Un’autobiografia dell’editoria italiana

Giovanni Solimine

La Storia confidenziale dell’editoria italiana pubblicata da Gian Arturo Ferrari1 è un libro che presenta diverse sfaccettature. Come un romanzo si intitolava il bel volume che Daniel Pennac dedicò all’amore per i libri e per la lettura2, e come un romanzo scorre questa narrazione uscita dalla penna di uno dei principali protagonisti dell’industria editoriale del nostro paese nell’ultimo mezzo secolo. Una storia ‘personale’, raccontata dal di dentro, come lui l’ha vissuta dal suo osservatorio, anzi dalle diverse posizioni che ha occupato in questo panorama: Ferrari ha iniziato a ventisei anni il suo apprendistato presso la EST, le edizioni scientifiche di Mondadori, ed è divenuto nel 1973 collaboratore diretto di Paolo Boringhieri presso la omonima casa editrice, forte delle sue esperienze di ricerca nel campo della storia del pensiero scientifico all’Università di Pavia3, per poi passare in Mondadori nel 1984 come editor per la saggistica; successivamente è stato nel 1986 direttore della divisione libri per Rizzoli; rientrato poco dopo in Mondadori, dal 1997 al 2009 ne è stato direttore generale della divisione libri; dal 2010 al 2014 ha presieduto il Centro per il libro e la lettura presso l’allora Ministero dei beni e delle attività culturali; l’ultima esperienza a Segrate è stata quella di superconsulente e vicepresidente di Mondadori libri dal 2015 al 20184. Come si può intuire anche da questa scarne note biografiche, i quasi trent’anni vissuti all’interno della principale casa editrice italiana hanno inevitabilmente segnato la visione che l’autore ci presenta delle vicende editoriali italiane, per cui possiamo comprendere in questo modo il fatto che a volte il racconto sembra essere molto Mondadori-centrico, con le altre sigle editoriali a fare da corona a questa protagonista principale, e perfino alcune omissioni: per fare un esempio, sorprende, infatti, che non si dedichi spazio a un momento importante dello sviluppo della casa editrice, che essendosi accaparrata una posizione di ‘quasi monopolio’ nella produzione del libro unico per le scuole elementari voluto dal regime fascista, sbaragliò la concorrenza e raggiunse una indiscussa leadership nel campo editoriale nazionale5. Siamo di fronte a una storia ‘confidenziale’, raccontata da una ‘persona informata dei fatti’, che non si propone come un cronista imparziale e che tratta la materia con la consueta franchezza, ostentando perfino un certo cinismo, a volte col gusto di stupire che lo ha sempre contraddistinto. L’autore stesso lo confessa nell’epilogo: «Le cose scritte in questo libro sono quasi tutte vere. Me compreso» (p. 363). È la verità di Gian Arturo Ferrari - anzi di Gianni, come, sempre confidenzialmente, viene chiamato l’autore nella sfera privata - osservata col suo sguardo e trasmessa ai lettori nel suo stile, filtrata attraverso un’esperienze che in molti casi gli consente di vedere cose che altri non vedrebbero o a cui non darebbero il giusto peso. Altri forse potrebbero descrivere in modo diverso alcuni passaggi e alcuni episodi, ma è certo che non si disponeva finora di una sintesi di ampio respiro, che fornisse in modo organico una carrellata così densa e circostanziata sulla editoria italiana contemporanea6.
Detto questo, bisogna anche riconoscere all’autore che il libro è scritto benissimo, si fa leggere con gusto e tutto d’un fiato, fornisce una quantità enorme di informazioni e di dati sulle vicende che hanno caratterizzato la vita delle nostre principali case editrici – al punto da far soffrire il lettore attento per l’assenza di un indice dei nomi e dei marchi editoriali, a cui ricorrere per stabilire connessioni; ma ciò avrebbe sancito la natura saggistica dell’opera, che si propone invece come un racconto scritto da chi è stato testimone partecipe dei fatti narrati – e può essere utilizzato, pur senza un esplicito intento didattico, come un vero e proprio vademecum per chi volesse operare in questo mondo e apprendere il mestiere dell’editore, magistralmente descritto da Valentino Bompiani:

i libri li scrive qualcuno, che non è lui. Li stampa, normalmente, un altro, che non è lui. Li vende un terzo, che non è lui. Di suo, di se stesso, l’editore ci mette l’amore. Questo sentimento accompagna l’editore nella sua giornata, lo guida nella scelta, lo distingue e lo sostiene. Di libro in libro va avanti, sempre illuso e sempre consolato, perché ogni volta l’emozione si ripete (p. 33).

Ma su questo aspetto torneremo più avanti.
La narrazione è condita da centinaia di aneddoti e quadretti, che consentono al lettore di entrare nella quotidianità del lavoro editoriale, di coglierne l’atmosfera, di incontrare da vicino le figure principali dell’industria libraria, un ambiente popolato da personalità molto forti: non di rado sembrano davvero personaggi di un romanzo, altre volte caratteristi della commedia all’italiana, che sembra quasi di vedere all’opera, toccandone con mano atteggiamenti e tic. Anche gli stili con cui vengono governate case editrici e gruppi sono molto differenti, a volte condizionati dalla dimensione familiare dei vertici dell’azienda: in alcuni casi fortemente accentrati, con gerarchie e catene di comando più o meno articolate, altre volte in mano a pochi solisti ognuno dedito al suo orticello, o viceversa con una forte condivisione all’interno di una squadra ben assortita, in altri casi ancora con una netta distinzione tra la proprietà e la direzione editoriale, e così via. Fino ad arrivare ad assetti particolarissimi, come quello di Einaudi Stile libero, di fatto una casa editrice autonoma all’interno di un’altra casa editrice. Variano anche le forme e i canali con cui far circolare le informazioni e tenere uniti i rami di un’impresa. Per esempio, il comitato editoriale non sempre ha un ruolo decisivo e quasi mai nella scelta dei singoli libri: può essere l’organismo che colloca le singole scelte in un panorama più ampio, e il luogo in cui le scelte di merito si armonizzano con quelle commerciali e di comunicazione, perché in quella sede si condividono le priorità, i libri su cui si punta. Bella, a questo proposito, la descrizione del gruppo che ruota intorno a Giulio Einaudi, efficacemente definito «una sorta di comitato centrale della cultura italiana» (p. 81), dedito al rito delle riunioni del mercoledì.

Tornando allo stile, al tempo stesso garbato ma ruvido, con cui l’autore espone i fatti narrati, è interessante la teorizzazione di questo atteggiamento come forma di gestione, che leggiamo a p. 283:

Penso che le energie migliori siano oppositive, che diano i migliori frutti se si contrappongono a qualcosa, cioè in effetti a qualcuno. L’ho imparato da Franco Tatò, che anche con me non ha mai mostrato alcuna condiscendenza. Le cose bisogna dirsele come stanno, senza tante storie. Meglio provocare che mostrarsi acquiescenti. La parte mi viene bene (anche per una certa inclinazione naturale).

Quella raccontata da Gian Arturo Ferrari è una storia che ha sicuramente come principali destinatari gli addetti alla filiera del libro, ma che in molte pagine diviene più ampia e ricca, sottolinea alcuni snodi essenziali per la comprensione della nostra storia nazionale e si allarga di molto, intrecciandosi allo sviluppo della società italiana tout court, accompagnandola e seguendola: la principale industria culturale, perché tale è - anche in termini di fatturato, se confrontata con altri filoni di attività, come il cinema, la musica, il teatro ecc. - l’editoria libraria, è naturalmente influenzata dalle condizioni generali del paese e talvolta contribuisce a determinarle. Gli italiani non hanno mai avuto consuetudine con la lettura dei libri e ciò ha origine storicamente in un basso livello di istruzione e in una netta separazione tra le élites culturali e il resto della popolazione: «La diffidenza nei confronti dei libri, molto più marcata occorre dire in Italia che negli altri paesi europei - scrive Ferrari -, è il retaggio di secoli in cui i libri sono stati percepiti come un segno distintivo e un privilegio delle classi dominanti» (p. 327). Senza citare origini ancora più remote ma molto profonde, come le differenze tra la tradizione cattolica e la pratica religiosa fondata sulla lettura della Bibbia nei paesi di cultura protestante, che non a caso hanno sconfitto l'analfabetismo molto prima e sono caratterizzati ancora oggi da indici di lettura molto elevati. Per questi e per altri motivi, la lettura di questo libro andrebbe raccomandata anche a chi non opera nel settore ma desidera capire fino in fondo come funzionano la cultura, la società, e forse anche l’economia, in Italia.
Senza avere la presunzione di voler riassumere qui il contenuto delle 363 pagine di cui si compone il volume, ci soffermeremo ora su alcuni passaggi che, secondo chi scrive, meritano più di altri di essere evidenziati.
Il libro si apre con la storia parallela di quelli che sono forse i due principali artefici della nascita della moderna editoria italiana, Arnoldo Mondadori e Angelo Rizzoli (p. 9-12): entrambi di umili origini7, entrambi provenienti dall’attività tipografica, entrambi divenuti editori orientati al grande pubblico e impegnati, a loro modo, nell’allargare le basi sociali della lettura. Lo sviluppo delle imprese da loro fondate, e sviluppatesi poi con fortune diverse, occupa molto pagine del volume e si distende lungo tutta la narrazione, senza che qui sia possibile ripercorrerne neppure i tratti essenziali, per cui non resta che rinviare alla lettura del libro di Ferrari. La linea editoriale cui essi si ispireranno – alla ricerca di un punto di equilibrio ‘tra Dio e Mammona’, vale a dire tra l’esigenza di far quadrare i conti e produrre profitti e quella di perseguire la qualità e produrre buoni libri (la mitica BUR e gli Oscar sono stati forse i principali tentativi con i quali, rispettivamente, Rizzoli nel 1949 e Mondadori nel 1965 hanno cercato di dar vita a un’editoria popolare, accessibile per chi non aveva mezzi sufficienti per mettere insieme una biblioteca domestica). Quando non si riesce a conciliare queste due esigenze, a tenere insieme il Dio della cultura e il Mammona dell’economia, si va incontro alla rovina, come testimonia la parabola della Einaudi, una casa editrice che agli inizi «sembra una specie di Laterza torinese, più di sinistra» (p. 39), che esce dal secondo conflitto mondiale e dal fascismo con le carte in regola per rappresentare lo spirito della nuova Italia repubblicana e che, infatti, ha tenuto alta per decenni la bandiera dell’egemonia culturale della sinistra, per «mettere Gramsci al posto di Croce» (p. 51), divenendo riferimento dei ceti colti e progressisti. L’idea di una casa editrice ‘di cultura’ non dedita prioritariamente al profitto, attenta a quel che si pubblica prima che a quanto si guadagna, cronicamente sottocapitalizzata – problema reale ma che Ferrari non ritiene determinante come motivazione del fallimento – ma lanciata a capofitto verso imprese ambiziose, se non addirittura presuntuose, come le ‘grandi opere’ in molti volumi, da pubblicare in un arco di tempo assai lungo e da vendere attraverso il canale rateale (la Storia d’Italia, appesantita da diciassette volumi dedicati alle regioni e ben ventisette di Annali; cui seguirono la Storia dell’arte italiana, la Letteratura italiana e altre opere consimili, ma più di tutte l’Enciclopedia) andò a imbattersi tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta con il venir meno dell’orizzonte culturale e politico di riferimento. Marx ha perso e Nietzsche ha vinto, Einaudi fallisce e Adelphi cresce, sintetizza Ferrari (p. 138-141).
Impossibile soffermarsi qui sui ritratti bellissimi che il libro offre di tanti altri editori, delineando di ciascuno le sue peculiarità: Bompiani, Longanesi, Feltrinelli, Garzanti, Boringhieri, Calasso, e tanti altri, compresi quelli che hanno avuto un peso minore, un’esistenza effimera o meno fortunata, o le identità di chi coltiva una nicchia di mercato anche per differenziarsi rispetto ai grandi marchi generalisti. La fisionomia di una casa editrice la si coglie dal progetto che la anima: «L’identità non è qualcosa di dato, che sta alle spalle, ma qualcosa che sta davanti, da costruire» (p. 336). Di grande interesse anche le riflessioni proposte su alcuni momenti cruciali dell’andamento della nostra editoria o del mercato, come gli effetti del vento del ’68; le storie familiari che non poco peso hanno avuto nella vita di alcune sigle editoriali e perfino nei processi di concentrazione (e qui risulta molto utile leggere la visione che Ferrari propone dell’affaire Mondadori, col ruolo giocato da Caracciolo, il gruppo Fiat, Cuccia, De Benedetti, Tatò, Berlusconi e dai diversi rami della famiglia in guerra tra loro, fino ad arrivare, anche se il tema viene affrontato un po’ di sfuggita, al ‘suicidio assistito’ della Rizzoli e alla sua successiva incorporazione nel gruppo di Segrate e alle prese di posizione dell’antitrust); gli incroci tra produzione, circolazione e vendita dei libri che ha portato a concentrazioni verticali (in questo caso sono da citare le pagine dedicate alle Messaggerie, alla famiglia Mauri e alla nascita del gruppo GeMS, o quelle in cui si parla delle catene di librerie Feltrinelli e Giunti); tanti i casi di rivalità fra sigle editoriali e a volte perfino all’interno della stessa casa editrice, di alleanze in apparenza solidissime che si sciolgono come neve al sole, di colpi di mano improvvisi o di lunghe guerre di logoramento. Molto interessanti anche alcuni squarci sul quadro internazionale e alcuni colossi che dominano il mercato a livello europeo (p. 330-334), il racconto delle trattative condotte per l’acquisizione dei diritti in occasione della Fiera di Francoforte o le lezioni di pragmatismo apprese, nel caso ce ne fosse stato bisogno, durante i viaggi negli Stati Uniti, dove Ferrari prende atto che, se è vero che l’editoria è un fenomeno commerciale, dove si comprano e si vendono «il frutto dell’ingegno e della creatività umana calato nella forma del libro», risulta di palmare evidenza che «l’editoria, più dell’accademia, più del giornalismo, è il cuore pulsante della vita intellettuale di un paese. Senza sdilinquimenti però, la stella polare resta il successo. Concreto, misurabile. Vige l’assioma che se un libro è buono avrà successo. Se non ce l’ha vuol dire che non era tanto buono. (O che l’editore non ha saputo fare il suo mestiere)» (p. 245). Negli Stati Uniti, si sa, il successo è la categoria dominante, e lì il libro è pronto per andare in stampa circa un anno prima della sua pubblicazione, tempo che viene impiegato per mettere a punto le strategie di marketing, per pianificare la comunicazione del prodotto, per calibrare la distribuzione.
Al centro della trattazione c’è una figura-chiave della vita e dell’attività di una casa editrice, il direttore o il funzionario editoriale: «”l’editoriale”, uno che i libri non solo li conosce e li ama, ma li sa fare e li fa. Non il proprietario, non l’editore, non un consulente, ma un funzionario che delinea e attua la strategia» (p. 29). Il prototipo è Luigi Rusca, intellettuale dotato di ottimo senso pratico e anima della Mondadori dalla fine degli anni Venti del Novecento. Nel volume vengono citati tanti altri che hanno incarnato questo ruolo (Giorgio Colli, Vittorio Sereni, Ferruccio Parazzoli, il ‘mago dei libri’ Mario Spagnol, Ernesto Ferrero, Giancarlo Bonacina, Sergio e Marco Polillo, Antonio Franchini, per citarne solo qualcuno), ma – inutile dirlo – Ferrari stesso ne è il principale interprete8.
In apertura si parlava delle diverse sfaccettature di questo libro, che affiorano durante la lettura come una sorta di sottotesto. Il volume è costellato di asserzioni lapidarie – ma sempre argomentate e supportate di esempi concreti e dagli insegnamenti che Ferrari stesso ha ricavato dalle esperienze e dagli incontri fortunati che ha avuto nei diversi ambienti lavorativi – che nel loro insieme costituiscono l’ossatura di un manuale di editoria e che potrebbero essere scelte come argomenti di altrettante lezioni teorico-pratiche di un virtuale corso per aspiranti ‘editoriali’, per dirla à la Ferrari. Queste ‘pillole’ vengono proposte a un ritmo incalzante, che diviene particolarmente intenso nella parte finale del libro. Ne riportiamo qui alcune, senza avere la pretesa di riuscire nell’intento di coglierle tutte:

Passiamo ora all’elenco degli ingredienti con i quali Ferrari ritiene che si debba assemblare lo staff di una casa editrice: persone che non pensino ad altro che ai libri, dotate di una solida formazione culturale ma senza essere specialisti di altro che dell’editoria, che vogliano cimentarsi solo nella produzione editoriale e guadagnarsi da vivere in questo modo, puntando quindi ai risultati concreti del loro lavoro, esenti da snobismo, dotati di fiuto e di un po’ di ribalderia, flessibili e disponibili a passare con disinvoltura da un genere editoriale all’altro (p. 265-266).

Ci fermiamo qui, perché questo libro va letto e riletto, se si vuole imparare il mestiere o, quanto meno, comprendere le dinamiche del mondo editoriale.
Per concludere, proviamo ora a compilare una sorta di esercizio, per verificare il livello di apprendimento raggiunto da chi scrive al termine della lettura del volume di Gian Arturo Ferrari. Tentiamo la ricostruzione dell’iter del processo decisionale che ha portato l’editore Marsilio alla scelta di pubblicare questo titolo e a come proporlo al pubblico: è un libro che finora non c’era, che colma una lacuna nell’offerta editoriale; l’autore è uno dei principali conoscitori della materia affrontata nel volume e quindi garantisce l’autorevolezza della trattazione; la scelta di aggiungere nel titolo l’aggettivo ‘confidenziale’ attribuisce qualcosa di più e chiarisce che non viene proposta solo una ricostruzione storiografica, come è confermato anche dalla collocazione del volume in una collana di testi narrativi; la copertina propone l’immagine di alcuni pappagalli9 e ha il merito di incuriosire il potenziale acquirente, ma per afferrare fino in fondo il significato metaforico di questa scelta, che forse intende rappresentare la variopinta fauna degli ‘editoriali’, non rimarrebbe che chiedere aiuto allo stesso Ferrari.


Note

GIOVANNI SOLIMINE, Sapienza Università di Roma, email: giovanni.solimine@uniroma1.it.

1 Gian Arturo Ferrari, Storia confidenziale dell’editoria italiana. Venezia: Marsilio, 2022.
2 Così il titolo dell’edizione italiana Feltrinelli, uscita nel 1993. Comme un roman si intitola l’edizione francese del 1992, edita da Gallimard.
3 Boringhieri sa scegliere i collaboratori, scrive Ernesto Ferrero, e tra questi cita «un giovane e brillante storico della scienza antica, Gian Arturo Ferrari, futuro governatore della galassia Mondadori»: Ernesto Ferrero, Album di famiglia. Torino: Einaudi, 2022, p. 59.
4 Altri momenti significativi della sua biografia intellettuale sono stati, oltre all’impegno accademico, quello di editorialista del Corriere della sera, e la prova di narratore con il romanzo Ragazzo italiano, pubblicato da Feltrinelli nel 2020 e finalista nello stesso anno alla 74a edizione del Premio Strega.
5 Grazie alla produzione del libro di Stato, il fatturato di Mondadori raddoppiò nel giro di un paio d’anni, passando da 1.460.000 lire del 1932-1933 a 3.160.000 lire nel 1935-1936. Cfr. Enrico Decleva, Mondadori. Torino: UTET, 1993, p. 209.
6 Da segnalare altri due interessanti volumi pubblicati di recente: il già ricordato lavoro di Ferrero, Album di famiglia cit., che fornisce oltre quaranta profili di altrettanti protagonisti della cultura editoriale, incontrati da Ferrero durante la sua lunga militanza presso Einaudi e poi da direttore del Salone del libro di Torino; Sebastiano Mondadori, Verità di famiglia: riscrivendo la storia di Alberto Mondadori. Milano: La nave di Teseo, 2022, dedicato a una figura molto complessa e inquieta della dinastia mondadoriana, cui anche Ferrari dedica molto spazio nella sua trattazione.
7 Recensendo questo libro Paolo Di Paolo ha giustamente rilevato il «potenziale dickensiano nelle premesse di avventure che cambiano il nostro paesaggio intellettuale novecentesco». Cfr. Note a margine dell’editore, «La Repubblica», 25 novembre 2022.
8 Elogio degli “editoriali”, coloro che hanno fatto prosperare l’editoria italiana si intitola la recensione di Giampiero Mughini, «Il foglio», 29 novembre 2022.
9 «Un gruppo di ciarlieri e colorati pappagallini che stanno “all’apparenza” festosamente insieme» ha scritto Elena Commessatti recensendo il volume sul «Messaggero veneto», 16 gennaio 2023.