Cristina Baldi, Anna Bernabè, Adriano Bertolini, Paola Iannucci, Marcella Rognoni, Serafina Spinelli, Milena Tancredi
The broader academic enterprise is increasingly collaborative and consortial. The roles played by special collections in teaching, learning, and research often extend beyond the local institution to influence its position among its peers. […] As our directors recalibrate their investment around collaborative action, where are our special collections positioned “as components of the academy’s knowledge resources?”
Lisa R. Carter, 20121
Il patrimonio culturale di una biblioteca accademica è legato indissolubilmente alla storia dell’istituzione universitaria che lo conserva, ove si trova in virtù delle relazioni che essa ha intessuto, delle reti nelle quali ha operato (od opera). Non è raro riscontrarlo correlato a quello di altre istituzioni, come testimoniano le provenienze che caratterizzano esemplari custoditi in biblioteche diverse, geograficamente vicine ma non solo; e anche i fondi di persona dell’epoca contemporanea, frequentemente destinati alle biblioteche da parte degli studiosi che vi hanno lavorato, possono rivelarsi ‘miniere’ di storie e relazioni, pubbliche e private2. Valorizzare tale patrimonio significa anche riscoprire le relazioni storicamente costituitesi fra l’università e altri soggetti, e riconoscere nel patrimonio stesso non solo una risorsa per la creazione di conoscenza ma pure – richiamando Lisa R. Carter – un fondamento per collaborazioni, che amplifichino l’efficacia delle knowledge resource di ciascuna istituzione.
Il patrimonio culturale può dunque essere una delle risorse su cui poggiare una rete di biblioteche accademiche (ma non solo), una rete che radichi la propria strategia su evidenze storiche prima ancora che gestionali. Se ogni biblioteca, nodo della rete, è frutto di una complessità di eventi e relazioni, «the library identity may be perceived as a testimony of those who created and designed it, of the will and tastes of those who acquired and formed the collection, but also the purposes of those who, over time, sought knowledge there»3. Con queste parole Maria Isabel Roque e Dália Guerreiro si riferiscono alla biblioteca quale tourist destination, offrendo spunti per delinearne il ruolo culturale nel contesto in cui si esprime; è questo l’approccio interpretativo della valorizzazione che si individua nel progetto Storie di libri e palazzi, l’itinerario turistico-culturale che il Sistema bibliotecario dell’Università di Ferrara ha inaugurato nel 20184.
L’iniziativa fu segnalata ad AIB in occasione dell’indagine sulla progettualità legata all’Agenda 2030 dell’ONU5 attuata nelle biblioteche emiliano-romagnole (2020-2021)6; in questa sede si evidenziarono le linee d’azione del progetto ferrarese dedicate ai pubblici con disabilità e sottese all’impegno per l’‘inclusione’: tale aspetto avrebbe poi condotto Storie di libri e palazzi al prestigioso riconoscimento del Premio AIB “Maria A. Abenante”7.
L’itinerario biblioturistico ferrarese, infatti, si propone di tradurre la relazione virtuosa fra pratiche culturali e salute, relazione che diventa strumento di equità sociale e, collegandosi al concetto di ‘welfare culturale’8, proietta l’azione verso orizzonti strategici ancora in parte da esplorare. Il progetto intende sensibilizzare alla conservazione del patrimonio culturale, contribuire all’‘istruzione di qualità’, agevolare l’equo accesso alla cultura – lavorando in partnership e incoraggiando l’acquisizione di nuove competenze fra i soggetti coinvolti: l’allineamento degli indirizzi di Storie di libri e palazzi alle istanze dell’Agenda 2030 si esplicita nel tentativo di operare un ‘cambiamento’ nei pubblici destinatari, nelle loro conoscenze, nel loro rapporto col patrimonio e col territorio.
Fra gli attori che oggi, nel mondo bibliotecario, scelgono di abbracciare la cornice strategica dell’Agenda 2030, vi è proprio una delle più mature esperienze di rete di biblioteche accademiche, la Red de Bibliotecas Universitarias y Científicas Españolas (Rebiun), che contempla nel proprio piano strategico 2020-2023 la meta di «impulsar la contribución de las bibliotecas universitarias y científicas a la Agenda 2030»9. Le biblioteche di università e istituti di ricerca, in Spagna, sono pertanto incoraggiate alla progettualità sul fronte dello sviluppo sostenibile e supportate nella loro attività, grazie a un comune terreno di studio e opportunità.
Cogliendo spunto anche dall’esperienza della rete spagnola, che da anni si dedica pure alla gestione delle colecciones patrimoniales entro una dimensione collaborativa10, in che modo le biblioteche accademiche possono, in Italia, oggi, declinare l’azione di valorizzazione del proprio patrimonio culturale affinché la cultura sia ‘fattore abilitativo’ e ‘guida’ del ‘cambiamento’ raccomandato dalle Nazioni unite11? Attraverso quali strumenti l’adesione a quest’ottica può contribuire a riconfigurare il ruolo strategico delle biblioteche accademiche, sia nell’università sia al di fuori di essa?
Un workshop, organizzato dal Sistema bibliotecario di ateneo dell’Università di Ferrara (SBA Unife) e da AIB, tenutosi a Milano l’11 marzo 2022 quale evento collaterale del Convegno Stelline, ha tentato di avviare una riflessione in merito12. Ciò che è emerso con maggiore forza, dalle relazioni e dal dibattito, è stato proprio il ‘bisogno di fare rete’ fra biblioteche accademiche, per la terza missione: c’è ‘bisogno’ di mettere a fattor comune risorse e competenze, di creare spazi di confronto sulle buone pratiche, di condividere strumenti per far emergere con oggettività il ruolo strategico svolto dalla biblioteca che opera per la terza missione, entro e per l’ateneo. Pare dunque opportuno proseguire il ragionamento su questo fronte, reputando i tempi ormai maturi per una progettualità di terza missione ‘estesa’ a opportunità strategiche a essa legate a doppio filo, che si apra a orizzonti di sempre più ampio respiro.
Il tema della terza missione nelle biblioteche accademiche è stato ampiamente analizzato e discusso in molte occasioni e illustrato in tutti i suoi aspetti. La bibliografia è vastissima: un semplice sguardo alla Bibliografia ragionata e all’impianto delle note in calce al volume di Maria Cassella, Biblioteche accademiche e terza missione (2020)13, è sufficiente per avere un’idea di quanto effettivamente sia stato prodotto in ambito scientifico su questo argomento anche solo negli ultimi quindici anni. Appare dunque evidente che la terza missione, nelle biblioteche accademiche, non solo si fa, ma anche si studia.
Non sembra certo un caso il fatto che fino al 2015 le linee guida dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) sulla terza missione restringessero il ruolo delle biblioteche nei confini delle strutture dipartimentali (ignorando tra l’altro l’esistenza dei sistemi bibliotecari)14, determinandone nella pratica l’esclusione; e solo a partire dal 2018 le linee guida per la compilazione della Scheda unica annuale Terza missione e impatto sociale (SUA-TM/IS) includono le biblioteche e le emeroteche storiche nella sezione relativa alla “Gestione del patrimonio e delle attività culturali”, aprendo per lo meno agli aspetti correlati alla conservazione e valorizzazione del patrimonio documentale di pregio15.
Nel web, e in particolare nei siti dei sistemi bibliotecari italiani, è senza dubbio rilevabile un alto numero di iniziative di terza missione, alcune delle quali particolarmente interessanti: tuttavia, a dispetto della varietà dei casi e delle elevate competenze prestate dai bibliotecari alla terza missione (realizzazione di digital library per i beni storico-culturali, supporto all’open access e all’open science ecc.), queste iniziative tendono a risultare in generale poco considerate, scarsamente diffuse e non sistematizzate, producendo una sorta di marginalizzazione dei sistemi bibliotecari proprio nel momento in cui gli atenei – sulla spinta della valutazione – pongono invece la massima attenzione a questa funzione.
Per contrastare la dispersione di energie diventa quindi fondamentale approfondire e sistematizzare lo studio dei casi, raccogliere dati e mostrarli, per valorizzare e rendere il più possibile conosciute e – possibilmente – misurabili le esperienze, orientare la riflessione in senso applicativo, e aprire un confronto che conduca allo sviluppo di idee e realizzazioni concrete e metta in risalto gli aspetti professionali correlati.
Ci si presenta dunque una serie di interrogativi, a cui uno studio ragionato dei casi potrebbe dare risposta:
Sorte nella sfera tecnico-professionale dei sistemi bibliotecari, archivistici e/o museali, le digital library per i beni storico-culturali concretizzano perfettamente la fusione tra gli obiettivi della ricerca aperta, quelli della valorizzazione del patrimonio e dell’apertura al territorio: tecnicamente sono repository per la conservazione a lungo termine di oggetti digitali ma, oltre a costituire una fonte importante per la ricerca storica, sono effettivamente un chiaro presidio di terza missione in quanto sostengono l’accesso aperto alla conoscenza, sono spesso sistemi partecipati (tra istituzioni accademiche, o sul territorio), possono costituire uno strumento di citizen science e public engagement, e infine superano virtualmente il tradizionale confine tra biblioteche, archivi e musei.
Le competenze necessarie alla realizzazione e allo sviluppo di una digital library per i beni storico-culturali costituiscono tecniche e prassi consolidate: l’implementazione e la gestione di un repository non si discosta dalle attività di implementazione e gestione di cataloghi; la conoscenza dei principi di interoperabilità dei sistemi, degli standard descrittivi nazionali e internazionali, dei sistemi di metadatazione; lo studio delle interfacce e delle strategie di ricerca; e ancora, la confidenza con il diritto d’autore e di copyright, l’abitudine al rapporto con organismi nazionali e internazionali, le conoscenze sulla conservazione e il trattamento fisico dei materiali antichi e di pregio fino alle tecniche di digitalizzazione, sono tutte attività che evidenziano come la figura del bibliotecario sia in grado di mettere a disposizione di una azione di terza missione un bagaglio di conoscenze e capacità professionali vecchie e nuove, ma sempre profondamente caratterizzanti.
Nell’ottica della terza missione, la digital library diventa tra l’altro per la biblioteca accademica una occasione preziosa per allacciare o riallacciare le relazioni con il territorio, affievolite nel tempo a causa della estremizzazione del supporto alla ricerca, che per anni ha assorbito la maggior parte delle energie dei sistemi bibliotecari determinandone una sorta di introversione. E nella relazione con il territorio includiamo non solo un rapporto più diretto con la cittadinanza, ma anche e soprattutto con le istituzioni: regioni, enti locali, associazioni, istituzioni archivistiche e museali interne ed esterne agli atenei.
Il contributo delle biblioteche accademiche alla terza missione si dispiega negli atenei attraverso ben più ampie linee d’azione rispetto a quella, esemplificata, della digitalizzazione dei beni culturali: la valorizzazione del patrimonio antico e di pregio (fondi speciali, collezioni storiche, biblioteche d’autore) si esplica nella elaborazione di progetti di recupero catalografico, oltre che nella produzione di mostre, presentazioni, eventi in biblioteca; l’accoglimento di personale di servizio civile, tirocinanti, o studenti delle scuole superiori, incrementa il reciproco scambio di esperienze con la società civile; le azioni di supporto all’open science e open access spingono le biblioteche verso la citizen science; l’apertura, un tempo non scontata, delle biblioteche accademiche all’utenza non istituzionale, e le convenzioni e il networking con altre biblioteche e istituzioni culturali rafforzano il rapporto degli atenei con il territorio; l’estensione dell’orario di apertura alle fasce serali e al fine settimana e la nuova concezione degli spazi, maggiormente orientati alla socialità e al learning space testimoniano uno sforzo evolutivo che rende più fluido il rapporto tra didattica, ricerca e terza missione.
Si tratta di una miriade di azioni che si svolgono nel perimetro della terza missione, diventate ormai la norma nelle biblioteche accademiche ma di cui purtroppo, in mancanza di un sistema coordinato di raccolta, repertoriazione e comunicazione dei dati, non è possibile cogliere la portata globale (anche quantitativa, oltre che qualitativa).
Sorge dunque, con forza, un ultimo e fondamentale interrogativo: come rendiamo visibile e concretamente misurabile l’enorme lavoro che a livello nazionale le biblioteche accademiche stanno svolgendo per la terza missione? È possibile far emergere e rendere evidente questa mole di iniziative e, in ultima analisi, il grande contributo che le biblioteche accademiche danno alla terza missione degli atenei?
Un primo importante passo in questo senso sarebbe senza dubbio quello di concepire e costruire un portale italiano che in qualche modo raccolga e metta a sistema le esperienze di terza missione delle biblioteche accademiche: oltre alla diffusione delle iniziative tramite i propri canali, le biblioteche accademiche disporrebbero di uno spazio online, collettore di una grande quantità di contenuti e dati, che ne aumenterebbe la visibilità e offrirebbe un unico punto d’accesso a tutte le informazioni sugli eventi di terza missione passati o in programmazione nelle biblioteche. Pur senza nascondere l’obiettiva difficoltà della misurazione quantitativa e qualitativa delle azioni di terza missione, l’istituzione di un portale nazionale potrebbe sicuramente facilitare l’elaborazione di criteri omogenei, con il valore aggiunto di migliorare la comunicazione, la condivisione e lo scambio di informazioni, e stimolare il confronto costruttivo tra i sistemi bibliotecari degli atenei.
Abbiamo in effetti assistito negli ultimi anni a qualche timido tentativo di rilevazione delle attività di terza missione delle biblioteche universitarie, con un approccio che potremmo definire di tipo ‘censuario-esplorativo’, ma siamo ancora lontani da un pieno riconoscimento del ruolo delle biblioteche da parte dei principali organismi e progetti nazionali. L’Anvur si limita tuttora a citare, per la Valutazione della qualità della ricerca (VQR) degli atenei, il ruolo delle biblioteche ed emeroteche storiche nella produzione e gestione di beni artistici e culturali. L’Istat, nel questionario predisposto per l’Indagine sulle biblioteche delle università statali (2019)16, presenta una lista tutto sommato nutrita di attività di terza missione, e invita le biblioteche a dichiarare le tipologie erogate ma senza fornire ulteriori dati a corredo. Il progetto Good Practice del Politecnico di Milano, pur avendo dichiarato qualche anno addietro il proprio interesse a rilevare le attività di terza missione delle biblioteche, ha rivisto il protocollo dei servizi bibliotecari ma non ha inserito le attività specifiche di terza missione17.
Ancor più lontana appare la prospettiva di tentare una valutazione di impatto della terza missione. Dal momento che il suo concetto base dovrebbe essere quello del trasferimento delle conoscenze prodotte dalle attività di ricerca accademica, per contribuire allo sviluppo sociale culturale ed economico del territorio e della società, forse avrebbe senso riflettere su come valutarne i risultati intercettando fenomeni che ne rappresentino gli effetti sul territorio o sul contesto sociale. Ad esempio le ricadute sulla salute, sull’occupazione, sul turismo, sulla produzione industriale, sulla scolarizzazione, sulle professioni, ma è ovvio che valutazioni di questo genere richiederebbero uno sforzo che va ben oltre le possibilità delle sole biblioteche e dei sistemi bibliotecari degli atenei.
Tornando a essi, sembra dunque ormai necessaria e non più rimandabile la creazione di un portale strutturato per la raccolta sistematica delle iniziative di terza missione, aperto alla contribuzione di tutti i sistemi bibliotecari, che fronteggi la frammentazione e la dispersione delle iniziative e delle energie, superando il blocco comunicativo, incrementando il confronto e lo scambio di idee, valorizzando le esperienze compiute e collocando quindi le biblioteche accademiche, in modo completo, netto e misurabile, nel campo della terza missione.
Per una biblioteca accademica, oggi, che cosa significa, metodologicamente, ‘valorizzare’ operando per la terza missione18? Nel senso più profondo, vuol dire mettere a disposizione di tutti il patrimonio in quanto risorsa per la creazione di conoscenza, attraverso gli strumenti che sono propri di un ateneo, incluse le reti che l’università intesse attorno a sé. È un’ottica, questa, che pone al centro le persone, come fruitori ma anche come protagonisti della valorizzazione, concretizzando gli innovativi auspici della Convenzione di Faro19 entro la cornice operativa dell’università, che amplifica il beneficio per la collettività perché è funzionale per propria natura a restituire le radici della complessità del presente, di cui il patrimonio è evidenza.
Così, nel contesto accademico, è nato il progetto Storie di libri e palazzi: itinerari fra le biblioteche di Unife, concepito da subito quale attività di terza missione legata a un bisogno percepito di conoscenza del patrimonio culturale dell’ateneo ferrarese. Primo intento dell’iniziativa era contribuire alla valorizzazione dei fondi antichi e di pregio conservati nelle biblioteche e di alcune eccellenze del Sistema museale, tutti collocati in importanti edifici storici. Sono strutture architettoniche che costituiscono punti significativi del tessuto urbano di Ferrara, sulle quali negli ultimi cinquant’anni l’ateneo ha investito risorse per restauri e adattamento funzionale; esse, dunque, meritano di essere valorizzate, specie nella prospettiva di Ferrara come città-campus, sito Unesco Patrimonio dell’Umanità, entro una dimensione di prossimità che consente di raggiungere le diverse tappe dell’itinerario turistico-culturale a piedi o in bicicletta20. I ‘contenitori’ (palazzi, biblioteche) e i ‘contenuti’ (fondi librari e museali) sono dunque i due ‘livelli’ del progetto che, negli anni, si è gradualmente arricchito di nuovi elementi, e ha abbracciato strategie di condivisione del patrimonio culturale a favore di una comunità sempre più ampia.
Storie di libri e palazzi è stato presentato alla città il 25 ottobre 2018, con il patrocinio del Comune di Ferrara e della Regione Emilia-Romagna, e inaugurato tre giorni dopo con un’apertura domenicale straordinaria delle sedi, che ha registrato 781 visitatori. L’iniziativa è stata accreditata fra gli eventi dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018.
Il progetto, tuttora in divenire, è parte delle attività di conservazione e valorizzazione delle collezioni storiche e di pregio intraprese dal Sistema bibliotecario, ed è coerente con le specifiche istanze dei ‘piani di mandato’ dei rettori che si sono avvicendati alla guida dell’ateneo negli ultimi cinque anni21. Fruibile in presenza e a distanza, l’itinerario offre una proposta sostenibile e inclusiva; fin da subito si è inteso operare per il coinvolgimento di pubblici diversi, adottando strategie differenti per promuovere il «diritto di partecipare alla vita culturale», sancito dall’art. 27 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e richiamato nell’art. 1 della Convenzione di Faro: ci si è rivolti non solo ai cittadini ferraresi ma anche ai turisti, con specifica attenzione ai più giovani e alle scuole della città, sono state intraprese attività dedicate al mondo della disabilità, è stata incoraggiata la partecipazione della comunità accademica.
I contenuti informativi, veicolati attraverso una specifica identità visiva, sono stati resi fruibili in forma sintetica nelle singole tappe dell’itinerario attraverso totem recanti testi in italiano e inglese22. Altri contenuti si trovano nel sito web del progetto, e sono altresì consultabili attraverso una app per dispositivi mobili, realizzata da un’azienda del territorio: il percorso è stato così fruibile, seppure solo virtualmente, anche nel periodo di chiusura delle sedi a causa della pandemia23. Dal 2019 i contenuti sui palazzi sono accessibili anche dal portale Tourer.it, sviluppato dal Segretariato regionale emiliano-romagnolo del Ministero della cultura per favorire la conoscenza del patrimonio diffuso della regione24.
Per tutte le declinazioni del progetto, la metodologia di lavoro si è basata in primis sulle collaborazioni, intra e interistituzionali, alleanze che si sono altresì dimostrate determinanti per il coinvolgimento di pubblici nuovi per le biblioteche dell’ateneo.
Fra esse è un’esperienza di alternanza scuola-lavoro, durante la quale alcuni studenti del liceo scientifico cittadino sono stati affidati a referenti bibliotecari e, sotto la supervisione di essi, hanno elaborato i testi informativi dell’itinerario, oltre a svolgere il ruolo di guida durante la giornata inaugurale25. Gli elaborati degli studenti del liceo sono poi stati alla base di uno dei primi output del progetto: un e-book ad accesso aperto che raccoglie i testi sulla storia delle biblioteche, degli edifici storici in cui esse hanno sede e dei fondi speciali lì conservati26. E in questo caso ci si è avvalsi della sinergia con alcuni docenti dell’ateneo, che hanno curato la revisione finale dei contenuti sui palazzi, sugli affreschi e sulle collezioni storiche; il Sistema museale di ateneo si è occupato di scrivere su alcune delle collezioni scientifiche e sull’orto botanico; i testi sui fondi speciali delle biblioteche e sulla storia delle strutture, invece, sono frutto del lavoro dei bibliotecari. Non è poi mancato l’apporto dei privati: la storia dei giardini e delle corti è dovuta alle competenze di un’associazione di promozione sociale della città27, mentre le numerose fotografie che illustrano l’edizione sono state fornite non solo da personale dell’Università di Ferrara, ma anche da enti esterni e privati cittadini.
Vi si riconosce dunque, complessivamente, un progetto ‘di rete’: esso, grazie alle molte collaborazioni esterne, è stato contemplato entro manifestazioni culturali ed eventi scientifici, a livello sia nazionale sia internazionale28.
Fin dagli inizi, Storie di libri e palazzi è stato pensato anche per i pubblici più giovani e, per agevolare la fruizione del percorso da parte di essi, l’autore ferrarese per ragazzi Luigi Dal Cin ha composto un racconto-guida ove ha riadattato i risultati delle ricerche compiute entro una narrazione fantastica illustrata29. Gli stessi totem informativi contengono brevi passi tratti da questo testo, che di fatto costituisce un fil rouge parallelo rispetto a quello pensato per gli adulti
Ai totem, nel 2021, sono stati apposti sensori NFC (near field communication) che consentono anche ai pubblici con disabilità visiva di ascoltare audioguide attraverso l’app per dispositivi mobili. L’apertura al mondo della disabilità si era tuttavia già declinata in precedenza con la pubblicazione di 32 video nella lingua italiana dei segni (LIS), realizzati grazie alla sinergia del SBA Unife con il Coordinamento alle politiche delle pari opportunità e disabilità dell’ateneo e con l’Associazione per l’inclusione di udenti e sordi (Aidus)30.
Nell’ultimo anno lo SBA Unife ha intrapreso un’indagine per acquisire elementi utili alla valutazione d’impatto di Storie di libri e palazzi attraverso due questionari: uno rivolto a tutti i collaboratori al progetto, l’altro a effettivi e potenziali fruitori dei video in LIS; si auspica che l’analisi dei risultati permetta di acquisire informazioni per gli sviluppi del progetto stesso, consolidando l’impegno dello SBA Unife per l’inclusione e in risposta agli Obiettivi 4, 8, 10 e 11 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
In un piccolo libretto uscito poche settimane fa per i tipi di Einaudi, Leonardo Caffo31, ragionando sulla dimensione contemporanea dell’agire umano nell’epoca della crisi planetaria, contrappone al termine ‘sostenibilità’ – ancora troppo antropocentrico secondo l’autore – il concetto di ‘stabilità’, sinonimo non di stasi, ma di equilibrio. Paradossalmente un sistema stabile è un sistema dinamico, dove le varie forze – fisiche, ma anche sociali, antropiche, biologiche ecc. – trovano un assetto reciprocamente vantaggioso che permette l’esistenza di tutto il sistema. Pare dunque utile intraprendere quest’ultima riflessione a partire da un ripensamento sia del nostro agire quotidiano (il ‘particolare’) sia della strategia a medio e lungo termine (il ‘generale’).
Maria Antonietta Abenante e Pieraldo Lietti, chiedendosi qual è la relazione che intercorre fra sostenibilità e inclusione, affermano che la seconda è «la risposta ai problemi pressanti dell’isolamento e della fragilità nell’epoca del mercato e della modernità liquida»32.
Che ruolo ha la cultura in tale ‘risposta’? Milena Tancredi, durante il workshop milanese dell’11 marzo 2022, nel ricordare le motivazioni che avevano portato all’assegnazione a Storie di libri e palazzi del secondo posto ex-aequo al Premio intitolato alla stessa Abenante33 (2021), ha detto che «la cultura salva le anime» – e l’essenza del Premio ne è dimostrazione.
La Giuria, in quell’anno presieduta da Tancredi34, aveva infatti riconosciuto nel percorso turistico-culturale dell’ateneo ferrarese l’idea portante di favorire l’inclusione di tutti i pubblici. Dal verbale dei giurati si apprende che del progetto è stato apprezzato sia l’intento di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale delle biblioteche e del Sistema museale di ateneo, attraverso la ‘scoperta guidata’ dei beni storico-architettonici e delle collezioni antiche e di pregio, sia il fatto che da qui si è partiti per coinvolgere studenti e docenti, e per agevolare la trasmissione dei contenuti anche ai pubblici con disabilità, delineando così un complesso «di grande interesse per le modalità adottate e per gli strumenti a supporto delle svariate attività»35. La dinamica collaborativa ha previsto una vera e propria formazione reciproca fra il mondo dell’università, quello della scuola e il terzo settore, attraverso la mediazione dei bibliotecari, al fine di creare inclusione e strategie comunicative per diversi pubblici. È questa una contestualizzazione della terza missione aderente ai requisiti e alle finalità del Premio, laddove la strada tracciata da Maria Antonietta Abenante rappresenta un’opportunità strategica, innovativa, che ha sollecitato l’organizzazione del workshop al Convegno delle Stelline 2022.
Sono passati pochi mesi dall’evento ma già questo breve lasso di tempo ha segnato un’evoluzione esponenziale di quei segnali di crisi di cui già allora si discuteva. Prima fra tutte la crisi energetica, che nella narrazione attuale e nel senso comune appare come un flagello divino inevitabile e inarrestabile, mentre altro non è che il punto di caduta prevedibile di un modello sociale già attraversato da una profondissima crisi di sistema (due punte emergenti: il conflitto russo-ucraino e l’emergenza pandemica). Che significa da questa prospettiva ripensare la nostra azione? Professionale soprattutto, ma anche politica, sociale, umana?
Fare uno scatto in avanti per uscire dalle strettoie del tecnicismo della professione, prendere coscienza della collateralità del settore bibliotecario in un mondo sempre più intricato, rendersi conto con azioni e atti coerenti che ‘fare ricerca’ e ‘produrre saperi’ nel nostro ‘mestiere’ deve e può essere cosa lieve e leggera (fare le cose con grande serietà, ma senza prendersi troppo sul serio). Questo non solo è necessario ma è indispensabile per contrastare la logica algida e denaturante dell’algoritmo, per ritrovare la dimensione della relazione umana, del rapporto tra storia e memoria, racconto e previsione, passato e futuro. La qualità dell’informazione – per professionisti di questa disciplina – deve prevalere sulla quantità della stessa. Sul troppo che non dice nulla, o che dice sempre la stessa cosa.
La nostra educazione ci ha inculcato un modo di pensare incapace di collegare le conoscenze per affrontare le complessità delle nostre vite, delle nostre società, della nostra storia, del nostro tempo. I concetti unilaterali, quindi parziali, dominano le menti […]. Siamo incapaci di concepire le ambivalenze, le ambiguità e le contraddizioni del progresso36.
L’elemento di curiosità e di ‘straniamento cosciente’37 pare essere la stella polare del progetto ferrarese appena illustrato. È un lavoro che ha saputo tenere insieme la parte descrittiva e concreta (il contesto storico, il patrimonio, la materialità degli oggetti – libri e palazzi) con quella più evocativa e astratta (le storie legate all’evoluzione dei luoghi, le sensazioni che trasmettono ai visitatori le immagini, le parole, le forme incontrate, la sedimentazione e la stratificazione dei vissuti presenti tra pagine e stanze), entro pratiche messe in atto per raggiungere gli individuati Obiettivi di sviluppo sostenibile. Quest’ultima è dunque la via che conduce all’opportunità strategica delineata dalle Nazioni unite, contribuendo ad aprire una breccia nella ‘torre d’avorio’ delle biblioteche accademiche, spesso isolate dal contesto pubblico urbano e civile circostante.
Sono questioni già ampiamente trattate e di grande rilievo che meritano grande attenzione e possono, anzi debbono essere rese note ed esportate in altre realtà e contesti. Sono però anche questioni che stanno al di qua di quel confine, al quale si è accennato all’inizio del paragrafo, che separa il mondo di ieri da quello che abbiamo di fronte. Senza nulla togliere al merito e alla qualità del lavoro fatto che, con una metafora architettonica, resta una colonna su cui poggia l’arco di volta che chiude l’edificio, bisogna fare un passo in avanti.
Rimanendo nella metafora precedente, occorre ripensare e riprogettare il rapporto tra spazio e volume, tra pieno e vuoto. Nel concreto del ‘mestiere’, ripensare radicalmente il ruolo di mediatori tra chi cerca e l’oggetto cercato: non è più sufficiente esercitare l’esercizio critico di studio e di vaglio delle fonti. Resta presupposto di partenza, ma non basta. Come non basta fermarsi ai pur nobili Obiettivi dell’Agenda 2030: nessuno in buona fede può dichiararsi contrario a quei traguardi. Ma nessuno, oggi, può ritenerli seriamente raggiungibili nei tempi indicati, e, soprattutto, nessuno può ritenerli sufficienti per governare la crisi che stiamo vivendo.
Senza la presunzione di dare risposte conclusive e neppure di suggerire dogmaticamente una ‘verità vera’, contro le false verità che quotidianamente affliggono orecchie e menti, occorre limitarsi a constatare un dato di realtà: se ci troviamo nel punto in cui ora ci troviamo e continuiamo ad avanzare sulla stessa linea, a procedere nostro malgrado sullo stesso sentiero, significa che in qualche misura la nostra azione, per quanto la riteniamo conflittuale, è coerente con quel cammino. Siamo più o meno consapevolmente dentro a quella narrazione e a quella visione di mondo: siamo su di un piano inclinato e ne seguiamo la pendenza? Potrà apparire eccessivamente brutale ma forse è così.
Allora non c’è soluzione né speranza? Al contrario, ripartendo dalla consapevolezza del qui e ora, del contemporaneo fuggendo dai falsi stigmi della modernità, dalle consolazioni dell’agire in modo eticamente pregevole (necessario, ma non sufficiente) è possibile un futuro, anche senza aggettivi. Un futuro possibile è la prima sfida, il primo investimento.
Articolo proposto il 12 novembre 2022 e accettato il 16 dicembre 2022.
Ultima consultazione siti web: 8 novembre 2022.
Gli autori hanno concepito insieme il tema e ne hanno condiviso l’impostazione e la metodologia scelte per trattarlo, nonché sono giunti a conclusioni comuni del lavoro. La stesura del saggio si è così suddivisa: Anna Bernabè ha curato il coordinamento redazionale e la stesura del paragrafo introduttivo; Marcella Rognoni e Serafina Spinelli hanno curato il paragrafo Dalla dispersione delle iniziative alla raccolta dei dati; Cristina Baldi e Paola Iannucci hanno curato il paragrafo Valorizzare per la terza missione; Adriano Bertolini e Milena Tancredi hanno curato il paragrafo Riconoscere nuove opportunità strategiche.
Si ringrazia l’AIB per aver reso possibile l’organizzazione del workshop “Storie di libri e palazzi: un caso-studio per discutere di inclusione, diritto alla cultura e partecipazione attiva nelle biblioteche accademiche”: lo studio intrapreso in occasione dell’evento ha dato avvio a molte delle riflessioni proposte in questo saggio. Grazie in particolare a Giovanni Bergamin (AIB) e all’Ufficio Servizi e-learning e multimediali dell’Università degli studi di Ferrara, che hanno predisposto la diretta streaming e consentito così a una più ampia platea di condividere osservazioni ed esperienze, amplificando l’efficacia della dimensione laboratoriale.