Michela Giacomelli
Nella storia del libro antico a stampa, l’affermazione del frontespizio rappresentò – com’è noto – l’esito di un lento ed elaborato processo culturale che investì diversi aspetti dell’arte tipografica e xilografica1. In questa suggestiva e avvincente storia occupa un posto di rilievo il frontespizio del De humani corporis fabrica libri septem (Figura 1), opera del medico fiammingo Andrea Vesalio (1514-1564)2, pubblicata a Basilea nel 1543 insieme all’Epitome, che ne è un suo compendio3. Ambedue le trattazioni segnano, infatti, una forte discontinuità sia nei confronti della tradizione degli studi medico-anatomici che delle modalità di rappresentazione iconica del corpo umano. In aperta polemica con la tradizione galenica, Vesalio mise in discussione le antiche conoscenze e pratiche anatomiche, rimarcando il valore gnoseologico della dissezione in quanto strumento di una nuova concezione dell’indagine autoptica e smontando una conoscenza medica fondata sull’analogia congetturale tra l’anatomia dell’uomo e quella dell’animale. Inoltre, egli intuì e sfruttò tutte le potenzialità offerte dalla stampa, fornendo un apparato iconografico senza precedenti nella descrizione della morfologia del corpo umano, e ideando un originale sistema indicale di corrispondenza tra testo e immagini, stretti in un rapporto di reciproca referenzialità.
A Vesalio va soprattutto riconosciuta l’introduzione di un ‘canone’ visivo, che sarà ampiamente imitato e copiato per alcuni secoli e che farà scuola nella storia del libro a stampa, antico e moderno: «Il frontespizio della Fabrica si può considerare un vero e proprio manifesto dell’idea che Vesalio aveva e voleva dare tanto dell’anatomia quanto della pratica della dissezione»4.
L’intero progetto editoriale fu ideato da Vesalio, a partire dal frontespizio, in cui lo stesso autore è ritratto nell’atto di sezionare un cadavere durante una lezione pubblica d’anatomia: un’immagine che costituisce il prototipo del modello iconografico poi prevalente per lungo tempo e oggetto di una scrupolosa analisi da parte dello studioso Andrea Carlino, che ne ha puntualmente campionato gli elementi costitutivi:
Se nella lezione d’anatomia condotta secondo il modello quodlibetario5 è il testo che produce la dissezione, qui è la dissezione che produce il testo. Ciò implica la destituzione o, almeno, la sospensione del giudizio sulle fonti autoritative, ivi compreso Galeno. Il libro, che incarnava nelle immagini precedenti l’autorità, l’accademia e la teoria anatomica, si ritrova nell’iconografia vesaliana nelle mani del pubblico: uno studente a sinistra dello scheletro e una figura barbuta alla destra di esso hanno dinanzi un volume aperto che attira l’attenzione di qualche altro personaggio. Un terzo libro è tenuto in mano, questa volta chiuso, da un altro personaggio con la barba (in alto a destra nell’immagine) che indica con la stessa mano il tavolo settorio: come a significare che è qui che l’attenzione deve concentrarsi, non già su quel libro che, nell’atteggiamento della figura, sembra costituire un bagaglio conoscitivo acquisito6.
Figura 1 – Andrea Vesalio, De humani corporis fabrica (1543), frontespizio. Fonte: collezione privata
Allora, la scena che si svolge sul tavolo anatomico rappresenta il rovesciamento del rapporto tra teoria e pratica nell’insegnamento e nello studio dell’anatomia umana: lo spazio della dissezione operata dal docente, e non più da un suo collaboratore – il sector – finisce per soppiantare lo spazio della parola, dell’auctoritas trasmessa da una tradizione libresca. La scena anatomica è, infatti, occupata dal corpo nudo di una donna, su cui l’anatomista, qui rappresentato dallo stesso Vesalio, si appresta a leggere, a beneficio degli astanti, la fabrica del suo organismo, mentre alcuni dei presenti, con il libro in mano, sembrano compulsare la corrispondenza tra le conoscenze acquisite attraverso i testi della tradizione galenica e la verifica empirica emersa nel processo dissettorio. Insomma, fin dal frontespizio Vesalio introduceva un elemento di discontinuità con la tradizione accademica, rivendicando per l’anatomista un nuovo ruolo scientifico e sociale, fondato appunto sulla pratica della dissezione.
Come risulta dalle note dell’amico Vitus Tritonius (contenute in un manoscritto conservato nella Biblioteca nazionale di Vienna), [Vesalio aveva l’abitudine] – rivoluzionaria dal punto di vista scientifico, didattico e sociale – di rivestire allo stesso tempo il ruolo di lector, di ostensor e di sector, contravvenendo alla consuetudine del tradizionale ‘modello quodlibetario’ che prevedeva la rigida separazione dei compiti tra il docente, l’assistente e l’incisore7.
In verità, l’operazione di depurare i testi antichi dalle incrostazioni della tradizione medievale e di superare la tradizione galenica, integrandola con l’esperienza diretta del corpo umano, era già cominciata nel 1538 con la pubblicazione delle Tabulae anatomicae sex8, sei fogli anatomici volanti illustrati, tre disegnati dallo stesso Vesalio e tre da Johannes Stephan van Calcar (1499-1546), un pittore fiammingo allievo di Tiziano (secondo Vasari), a cui andrebbe pure attribuito il frontespizio xilografico della Fabrica9.
L’opera s’impose come un modello editoriale, anche per l’introduzione nell’Epitome di alcune tavole che riproducevano le immagini di singoli organi o apparati del corpo umano e che ne prevedevano il ritaglio e il montaggio per strati sequenziali, secondo la tecnica lift the flap (Figura 2)10.
Sfogliando progressivamente questi elementi mobili, il lettore/spettatore veniva infatti invitato a partecipare a un’autopsia virtuale, a una simulazione del processo di dissezione umana eseguita nei teatri anatomici. Così facendo veniva rivelata, anche a un’audience più ampia degli apprendisti medici, la topografia invisibile del corpo umano, resa ancora più evidente e verosimigliante in alcuni esemplari colorati a mano11.
Figura 2 – Andrea Vesalio, De humani corporis fabrica Epitome (1543). Fonte: collezione privata
È quindi nei fatti che il «galenismo umanistico»12 venne superato: il trattato non solo raccontava la fabrica del corpo umano ma faceva sì che il corpo entrasse nel libro, rappresentandolo con alcuni artifici cartotecnici che ne consentivano un’innovativa fruizione, basata sull’interattività tra testo e lettore. L’impiego di questi dispositivi mobili consente di trasferire l’autopsia fuori dai teatri anatomici e di compiere l’attività dissettiva lontano da un corpo reale, mantenendo nella virtualità esperienziale una componente pratica di interazione fisica. I lettori erano allora invitati a una fruizione dell’oggetto-libro tutt’altro che passiva, se non altro per il fatto di dover azionare manualmente i modelli corporei ospitati nei loro fogli di stampa: «The prints thematize the process of inquiry, while the users enact it»13. Questi elementi mobili del libro (i primi a dare l’effetto della profondità e della sequenza temporale tra un ‘prima’ e un ‘dopo’) vennero largamente utilizzati nei testi di anatomia, per mostrare, sollevando progressivamente i singoli lembi (lift the flap), la struttura interna e la disposizione stratificata di organi e apparati del corpo umano: «Le diverse soluzioni tecniche adottate, in grado di restituire la complessa multiformità del dettaglio e dell’insieme, costituiscono uno dei più alti traguardi della xilografia rinascimentale, e conferiscono alle illustrazioni una funzionalità scientifica e cognitiva inedita»14. Non si tratta semplicemente di figuratività naturalistica in quanto le esigenze di una rappresentazione che svela l’oggetto, che lo scopre e lo scruta nella sua oggettiva nudità, determinano spesso una sua trasfigurazione grafica che lo rende, al tempo stesso, spettacolare e innaturale. Al centro di questa elaborazione sono soprattutto le immagini dei cosiddetti scorticati (Figura 3), cioè di quei corpi nudi che, sprovvisti dello strato superiore della pelle o sollevandola essi stessi con atteggiamento esibizionista, mostrano all’osservatore la loro anatomia15.
Figura 3 – Andrea Vesalio, De humani corporis fabrica (1543). Fonte: Wikipedia
La vita e la morte si confondono senza soluzione di continuità in queste figure, le cui posture ostentano – a dispetto della morte da cui traggono origine – una straordinaria vitalità teatrale. Ne sono un esempio le tavole anatomiche dove muscoli, nervi, vasi sanguigni sono gli elementi del corpo esibiti da figure che posano sulla scena di uno spettacolo che assumerà nel barocco, con figure come quella di Pietro da Cortona (1597-1669)16, la sua massima espressione (Figura 4).
Figura 4 – Pietro da Cortona, Tabulae anatomicae (ristampa anastatica 1741)
Nel corso del XV e del XVI secolo, l’affermarsi della dissezione provocò un cambio di paradigma che ha posto l’atto del vedere al centro sia dell’indagine scientifica che della pratica didattica, assegnandogli una funzione euristica ed epistemologica fondamentale. Secondo la studiosa Pamela H. Smith, la ricerca e l’acquisizione di nuove conoscenze nella prima età moderna è passata, inoltre, attraverso quello che lei ha definito «the epistemology of handwork»17; in altri termini, l’osservazione pratica e diretta, che coinvolge fisicamente il ricercatore nell’interazione con fenomeni e oggetti della natura, avrebbe segnato, a partire dal XVI secolo, un mutamento radicale nella metodologia dell’investigazione scientifica18. Furono gli stessi anatomisti rinascimentali a sottolineare il ruolo della percezione sensoriale nella conoscenza anatomica, in contrapposizione a un processo conoscitivo fondato unicamente sulla parola scritta o proferita. Il medico Jacopo Berengario da Carpi (1460-1530), nel suo commento all’Anatomia di Mondino de’ Liuzzi19, scriveva: «Et non credat aliquis per solam vivam vocem aut per scripturam posse habere hanc disciplinam: quia hic requiritur visus et tactus»20. Ebbene, la Fabrica accoglie questo assunto metodologico trasferendolo all’interno del libro, costruito sull’integrazione e sulla reciprocità referenziale tra testo e immagine, l’unica in grado di assicurare una piena comprensione dell’opera.
A distanza di un secolo il pedagogista Jan Comenius (1592-1670)21 avrebbe definito il metodo dissettivo con il concetto di ‘autopsia’. Se vedere equivale a dimostrare, la produzione e l’esibizione delle immagini avranno, in campo scientifico e didattico, il valore di controllo e di dominio sulla realtà dove tutto può essere rappresentato, conosciuto, descritto: «Il concetto di ‘autopsia’ nella didattica di Comenio ha un valore paragonabile a quello del cogito cartesiano; essa cioè rappresenta una sorta di fondamento su cui costruire la certezza del metodo»22. In realtà Comenio usava il termine ‘autopsia’ in senso estensivo, volendo significare l’intera gamma dei sensi, e non già solo quello della vista, come l’etimologia greca lascerebbe intendere23: «La parola ‘autopsia’, nel suo significato etimologico e metodologico era, si può dire, alla base delle diverse scienze che fra il XVI e il XVII secolo si applicavano alla ricerca fondata sull’indagine empirica attraverso l’osservazione diretta della realtà»24.
Fino alla seconda metà del XVI secolo, di fatto, non si studiava la realtà osservandola con i propri occhi, ma attraverso i testi della tradizione (e il magistero della Chiesa che ne era custode) cui si assegnava il valore di ‘verità’. Questo metodo si rivelava in modo significativo nei procedimenti didattici in base ai quali si strutturava la trasmissione del sapere. Il modello conoscitivo galenico – per quel che riguarda il corpo umano – e quello tolemaico – per quel che concerne la conoscenza dell’universo – rappresentavano l’orizzonte scientifico, cui filosofi e scienziati dovevano continuamente guardare, ma che non dovevano varcare. L’iconologo Martin Kemp ha individuato nelle «due scienze del 1543, l’anatomia e l’astronomia»25 i punti di riferimento per capire «in che misura rappresentazioni visuali come quelle realizzate sulla pagina forniscano una via d’accesso ai modelli concettuali presenti nella mente degli scienziati [...] [e] in che misura gli aspetti innovativi delle due scienze venissero trasmessi mediante la rappresentazione visuale»26.
Il metodo autoptico divenne dunque il modello epistemologico che consentì la svolta radicale nel modo di fare e di pensare la scienza. Ma c’è un prima della Fabrica di Vesalio, costituito dalla produzione di singole stampe a contenuto anatomico non necessariamente solidali con un volume, da cui l’appellativo di anatomical fugitive sheets, utilizzato per indicare appunto la natura effimera di questi manufatti27. Portati per la prima volta all'attenzione degli storici della medicina da Ludwig Choulant (1791-1861) nel 185228, sono stati inventariati e catalogati nel 1923 e nel 1925 da Le Roy Crummer (circa 1871-1934)29. Più di recente sono stati oggetto di studio da parte di Andrea Carlino che ne ha censiti 62 per il periodo 1538-168730 e di Suzanne Karr Schmidt che ne ha individuati 63 a coprire il periodo 1450-180031, a cui vanno aggiunti i 234 libri interattivi pubblicati tra il 1474 e il 1750 circa di cui 50 a carattere anatomico32. Capifila di questa specifica tipologia bibliografica sono i fogli volanti creati nel 1538 a Strasburgo dall’incisore tedesco Heinrich Vogtherr il Vecchio (1490-1556)33 e costituiti da figure composte da flap e da brevi testi esplicativi, per lo più in volgare, oltre che in latino.
Pubblicati a coppie, raffiguranti l’anatomia del corpo umano maschile e femminile, gli anatomical fugitive sheets ebbero un immediato successo commerciale e si rivelarono una formula editoriale vincente perché, da una parte, sintetizzavano figurativamente i contenuti dei trattati anatomici in uso nelle università e, dall’altra, costituivano un manufatto tipografico di carattere spiccatamente popolare. La potenza retorica dell’immagine è stata dunque funzionalmente impiegata per trasmettere a una più ampia platea di lettori un sapere scientifico normalmente riservato soltanto a un pubblico specializzato. Va dunque detto che la produzione e la diffusione dei fogli volanti a carattere anatomico ha coinciso cronologicamente con la rinascita anatomica rinascimentale: essi erano frutto della stessa cultura che portò all’associazione definitiva, nei trattati anatomici, dell’immagine con il testo.
Per comprendere il particolare milieu in cui avvenne la produzione delle stampe, lo studioso Andrea Carlino ha individuato nel territorio europeo l’esistenza di un sistema capillare di piccole botteghe e comer press34, attivamente coinvolto nella distribuzione di questi fogli anatomici volanti. Disegnatori, xilografi, incisori, stampatori e modesti librai assunsero un ruolo di primo piano, dal momento che portarono da protagonisti il loro contributo alla creazione di un gruppo professionale di stampatori indipendenti, i quali producevano e pubblicavano immagini e testi per il nuovo mercato della stampa. E tuttavia l’apice di questa tradizione sarà raggiunto nel XVII secolo con il trittico di immagini costituito dal Catoptrum microcosmicum (1613) del medico tedesco Johann Remmelin (1583-1632)35. Le illustrazioni, realizzate dall’incisore Lucas Kilian (1579-1637), sono considerate un’eccezione all’interno della categoria dei fugitive sheets, soprattutto per l’associazione tra anatomia e alchimia, in combinazione con forme di conoscenza allegoriche, filosofiche e persino occulte, e per la presenza di numerose iscrizioni in latino, ebraico e greco. Ne è un esempio significativo la ‘prima’ delle tre visioni, in cui la stratificazione di codici linguistici, iconici e culturali è particolarmente complessa e non del tutto decifrabile (Figura 5).
Figura 5 – Johann Remmelin, Visio prima, da Catoptrum microcosmicum (1613)
Queste immagini anatomiche mettevano a sistema il discorso scientifico con una teologia della conoscenza che faceva del corpo umano il luogo della glorificazione dell’opera di Dio in cui ognuno riconosceva in sé stesso, nel proprio corpo, la potenza divina e i limiti della propria esistenza.
Come abbiamo visto, la pratica della dissezione era ampiamente diffusa già prima che Vesalio aprisse nuovi fronti disciplinari. In tutte le rappresentazioni della lezione d’anatomia ricorre infatti la presenza di due elementi: il cadavere aperto e un’autorità testuale. Gli atteggiamenti degli anatomisti nei confronti di questo binomio, e gli usi diversi che ne conseguono, costituiscono il cardine intorno al quale si sviluppa la storia dell’anatomia tra il XV e il XVI secolo.
La dissezione dei cadaveri a scopo di studio fu a lungo vietata, sulla base di un pregiudizio religioso secondo cui il corpo dell’uomo doveva rimanere integro dopo la morte per presentarsi tale al cospetto di Dio. Secondo Franca Ongaro Basaglia, le idee sull’anatomia umana erano il frutto di un pensiero scientifico antico «cui a fatica si distingueva tra magia e metafisica, osservazione e superstizione, e dove ogni parte del corpo doveva trovare una spiegazione teleologica»36. L’anatomia di Galeno rappresentava la sintesi più alta di questo pensiero, che nel Medioevo era entrato a far parte del corpus filosofico-scientifico-religioso del cristianesimo. «Era soprattutto questa sacralità del testo a inibire se non a vietare esplicitamente le osservazioni dirette sui cadaveri»: una normativa estremamente rigida definiva i criteri cui attenersi per la dissezione dei cadaveri a scopo didattico nelle università; e «lo scopo didattico era essenzialmente quello di dimostrare le verità di Galeno: ‘l’osservazione’ era in tutto funzionale e dipendente dalla ‘lezione’»37.
Le lezioni di anatomia nelle università si svolgevano in uno spazio denotato come ‘teatro anatomico’; teatro, a indicare la dimensione scenico-rappresentativa del processo dissettorio. Significativi, al riguardo, i differenti modelli di teatri anatomici del Seicento, rappresentati rispettivamente da quello di Padova (Figura 6) e da quello di Bologna (Figura 7), modelli antonimici l’uno rispetto all’altro, i quali attraverso una topografia degli ambienti dislocati in maniera opposta riflettono un’analoga polarità di intendere lo svolgimento della lezione.
Figura 6 – Teatro anatomico di Padova
Mentre quello di Padova – secondo Giovanna Ferrari – ha la tipica struttura architettonica dell’arena, con il tavolo per la dissezione posto al centro in basso, e tutt’intorno le file di palchi addossate una sull’altra, quello di Bologna, costruito intorno alla metà del Seicento nella sede universitaria dell’Archiginnasio, ha una struttura didatticamente più composta, perché organizzata su due punti focali:
Il tavolo di dissezione era controbilanciato dalla cattedra da dove il professore di anatomia esponeva e difendeva le sue tesi. La struttura del teatro [...] e il fatto che gli spettatori fossero comodamente seduti ai loro posti suggerisce un’atmosfera rilassata in totale contrasto con quella evocata più sopra dal teatro anatomico di Padova38.
Figura 7 – Teatro anatomico di Bologna
Roberto Farné osserva come nel suo trattato del 1545, De dissectione partium corporis humani, l’anatomista francese Charles Estienne (1504-1564)39 descrivesse le caratteristiche del teatro anatomico utilizzando una terminologia che traduceva l’esperienza didattica della dissezione anatomica in un evento spettacolare, confermando che a diffondersi nelle università europee fosse soprattutto il modello di teatro anatomico padovano, piuttosto che quello bolognese. La struttura spaziale di quest’ultimo, definibile più come aula che come teatro, con la cattedra contrapposta al tavolo di dissezione, era il segno di un ordine didattico che riconduceva la visione diretta (‘autopsia’) di ognuno a una sintesi interpretativa superiore, quella, appunto, della ‘cattedra’.
Un demonstrator, che svolgeva il lavoro manuale, aveva il compito di sezionare il cadavere mentre, collocato in una posizione più alta o seduto in cattedra, il magister svolgeva la lezione che consisteva nel leggere o nello spiegare i testi di Galeno, invitando gli allievi a vedere nel corpo sezionato esattamente ciò che egli affermava: «La viva voce del maestro, dunque, aveva un peso didattico superiore all’esperienza diretta del toccare e del vedere da parte degli allievi, mentre la manualità del demonstrator e la sua autopsia, espropriate della parola, erano ridotte a meri strumenti di una verità alienata dal suo oggetto»40.
Il punto di svolta, sia a livello didattico sia scientifico, si avrà quando – come ha scritto lo studioso José Gil – «non si tratt[erà] più di vedere ciò che il testo afferma, ma ciò che il corpo svela»41, quando cioè il magister non delegherà più a un demonstrator la dissezione del cadavere, ma sarà lui a farla in prima persona, senza la mediazione di verità tramandate. Il ‘testo’ non è più il corpus delle scritture antiche ma il corpo stesso, di cui sarà necessario insegnare e apprendere il suo proprio linguaggio: «Alphabetum medicorum in qua prius istruendis sunt accedentes ad medicinam»42.
Figura 8 – Fasciculus Medicinae (1491-1492). Fonte: Wikipedia
Ebbene, il punto di svolta di cui dicevamo è eloquentemente rappresentato da due immagini che raffigurano una lezione di anatomia: la prima è una xilografia che si trova nel Fasciculus medicinae, pubblicato a Venezia alla fine del Quattrocento (Figura 8)43. Nell’immagine si pone l’accento con particolare evidenza sulla centralità della funzione del lector: lo si desume tanto dagli abiti più solennemente accademici che indossa, quanto dalla preminenza della sua posizione nella struttura dell’immagine.
La sua posizione nella struttura iconografica di tutte queste immagini, in alto, in uno spazio circoscritto dal pulpito professorale e ben distinto dallo spazio contrapposto della dissezione, esplicita una dicotomia tra l’attività teorica del medico anatomista e l’attività pratica volta alla verifica empirica sul cadavere44.
La seconda immagine, su cui ci siamo già soffermati a lungo, è la stampa pubblicata in apertura del De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio, intento a mostrare il cadavere sezionato a una folla di studenti e curiosi che si accalca intorno a lui, in una lezione di anatomia che assume i caratteri dello ‘spettacolo’ (Figura 1). Mentre in passato l’attenzione era tutta convergente sulla figura del maestro, ora è il maestro stesso a spostare l’asse principale della riflessione su un oggetto che è il centro di interesse comune. Egli si pone come colui che stimola, guida e aiuta i discenti in un percorso di ricerca che ognuno deve fare per ‘diretta autopsia’. È qui che entrano in gioco gli apparati iconografici e i dispositivi mobili, stampati a sussidio dei testi di medicina, e non solo; perché apparati iconografici e dispositivi mobili diventarono nei libri interattivi i complementi didattici della nuova scienza.
La considerevole fortuna, tra il xv e il xviii secolo, dei libri animati è un fenomeno editoriale e culturale non di poco conto, solo se si pensi che essi divennero, per quasi due secoli, popolari sussidi didattici, che riuscivano a trasmettere informazioni di carattere tecnico in un formato interattivo. Si ricorda che con l’espressione ‘libri animati’ si intendono quei manufatti librari creati con finalità di fruizione anche assai dissimili tra loro (scientifiche, didattiche, mnemoniche, ludiche, divinatorie ecc.), che contengono dispositivi meccanici o paratestuali, che richiedono e sollecitano l’interazione del lettore attraverso il movimento di alcuni elementi del supporto cartaceo45.
Non solo flap (come abbiamo visto)46, ma anche volvelle (dischi rotanti, membranacei o di carta, sagomati, sovrapposti e fissati alla pagina sottostante con uno o più perni che consentivano la libera e indipendente rotazione di ciascun disco intorno al proprio asse).
Come afferma lo studioso Gianfranco Crupi, i libri animati «caratterizzati dalla natura ibrida della loro identità (in parte testi, in parte immagini, in parte oggetti dotati di componenti mobili e strumentali)»[47] furono largamente impiegati in quegli ambiti scientifici che coinvolgevano alcuni aspetti del vivere quotidiano, come l’astrologia medica e l’astronomia. Si formerà così una fertile tradizione editoriale del libro anatomico illustrato che, passando per il De homine figuris et latinitate donatus a Florentio Schuyl (1662) del filosofo René Descartes (1596-1650)48, arriverà fino alle straordinarie sperimentazioni grafiche del medico e anatomista francese Gustave-Joseph-Alphonse Witkowski (1844-1923)49, che sfrutterà appieno non solo le opportunità figurative offerte dalla cromolitografia, per rappresentare con puntigliosa verosimiglianza l’anatomia del corpo umano, ma anche il sapiente utilizzo di materiali eterogenei (carte di diversa grammatura, carte a lucido, veline ecc.) per dare evidenza e consistenza tridimensionale alle immagini rappresentate (Figura 9)[50].
Figura 9 – Gustave-Joseph-Alphonse Witkowski, Le Corps humain. Atlas contenant 3 planches pouvant servir de complément à tous les ouvrages traitant de l’anatomie et de la physiologie humaines (s.d.). Fonte: per gentile concessione della Fondazione Tancredi di Barolo di Torino
L’inedita combinazione di flap e volvelle la troveremo, invece, nella serie di stampe, in copia unica, The four seasons of human life facenti parte della Trent collection della Duke University Medical Center Library di Durham (USA)51. Si tratta di quattro incisioni su rame che contengono fino a dodici strati di lembi di carta che possono essere sollevati in modo da scoprire le immagini sottostanti. L’anatomia dell’uomo è scandita attraverso le sue diverse età e, simbolicamente, attraverso le stagioni della natura. La loro complessità, dal punto di vista epistemologico, è caratterizzata, oltre che da un raffinato simbolismo, dalla compresenza di flap e volvelle: le prime, frutto di un’autentica magia cartotecnica, sono finalizzate all’esplorazione del corpo umano per successivi strati anatomici; le seconde, come nel caso della tavola Autumnus, per calcolare il decorso di una malattia o il calendario di una gravidanza52.
Le invenzioni cartotecniche che da Voghterr e da Vesalio in poi presero vita nei libri e nei fogli anatomici erano funzionali, come si è visto, a un nuovo modo di intendere la scienza e il rapporto con il mondo; erano funzionali a un’ideologia scientifica che affondava i suoi presupposti teorici in un metodo basato sulla funzione euristica del ‘vedere’ e del ‘toccare con mano’.
MICHELA GIACOMELLI, Sapienza Università di Roma, Roma, e-mail: michela.giacomelli.romaep@gmail.com.
Il contributo sintetizza alcuni paragrafi della mia tesi di laurea magistrale in Archivistica e Biblioteconomia, discussa il 19 settembre 2022 presso la Sapienza Università di Roma, che ha ottenuto la menzione speciale da parte della giuria del Premio Giorgio De Gregori (2022).
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Ultima consultazione siti web: 2 gennaio 2023.