Negli anni di pandemia i bibliotecari hanno provato un gran desiderio di normalità e un acuto desiderio di stringere mani, incontrarsi, andare in biblioteca. Altrettanto intensa era la voglia di tornare al business as usual: il piacere di procedere lungo gli scaffali aperti, far circolare le informazioni presso gli utenti e creare contatti con il territorio di riferimento. Le barriere dovute alla distanza sociale sono ora in via di eliminazione e si intravede una luce in fondo al tunnel. Se la pandemia è giunta (quasi) al termine, improvvisamente, un’altra emergenza si profila all’orizzonte: la guerra in Ucraina.
Che cos’è una biblioteca normale? Essa consiste forse nell’attività quotidiana di acquisizione, selezione, elaborazione e circolazione delle informazioni? O anche nell’interrogarsi su chi diffonde tali informazioni, su come vengono instradate, chi le riceve e perché? È normalità fornire servizi alle persone, alla stessa stregua di ogni altro ufficio di pubblica natura, o è anche dovere delle biblioteche contribuire alla felicità sociale, soddisfacendo i bisogni informativi personali e incoraggiando lo sviluppo individuale? La normalità ha molte facce e la sua natura emerge pienamente solo quando le biblioteche si confrontano con l’imprevedibile. È allora che l’alieno irrompe nella vita quotidiana e la storia – la grande e la piccola storia – prende piede nell’ordinaria amministrazione e inaugura così una nuova era bibliotecaria.
Cominciamo con la piccola storia. Secondo il giornale online bb-cntv (che cita il sito russo Fontanka, 7 aprile)1, Olga Kaganovskaya, capo del dipartimento cultura della Biblioteca nazionale russa di San Pietroburgo, è stata oggetto di sanzioni e si è infine dimessa per aver esposto, durante la “Felice giornata dei lavoratori culturali!” un poster con la foto del filologo e semiologo russo Yuri Lotman, morto nel 1993.
Professore all’Università di Tartu e uno dei fondatori della scuola semiotica di Mosca-Tartu, Lotman ha pubblicato opere di notevole spessore, tradotte in diverse lingue. Il suo curriculum è impeccabile, almeno quanto la sua reputazione – questa è l’opinione del personale del Dipartimento Cultura della biblioteca. Per sventura, uno zelante agente di sicurezza della biblioteca ha riconosciuto nella faccia oblunga, nei baffi e nell’aspetto scapigliato di Lotman il ritratto di Mark Twain. E infatti la somiglianza di Lotman con lo scrittore americano è impressionante. Mosso da ardore patriottico, l’agente strappa il poster; in sua difesa giunge la consigliera del direttore generale della Biblioteca nazionale russa; entrambi accusano la signora Kanagovskaya di ‘propaganda estremista e di terrorismo’. Olga Kaganovskaya, dipendente della Biblioteca nazionale russa da 24 anni, si è dimessa il 28 marzo, su sua richiesta.
In un mondo libero, un episodio del genere sarebbe stato occasione di ilarità, di scuse imbarazzate, o di un brillante esercizio di serendipità. La normalità assume però un aspetto diverso sotto la dittatura, dove ogni slancio è visto con sospetto e in ogni Faust si nasconde Mefistofele. Negli stati democratici, le biblioteche sono istituzioni vibranti che forniscono accesso libero all’informazione e contribuiscono allo sviluppo della libertà intellettuale e dei diritti civili universali. All’interno di regimi autocratici e paranoici, le biblioteche possono invece trasformarsi in cinghie di trasmissione dell’ideologia dominante ed essere esse stesse strumenti di propaganda.
C’è poi la Storia con la ‘h’ maiuscola – una narrazione di esodi, di popoli in fuga da teatri e crimini di guerra. Il 24 febbraio Eblida, Naple e PL2030 hanno pubblicato una Dichiarazione europea congiunta di condanna del barbaro attacco della Federazione Russa contro l’Ucraina – un’aggressione che è in contrasto con qualsiasi principio fondamentale di società ostenibile, democratica ed equa2. Nei giorni successivi, altre associazioni di biblioteche, nazionali e internazionali, si sono unite per deprecare l’invasione russa, in solidarietà con il popolo ucraino3.
Perché le biblioteche dovrebbero prestare tanta attenzione alla politica? In che modo questa è collegabile al lavoro bibliotecario? La risposta è semplice: perché la democrazia e lo sviluppo sostenibile nelle biblioteche non sono parole vuote, ma fondamenti essenziali di pace e prosperità; perché le biblioteche sono spazi aperti di dialogo e riconciliazione; perché la parità di accesso all’informazione può svilupparsi solo in un mondo in cui ogni cittadino gode di pari opportunità e capacità di sviluppo personale.
In tempi difficili, normalità in biblioteca significa quindi dare corso a un’antica tradizione di accoglienza ai rifugiati, fornendo loro libri e altri media e garantendo l’accesso all’informazione. Le biblioteche dovrebbero anche garantire l’istruzione delle persone in esilio, specialmente di bambini e di giovani, e organizzare corsi di base per acquisire i primi elementi della lingua dei paesi ospitanti.
Durante la pandemia, i bibliotecari hanno abbandonato pratiche incrostate e abbracciato coraggiosamente la nuova ‘normalità’ della biblioteca digitale e della biblioteca ‘fuori di sé’ che, oltre il proprio perimetro, si proietta verso i suoi utenti. I bibliotecari hanno agito con passione, flessibilità e creatività definendo nuovi ruoli, servizi inediti e tanti modi di aiutare le comunità di riferimento.
Questi anni saranno difficili da dimenticare. Essi mostrano, però, in che consiste la vera normalità bibliotecaria. Oltre il vecchio e il nuovo, l’ordinario e l’extra-ordinario, l’analogico e il digitale, si tratta di stare vicino alle persone in difficoltà e in disgrazia, di rimanere in contatto con la vita reale e ascoltare le ragioni di chi non può, e non deve, essere lasciato indietro.
Giuseppe Vitiello