Gaspare Caliri, Cecilia Colombo, Anna Romani
Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito... perché la lettura è un’immortalità all’indietro1.
Diverte senz’altro pensare che questa citazione, sempre verdissima fin dalla sua prima apparizione nell’ultima pagina di quel numero de L’espresso di inizio anni Novanta, oggi sia stata ripresa, senza citare la fonte, da Gianluca Vacchi, in una sua inaspettata apparizione, fuori dall’ordinario (in un teatro, durante la presentazione di un progetto editoriale)2. Ci sembra una buona immagine per introdurre un lavoro che cerca di erodere stereotipi sulla lettura e proporre una visione di città che non abbia paura dell’inatteso3.
L’obiettivo di questo articolo, che arriva dopo il giro di boa del percorso che vi racconteremo, è mettere nero su bianco alcuni apprendimenti acquisiti nel tentativo di applicare due metodologie che usiamo da anni e che esporremo nelle prossime pagine: l’approccio costruttivista da un lato, che cerca di prendere qualche distanza delle modalità tradizionali di ricerca sociale demografica; la metodologia di pianificazione e valutazione d’impatto, dall’altro, basata sulla Teoria del cambiamento.
Ciò detto, questa sede crea l’occasione per unire una serie di ‘puntini’ che, dopo tanto girovagare più o meno rizomatico (o, se preferite, in quella maniera non lineare che spesso viene addotta alla serendipity), si sono messi in fila, o meglio: hanno mostrato in maniera esplicita i loro concatenamenti. Sono quei tarli, poi diventati fissazioni, ancora dopo, appunto, apprendimenti, che mettono insieme il superamento di alcuni stereotipi (in particolare sui pubblici delle biblioteche), il ruolo delle biblioteche nel futuro delle nostre città, la relazione che esse intrattengono con la dicotomia culturale e sociale, la lettura, l’economia comportamentale (ma anche l’antropologia culturale) e l’economia dell’attenzione.
Questo articolo si concentrerà, prima, sulle occasioni progettuali che hanno preceduto e portato all’attuale percorso di pianificazione e valutazione d’impatto del Settore Biblioteche e welfare culturale e della rete del Patto per la lettura del Comune di Bologna; in seguito, esporremo i presupposti metodologici che uniscono la prospettiva a impatto e l’indagine sulla lettura in corso; racconteremo anche qual è l’idea di città e il ‘mandato istituzionale’4 che farà da guida alle prossime azioni del settore e della rete del Patto per la lettura e i primi esiti di un’indagine sulla lettura che nasce proprio come primo passo decisivo nella direzione di quella idea di città.
Nel corso del 2020, il Sistema bibliotecario della città di Bologna ha attraversato un passaggio di governance chiave per la sua evoluzione: dopo più di dieci anni di vita, l’Istituzione Biblioteche, nata nel 2008, cessa di esistere e le diciotto biblioteche comunali diventano – a partire dal primo gennaio 2021 – le cellule di un organismo6 chiamato Settore Biblioteche, di cui faceva parte anche l’unità intermedia Cittadinanza culturale. Nel maggio 2022 il settore viene rinominato e diventa Settore Biblioteche e welfare culturale, a sua volta parte di una costola della struttura dipartimentale del Comune di Bologna, ossia il Dipartimento Cultura, sport e promozione della città.
Questo passaggio politico e amministrativo ha dato vita all’emersione di una concatenazione di domande e bisogni che riguardano tutto il personale bibliotecario. Un percorso a tappe di esplorazione ma soprattutto di ascolto, che ha fin da subito inseguito il grande obiettivo di rinvigorire il ruolo fondamentale e necessario delle biblioteche – intese come luoghi di promozione alla lettura, orientamento informativo e produzione di conoscenza – per la città di Bologna, in un’epoca storica segnata da molteplici e interconnesse crisi globali e locali. La prima tappa progettuale di questo cammino ha avuto luogo tra agosto e settembre del 2020 con il nome di Etnografia bibliotecaria quando, ufficializzata la decisione della sostituzione di «una delle maggiori realtà istituzionali del settore a livello nazionale»7, è stato realizzato un momento di ascolto per accompagnare la riorganizzazione della governance del sistema bibliotecario comunale, colta come opportunità per indagare il senso del mestiere bibliotecario e generare un corpus di ‘dati caldi’8, ossia informazioni qualitative e ‘situate’ sul vissuto individuale, le aspettative, i dubbi, i timori e i desideri percepiti dal personale in un momento chiave del proprio percorso professionale.
Da questa indagine sono emersi – attraverso le percezioni stesse di chi lavora in biblioteca – i primi ‘anelli’ di quella concatenazione di domande a cui ci riferivamo sopra:
Proprio la forte domanda di formazione emersa costituisce la base su cui è stata impostata la seconda tappa del percorso che questo articolo racconta. Tra novembre 2020 e maggio 2021, infatti, attraverso il progetto Maieutica bibliotecaria, abbiamo approfondito i bisogni di crescita professionale del personale bibliotecario, per avanzare poi alcune proposte di integrazione e innovazione10 dell’offerta formativa già esistente e pianificata dall’amministrazione, ma rivolta alla totalità del personale del Comune di Bologna e, per necessità, standardizzata.
In questa fase di ascolto abbiamo pensato alla formazione, o meglio, all’apprendimento collaborativo, in maniera olistica, interpretandola attraverso tre punti di vista:
Ci siamo ispirati alla metodologia pedagogica di Danilo Dolci11, che riprende a sua volta la pratica filosofica del dialogo come strumento per intraprendere una ricerca di senso comune. Fedeli all’approccio costruttivista, di cui parleremo nel paragrafo dedicato alla metodologia, abbiamo facilitato un esperimento di esplorazione collettiva, orientato alla condivisione di intuizioni individuali, sulla base di esperienze e scoperte personali, valorizzando la creatività del singolo all’interno di un gruppo. Così, abbiamo fatto interviste a responsabili delle biblioteche comunali, da un lato, a persone esperte dei temi più rilevanti in ambito di formazione e biblioteche, dall’altro, che hanno contribuito a definire domande che abbiamo sottoposto al personale bibliotecario tramite interviste a coppie (passeggiando per la città), dove abbiamo cercato di individuare il Genba12, ossia le esperienze concrete che potessero oggettivare i filoni di indagine in avvenimenti veri e propri della quotidianità bibliotecaria. Nel paragrafo successivo, restituiremo i temi chiave emersi durante le conversazioni in movimento, all’interno dei ‘boschi narrativi’ delle biblioteche, come avrebbe detto Umberto Eco13. Narrazioni che, coerentemente con le teorie della complessità, partono dal micro per andare al cuore della visione d’insieme: su questo aspetto torneremo più volte nel discorso a seguire.
Ci sono almeno due modi di considerare una organizzazione. Il primo, come da tradizione nel mondo dell’organizzazione aziendale, guarda all’organizzazione come una macchina, che funziona tramite procedure e protocolli. La seconda, più recente e collegata tanto alle teorie della complessità14, quanto all’approccio Lean, votato all’adattamento e al miglioramento continuo, pensa invece all’organizzazione come organismo. La differenza, abbastanza radicale, sta nel rapporto tra le parti e il tutto. Una macchina, se sostituisco una parte, può continuare a funzionare; un organismo, tendenzialmente, no. La macchina, si dice, è complicata; l’organismo è complesso. Essendo complessa, nell’organizzazione come organismo vale il principio di omotetia, secondo cui nel micro c’è la stessa complessità del macro. Questo impatta nel modo di guardare al cambiamento: in una macchina, posso concentrarmi su una parte; in un organismo, devo sempre guardare contemporaneamente alla parte e al tutto. A partire dalla visione d’insieme, fino alla ritualità organizzativa e agli strumenti di lavoro quotidiano. Il progetto Maieutica bibliotecaria ha fin da subito voluto pensare all’organizzazione delle biblioteche come organismo, tenendo fede a quel quinto principio della biblioteconomia già sopraccitato: l’approfondimento sulla formazione e sulle competenze del personale bibliotecario (il mandato professionale), se approcciato da un punto di vista olistico, è per noi inscindibile da quello sulla vocazione e sul ruolo della biblioteca (il mandato istituzionale).
A proposito di mandato istituzionale, è stato fondamentale provare a disambiguare un tema fin dall’inizio dell’indagine: la complessa relazione tra funzione sociale e presenza culturale che caratterizza le biblioteche. Rielaborando le riflessioni raccolte durante i diversi cicli di interviste, proviamo ad affrontare questa apparente dicotomia in modo, ci auguriamo, non banale, proponendo una chiave di lettura per interpretare la parola ‘sociale’ dal punto di vista delle biblioteche: sociale, in relazione al lavoro di reference, significa non limitarsi a definire (e relazionarsi a) le persone in base al loro bisogno più o meno esplicito (ossia, in certi casi, in base al loro status sociale, o al loro disagio o alla loro difficoltà), ma approcciarle a partire proprio da ciò che a prima vista ‘non’ le caratterizza. Riprendendo il concetto di agency, per come è usato, per esempio, nella Actor-network theory di Bruno Latour15 – secondo cui ognuno ha una potenzialità di valorizzazione in virtù di un contesto relazionale ‘da costruire insieme e non dato’ – il lavoro di reference potrebbe essere visto come strumento per liberare il potenziale narrativo delle persone, dei luoghi, dei contesti, quindi come valorizzazione dell’agency di tutti gli attori che sono presenti nel sistema: a partire dall’emersione (ancora una volta maieutica) delle inclinazioni inespresse delle persone, senza ‘inseguire’ i loro bisogni o ‘colmare’ le loro difficoltà. In questo senso, la dimensione di ‘accompagnamento’ dell’utente, che caratterizza l’attività di reference, è ciò che eleva la qualità del servizio offerto, permettendo di creare connessione tra l’interesse specifico dell’utente e altre strade16. Questa riflessione non vuole, però, risultare escludente nei confronti delle persone che frequentano un ambiente bibliotecario principalmente perché gratuito, accessibile, accogliente – e neanche relegare il lavoro di reference solo verso chi ne fa richiesta esplicita –ma anzi pensare a tutto lo spettro di attività e servizi di un ecosistema bibliotecario (come prototipo del bene comune urbano, come vedremo) alla luce di una ‘attitudine’ che accoglie senza ‘incasellare’ la propria utenza.
Questa premessa aiuta a leggere in maniera contestualizzata i bisogni di crescita professionale e formazione continua del personale bibliotecario, emersi durante le passeggiate maieutiche: primo fra tutti, proprio quello di un allineamento sistemico e condiviso a tutti i livelli sulla vocazione e sulla direzione strategica del sistema delle biblioteche di Bologna17.
A ciò si collega il bisogno di scambio, ricircolo, spostamento dei punti di vista all’interno del sistema bibliotecario, non solo acquisendo nuovo personale, ma anche ritualizzando il confronto dentro e tra le biblioteche. Si tratta di creare uno spazio-tempo di pensiero condiviso, liberato da fini operativi e semplicemente orientato a far circolare gli apprendimenti di ciascuno. Pensare a un sistema in continuo movimento intra e inter-biblioteche significa lavorare per una maggior integrazione tra competenze verticali e competenze trasversali del personale bibliotecario – in contrasto alla sempre più diffusa tendenza all’iper-specializzazione professionale –18, allenando quella capacità di relazionarsi che segna la soglia oltre la quale si fidelizzano gli utenti e si conquistano i non-utenti in biblioteca. Intendiamo qui la capacità di instaurare fin da subito uno scambio positivo, di ascoltare e porre le domande giuste, di immedesimazione negli utenti, di intuizione e interpretazione dei loro desideri, di dare le informazioni di base necessarie per abilitare la co-costruzione, con l’utente stesso, di una proposta articolata, di qualità, che contrasti gli stereotipi. Pensare, appunto, la biblioteca come avamposto di un’idea di città e di cittadinanza che non vincola le possibilità delle persone che ne fanno parte. Su questo ci siamo basati, come si vedrà, per pianificare l’impatto desiderato del Settore Biblioteche e del Patto per la lettura.
Se l’organismo bibliotecario muta al mutare del contesto e degli equilibri globali e locali, anche termini come ‘presenza’ e ‘distanza’ acquisiscono nuove sfumature di significato, così come i concetti di ‘prossimità’ e ‘servizio pubblico’ chiedono di essere riletti e reinterpretati. A partire da questi cambiamenti, indotti e/o accelerati dalla pandemia – e dagli apprendimenti dei progetti Etnografia bibliotecaria e Maieutica bibliotecaria – muove le premesse l’ultima parte del nostro lavoro, tutt’ora in corso. È sul finire del 2021 che il Settore Biblioteche e welfare culturale – e nello specifico la rete del Patto per la lettura – sceglie, infatti, di dedicare tempo e risorse (FSE/PON Metro 14-20), da un lato, alla pianificazione e valutazione di impatto del settore e, dall’altro, all’osservazione delle nuove dinamiche di relazione tra persone domiciliate a Bologna (Città metropolitana) e la lettura19. Se, da un lato, «la pandemia ha fatto emergere in maniera chiara situazioni di povertà educativa e disuguaglianze [...], dall’altro ci ha fatto capire come la lettura sia una delle poche esperienze non ostacolata dall’emergenza sanitaria [...]. Ricordiamo che nel DPCM in vigore dal 6 novembre 2020 i libri sono stati riconosciuti come un bene essenziale». Il Settore Biblioteche e welfare culturale, e nello specifico la rete del Patto per la lettura, hanno quindi richiesto di avviare un’indagine territoriale per mappare e raccogliere dati quali-quantitativi su «comportamenti, esperienze, abitudini di chi abita e frequenta Bologna e l’area metropolitana sulla lettura evidenziando pratiche e impedimenti, bisogni, piaceri e difficoltà». L’analisi di dati sarà la base per pianificare servizi e azioni delle istituzioni culturali cittadine preposte a favorire e garantire l’accesso alla conoscenza e la lettura a una platea ampia della popolazione favorendo processi di inclusione sociale. Allo stesso tempo, il settore ha voluto costruire un percorso di formazione per bibliotecari e bibliotecarie dedicato alla pianificazione e analisi di impatto di servizi e attività trasversali e integrate con il sistema culturale cittadino, volte a favorire e accogliere progettualità in ambito di welfare culturale integrato. La pianificazione e valutazione di impatto diventa così non un mero esercizio rendicontativo e reputazionale, ma pratica concreta al fine di «dotare il Settore Biblioteche e il coordinamento della rete del Patto per la lettura di uno strumento trasformativo per capire (e poi raccontare) il valore che collettivamente generano per la città» e «dotare l’Amministrazione di uno strumento strategico per orientare politiche, decisioni e azioni». Il Settore Biblioteche e welfare culturale ha deciso così, adottando un approccio a nostro avviso pionieristico, di «immaginare e proporre nuove tecniche di misurazione delle attività di tutti i soggetti attivi nella promozione della lettura, adattandoli alle nuove necessità, integrando metodi standardizzati con un approccio sartoriale che faccia emergere e rafforzi l’identità e l’unicità dei soggetti coinvolti».
Questi obiettivi hanno posto quesiti decisamente complessi da affrontare, anche di carattere metodologico. Abbiamo cercato di rispondere a una domanda, per definire l’approccio adeguato: come mettere insieme una visione a lungo termine e l’osservazione dell’ecosistema bibliotecario odierno, per costruire azioni strategiche e direzionali? Il prossimo paragrafo prova a esplicitare lo spettro di punti di vista che abbiamo messo in gioco per provare a dare risposta all’interrogativo.
Come già detto in altre sedi20, non è inopportuno, anche a proposito di biblioteche, sottolineare quanto la nostra epoca sia segnata da un ‘doppio giogo’: quello che unisce economia comportamentale ed economia dell’attenzione. Dalla prima sappiamo che le scelte e le azioni quotidiane non sono fatte su base squisitamente razionale (cioè valutando consapevolmente le variabili in gioco), ma dipendono dalle cosiddette ‘euristiche’, scorciatoie decisionali per cui i nostri comportamenti dipendono dall’abitudine e dal ‘risparmio’ delle risorse cognitive, così come da leve che non intenzionalmente attivano fattori psicologici di soddisfazione delle persone o disattivano fattori di preoccupazione21. La seconda, invece, ci dice che l’enorme mole di stimoli e input che ci arrivano quotidianamente rendono l’attenzione il bene più prezioso su cui investire politiche e azioni da parte delle istituzioni (ma anche su cui investe il cosiddetto capitalismo di piattaforma, che sfrutta e vende a terzi la nostra attenzione come bene, in cambio di servizi ‘gratuiti’ per noi)22. Lo scenario non è certo incoraggiante, ma apre opportunità non irrilevanti. Facciamo riferimento anzitutto alla teoria e alla pratica del nudging23: una metodologia, nata proprio in seno all’economia comportamentale, che lavora sulla cosiddetta ‘architettura delle scelte’24 per favorire decisioni più sostenibili, a partire proprio dal fatto che le persone decidono più intuitivamente che razionalmente. Nudging significa dunque ‘spingere gentilmente’, non forzando le decisioni ma inserendosi nella quotidianità, creando ‘ambienti decisionali intuitivi’ e ‘pungoli’ (ossia occasioni per attivare opzioni non consapevoli) che sfruttano la tendenza di ciascuno di noi a scegliere ciò che dà soddisfazione e ciò che riduce lo stress, forse ancora prima di ciò che risolve un bisogno esplicito.
Il concetto di nudge è a suo modo prossimo a quello di affordance, che Chiara Faggiolani usa25 per esplicitare proprio gli usi ‘latenti’ da parte delle persone su cui, appunto, possiamo lavorare per renderli espliciti. Il nudging si inserisce inoltre in un filone di riflessione e pratica coerente con tanta parte del design contemporaneo26 e business modeling27 basati proprio su quella cultura Lean a cui già abbiamo fatto riferimento: c’è insomma una convergenza, su più ambiti, che ci fa dire che ‘osservare’ e fare emergere il dato per scontato (il primo è, appunto, non pensare che si scelga sulla base di un pensiero razionale, ma proprio per calmierare preoccupazioni e amplificare soddisfazioni) è fondamentale per capire quella cosa che chiamiamo ‘bisogno’, su cui tanto ci interroghiamo, che è un concetto complesso che attiva dinamiche psicologiche, sociali, antropologiche.
Pare proprio che per affrontare il ‘doppio giogo’, insomma, servano strategie e azioni che attivino l’attenzione in maniera prima fortuita e poi risoluta – soprattutto per osservare i ‘tic’ dei propri comportamenti, ma anche per provare a pensare che le nostre esistenze abbiano margine di manovra al di là della programmazione sociale e culturale. Torna alla mente28 quanto diceva l’antropologo Ernesto De Martino a proposito della magia (intesa come ‘incantesimo’ che limita la libertà di scelta):
Più concludente si fa il discorso analitico quando cercheremo di trarre il significato psicologico di quanto abbiamo indicato come la potenza del negativo nel regime esistenziale lucano. Ora questo significato psicologico mette in luce un negativo più grave di qualsiasi mancanza di un bene particolare: mette in luce il rischio che la stessa presenza individuale si smarrisca come centro di decisione e di scelta, e naufraghi in una negazione che colpisce la stessa possibilità di un qualsiasi comportamento culturale29.
Come vedremo nei prossimi paragrafi, sia all’interno del settore, sia per facilitare l’accesso alla lettura, abbiamo adoperato un ‘doppio movimento’ che sveli i legàmi e le meccaniche comportamentali quotidiane che non ci consentono di esprimere la nostra agency, da un lato, e, dall’altro, che ci permetta di esercitare un ‘diritto’ all’anticipazione, inteso come capacità di proiettarci in un futuro fatto di scenari desiderabili, a partire da quanto ne consegue per i luoghi di accesso alla conoscenza e alla lettura.
Proviamo, a tal proposito, a riprendere il flusso dei progetti a cui abbiamo già accennato per aprire ai prossimi passi. Mentre Etnografia bibliotecaria, e poi Maieutica bibliotecaria, hanno fatto emergere questioni organizzative, bisogni di apprendimento e nodi identitari del Sistema bibliotecario bolognese, la seconda parte del percorso dedicata all’indagine sulla lettura e alla pianificazione di impatto – su cui ancora oggi stiamo lavorando – apre una finestra sui futuri delle biblioteche, della lettura e della stessa città di Bologna.
A proposito di immaginazione, si dice che se negli anni Ottanta ci avessero detto che tutta la musica, i film, i libri e i videogiochi del mondo, così come macchina fotografica, videocamera e telefono avrebbero trovato spazio in una tasca probabilmente avremmo pensato: impossibile. Questo perché, quando immaginiamo il futuro, tendiamo a pensarlo in continuità con il presente, come se si trattasse di un’evoluzione lineare. Invece, come ci insegnano le scienze dei futuri (o futures studies)30, i futuri sono molteplici e in competizione fra di loro per accadere, la maggior parte delle volte in discontinuità con quello che saremmo stati in grado di prevedere: «quando ci viene chiesto di immaginare il futuro, andiamo a prendere come punto di riferimento il presente e poi creiamo un ipotetico domani aggiungendo nuovi prodotti e tecnologie, e ciò che più o meno ha senso interpolando l’acquisizione del passato. È un errore fondamentale»31. Questo passo di Taleb, tratto dal suo Antifragile: prosperare nel disordine, ci dice in qualche modo perché – pur non avendo ancora gli skateboard volanti di Ritorno al futuro – una rivoluzione ben più significativa ci ha permesso di concentrare lavoro e tempo libero, vita professionale, vita affettiva e pulsioni creative in pochi, minuscoli oggetti, la cui premessa tecnologica è infinitamente meno interessante del loro esito sociale.
Ciò non significa che non abbia senso provare a immaginare i futuri, anzi: tanto più saremo in grado di avere una visione chiara di quello che per noi è preferibile che accada (e che non accada), tanto più è probabile che saremo in grado di costruire una strategia efficace affinché questo futuro possa avere (almeno delle chance) di realizzarsi32. Questa premessa è necessaria nel momento in cui andiamo a introdurre il lavoro di pianificazione e valutazione di impatto costruito per il Settore Biblioteche e welfare culturale e della rete del Patto per la lettura del Comune di Bologna. Questo percorso infatti – in linea con quanto previsto dalle Linee guida per la realizzazione di sistemi di valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte dagli enti del terzo settore pubblicate dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali nel 201933 – si è focalizzato prima di tutto sull’emersione dell’intenzionalità del settore, per definire gli obiettivi e le direttrici di cambiamento desiderati e per rispondere alla domanda “Perché le biblioteche oggi – ma soprattutto – perché le biblioteche in futuro?”. Sempre la futurologia ci insegna che per essere anti-fragili34 dobbiamo essere in grado di gestire i cosiddetti ‘cigni neri’, ossia ‘ciò che non sappiamo di non sapere’ (the unknown unknown): l’ignoto. Come segnala sempre Taleb «l’antifragile ama la casualità e l’incertezza, il che significa anche – in modo cruciale – un amore per gli errori, una certa classe di errori. L’antifragile ha la singolare proprietà di permetterci di affrontare l’ignoto, di fare cose senza capirle e di farle bene»35. In qualche modo, queste parole risuonano in quella che Keats definiva la ‘capacità negativa’ (negative capability), ossia «quell’abilità che un uomo possiede se sa perseverare nelle incertezze attraverso i misteri e i dubbi, senza lasciarsi andare a un’agitata ricerca di fatti e ragioni»36. Quale altra istituzione, se non quella bibliotecaria, può accompagnare le persone a ‘stare’ nell’incertezza, a navigare e orientarsi in un dedalo informativo, tra fonti e risorse, costruendo sentieri di apprendimento e scoperta che possano funzionare come bussola, se non come mappa, in tempi incerti? Come possono le biblioteche accompagnare una città e chi la abita ad accogliere l’inatteso e, nel frattempo, rafforzarsi e perché no, prosperare? Proprio a partire da questi interrogativi – insieme al settore – abbiamo provato a fare l’esercizio più difficile: spostare lo sguardo dal breve al medio-lungo termine visualizzando le tappe verso un cambiamento ad ampio raggio. L’obiettivo che ci eravamo dati era creare una visualizzazione di come lettura e conoscenza diffuse, accessibilità delle fonti unite a una nuova proposta di welfare culturale, avrebbero contribuito all’identità della Bologna del 2027. L’approccio adottato in questo percorso non ha nessuna volontà deterministica e rifugge alla concatenazione di causa-effetto come ricetta infallibile per determinare esiti e risultati di un processo che necessariamente sarà influenzato da fattori endogeni, e auspicabilmente inattesi, alla pianificazione stessa. Ciò nonostante si ritiene che avere un piano – o meglio una rotta – per quanto perfettibile, sia preferibile al navigare a vista, in balìa delle correnti.
Per andare in questa direzione, abbiamo usato, come anticipato, la metodologia di pianificazione e valutazione d’impatto, attraverso il framework metodologico della Teoria del cambiamento (ToC), approccio citato e riconosciuto anche dalle stesse Linee guida ministeriali a cui ci riferivamo sopra. La ToC è una metodologia che segna un passaggio chiave da un approccio rendicontativo, basato sui risultati ottenuti, a uno strategico e progettuale che guarda ai cambiamenti duraturi generati: perché, a differenza della approccio più convenzionale della progettazione, che parte dalla domanda “cosa voglio realizzare?”, essa muove a partire dalla domanda “quale cambiamento positivo di lungo periodo voglio contribuire a generare all’interno di un sistema?”, andando dunque al cuore del modello di acquisizione, creazione e distribuzione del valore di un’organizzazione o istituzione37. La ToC prevede che, a partire da un esercizio di ‘visualizzazione’ di un futuro desiderabile (impact vision), si costruisca una ‘catena di produzione dell’impatto’, fatta di tutti i passaggi necessari, a ritroso, che da quel futuro passano per i risultati auspicati e poi alle azioni da mettere in campo nell’oggi. L’impatto è l’articolazione di dimensioni di cambiamento da visualizzare e di cui capire i presupposti, nel presente, sia in termini di azioni, sia di indicatori per verificare che i primi passi vadano nella direzione sperata. Se, come dice ancora Chiara Faggiolani, «abbiamo sempre avuto e continuiamo ad avere molta difficoltà nel misurare questo contributo, questo impatto, diciamo pure il valore delle biblioteche per le comunità»38, il tentativo è allora quello di mostrare una direzione che chiamiamo, ancora una volta, di mandato istituzionale, una direzione di lavoro che permetta di articolare punti di vista sui cambiamenti generati e quindi un’interpretazione possibile che li renda intelligibili.
Questo significa, anzitutto, impostare un progetto a lungo termine su un obiettivo di cambiamento positivo e condiviso, a partire dalla messa in discussione del dato per scontato nell’oggi. E qui si inserisce l’ultimo tassello metodologico che vorremmo porre all’attenzione di chi legge. Come abbiamo visto, i progetti Etnografia bibliotecaria e Maieutica bibliotecaria hanno lavorato proprio per verificare alcuni dati per scontato circa il mestiere bibliotecario. Progettare ‘a impatto’ significa, di nuovo, fare emergere le ipotesi – ossia ciò che potremmo dare per scontato rispetto a tale desiderabilità e alla capacità che essa possa avere di essere trascinante, convincente – che si celano dietro il percorso di cambiamento immaginato. Ci siamo affidati a un metodo costruttivista, che approccia un’analisi non partendo da categorie date ma costruendole in corso d’opera: ci sembrava molto importante adottare questo approccio, prima di tutto per de-costruire alcuni presupposti con cui si fanno le indagini sulla lettura39 (anzitutto a partire dalla definizione di ‘lettore forte’ come persona che legge ‘x’ libri al mese). Agire da costruttivisti significa allestire un quadro semantico locale non in base alla ‘natura’ dei soggetti in gioco, ma in base alle loro potenzialità espressive e narrative. Lo dice bene Paolo Fabbri, riprendendo Nelson Goodman40, rispondendo alle accuse di relativismo che spesso si muovono a questo procedere metodologico:
Il relativista vero è pigro, perché dice che tutto va bene, anything goes e cose del genere. Il costruzionista non fa che lavorare, deve costruire: soggetti, oggetti, sostanze, forme, dispositivi, valori, etc. E questa continua attività costruttiva è funzione di valori e della loro continua comparazione e valutazione41.
Agire costruttivamente significa dunque, anzitutto, provare ad affiancare la logica statistica delle analisi tradizionali, che rischia a volte di perseguire una logica confermativa: se chiedo a una persona anziana cosa pensa di un fenomeno in quanto persona anziana, la sua risposta ‘probabilmente’ confermerà la definizione di persona anziana che le ho proposto come premessa all’indagine. Significa anche adoperarsi a liberare il potenziale narrativo ed espressivo delle persone, cercando di non incasellarle nella categoria sociale che le pre-determina e difendendo il più possibile la loro agency (a proposito di significato della parola ‘sociale’ dal punto di vista delle biblioteche, come esplorato durante la Maieutica bibliotecaria). Questa riflessione – ma anche convinzione – ci ha accompagnati nel delineare gli scenari di visualizzazione del futuro del settore e del patto, nel pensare a una indagine sulla lettura che aprisse a nuove strade alla promozione della stessa, nell’immaginare come possa insinuarsi un’idea di cittadinanza che ritenga indispensabile la presenza di uno spazio pubblico «equo, sostenibile, inclusivo»42.
Non è un caso che la Carta di Milano, a cui ci si collegava in conclusione del paragrafo precedente, faccia esplicito riferimento al Manifesto IFLA-UNESCO delle biblioteche pubbliche 2022, quando dice che:
La biblioteca pubblica, porta d’accesso locale alla conoscenza, crea i presupposti di base per l’apprendimento permanente, l’autonomia nel processo decisionale e lo sviluppo culturale dell’individuo e dei gruppi sociali. Essa è alla base di società della conoscenza sane, in quanto fornisce l’accesso e consente la creazione e la condivisione di conoscenze di ogni tipo, comprese quelle scientifiche e locali, senza barriere commerciali, tecnologiche o legali43.
La metodologia dell’impatto può aiutare nel problematizzare le domande che stanno dietro a una situazione odierna che contemporaneamente vede la necessità di promuovere una sana ‘società della conoscenza’ e quella di avvicinare più persone alla biblioteca e alla lettura come luoghi cardine di questa promozione. Essa – la pianificazione d’impatto – prende le mosse dalla definizione di alcuni problemi che oggi e – ci immaginiamo – nel prossimo futuro sarà decisivo affrontare. I problemi macro individuati rappresentano le sfide su cui costruire la strategia a impatto del Settore Biblioteche e della rete del Patto per la lettura. Il principio di ‘intenzionalità’ a cui si è già fatto riferimento parte proprio da qui: formalizzare le domande che stanno dietro ai problemi, trovarne le radici e quindi renderle radicali, è il primo passo per visualizzare un futuro desiderabile che sta affrontando questi interrogativi.
I problemi che abbiamo messo in luce, insieme a un gruppo di lavoro a estensione variabile del Settore Biblioteche e welfare culturale e della rete del Patto per la lettura, sono stati i seguenti:
Questi problemi sono stati osservati, coerentemente con i già citati futures studies, cercando di fare emergere segnali deboli di cambiamento che ci fanno pensare che questi problemi abbiano un primo radicamento, in nuce, nel presente. Questo passaggio è cruciale per definire una impact vision, l’orizzonte di cambiamento desiderato per il settore e per il patto. Ci ha aiutato, in questa impresa, il confronto con persone che operano, a Bologna, nell’ambito della promozione alla lettura e che sono parte attiva della rete per il Patto per la lettura (biblioteche, case editrici, librerie, associazioni e società civile, gruppi di lettura, attivisti culturali, influencer e cittadinanza attiva ecc.).
L’indagine etnografica sulla lettura, che ha preso le mosse da questo confronto e su cui torneremo nel prossimo paragrafo, e la pianificazione di impatto si sono arricchite reciprocamente, di contenuti e dati rilevanti per la costruzione della visione strategica del Settore Biblioteche e della rete del Patto per la lettura, che unisce le due realtà nella missione comune (ma non l’unica) di promozione alla lettura.
Questo passaggio cruciale ci ha permesso di passare in rassegna alcune metafore, che abbiamo intitolato ‘metafore modellizzanti’: la visione di cambiamento è stata anche il frutto di un’emersione corale di visioni della lettura che hanno preso sul serio un concetto caro agli studi di metaforologia44, secondo i quali ogni metafora fornisce conoscenza, grazie alla sostituzione e all’associazione di due mondi semantici che ‘prima’ che esistesse la metafora non si toccavano45. Una di queste metafore, particolarmente significativa sia per la pianificazione d’impatto, sia per l’indagine sulla lettura, è stata quella di ‘esattamento’, citata da Andrea Zanni riprendendo Telmo Pievani:
quel meccanismo evolutivo per cui un certo tratto biologico, evolutosi per una certa funzione e in certo ambiente, viene riadattato e riutilizzato in altri modi. [Come] le piume, “nate” inizialmente per migliorare la regolazione termica dei corpi, ma la cui struttura si è rivelata poi estremamente efficace per il volo, generando nuove specie e un nuovo modo, per la vita animale, di abitare il cielo46.
L’‘esattamento’ (ex-aptation in inglese), come la serendipity, ci parlano di inatteso, tratto che è emerso come uno degli elementi più rilevanti del funzionamento della lettura: la lettura è proprio quel generatore di agency che ci permette di farci attraversare dai punti di vista altrui e di esercitare altre soggettività che non siano la nostra. Da qui, abbiamo preso seriamente una domanda, che ci ha portato alla impact vision che andavamo cercando: come sarebbe una città che impara a funzionare come funziona la lettura? Una città che accoglie l’inatteso, che produca esperienze non lineari, che ci facciano mettere nei panni di altre soggettività? Una città in cui la mia identità non dipenda dalla mia appartenenza?
La formulazione a cui siamo approdati per la visione di cambiamento è diventata la seguente: «una città che apprende dalla lettura e dalla conoscenza fa vivere molteplici vite a chi la abita, perché non ne incasella le identità, ma ne ascolta e valorizza il potenziale espressivo».
A partire da questa impact vision, abbiamo poi formalizzato un ‘obiettivo di cambiamento’, cioè un impegno concreto da qui a cinque anni che il settore e il patto congiuntamente si assumono per contribuire a rendere ‘più vicino’ – e più avvicinabile – quel mondo desiderabile che la visione stessa descrive:
Nei prossimi cinque anni il Settore Biblioteche e welfare culturale intende accendere e coltivare l’attenzione delle persone, favorire pratiche di inclusione, immaginazione e conoscenza non lineari e incentivare percorsi accessibili di orientamento e di connessione culturale e informativa.
In seguito, abbiamo formalizzato le dimensioni di cambiamento47, cioè gli ambiti chiave del sistema di riferimento (nati dai problemi di cui sopra) su cui l’istituzione in questione dovrà intervenire per realizzare la propria visione di impatto, e a ritroso tutti i passaggi per raggiungere il cambiamento desiderato – ognuno con i propri indicatori: i risultati indiretti, quelli direttamente collegati alla mia attività, gli esiti, cioè gli output da realizzare, le azioni da mettere in cantiere e le risorse di cui ci si deve dotare48.
L’impianto è fortemente ambizioso ma, crediamo, legato a domande cruciali per la contemporaneità del ruolo del soggetto pubblico nella promozione delle ‘porte di accesso alla conoscenza’ e a un modo di intendere la cittadinanza a essa collegata. Una delle prime azioni per muovere insieme verso le quattro dimensioni e l’orizzonte di cambiamento, come già detto, è stato un percorso di indagine proprio volto a mettere in discussione gli stereotipi della lettura, che la imbalsamano e ne trattengono tutto quel magnifico potenziale di ‘esattamento’. In particolare, l’indagine sulla lettura intende validare le ipotesi che si celano dietro al percorso di cambiamento desiderato: si tratterà di portarle in superficie e verificare cosa stiamo dando per scontato nel rapporto tra lettura, conoscenza, città e persone.
Uno dei capitoli del già citato studio fatto da Faggiolani durante la pandemia si apre con il virgolettato di una persona che ha compilato il questionario, che dice: la «biblioteca è la stanza in più della mia casa»49. Proseguendo nella lettura, si apprende però, dal Rapporto BES 202050, che la percentuale delle persone che frequentano le biblioteche è sceso dal 15,3% al 12,8% della popolazione. E non si parla solo dei cosiddetti heavy user. Le statistiche sulla lettura51 (che però sono fatte a partire da un’associazione difficile da mettere in discussione: quella tra lettura e lettura di libri)52 ci dicono che la curva di crescita del numero di persone che hanno letto almeno un libro in un anno decresce (anno più, anno meno) da più di un decennio – si è tentati di dire, a proposito di economia dell’attenzione, da quando si è diffuso l’uso di smartphone e di dispositivi simili.
Di certo non possiamo dire che queste statistiche non offrano uno spaccato della realtà: è anche vero che, dal nostro punto di vista, offrono una parte della realtà e, come già detto, hanno a volte la tendenza a confermare le domande che si pongono. Con il lavoro di indagine sulla lettura, abbiamo anzitutto cercato di indagare e osservare il meccanismo di funzionamento di alcune dicotomie che irrigidiscono i discorsi sulla lettura: dicotomie come cultura alta vs cultura bassa, cultura come piacere vs cultura come dovere, omologazione vs varietà (in un contesto di iper-produzione), ma anche accessibilità vs prossimità53. Questa ultima dicotomia, in particolare, ha messo in gioco una questione: coerentemente con il ‘doppio giogo’ di cui abbiamo parlato nel paragrafo metodologico, se vogliamo cercare nuove strade di promozione della lettura, dobbiamo capire i fattori di resistenza e i fattori che facilitano le condizioni che attivano la lettura stessa.
Nella prima parte del percorso, dopo aver coinvolto soggetti che fanno promozione alla lettura, come detto, abbiamo sviluppato un questionario qualitativo da compilare a coppie, pensato come un dialogo etnografico sulla lettura: un primo passo per delineare comportamenti, percezioni e abitudini quotidiane legate alla lettura. L’obiettivo, secondo la logica costruttivista di etnografia condivisa54, non era di raggiungere grandi numeri (abbiamo ottenuto circa quaranta compilazioni), ma chiamare all’azione una comunità di persone che sentono come proprio il tema della promozione alla lettura, per problematizzare insieme i contesti di attivazione della stessa – e giungere a una domanda di ricerca per mettere a punto un questionario più quantitativo, che, questo sì, ha l’obiettivo di raggiungere almeno tremila persone alla scala della città metropolitana di Bologna.
Ciò su cui abbiamo lavorato in quell’occasione, e nel passaggio successivo che illustreremo qui di seguito, è inserire la lettura come ‘condizione esistenziale’ all’interno di una assiologia complessa e, ci sembra, cruciale: quella che mette in campo la relazione tra distrazione e attenzione. Il presupposto, che abbiamo cercato ancora una volta di de-costruire, era che le condizioni di possibilità della lettura, cioè quelle situazioni quotidiane che potrebbero facilitarla, siano messe a repentaglio dalle molteplici distrazioni che abitano quella stessa quotidianità. Abbiamo, tramite il lavoro corale condotto fino a quel punto, compreso alcune cose:
Questi e altri apprendimenti sono stati il punto di partenza che ci ha permesso di costruire la tappa finale dell’indagine: le risposte raccolte durante la fase di interviste e dialoghi etnografici ci hanno permesso di costruire, appunto, il questionario quantitativo di cui abbiamo fatto menzione, che abbiamo chiamato “Non leggere qui!”56.
Il questionario online è rivolto alle persone over 16 che abitano, studiano, lavorano o frequentano la città e tutti i comuni e località dell’area metropolitana di Bologna57. Non sono richiesti dati personali o sensibili: chiunque lo desideri è invitato a rispondere in pochi minuti ad alcune domande che parlano di piacere, attenzione, distrazioni, magie e fenomeni inattesi o, in altre parole, della quotidianità in cui la lettura si inserisce. Per partecipare non è necessario considerarsi una persona che ‘ama leggere’ o che ‘legge tanto’. Non è richiesto quanti libri si leggono ogni anno, e, soprattutto, le domande sono state costruite per non dare per scontato che l’unica, o principale, forma di lettura sia quella del libro letto per svago o piacere: questa indagine vuole superare la definizione di ‘lettori morbidi’ che viene spesso adoperata per riferirsi a quelle persone che non si considerano lettrici nonostante, nei fatti, leggano per obiettivi di studio o approfondimento personale tipi di libri considerati, nel senso comune, inferiori58. All’indagine online si affiancano anche compilazioni guidate in quei luoghi non deputati normalmente alla lettura (circoli ARCI, centri anziani ecc.).
Con “Non leggere qui!” si vogliono far emergere i fattori che facilitano gli stati d’animo e le condizioni ambientali che permettono alla lettura di liberare il proprio potenziale espressivo e collettivo. Anche in questa fase di ricerca, l’intenzione alla base dell’approccio scelto sarà quella di superare ‘l’incastellamento’ di individui o comportamenti in categorie prestabilite, mettendo in discussione il ‘dato per scontato’ che condiziona l’immaginario diffuso sulla lettura.
Nella prima settimana dal lancio (avvenuto il 21 ottobre), proprio mentre concludiamo questo articolo, il form di “Non leggere qui!” ha già raccolto le tremila compilazioni attese in un mese. Questo ci sembra dare un primo segnale decisamente positivo: cercavamo uno strumento che si inserisse nella quotidianità, per ‘perturbarla’ con alcune domande che ruotano attorno alla lettura. È presto per parlare di risultati: tutto quello che abbiamo raccontato, del resto, è un percorso che non ha mai avuto intenzione di dare risposte rapide, ma piuttosto problematizzare, generare domande che aiutassero poi a strutturare dinamiche organizzative e input utili alle decisioni e ai prossimi passi del settore e del patto, da un lato, ma anche oltre: i risultati dell’indagine verranno analizzati e restituiti in forma grafica per permettere a tutti gli stakeholder del Patto per la lettura di fruirne in modo semplice e intuitivo. Le evidenze che emergeranno da questa ricerca diventeranno così patrimonio collettivo, affinché ogni nodo della rete possa trarne degli insegnamenti e magari progettare nuove azioni di promozione alla lettura che sappiano cogliere aspetti non considerati in precedenza.
Non vediamo l’ora di immergerci nelle molteplici vite di chi ci ha dedicato attenzione e di mettere a disposizione di chiunque faccia promozione alla lettura gli apprendimenti che ne emergeranno, che speriamo possano contribuire a quella visione di città descritta sopra, che sentiamo sempre più urgente per abitare la contemporaneità.
Articolo proposto il 16 novembre 2022 e accettato il 12 dicembre 2022.
>Ultima consultazione siti web: 12 dicembre 2022.
AIB studi, vol. 62 n. 3 (settembre/dicembre 2022). DOI 10.2426/aibstudi-13784.ISSN: 2280-9112, E-ISSN: 2239-6152 - Copyright (c) 2022 Gaspare Caliri, Cecilia Colombo, Anna Romani