecento, in occasione delle celebrazioni per il sesto centenario della morte di Dante. Di rilievo gli interventi di Eleonora De Longis sull’antigermanesimo del filologo classico Ettore Romagnoli; di Vittorio Ponzani, sulle circostanze che portarono alla pubblicazione del Frontespizio nel libro italiano del Quattrocento e del Cinquecento di Francesco Barberi e che lo vide protagonista con Alberto Vigevani, fondatore e direttore della casa editrice Il Polifilo che pubblicò l’opera nel 1969, di un vivace confronto; di Franco Contorbia, sul critico d’arte Roberto Longhi studioso del pittore Mino Maccari. E poi Paolo Traniello che propone alcune ‘tracce di una ricerca’, volta a indagare i rapporti con la nascente editoria moderna da parte delle nostre tre ‘corone’ ottocentesche: Foscolo, Leopardi e Manzoni
Da ultimo, mi piace concludere questa recensione del volume miscellaneo in onore di Alberto Petrucciani facendo cenno all’originale e suggestivo contributo di Gino Roncaglia, La biblioteca e l’impero, che nel solco di una florida tradizione di studi dedicata alle biblioteche immaginarie, concentra lo sguardo sull’universo narrativo descritto da Asimov e, in particolare, sul ruolo che vi assume la biblioteca della metropoli di Trantor, la capitale del ‘primo impero galattico’. Diversamente da ciò che ci si aspetterebbe in un tradizionale racconto di fantascienza, quel che preme ad Asimov – secondo Roncaglia – non è la rappresentazione della biblioteca come luogo futuribile, di innovazioni scientifiche e tecnologiche, ma come ‘deposito di conoscenze’, luogo di gestione dell’informazione che, come tale, acquista una sua specifica centralità politica, baluardo della civiltà galattica in disgregazione e strumento indispensabile per favorirne la rinascita.
Questo è in fondo il credo di Alberto Petrucciani, che al valore etico e politico della biblioteca ha dedicato molti suoi studi, orientando l’attività di studenti, giovani ricercatori e bibliotecari. È il suo credo, ma è anche la sua utopia, una passione anch’essa, se – a pensarci bene – uno dei suoi primi libri si intitola La finzione e la persuasione: l’utopia come genere letterario (Bulzoni, 1983).
Gianfranco Crupi
Sapienza Università di Roma
Ricordando Gertrud Stein e suo il noto verso ‘Rose is a rose is a rose is a rose’, dove la ripetizione del termine può indurre a pensare che il concetto di rosa sia definito dall’insieme delle sue molteplici articolazioni e manifestazioni, si direbbe – forse in modo improprio, ma efficace – che questo ‘glossario è un glossario è un glossario è un glossario’, che racchiude in sé una diversità di contenuti, finalità, modalità di impiego e che la sua essenza è la summa di tante componenti. L’opera di Ferruccio Diozzi si dispiega in una selezione di termini relativi ad aree disciplinari trasversali ed è destinata a essere utilizzata da più categorie professionali per le quali il valore, il significato e la funzione delle definizioni offerte cambiano di volta in volta in base alla prospettiva assunta. Destinatari ideali non sono quindi solo bibliotecari e documentalisti, ma un’intera galassia professionale che comprende, tra gli altri, archivisti, editori, librai, esperti di comunicazione.
Il volume, edito nella collana “Biblioteconomia e scienza dell'informazione” – oggi forse l’ammiraglia di Editrice bibliografica per le discipline del libro – è pubblicato a diciotto anni di distanza dal precedente glossario, che costituisce la base di partenza di questa nuova raccolta terminologica presentata ‘come un radicale aggiornamento’.
Rispetto alla pubblicazione del 2003, curata dal medesimo autore, le differenze più evidenti riguardano l’approfondimento e l’aggiornamento di molte definizioni, oltre che l’aggiunta di nuovi lemmi (per un totale complessivo di 850). In particolare, con l’intento di offrire una gamma terminologica il più possibile esaustiva rispetto alla biblioteconomia, alla scienza dell’informazione e all’archivistica, si è tenuto conto dell’evoluzione che ha investito tali discipline negli ultimi anni offrendo un più adeguato spazio a termini afferenti a tematiche correlate e complesse, quali la libertà intellettuale, la bibliometria, la digitalizzazione, l’accesso aperto, i social media, la sostenibilità. Il glossario presenta inoltre termini riferiti alla bibliologia e alla codicologia, come pure termini propri della scienza dell’organizzazione e dell’informatica; riporta anche un buon numero di lemmi relativi a istituzioni, programmi e standard internazionali, utili per orientarsi tra sigle e acronimi non sempre familiari. Il tutto senza tralasciare di armonizzare i termini in lingua inglese, sapientemente e intenzionalmente scelti solo se privi di una corrispondenza italiana accettabile: ad esempio ‘knowledge management’ è preferito a un forse troppo generico corrispettivo italiano ‘gestione della conoscenza’, oppure ‘peer-to-peer’ è presentato in questa forma non avendo ancora una soddisfacente e attestata traduzione nella nostra lingua. Insomma un panorama terminologico a tutto tondo e interdisciplinare che rispecchia temi, tempi e tecnologie di sicura attualità e che scatta un’istantanea sul presente della scienza dell’informazione.
Completano il volume alcuni apparati bibliografici e normativi che focalizzano l’attenzione su ciò che è ritenuto utile per successivi approfondimenti riferiti a molti dei termini trattati. Al riguardo va posta in risalto la breve rassegna di normativa nazionale e internazionale che riporta, oltre ai principali riferimenti legislativi di settore, anche una selezione di provvedimenti correlati relativi a temi di stretta attualità – come l’amministrazione digitale, la trasparenza, la tutela del diritto d’autore e la privacy – che impattano notevolmente sull’organizzazione e sulla gestione di biblioteche, archivi e centri di documentazione. Rispetto invece alla normativa tecnica, sono presentati i riferimenti ai principali standard ISO, UNI e ICA. In chiusura viene proposta una sitografia che offre, raccogliendoli insieme, i riferimenti web di istituzioni, enti e associazioni citati nel volume.
In conclusione, posto che la terminologia è un elemento fondamentale per qualsiasi disciplina, questo glossario rappresenta uno strumento utile a tanti professionisti e studiosi che soddisfa l’esigenza di aggiornamento rispetto ad ambiti semantici e disciplinari in continua evoluzione. Visti i repentini mutamenti sociali, culturali e tecnologici degli ultimi anni, l’auspicio è che il prossimo nuovo glossario non si faccia troppo attendere come quello attuale, eventualmente anche accompagnato da una versione online che ne possa amplificare la fruizione.
Lucia Antonelli
Biblioteca della Direzione centrale per le autonomie, Albo nazionale dei segretari comunali e provinciali
In questo agile ma denso volume Lorenzo Pezzica ci accompagna nel suo lungo «viaggio nel mondo degli archivi», declinato in una pluriennale attività di professionista, docente, studioso come archivista e storico. Nella Premessa si dichiarano i temi trattati – l’archivio storico novecentesco e quello di persona, oggetto principale del lavoro dell’autore – e l’obiettivo del libro ovvero ‘liberare’ l’archivio da una visione asettica e angusta restituendogli tutta quella complessità e molteplicità di significati che ne rappresenta anche il valore intrinseco.
È questo il filo rosso che lega i sei capitoli che seguono, dedicati a temi cruciali dell’archivistica contemporanea – che in realtà ne evocano molti altri – trattati intrecciando il punto di vista teorico e quello pratico, appoggiandosi sia alle proprie esperienze professionali sia citando casi studio significativi.
Il primo capitolo (Parlare d’archivio) è una riflessione ampia sul significato dell’archivio: dai luoghi comuni – ancora troppo radicati nell’immaginario collettivo – ai significati del linguaggio tecnico dei professionisti di settore, sottolineando la necessità di superare i confini della disciplina per interagire con altre professionalità e competenze, chiamate necessariamente in causa dalle particolarità degli archivi novecenteschi e da nuove sensibilità nei loro confronti che esigono, senza rinunciare ai fondamenti professionali, nuovi modi di usarli e comunicarli.
Nel secondo capitolo (Ordine, disordine, descrizioni) si prende in esame la relazione tra la ricerca dell’ordine dell’archivio (originario o da ricostruire), preliminare alla descrizione e alla costruzione degli strumenti di consultazione, e l’incontro con il disordine, frequente, a volte apparente, altre quasi inevitabile, temuto ma anche denso di fascino. Sono in realtà ‘due facce della stessa medaglia’, due condizioni che rappresentano la complessità dell’archivio tradizionale da gestire anche assumendo un punto di vista che consideri la descrizione come una forma non solo di rappresentazione ma anche di comunicazione, potenzialmente in continuo divenire e in grado di relazionarsi con altre forme e modi di rappresentazione nei mondi analoghi a esso. Si tratta di elementi di complessità che, assieme a quelli derivanti dall’irruzione del digitale (L’archivio storico nell’epoca della sua riproducibilità digitale) che arriva sino alla costituzione dell’invented archive, caratterizzano il centro nevralgico del lavoro archivistico.
Nel capitolo Archivisti, archivi e Public History, dopo una breve storia del radicamento in Italia di questa disciplina, attraverso la nascita dell’Associazione italiana di Public History (AIPH) e gli annuali convegni, si focalizza l’attenzione sul rapporto tra gli archivi e il modo di praticare e comunicare la storia al di fuori dei luoghi tradizionali della ricerca; si sottolinea come gli archivi storici siano particolarmente interessati alla public history che ne può valorizzare i patrimoni anche in termini di lavoro partecipativo, portando alcuni tra gli esempi italiani che lavorano in questa direzione da molti anni.
Gli ultimi due capitoli (Fragili carte e Gli armadi della memoria e dell’oblio) affrontano, in senso ampio, il tema della conservazione, della perdita/distruzione, dell’oblio (materiali, temporali, dei contenuti); la fragilità è legata alle vicende della trasmissione degli archivi, ma anche alla natura molteplice delle tipologie documentarie (comprese le criticità del digitale) e, non da ultimo, alla dispersione per cause volontarie (ad esempio le carte dei movimenti politici rivoluzionari) o per la scarsa attenzione alla conservazione da parte dello stesso produttore. Memoria e oblio sono due aspetti della dinamica con cui le persone si relazionano con il passato: se selezione e scarto eseguiti professionalmente valorizzano la vita degli archivi, la conservazione selettiva del solo sapere che si ritiene degno di essere conservato (il ‘dimenticare repressivo’, tipico del potere totalitario) innesca meccanismi di manipolazione che mettono a rischio la possibilità di conservare una ‘buona’ e affidabile memoria.
Completa il testo il saggio introduttivo Novecento e non più Novecento di Federico Valacchi, che rilegge in modo critico e trasversale i temi affrontati dall’autore, in una sorta di dialogo intellettuale che arricchisce ulteriormente un volume che si presta, contemporaneamente, a una lettura agile (ma sicuramente più agevole per chi abbia consuetudine con la disciplina archivistica) ma anche ad approfondimenti progressivi sui diversi piani della ‘complessità e molteplicità di significati’ già dichiarati nella Premessa.
Francesca Ghersetti
Fondazione Benetton studi ricerche
L’ultimo lavoro di Deana sembra voler continuare ad accompagnare il lettore nel viaggio già iniziato nel 2019 con A ciascuno il suo catalogo, proseguito nel 2020 con Come valutare la qualità del catalogo di una biblioteca e ultimato con il presente volume intitolato La scienza dei dati in biblioteca. Una sorta di trilogia (forse nemmeno intenzionale da parte dell’autore, ma probabilmente così interpretabile dal lettore), un percorso ideale dalla valutazione e qualità del catalogo alla valutazione e qualità nella biblioteca.
Il tema è la data science applicata alla biblioteca: come applicare i principi della scienza dei dati alla biblioteconomia e, molto concretamente, ai problemi della quotidianità dei bibliotecari, ancor più nel caso di quelli universitari. Ma questo, come esplicitamente dichiarato nel testo, non è un volume sulla scienza dei dati.
L'autore confessa nell’Introduzione di aver inizialmente pensato a un altro titolo – Ricette per bibliotecari che non hanno tempo da perdere (e non ne vogliono far perdere ai loro lettori) – che avrebbe rappresentato (non senza ironia) l’unione della quarta legge di Ranganathan (“Risparmia il tempo del lettore”) e di una sesta legge, non codificata, della biblioteconomia (“Risparmia il tempo del bibliotecario”) citata da Venuda (p. 11). Il titolo finale scelto, ritenuto giustamente più esplicativo, è già di per sé confortante per un campo nuovo, ricco e complesso come questa disciplina, ‘la scienza dei dati’, di cui il bibliotecario spesso sembra sapere ancora poco e applicare sul campo ancor meno. L’idea del ‘ricettario’, che rimanda con il pensiero all’ambito medico o, come in questo caso, a quello culinario, tranquillizza il lettore perché lo prepara a qualcosa a lui familiare: ingredienti, dosi, tempi, modalità, esempi e possibilità di personalizzazione.
Le otto ricette prendono in esame problemi e criticità riguardanti le collezioni cartacee (patrimonio, collocazione, scarto) e quelle elettroniche, gli utenti, i nuovi strumenti di ricerca, tutto al fine di trovare le giuste soluzioni e azioni. Le ricette, come anche spiegato nell’Introduzione, presentano ciascuna un obiettivo e suggeriscono i dati necessari per il suo raggiungimento (ingredienti perlopiù tratti da misure e indicatori dello standard ISO per l’informazione e la documentazione), illustrando i risultati sintetizzati in diagrammi. Gli obiettivi sono spesso frutto della necessità di soluzione a un problema concreto di una biblioteca inserita in un sistema bibliotecario, specie se di ateneo, in questo caso del Servizio (ex Sistema) bibliotecario dell’Università degli studi di Milano, e della conseguente necessità di decisioni basate sulla realtà dei fatti.
La Ricetta 01 - Le collezioni cartacee presenta un primo passo, quello della conoscenza del patrimonio mediante la raccolta e l’elaborazione dei dati, un lavoro finalizzato a capire i cambiamenti, ad analizzarne le cause e le conseguenze per gli utenti. La Ricetta 02 - I documenti in più di una copia, approccia il tema senza pregiudizio verso tale realtà, in qualche caso frutto di scelte consapevoli, sottolineando l’importanza, nonché l’attualità, di questo tema in tempi di aumento dei costi delle risorse senza un equivalente incremento dei fondi alle biblioteche. Connessa a questa ricetta è la Ricetta 05, relativa allo scarto bibliografico. La Ricetta 03 - Le segnature di collocazione ha lo scopo di valutare l’adeguatezza o meno di uno schema di collocazione all’interno di una biblioteca accademica a scaffale aperto, la sua funzionalità rispetto alle esigenze non solo di collocazione fisica ma anche di ricerca a scaffale (fisico o, magari, anche virtuale), spesso praticata dagli utenti insieme a quella in catalogo. La Ricetta 04 - Gli utenti, fa riferimento a quelli potenziali di una biblioteca accademica, dunque a una sottocategoria degli utenti istituzionali (cioè afferenti a diverso titolo all’ateneo), in particolare a quelli interessati alle richieste di prestito (studenti, ricercatori, docenti). La Ricetta 05 - Lo scarto bibliografico, in collegamento ideale con la Ricetta 02 sulle molteplici copie, mira all’automazione delle attività legate allo scarto, suggerendo un modello che possa prevedere se un documento, in base alle sue caratteristiche (numero di prestiti, anno di pubblicazione, ecc.), possa prevedibilmente essere oggetto di prestito nei cinque anni successivi e di conseguenza non oggetto di esclusione dalle raccolte nell’arco temporale considerato.
Le ultime tre ricette affrontano con approccio critico temi di grande attualità per le biblioteche accademiche. La Ricetta 06 - Le collezioni elettroniche, è la più corposa e fa riferimento alla valutazione dell’uso delle collezioni di periodici elettronici (più complessa rispetto a quella delle collezioni cartacee) in relazione al loro costo; qui qualche passaggio, come in altre parti della pubblicazione, potrebbe risultare molto tecnico, ma resta strettamente necessario e funzionale al discorso. Le ultime due ricette introducono il tema dei web scale discovery services (WSDS), dalla valutazione dell’efficacia delle loro faccette per identificare e selezionare (Ricetta 07 - Identificare e selezionare), a quella dell’utilizzo dei soggetti di un catalogo all’interno di essi (Ricetta 08 - I soggetti nei Web Scale Discovery Services).
A chiusura del volume, oltre a una ricca Bibliografia, è riportata un’appendice che, a motivo della sua importanza, è parte integrante del complemento di titolo insieme alle otto ricette: Appendice - Misure e indicatori in biblioteca affronta in maniera concreta e sintetica l’impatto, con conseguenze anche inaspettate, dell’attuale sistema della performance amministrativa sulle biblioteche. Deana conclude ironicamente citando Ronald Coase e la ‘tortura dei dati’, «fino al punto di far loro confessare tutto ciò che si desidera» (p. 133), soluzione purtroppo spesso praticata in sostituzione della scienza dei dati.
Il taglio innovativo e critico dell’autore, talvolta anche ironico, emerge nell’approccio a ogni tema, anche a quelli più complessi o problematici come il mercato editoriale accademico o la fornitura di particolari servizi e prodotti; tra questi in particolare i WSDS, oggetto di analisi anche di un interessantissimo articolo dello stesso autore Hic sunt leones («Biblioteche oggi», 38 (2020), n. 2, p. 5-16).
L’opera può essere letta come una sorta di guida in un percorso di ‘ri-orientamento’ metodologico nell’approccio alla misurazione di attività e servizi da parte dei bibliotecari. A fine lettura si conferma la prima impressione di originalità e di grande utilità, tanto per la consultazione professionale di base quanto per l’approfondimento critico di alcuni temi di attualità, per i bibliotecari universitari e in genere per tutti gli altri, considerabili nell’ottica di Deana (nel suo articolo Le collezioni messe a nudo, «Biblioteche oggi», 38 (2020), n. 1, p. 16-26) alla stregua di data scientist ante-litteram.
Considerato l’impegno richiesto dal testo al lettore medio già nella semplice lettura e comprensione di alcuni strumenti (come i diagrammi), prima ancora che nella loro elaborazione, potrebbe forse giovare un suo approfondimento in tal senso, magari nella forma di un meta-ricettario applicativo, di traduzione metodologica e procedurale dai dati di un software di gestione bibliotecaria ai risultati sintetizzati e rielaborati in rappresentazioni grafiche (di cui il volume è molto ricco). Potrebbe costituire un ulteriore supporto di grande utilità per il bibliotecario che ha ancora poca familiarità con diagrammi e scale logaritmiche, ma che vorrebbe utilizzare procedure automatiche per estrapolare conoscenze (e di conseguenza prendere corrette decisioni) da dati già disponibili e recuperabili nel corso dell’attività lavorativa.
In considerazione del potenziale impatto di quest’opera anche nella prassi bibliotecaria, non sarebbe da escludere, anzi sarebbe auspicabile, l’ipotesi di una sorta di spin-off in un contesto editoriale o anche formativo, che potrebbe venire incontro all’aspettativa di una cooking class con lo ‘chef’ delle otto ricette.
Fiorenza Ciaburri Scinto
Biblioteca di Area umanistica, Università di Foggia
In apertura del volume, gli interventi di saluto di Giovanni Solimine, Rosa Marisa Borraccini, Rosa Maiello e Simonetta Buttò e l’introduzione di Alberto Petrucciani evidenziano alcuni dei temi dell'omonimo seminario e le novità che le relazioni, ora pubblicate in questi atti, portano nell’ambito degli studi di storia delle biblioteche, non più incentrati sui patrimoni bibliografici bensì sugli esiti che i servizi bibliotecari determinano nel pubblico e il loro impatto sulla società. Il riferimento, quindi, è all’utente: chi erano e chi sono coloro che frequentano le biblioteche, che cosa è loro accaduto, che uso fanno e hanno fatto dei servizi offerti. Il percorso di indagine è svolto con un ampio respiro geografico e diacronico – dall’antichità all’attualità – delineando le relazioni che le biblioteche sono riuscite a stabilire con il contesto sociale e gli effetti su formazione e crescita culturale, ma anche personale, di tanti lettori, andando oltre i dati meramente quantitativi insufficienti a misurare e comprendere le funzioni dirette e indirette delle biblioteche.
Un’esemplificazione delle ricerche in corso e un’ampia messe di dati relativi a persone, biblioteche, testimonianze, è già disponibile nel sito L&L Lives and libraries: lettori e biblioteche nell’Italia contemporanea (https://www.movio.beniculturali.it/uniroma1/livesandlibraries), progetto al quale si collega il momento di riflessione e scambio rappresentato dal seminario.
In diversi interventi pubblicati nel volume emerge l’importanza delle registrazioni delle letture e dei prestiti, che permettono di conoscere analiticamente, un caso alla volta, chi ha letto che cosa, dove e quando. Si tratta di fonti primarie finora poco studiate e valorizzate, quindi trascurate e spesso, di conseguenza, perdute se non volontariamente eliminate nel momento in cui veniva meno il loro valore amministrativo. Il seminario, invece, mettendo in luce la ricchezza delle informazioni che vi sono contenute, ha anche evidenziato la necessità di conservare e valorizzare questi registri, a partire dalla loro catalogazione o inventariazione archivistica.
Di straordinario interesse, ad esempio, i certificati di lettura e di ascolto risalenti al XII secolo che permettono di conoscere i lettori medievali di una regione del mondo islamico (ne parla nel suo contributo Arianna D’Ottone Rambach); le registrazioni di prestiti in entrata e in uscita della Biblioteca apostolica vaticana nel corso del Quattrocento, concessioni di prestiti che poi divennero sempre più difficili nei secoli successivi a seguito della trasformazione da biblioteca umanistica e di consultazione a biblioteca di conservazione e di carattere antiquario (Antonio Manfredi); i registri di abbonamento di biblioteche in ambito anglosassone a partire dal XVIII secolo (Mark Towsey); quelli delle biblioteche di istituti stranieri a Roma (Eleonora De Longis). Altri contributi (di Laura Desideri, Alessandra Toschi e Antonella Trombone) attraverso casi specifici, storie vive di persone, evidenziano l’importanza delle testimonianze offerte da queste fonti: il Libro dei soci, cioè il registro di abbonamento, e il Libro dei prestiti del Gabinetto Vieusseux insieme ai registri della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, esaminati per seguire le tracce dei giovani lettori Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini nella Firenze di inizio Novecento; i registri della Biblioteca popolare del comune di Bologna per ricostruire le letture, fra il 1910 e il 1911, dello studente tredicenne Alessandro Asor-Rosa; e ancora i registri della Nazionale per letture e prestiti concessi al giovane Carlo Michelstaeder tra il 1905 e il 1909, nel periodo in cui frequentò a Firenze l’Istituto di studi superiori; quelli di lettura e di prestito della Biblioteca provinciale di Potenza che restituiscono un quadro interessantissimo sui lettori del periodo 1940-1943, in particolare gli internati politici e per motivi razziali, per i quali la bibliotecaria Teresa Motta e il soprintendente Francesco Barberi – come si deduce dal loro carteggio – si adoperarono fattivamente e in segreto per soddisfarne le esigenze di studio e lettura. La parte del volume dedicata all’indagine storica comprende anche riflessioni sulla ancora troppo poco definita e coltivata disciplina storiografica sulle biblioteche (nel contributo di Enrico Pio Ardolino), condizione alla quale si può ricondurre la difficoltà di approfondire la conoscenza dell’uso delle biblioteche antiche (Simona Turbanti) e degli ordini religiosi (Lorenzo Mancini) in assenza di ricerche specifiche sulla loro organizzazione biblioteconomica, quindi non solo e non tanto a causa della scarsità delle fonti.
Infine, alla luce del dato assai sconfortante sulla percentuale di italiani che frequentano le biblioteche (meno del 15%), i contributi dedicati ai ‘problemi attuali’ si focalizzano sulla necessità di affinare strumenti e metodi di indagine, come ad esempio l’analisi delle interviste all’utenza attraverso software dedicati (Chiara Faggiolani e Anna Galluzzi), ma soprattutto sull’urgenza di comprendere bisogni, abitudini, linguaggi dei cittadini che si autoescludono dalle biblioteche perché le considerano «luoghi di difesa dei privilegi» (p. 121) delle classi sociali colte e agiate dalle quali provengono i bibliotecari. D’altro canto, questi ultimi attivano, in maniera più o meno consapevole, «meccanismi responsabili dei trattamenti differenziati dell’utenza» (Mariangela Rosselli, p. 91), tanto che più di settantacinque incendi volontari di biblioteche dei quartieri popolari in Francia devono essere interpretati proprio come manifestazioni del conflitto sociale (Denis Marklen), della protesta di chi si sente respinto dal sistema ed escluso dalla vita democratica. In ultima analisi quindi è ormai evidente che, più che svolgere indagini sulla fascia sociale che già utilizza le biblioteche, sarebbe doveroso dedicare la massima attenzione alla ‘non utenza’ e verificare se l’azione di favorire la partecipazione a questi cittadini alle scelte politiche della loro biblioteca di riferimento possa dare risultati positivi (Lorenzo Baldacchini).
Chiude il volume l’Indice dei nomi, strumento prezioso del quale siamo grati ai curatori.
Anna Manfron
già Biblioteca dell'Archiginnasio e Istituzione biblioteche Bologna
Il libro di Mauro Guerrini Dalla catalogazione alla metadatazione esce come quinto volume della collana “Percorsi AIB” che raccoglie dal 2014 contributi su specifici settori del mondo biblioteconomico, dalla bibliometria ai discovery service, dalla teoria catalografica all’inglese professionale, pensati per offrire una panoramica che, partendo dalle basi dell’argomento in questione, arriva a trattare i temi più recenti e innovativi.
Se diamo per assunto che le citazioni che fanno da esergo a un libro dicano molto sull’opera e sul suo autore, possiamo affermare che le frasi di Gordon Dunsire e Mirna Willer, Alan Danskin e Michael A. Cerbo scelte dall’autore tratteggiano efficacemente i tre vertici che delimitano l’ambito di lavoro del catalogatore. Il primo è rappresentato dalle novità tecnologiche, e non solo, con le quali si confronta durante un costante processo di aggiornamento che questa professione richiede: un aggiornamento non solo tecnico ma anche mentale, logico. Il secondo vertice è costituito dai valori che connotano la professione e che, anche nella catalogazione, trovano ampio spazio di riflessione, in particolare per quello che riguarda l’etica della catalogazione (di cui ha parlato in un recente articolo Lucia Sardo, Etica e catalogazione, «JLIS», 10 (2019), n. 3, p. 1-17). E rimanda all’etica la citazione di un passo di Alberto Petrucciani: «All’esattezza e alla precisione dovremmo aggiungere, credo, l’interesse e il rispetto per le culture dell’umanità, per tutte le culture del pianeta, e per tutte le forme di comunicazione, di conoscenza e di espressione umane» (p. 16). Il terzo vertice è l’uomo, il catalogatore appunto, che svolge un’attività che, a dispetto di alcuni cambiamenti di denominazione, resta sostanzialmente la stessa nel tempo: non perché sono identiche le tecniche o i mezzi, ma piuttosto perché ne è rimasta immutata la finalità. Come dice Guerrini, «non cambia il significato profondo della catalogazione in quanto operazione di mediazione cosciente tra la biblioteca e il lettore. La filosofia dell’approccio formativo alla catalogazione non può essere contraddistinta da uno spirito dogmatico, ma, all’opposto, richiede senso critico e riconoscimento della complessità editoriale e storica dell’oggetto bibliografico da descrivere» (p. 14). Il catalogatore è una figura che si muove sì entro i limiti di strumenti, tecniche, regole, standard ma, per affrontare con coscienza i casi bibliografici che si trova a trattare, deve affacciarsi oltre, sbirciare al di là delle ‘colonne d’Ercole’. Come suggerisce anche Barbara Tillett, nella chiusura della Prefazione al volume, «Chi tra noi accetterà la sfida di spingersi ancora oltre per aiutare gli utenti a trovare le informazioni che desiderano?» (p. 12). E anche Giovanni Bergamin nella Postfazione fa suo il richiamo alla professionalità del catalogatore, spiegando che nella cooperazione uomo-macchina è l’intelligenza dell’umano che organizza primariamente l’informazione e che quindi crea il ‘valore’ dell’informazione stessa. Questo valore deve essere attestato contro quanti sperano di ridurre i costi della catalogazione svalutando il lavoro dei professionisti e delle stesse biblioteche.
Del resto il libro prende le mosse, come dichiara l’autore, dal master biennale in catalogazione dell’Università degli studi di Firenze, ossia da un contesto formativo grazie al quale si intendono creare professionisti destinati a biblioteche o a quei luoghi dove i dati prodotti dalle biblioteche vanno ad aggiungersi e a fondersi con quelli prodotti da altri per arricchire la conoscenza diffusa nel nuovo web, il web semantico appunto. Dalla catalogazione alla metadatazione alterna parti più didattiche con altre quasi di natura filosofica ed excursus storici su eventi, testi e nomi della tradizione catalografica. L’autore definisce irrinunciabile, come recita anche il titolo, il passaggio dalla catalogazione alla creazione di metadati, nella consapevolezza che i destinatari dei dati non siano solo gli utenti dei cataloghi ma anche le entità del web semantico. «Negli scenari previsti dal web semantico ogni dominio continua a fare bene il proprio mestiere (le biblioteche continuano a essere biblioteche), ma grazie alla intermediazione di applicazioni (o agenti software) i metadati condivisi e riusati possono avere impatti reali nei servizi offerti agli utenti» (p. 168), nelle parole di Bergamin a chiusura del volume.
Strutturato in sette parti, il libro affronta in maniera sintetica tutti i temi base della catalogazione, e non solo di quella descrittiva. Dopo un primo capitolo – che è anche un manifesto del pensiero di Guerrini in merito alla catalogazione e al perché i cataloghi debbano aprirsi al mondo del web – i capitoli dal 2 al 6 disegnano l’orizzonte di conoscenze in cui un catalogatore dovrebbe muoversi: principi e modelli concettuali da FRBR a IFLA LRM, finalità e tecniche per la descrizione bibliografica e per la realizzazione dei punti di accesso, formati elettronici, standard e regole di catalogazione. Quindi dai Principi di Parigi a BIBFRAME, si passa in rassegna tutto quello che dovrebbe costituire il bagaglio di un professionista: da ISBD a REICAT a RDA, dal formato MARC a BIBFRAME, dal controllo di autorità a ISNI. Un ultimo capitolo, quasi a voler esaudire la volontà didattica, accenna anche all’indicizzazione semantica.
Oltre ai numerosi riferimenti bibliografici, questa vera e propria narrazione della catalogazione sembra anche riportare l’esperienza diretta dell’autore, che ha avuto occasione di vivere in prima persona molti degli eventi citati e di conoscere personalmente un gran numero di studiose e studiosi che hanno animato la discussione su questi temi.
La corposa bibliografia presente può essere poi utilizzata come vero e proprio punto di riferimento per successivi approfondimenti o da quanti, studenti e studiosi, vogliano intraprendere ulteriori percorsi di studio sulla catalogazione, o su alcuni temi, tendenze, eventi o personaggi. La lista di sigle e acronimi che apre il volume mette inoltre in chiaro le finalità didattiche e la volontà di realizzare uno strumento utile allo studio e all’aggiornamento.
Agnese Galeffi
Centro sistema bibliotecario, Sapienza Università di Roma
Nel complesso panorama delle molteplici tipologie di alfabetizzazione (all’informazione, digitale, visuale, ecc.) rispondenti ai differenti bisogni informativiche caratterizzano l’epoca in cui viviamo, molto importante risulta senza dubbio la visual literacy. Basti pensare alle linee guida standard cui si deve fare riferimento nell’ambito dell’istruzione superiore e accademica, come il recentissimo Companion document to the ACRL framework for information literacy for higher education: visual literacy, approvato dal Consiglio dei direttori dell’Association of college & research Libraries (ACRL) con lo scopo di aggiornare i precedenti ACRL Visual literacy competency standards for higher education risalenti al 2011, nonché al proliferare di studi e ricerche in questo ambito, basati su metodologie quantitative, qualitative e miste (ad esempio la presentazione al Congresso IFLA 2018 di K. K. Matusiak e C. Heinbach dal titolo Methodological approaches for exploring visual literacy practices). Soffermandoci a riflettere su come le immagini siano veicolo di messaggi che riusciamo a comprendere già prima di imparare a parlare e scrivere, spontanea è la domanda su quanto sia riconosciuta l’importanza della visual literacy nell’ambito dell’istruzione e della formazione in generale.
Per rispondere a tale interrogativo ci viene in aiuto Seeing Sense: in un percorso di otto capitoli, il lettore viene guidato alla scoperta di cosa sia nello specifico la visual literacy. A cominciare dal capitolo introduttivo (In the frame: what is visual literacy and why does matter?) infatti, l’autore propone innanzitutto una definizione del termine, per continuare con la storia del concetto, descrivendone tre diverse tipologie: funzionale, estetica e narratologica. Prosegue poi indicando di quale terminologia servirsi nell’ambito dell’analisi di illustrazioni, aspetto su cui si concentra il secondo capitolo (The big picture: terminology for talking about and critiquing illustration), dove si propongono un’anatomia del libro illustrato e un approfondimento sulla funzione del colore, le caratteristiche di una narrativa visuale e delle graphic novel, attualmente molto in voga; il tutto sottolineando anche quanto la visual literacy possa essere importante nello sviluppo generale della literacy di base. Uno scopo del libro, infatti, è mettere in connessione l’importanza della visual literacy con l’apprendimento della lettura, e proprio a ciò è dedicato l’intero terzo capitolo (The reading journey: the development stages of reading), dove Hope pone l’accento sulla necessità di una capacità di lettura più lenta che le immagini impongono e quindi su un diverso sviluppo delle competenze di lettura, laddove quella testuale è affiancata, se non preceduta, da quella visuale. Menzione interessante per i bibliotecari, ma non solo, è quella dei gruppi di lettura per bambini proposti in alcune biblioteche pubbliche del Regno Unito, dove non soltanto durante gli incontri vengono letti libri illustrati, ma un momento successivo è dedicato ad attività di ricreazione spontanea delle storie attraverso immagini ideate dai bambini stessi partendo dalla lettura appena conclusa. Su tutt’altro tema, ma non meno importante, è incentrato il quarto capitolo (Close inspection: influences and insight into people and processes that shape visual narratives) nel quale viene descritto approfonditamente l’iter produttivo che coinvolge la componente illustrativa dei libri, corredato da una rassegna esplicativa di professioni del settore a partire dagli editori, passando attraverso gli illustratori e concludendo con i creatori di fumetti e graphic novel. L’aspetto semantico delle illustrazioni, soprattutto in connessione con temi importanti di attualità (quali per esempio la multiculturalità, il gender, la sessualità, l’inclusività) viene analizzato nel capitolo quinto (Windows into worlds: the importance of visual representation and inclusion), nel cui incipit l’autore sottolinea come tutti noi lettori ci rispecchiamo nelle immagini presenti nelle nostre letture ed è questo che rende importante la differenziazione dell’offerta di lettura nelle scuole, nelle biblioteche e nelle librerie, nonché il suo aggiornamento tematico, affinché affronti argomenti rilevanti a livello sociale. Nel capitolo sesto (Prize-winning pictures: an exploration of awards and honours) è fornito un elenco dei premi dedicati ai libri illustrati sia nel Regno Unito che in altri paesi, non solo anglosassoni. Il tema della connessione tra visual literacy, informazione e processo di apprendimento è il tema del settimo capitolo (Looking to learn: an insight into visual literacy for information), il cui paragrafo conclusivo fa emergere la necessità di impostare bene tale processo fin dall’infanzia, al fine di stimolare l’interesse conoscitivo tipico dei lifelong learner. Infine, con l’ottavo e ultimo capitolo (A room with a view: making the most of visual literacy in libraries and in creating reading environments), l’autore mira a offrire ai bibliotecari strategie utili per dotare le biblioteche di strumenti indispensabili per favorire lo sviluppo della visual literacy tra i propri lettori. Oltre alla proposta di casi studio, presenti in quasi tutti i capitoli e puntualmente elencati in apertura del volume, insieme con le illustrazioni, che chiaramente non possono mancare in questo libro, e con i riquadri di approfondimento, a corredo e ulteriore arricchimento del contenuto troviamo in chiusura un glossario, una bibliografia e un indice analitico.
Non può non apparire chiara l’utilità di tale lettura – anche in considerazione dell’agilità della trattazione (il volume non arriva a coprire le duecento pagine totali) – per gli operatori del settore, in particolar modo per i bibliotecari impegnati con i lettori più piccoli, che troveranno certamente conferma delle loro pratiche quotidiane, qualora già adottate, o ispirazione a implementarne di nuove, originali e possibilmente visual oriented.
Eleonora Moccia
Frohring Library, John Cabot University
Di fronte a un mondo interconnesso e digitale il volume conduce il lettore in un viaggio coinvolgente nella scrittura a mano colta nelle sue molteplici espressioni, a partire dall’affermarsi della stampa fino al Novecento. Che cosa ha rappresentato e cosa ancora oggi rappresenta la scrittura a mano nella società italiana ed europea? Aperto da una presentazione a firma di Giorgio Montecchi e arricchito da un apparato illustrativo, l’opera si sviluppa in cinque capitoli che ripercorrono la storia della cultura manoscritta in età moderna, sottolineando in particolare le funzioni che essa ha esercitato nel rapporto tra persone e società attraverso le diverse stagioni storiche.
Il primo capitolo – Imparare – si incentra sugli oggetti della scrittura visti nella loro evoluzione e trasformazione: dalla penna d’oca, che fino alla metà dell’Ottocento rappresenta lo strumento di scrittura per eccellenza, al pennino metallico, ampiamente diffusosi dalla fine del secolo, e poi la penna stilografica fino alla macchina da scrivere. Segue un’analisi delle metafore degli oggetti di scrittura dal Seicento, con esempi di componimenti poetici dedicati a essi come quelli di Carducci e Pascoli.
Il secondo capitolo si focalizza sul Comunicare e pone al centro la lettera, il genere più personale delle forme di comunicazione scritta, colta nella sua materialità e nei diversi tipi di testualità. Non solo la lettera diviene espressione artistica, come nel caso del ricordato movimento artistico della mail-art, ma anche oggetto poetico. Soprattutto nel Seicento sono molti i versi che le sono dedicati, tra i quali quelli di Giambattista Marino dalla raccolta La lira del 1614: «Foglio, de’ miei pensieri / secretario fedel, tu n’andrai dove / t’aprirà quella man, che m’apre il petto» (p. 97).
Quanto i testi manoscritti continuino a essere prodotti e a circolare anche in età moderna dopo l’avvento della stampa è oggetto del terzo capitolo dal titolo Condividere: dal manoscritto musicale a quello religioso, dal manoscritto come topos letterario alle ‘gazzette manoscritte’. I testi scritti a mano rivelano la loro importanza e insostituibilità nella vita quotidiana, nelle relazioni tra le persone, come testimoniano i diari, gli album amicorum e anche i testamenti.
Nel capitolo successivo – Raccogliere, utilizzare – ci si addentra nel mondo del collezionismo degli autografi, con diffusione a partire dall’Ottocento tra aste e cataloghi di vendita, mentre le biblioteche vanno formando le loro prime raccolte, attente anch’esse al mercato antiquario. Anche il mondo pubblicitario scopre le potenzialità dell’autografo, a cui si prestò lo stesso Gabriele d’Annunzio. Il ruolo invece dei calligrafi e dei periti di scrittura viene esaminato nell’ultimo capitolo, intitolato Controllare.
Il volume si inserisce così nel vivace dibattito sul valore della scrittura a mano nella società odierna, ponendosi anche il problema del perché non sia nato un insegnamento specifico per l’età moderna quale continuazione della paleografia. Ma quanto ancora sia presente nella contemporaneità lo dimostrano i versi citati della poetessa Vivian Lamarque dedicati al suo pennino: «Dopo di te / sposerò il mio pennino / e nessun altro / e nessun altro / il mio pennino / d’acciaio affilato / per sempre l’ho sposato» (p. 46).
Si può affermare senz’altro che Francesco Ascoli con La penna in mano ha ben centrato l’obiettivo dichiarato nella premessa «di aver offerto un’ampia rassegna in modo da poter presentare un panorama quanto mai vario delle tantissime possibili declinazioni della cultura scritta d’età moderna e stimoli per ulteriori indagini in questa direzione» (p. 4). Un invito conclusivo a riflettere, a scriversi, a leggersi.
Eleonora Cardinale
Biblioteca nazionale centrale di Roma
Dopo circa due anni dall’uscita di Incunaboli a Catania I: Biblioteche riunite “Civica e A. Ursino Recupero” (Viella, 2018) vede la luce Incunaboli a Catania II: Biblioteca regionale universitaria, catalogo dedicato alle edizioni a stampa del XV secolo conservate presso una delle più importanti biblioteche della città etnea e realizzato da un gruppo di studiosi composto da Francesca Aiello, Adriana Bonaccorsi, Corrado Di Mauro, Debora Di Pietro, Giustina Giusto, Adriano Napoli, Irene Marullo, Simone Isacco, Maria Pratelli, Rosaria Saraniti, Silvia Tripodi – giovani neolaureati, dottorandi, dottori di ricerca e bibliotecari – magistralmente coordinati da Simona Inserra (Università degli studi di Catania) e Marco Palma (già Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale).
Il progetto nel suo complesso (già approfonditamente illustrato da Domenico Ciccarello «AIB studi», 60 (2020), n. 1, p. 163-167), prevede la descrizione di questi antichi manufatti conservati presso diverse istituzioni bibliotecarie, non solo di area siciliana. Avviato con Incunaboli a Siracusa (Viella, 2015), ha portato alla nascita di una collana editoriale (intitolata proprio "Incunaboli") appositamente dedicata e diretta da Marco Palma e alla pubblicazione di altri due volumi oltre a quelli già citati: Incunaboli a Ragusa (Viella, 2019) e Incunaboli a Cesena (Viella, 2020); mentre in fase di lavorazione vi sono Incunaboli ad Agrigento, Incunaboli a Cagliari e Incunaboli a Monreale.
Come per Incunaboli a Catania I, il lavoro è stato anticipato da un’importante attività di crowfunding che in soli quattro mesi ha portato non soltanto al raggiungimento ma anche al superamento dell’obiettivo prefissato, grazie alla sensibilità e alla generosità di ben 258 sostenitori (singolarmente citati nella Tabula gratulatoria). Accompagnato da un’attenta campagna di comunicazione attraverso social network, piattaforme di condivisione video e da importanti convegni nazionali e internazionali che hanno condotto a un’efficace disseminazione del progetto, Incunaboli a Catania II ha rappresentato un’occasione significativa di formazione che ben si inserisce nelle attività di ‘terza missione’ dell’ateneo catanese e ha visto la stretta collaborazione di AIB Campania e AIB Liguria. Infatti, nei mesi di gennaio e febbraio 2021 sono stati organizzati due corsi di formazione – entrambi tenuti da Simona Inserra – con l’obiettivo di fornire gli strumenti base di conoscenza per la descrizione degli incunaboli, con un focus sull’analisi degli esemplari e il trattamento di note di possesso, ex libris, note a margine, decorazioni e legature, e il cui intero ricavato è stato devoluto per la campagna di crowfunding; ogni partecipante è stato poi omaggiato con una copia del catalogo.
Tornando a quest’ultimo, Simona Inserra nella Premessa precisa che la descrizione dei 113 esemplari di edizioni quattrocentesche (1471-1500) conservate presso la Biblioteca regionale di Catania, già Biblioteca universitaria, segue «la prassi ormai consolidata, realizzata per la prima volta con il catalogo Incunaboli a Siracusa (2015)» (p. 7-8) e, infatti, l’ordinamento delle schede non rispetta quello tradizionalmente alfabetico per autori ma gli esemplari si susseguono secondo la segnatura di collocazione. Dopo il numero di scheda e la collocazione, sono riportate le note tipografiche; è presente una ricca bibliografia dell’edizione che cita, oltre ai più importanti repertori dedicati agli incunaboli, cataloghi italiani e stranieri e letteratura scientifica, non con intento di esaustività ma al fine di fornire quante più informazioni possibili in merito a ciascuna edizione.
Dopo la bibliografia dell’edizione compare quella dell’esemplare, che raccoglie notizie precedentemente pubblicate in relazione a ciascuna copia censita nel catalogo. Segue un’analisi approfondita degli elementi testuali e paratestuali con l’indicazione dei nomi degli autori, curatori, traduttori, dedicatori, dedicatari e il riferimento alle carte in cui è presente ciascun elemento riportato. La scheda continua con la descrizione fisica dell’esemplare, riporta il numero delle carte, il formato, la dimensione espressa in millimetri di una carta specifica con le misure relative allo specchio di scrittura e agli spazi bianchi, la fascicolazione, l’impronta, il tipo di carattere e le note di edizione con l’indicazione di eventuali decorazioni. Successivamente sono presentate le note d’esemplare, comprendenti note manoscritte, di possesso, ex libris, ex dono e tutti quegli elementi che si sono sedimentati sui singoli volumi con il passare del tempo. A chiusura, un’analisi accurata della legatura e dello stato di conservazione dell’esemplare.
A corredo del catalogo, il saggio Storia della Biblioteca – sempre a firma di Simona Inserra – ripercorre le tappe della storia della Biblioteca regionale universitaria di Catania dalla sua fondazione, nel 1754, fino al 1977, anno in cui l’istituto passa di competenza dallo Stato alla regione Sicilia, molto utile per un inquadramento delle vicende della biblioteca a cui si lega il contributo successivo sulla storia del fondo. In quest’ultimo Inserra fornisce preziose informazioni relative alle biblioteche di provenienza degli esemplari, notizie biografiche sui singoli possessori e approfondisce lo studio legato ai signs on books, consentendo di ricostruire la circolazione, l’uso e il consumo di questi esemplari con l’approccio metodologico adottato dal database Material evidence in incunabula (MEI) all’interno del quale, come per la prima impresa catanese, confluiranno tutte le informazioni. Seguono una Nota sulla conservazione, il corpus del Catalogo, una scheda dedicata a un esemplare dubbio – si tratta di un’edizione veneziana del Regimen sanitatis Salernitanum censita anche in Edit16 (CNCE 29564), presumibilmente postincunabolo – le fonti archivistiche e manoscritte, la Bibliografia, la Sitografia, Addenda et corrigenda ISTC, le concordanze tra il codice ISTC e i numeri delle schede del catalogo, infine l’Indice delle tavole e le Tavole.
Un ricco apparato indicale – redatto anch’esso da Inserra e articolato in indice cronologico delle edizioni, autori, opere, incipit, nomi di persona e di luogo, editori e tipografi, luoghi di edizione e possessori – risulta di rilevante importanza per l’organizzazione di punti di accesso differenziati, utili per l’immediato reperimento di informazioni di interesse diversificato.
Lavoro di ricerca esemplare, Incunaboli a Catania II, per il rigore scientifico e metodologico molto apprezzato dalla comunità scientifica e professionale e ampiamente collaudato dal consolidato gruppo di lavoro, il quale – come comunicato anche tramite i social – si è già messo all'opera sul promettente terzo volume.
Rosa Parlavecchia
Università degli studi di Napoli “Federico II”
La storia della biblioteca di Fëdor Michajlovič Dostoevskij non è poi troppo diversa dall’esistenza dello scrittore russo, una vita sofferta e movimentata. Così la sua raccolta di libri è rimasta compatta solo per brevi periodi e, per varie vicissitudini, ha subito perdite già durante la vita dello scrittore, per prendere poi ulteriori e misteriosi percorsi dopo la sua morte. Lo studioso di storia della spiritualità russa e greco ortodossa Lucio Coco ricostruisce le vicende di questa ‘biblioteca perduta’ attraverso gli elenchi giunti sino a noi, redatti negli anni dalla seconda moglie di Dostoevskij Anna Grigorev’na.
La storia della biblioteca del romanziere russo inizia nel 1849, anno in cui lo scrittore ventottenne viene arrestato e condannato a morte per attività sovversiva, poi graziato e condannato ai lavori forzati in un campo di lavoro in Siberia. Accompagna Dostoevskij in questa triste vicenda la lettura di una copia del Vangelo donatagli a Tobol’sk dalla vedova di un decabrista condannato durante il viaggio per Omsk, volume oggi conservato nel fondo di manoscritti della Biblioteca di Stato russa. Le pagine di questo libro, che sarà la sua unica lettura per i quattro anni successivi, porteranno i segni dei suoi tormenti, le sottolineature a matita e perfino con le unghie. Il Vangelo di Tobol’sk lo accompagnerà per tutta la vita insieme ai pochi libri che lo scrittore riuscirà a procurarsi durante i dieci anni di carcere e che costituiscono il nucleo originario della sua biblioteca. Dopo il ritorno a San Pietroburgo nel 1859 Dostoevskij riprende la sua attività di intellettuale e romanziere, ricomincia a leggere e ad acquistare numerosi libri. Purtroppo la sua raccolta libraria è destinata a smembrarsi, e non sempre per volere del suo proprietario. Una prima dispersione avviene, infatti, fra il 1867 e il 1871 per mano del figlio di prime nozze Pavel Isaev che, a corto di soldi, vende tutti i libri della biblioteca paterna mentre Dostoevskij e la moglie sono in viaggio in Europa. Dopo la morte dello scrittore seguono numerose vendite e donazioni da parte della vedova, che culminano con i saccheggi nella loro abitazione pietroburghese dopo lo scoppio della Rivoluzione nel 1917. Le vicende storiche segnano un ulteriore momento di disseminazione di questi libri, alcuni riemersi molti anni dopo in istituti di conservazione anche oltre i confini russi.
É grazie al censimento che ne fa Anna Grigorev’na che è possibile risalire ai volumi che occupavano le scaffalature della casa di San Pietroburgo, oggi sede del Museo Dostoevskij. Negli anni successivi alla morte del grande scrittore russo, Anna Grigorev’na si occupa dei materiali appartenuti al marito, così inizia ad annotare i libri in un primo elenco che va dal 1877 al 1890, scoperto nel 1917 da Leonid P. Grossman e conservato oggi nella sezione manoscritti del Museo statale della letteratura di Mosca. Negli anni a seguire verranno ritrovati in tutto quattro elenchi di libri appartenuti a Dostoevskij e compilati dalla moglie, poi raccolti in un unico catalogo edito nel 2005. Su questo si basa l’analisi che Lucio Coco fa, nella seconda parte del suo saggio, delle singole opere, arrivando così ad una ricostruzione attenta e ragionata divisa in quattro sezioni principali e numerose sottosezioni tematiche. I titoli raccolti arrivano a 549, dei quali ce ne rimangono oggi solo 29, conservati in varie biblioteche russe, oltre a diversi frontespizi e fogli sciolti annotati dallo scrittore. Scorrendo i volumi di questa biblioteca, un numero significativo è rappresentato dalle opere di letteratura europea: oltre a narratori e poeti russi, anche autori inglesi e francesi, da Byron a Dickens, da Balzac a Molière, Hugo, Zola. Ampio spazio è riservato alle raccolte dei classici greci e latini, ai volumi di storia, sia russa che mondiale, ai libri religiosi, suddivisi tra autori classici e moderni della tradizione russo-ortodossa.
Se la storia non ha risparmiato il patrimonio librario dostoevskiano da un destino severo, questo libro di contro offre l’opportunità di viaggiare idealmente tra gli scaffali e di scoprire quali sono state le opere che hanno nutrito e accompagnato l’immaginario del grande scrittore russo durante la stesura dei suoi capolavori letterari.
Valentina Silvestri
Soprintendenza archivistica e bibliografica del Veneto e del Trentino-Alto Adige
Nel suo volume pubblicato dall’Associazione italiana biblioteche, Chiara Di Carlo ci accompagna in un percorso di approfondimento sui gruppi di lettura (GdL), fornendo le giuste coordinate per orientarsi tra i modelli, le pratiche e gli strumenti propri di questo universo fortemente eterogeneo e dimostrando il ruolo primario che le esperienze di lettura condivisa possono svolgere nell’ambito della promozione della lettura e nell’allargamento delle sue basi sociali.
Nella prima parte della trattazione viene presentato l’argomento dal punto di vista teorico, delineando i caratteri distintivi dei gruppi di lettura e ripercorrendo le tappe storiche fondamentali che ne hanno determinato l’evoluzione: dal fenomeno anglosassone del reading groups movement fino alla spinta italiana che, a cavallo tra gli anni Novanta e il primo decennio del Ventunesimo secolo, ha visto il moltiplicarsi dei gruppi di lettura nati per iniziativa delle biblioteche pubbliche. Nella seconda parte vengono invece analizzate le dinamiche di interazione e le diverse tipologie di gruppo, proponendo alcune ‘buone pratiche’ derivate in gran parte dall’esperienza diretta dell’autrice, che nel 2018 e 2020 ha condotto indagini sul campo con l’obiettivo di valutare l’impatto delle pratiche di lettura condivisa nella vita dei lettori e le ricadute positive sulla comunità, raccogliendo dati essenziali anche ai fini della progettazione dell’offerta.
Il libro contribuisce dunque a delineare un quadro completo ed esaustivo di un’esperienza che si sta affermando sempre più nell’ambito delle politiche di lettura. A distinguere un GdL dalle altre attività che hanno per oggetto la lettura è, secondo l’autrice, la qualità della discussione: il confronto che si viene a creare è infatti «un atto sintetico […] e al contempo creativo» (p. 23), un prolungamento della lettura solitaria che contribuisce a creare nuovi significati condivisi.
Oltre a delineare i diversi ruoli e mansioni del coordinatore, del referente e del bibliotecario, Chiara Di Carlo si sofferma sull’analisi del target di riferimento, sul numero dei partecipanti e sulle variabili motivazionali rintracciabili in ciascun lettore, aspetti di notevole importanza per la creazione e il consolidamento di ogni gruppo di lettura. Vengono inoltre affrontate questioni tecniche come l’organizzazione del calendario, il setting degli incontri e il reperimento delle copie, per il quale si prospetta la possibilità di un acquisto-prestito a lotti, opzione già sperimentata dal Sistema bibliotecario Nord Est Milano (SBNEM) e dalla Rete bibliotecaria mantovana.
Una trattazione a parte è riservata al gruppo di lettura tematico, che si differenzia da quello tradizionale per la scelta di un argomento specifico da approfondire nel corso degli incontri. La specificità del tema si riflette inevitabilmente sulla tipologia dei participanti, sulla durata dell’esperienza e anche sulla scelta del coordinatore, al quale si richiede un ruolo di guida bibliografica. Un altro tipo di gruppo trattato è quello dei ‘giovani adulti’: come sappiamo questi ultimi rappresentano una delle categorie più difficili da soddisfare, pertanto si consiglia di adottare modalità di conduzione meno strutturate e di eliminare l’obbligo del libro uguale per tutti, che i ragazzi tendono a ricondurre alla lettura didattica. Una dimensione ormai imprescindibile, soprattutto quando ci si rivolge al pubblico giovanile, è la lettura in ambiente digitale: i nuovi strumenti tecnologici hanno reso possibile la creazione di GdL interamente online, che possono sfruttare le potenzialità offerte dalla enhanced reading.
Nel volume sono state prese in esame altre formule che si discostano da quella tradizionale, a partire dal gruppo di lettura in chiave ‘biblioterapica’, fino a quello ad alta voce o, viceversa, al silent book club, passando per le esperienze di lettura in lingua o quelle a carattere itinerante. L’autrice dedica un approfondimento anche alla Rete dei gruppi di lettura, piattaforma inaugurata da SBNEM nel 2012 e che offre ai GdL uno spazio virtuale dove poter tenere nota del proprio percorso negli anni, grazie alle schede anagrafiche degli iscritti, agli scaffali con le letture condivise, ai resoconti degli incontri e alle recensioni di gruppo.
Il libro si rivela un contributo prezioso per far luce su una pratica complessa e difficile da contestualizzare, sia a causa della scarsità delle rilevazioni e della loro natura prettamente quantitativa, sia per l’assenza di indicatori biblioteconomici che permettano di misurarne il valore socio-culturale. Con una trattazione scorrevole e puntuale, Chiara Di Carlo ci presenta dunque il gruppo di lettura come «un organismo vivente che ridefinisce continuamente la sua identità» (p. 8) e un’occasione unica per diffondere un’idea rinnovata di biblioteca, che diventa così un luogo privilegiato di incontro e inclusione per la comunità di appartenenza.
Simona Paolantoni
Roma
Dopo quasi diciotto anni dalla precedente edizione, compare questa nuova guida all’Archivio del ‘900 del Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (MART). All’epoca il polo museale di corso Bettini aveva appena aperto i battenti, ‘cuore vivo di un’identità culturale’ come lo aveva definito allora Gabriella Belli. Questa nuova edizione è frutto, come del resto la precedente, di un lavoro di squadra (la lunga lista dei collaboratori si può leggere alle p. 13-14) volto a mettere in luce le peculiarità delle raccolte, consistenti oggi in un numero più che doppio di fondi archivistici e librari rispetto alla quarantina del 2003, e a farne conoscere i contenuti.
Nell’introduzione – Una nuova guida – si precisa che questo nuovo lavoro si riallaccia idealmente a quello che lo ha preceduto, teso come è a favorire l’accesso alle raccolte anche da parte di un’utenza non specializzata. Diverso però è il quadro nel quale si inserisce. Negli ultimi anni infatti non solo il patrimonio di fondi archivistici e librari del MART è più che raddoppiato (dato che si riflette nelle dimensioni del volume, passato dalle 142 pagine del 2003 alle oltre 400 di oggi), ma anche l’attività stessa nel campo specifico è notevolmente cresciuta: pensiamo ai molti volumi pubblicati nelle varie collane e alle numerose esposizioni organizzate, anche in collaborazione con la Casa d’arte futurista Depero, ai prestiti e agli interventi di conservazione e restauro, senza contare le esperienze didattiche e i rapporti con i tanti enti, anzitutto l'Università degli studi di Trento e quella di Verona.
Sono stati pubblicati a stampa finora sei inventari, mentre il sito del Museo propone un innovativo approccio ai contenuti dell’Archivio. Infine nella catalogazione dei fondi librari si è scelto di valorizzare le biblioteche d’autore del Novecento, evidenziando le peculiarità degli esemplari quali note di possesso, dediche, inserti, ecc.
Una premessa storica precede le schede della Guida, soffermandosi sulle origini e la formazione dell’Archivio, nato dalla presenza di fondi documentari di artisti, architetti, critici d’arte, precedente alla nascita del Museo, istituito nel 1987 ereditando il patrimonio della Galleria permanente e museo Depero e in seguito arricchitosi grazie a una politica di investimenti nell’acquisizione di nuovi fondi. Negli anni Novanta si sono aggiunti importanti archivi futuristi, a partire da quello delle sorelle Angelini (domestica e segretaria di Marinetti) fino al fondo Cherini Morpurgo, acquisito nel 2018. Gli interessi si sono allargati con particolare attenzione all’architettura, grazie all’origine trentina di importanti personalità, ma anche con figure non legate necessariamente al territorio. Le relazioni, intessute soprattutto per l’attività espositiva del MART, sono state il veicolo per l’acquisto o il dono di archivi personali e professionali di artisti e di critici d’arte. Una svolta è sicuramente stata rappresentata dal deposito, nel 1998, dell’Archivio di nuova scrittura (ANS) fondato da Paolo Della Grazia, artefice del deposito, attraverso il quale il MART ha ampliato i propri settori d’interesse alle ricerche verbo-visuali internazionali, eredi delle sperimentazioni tipografiche del Futurismo. La presenza e la valorizzazione dell’ANS, ricco di 20.000 unità documentarie e di un fondo librario di 18.000 volumi e opuscoli datati dal 1756 al 2020, ha favorito l’arrivo di numerosi altri fondi sia archivistici che librari, ma anche di opere d’arte, legati al tema del rapporto tra parola e immagine. Oltre ad archivi di collezionisti sono stati acquisiti documenti relativi a poeti visivi, mail-artist, protagonisti dei movimenti di contestazione, graphic designer.
Le schede dei fondi, ordinate alfabeticamente, presentano in sequenza diversi dati, preceduti da una sommaria indicazione di consistenza: chi ha prodotto e raccolto la documentazione; come si è costituito il fondo e cosa vi è contenuto; quali sono i materiali di maggior spicco; se vi siano (e dove) altri fondi afferenti allo stesso soggetto; quali pubblicazioni si riferiscono strettamente al fondo. Si forniscono inoltre notizie sulla vita e l’attività dei produttori, non solo persone, ma anche altri soggetti. Vengono definiti ‘fondi’ i complessi documentari sostanzialmente integri, oppure i grandi nuclei di archivi, distinti dalle ‘carte’ (raccolte esigue e/o frammentarie). Si parla invece di ‘fondi librari’ anche quando non si può risalire né all’aspetto né alla sostanza di una biblioteca d’autore. I personaggi intorno ai quali si sono formate le raccolte sia archivistiche che librarie sono numerosi, di grande interesse e afferiscono a uno spettro tematico molto ampio: oltre a Fortunato Depero, si va da Carlo Carrà a Claude Lévi-Strauss, da Curzio Malaparte, al gruppo del Living Theatre, da Salvatore Quasimodo a Vanni Scheiwiller, da Margherita Grassini Sarfatti ad Alfredo Rocco (ministro e autore del famoso ‘codice’), che francamente non ci si aspetterebbe di trovare in questo contesto.
Non manca una piccola rubrica finale di ‘curiosità’, dalla quale apprendiamo ad esempio che tra le carte delle sorelle Nina e Marietta Angelini c’è una nota di spese domestiche di casa Marinetti che va da gennaio a luglio 1924. Oppure che l’invenzione della bottiglietta Campari, attribuita in una diffusa vulgata a Depero, è probabilmente da ascrivere a Campari, ispirato dal disegno di un bicchiere dello stesso Depero. E infine che il marchio del Pesce d’oro di Scheiwiller proviene dal nome di una trattoria milanese dove l’editore incontrava personaggi quali Sinisgalli, Quasimodo, Solmi e altri, mentre il logo sembra derivare da un’antica moneta siciliana.
Queste schede rappresentano un prezioso panorama generale delle risorse documentarie dell’Archivio, da consultare congiuntamente, per il ricercatore specializzato, al Catalogo integrato del MART (CIM, http://cim.mart.tn.it), con l’avvertenza che non tutti i fondi elencati nella Guida sono presenti all’interno di questo strumento.
Lorenzo Baldacchini
già Alma mater studiorum Università di Bologna