I grandi assenti: i bibliotecari negli archivi di Stato

Francesca Nepori

Introduzione

Il 24 febbraio 1999 ha avuto luogo nella Sala Alessandrina dell’Archivio di Stato di Roma una giornata di studi dedicata alle biblioteche d’archivio, in particolare a quelle degli archivi statali. Biblioteche che, per tipologia e per le norme che le regolano, custodiscono patrimoni librari in molti casi ancora sconosciuti. La pubblicazione degli atti della giornata nel 2001 ha permesso di focalizzare l’attenzione su queste biblioteche speciali mettendone in rilievo le peculiarità dal punto di vista bibliografico. Purtroppo, da quel lontano 2001, la situazione è poco mutata e la mancanza di bibliotecari negli archivi di Stato ne è uno dei tratti problematici più vistosi.
Ripercorrere la storia, anche normativa, delle biblioteche degli archivi di Stato, nate spesso per la volontà e la tenacia dei capi d'istituto che, attraverso una rete epistolare capillare con le istituzioni culturali del territorio nazionale, rimpolpavano le erigende librerie di volumi in dono o ottenuti attraverso scambi di doppi librari, significa comprendere come i direttori – attraverso l’acquisto sul mercato antiquario e da privati cittadini di singoli testi ma anche di intere collezioni librarie, importanti per ricostruire la storia anche letteraria del territorio di competenza –, abbiano reso queste biblioteche uniche nel loro genere. Istituite per l’aggiornamento dei funzionari archivisti e per permettere loro lo studio, il riordino e l’inventariazione dei fondi documentari, hanno nel tempo mutato la loro mission ampliando la platea della consultazione agli utenti esterni, ma solo nel caso in cui questi non riescano a reperire le pubblicazioni in altre biblioteche. A oggi, nonostante vantino un patrimonio librario di un certo rilievo e spesso unico, vengono gestite in assenza di personale inquadrato nel ruolo di bibliotecario con tutte le problematiche che ciò comporta in termini di catalogazione, pianificazione degli acquisti e assistenza per la ricerca bibliografica.

Le biblioteche degli archivi di Stato: uno stallo normativo?

Con r.d. 27 maggio 1875, n. 2552 si stabilirono le regole dell’ordinamento generale degli archivi di Stato istituiti a loro volta – con r.d. 5 marzo 1874, n. 1852 – alle dipendenze del Ministero dell’interno1 che impose tra l’altro la formazione del Consiglio per gli archivi «organo collegiale composto inizialmente da un presidente e otto consiglieri, nominati con decreto reale su proposta dei Ministri dell’Interno e dell’istruzione pubblica, tutti rigorosamente estranei al personale degli Archivi ma scelti tra i più illustri esponenti della cultura italiana». Il primo Consiglio per gli archivi del Regno, nominato il 7 aprile 1874 e presieduto da Michele Amari, era composto da Michelangelo Castelli, Marco Tabarrini, Cesare Correnti, Giulio Porro Lambertenghi, Pasquale Villari, dall’abate Luigi Tosti e da Enrico De Paoli con le funzioni di segretario2.
Nel regolamento generale degli archivi di Stato del 1875 le biblioteche degli archivi di Stato non sono menzionate; altrettanto può dirsi per le sedute del Consiglio per gli archivi, che raramente hanno all’ordine del giorno il patrimonio librario degli archivi; quando si discute di libri lo si fa per l’annosa questione della restituzione alle biblioteche governative di manoscritti di natura non archivistica e viceversa3.
L’anno successivo con il d.m. 18 giugno 1876 del Ministro Segretario di Stato per gli affari dell’interno viene approvato il Regolamento per il servizio interno degli archivi che sarà poi inglobato nel Regolamento generale degli archivi emanato con r.d. 9 settembre 1902, n. 445. Agli articoli 62-65 si trova il capitolo IX Della biblioteca. Se l’art. 62 recita: «La Biblioteca è dal Sovrintendente data in custodia particolare a un uffiziale. Essa serve specialmente agli uffiziali dell’archivio: però gli studiosi possono chiedere nella sala di studio i libri necessari alle loro ricerche», l’art. 63 impone che il Ministero invii «a ciascun archivio la Raccolta degli atti del Governo, la Gazzetta ufficiale del Regno e un esemplare di tutte le pubblicazioni sugli archivi fatte a spese dello Stato». I successivi due articoli forniscono poche indicazioni sulla gestione dei volumi a stampa. In particolare, l’art. 64 dispone che «nessun libro può essere portato fuori dall’archivio tranne che per oggetto di studio dagli uffiziali dell’archivio, e sotto la responsabilità del Direttore», norma tuttora in vigore. L’art. 65 recita: «Chi ottiene di consultare un’opera deve darne ricevuta che sarà restituita dal Bibliotecario quando l’opera gli verrà riconsegnata». Ovviamente il bibliotecario di cui viene fatta menzione è semplicemente l’impiegato addetto alla biblioteca e non una figura professionalmente qualificata.
Se per i primi due anni di vita degli archivi di Stato la normativa per le biblioteche d’istituto è demandata al regolamento interno del 1876, il successivo regolamento generale degli archivi di Stato – emanato con r.d. 9 settembre 1902, n. 445 – riprende agli articoli 95-97 gli articoli 62-65 del 1876. L’art. 95 stabilisce infatti che la biblioteca sia dal direttore data in custodia a un impiegato (nel regolamento del 1876 era il soprintendente che doveva individuare l’ufficiale a cui affidare il compito di bibliotecario). Nello stesso articolo è prescritto che i libri siano a disposizione «principalmente» degli impiegati dell’archivio, contemplando la possibilità per gli utenti della sala studio di consultare i libri «necessari alle loro ricerche». I successivi tre articoli riprendono pedissequamente quanto imposto negli articoli 63-65 del regolamento interno del 1876.
La situazione non cambia con il successivo regolamento approvato con r.d. 2 ottobre 1911, n. 1163, tuttora in vigore. Gli articoli 108-110 dedicati alle biblioteche d’istituto si limitano, ancora una volta, a fornire quelle minime indicazioni già anticipate nel 1876 e approvate nel 1902. All’art. 108 si trova indicata la funzione: «La biblioteca serve specialmente agli impiegati dell’archivio: però gli studiosi possono chiedere nella sala di studio i libri necessari alle loro ricerche». L’art. 109 si sofferma sul patrimonio librario: «Il ministero invia a ciascun archivio la Raccolta degli atti del Governo, la Gazzetta ufficiale del Regno e un esemplare di tutte le pubblicazioni sugli archivi fatte a spese dello Stato, nonché i bollettini e gli elenchi della Consulta araldica». L’art. 110 invece ribadisce le norme d’uso della biblioteca d’Istituto: «Nessun libro può essere portato fuori dell’archivio, tranne che per oggetto di studio personale, dagli impiegati dell’archivio e sotto la responsabilità del soprintendente o direttore. Di ogni libro che si ottiene di consultare deve essere data ricevuta, che sarà restituita dal bibliotecario, quando l’opera gli verrà riconsegnata; la restituzione dei libri dovrà avere luogo, in ogni caso, entro due mesi dalla consegna».
Ora, pare evidente come questi pochi articoli forniscano minime e lacunose indicazioni sulla gestione delle biblioteche d’archivio, il cui unico incremento sembra essere dato dalla Raccolta degli atti del Governo, dalla Gazzetta ufficiale del Regno e da un esemplare di tutte le pubblicazioni sugli archivi fatte a spese dello Stato. Analizzando attentamente la situazione delle biblioteche archivistiche statali italiane ci si rende conto che le stesse si formarono o perché era già presente una raccolta libraria di un certo rilievo (si pensi alla libreria degli archivi di corte a Torino, nata dall’antica biblioteca ducale con la quale si identificava fino al 1713)4, o attraverso la devoluzione delle librerie degli ordini e delle confraternite religiose soppressi tra Settecento e Ottocento, o (ed è aspetto che mi pare sia stato poco indagato) grazie all’interessamento e alla sensibilità dei direttori degli istituti archivistici, come appare dalla lettura delle relazioni annuali che gli stessi dovevano redigere e inviare alla sovrintendenza archivistica territorialmente competente entro la fine del mese di gennaio dell’anno successivo a quello oggetto di analisi. Queste relazioni, così come i fascicoli relativi agli acquisti, doni e scambi di libri doppi sono fondamentali per ricostruire le storie delle librerie degli istituti archivistici statali. Tutta questa massa di informazioni emerge dalla consultazione della documentazione prodotta dagli stessi archivi di Stato: il cosiddetto archivio della direzione o archivio storico dell’archivio di Stato.
Il caso della biblioteca dell’Archivio di Stato di Massa ne è buon esempio. Dal carteggio – presente nell’Archivio dell’Archivio di Stato di Massa – si percepisce come il progetto di realizzare, mediante doni e acquisti, una libreria che potesse servire alla comprensione della storia del territorio, a uso degli utenti, e per le ricerche archivistiche sia tra i più sentiti da parte del primo direttore Giovanni Sforza. Attraverso una corrispondenza serrata con i responsabili dei diversi archivi di Stato e delle biblioteche governative italiane, ma anche con altre istituzioni culturali (come le società di storia patria disseminate nel territorio italiano), Sforza riuscì a farsi recapitare in dono a Massa – con uno scambio epistolare capillare e mirato – molte pubblicazioni, che rappresentano il primo nucleo della nascente biblioteca d’istituto. A questa strategia d’incremento, Sforza affiancò l’acquisto di opere di interesse locale rivolgendosi al mercato antiquario o contattando direttamente i privati possessori, come risulta dalla documentazione relativa alle spese per i libri e dall’etichetta posta sulla risguardia anteriore dei volumi a stampa e dei manoscritti della biblioteca dell’Archivio di Stato di Massa: «Biblioteca Lunigianese eretta a cura del cav. Giovanni Sforza»5. Questo esempio (ma sicuramente lo spoglio della documentazione prodotta da altri archivi di Stato potrebbe confermarlo) rappresenta la modalità seguita dai direttori per costruire una biblioteca d’istituto al servizio non solo degli studiosi di ‘cose patrie’ e degli impiegati per i lavori di riordinamento e inventariazione della documentazione archivistica, ma utile alla ricostruzione della storia istituzionale, amministrativa e letteraria del territorio in cui gravita l’Archivio. Secondo Annalisa Carlascio:

il r.d. 2/10/1911, n. 1163, tuttora in vigore, ha rappresentato un fattore estremamente inibente del ruolo culturale che le biblioteche d’istituto avrebbero potuto svolgere in ambito nazionale, in quanto ne ha sancito in maniera determinante il carattere complementare rispetto alla ricerca archivistica. Geneticamente caratterizzate da principi normativi contenuti nel regolamento del 1911, hanno vissuto in stretta simbiosi con l’archivio di appartenenza dal quale hanno assimilato la condizione di ambito culturale privilegiato, partecipando e, spesso, subendo le evoluzioni storiche e amministrative che l’istituto ha attraversato nel corso degli anni. Per le biblioteche d’archivio questo ha significato non poter attivare, in mancanza di personale specializzato e di finanziamenti pubblici, una gestione autonoma che avrebbe garantito, oggi, servizi migliori nel rispetto del carattere specialistico delle raccolte6.

Se la normativa del 1911 è ancora oggi in vigore, l’adozione di un regolamento interno per le biblioteche d’istituto sull’esempio delle biblioteche pubbliche statali, basato sul d.p.r. 5 luglio 1995, n. 417 relativo al Regolamento recante norme sulle biblioteche pubbliche statali, non ne ha cambiato le caratteristiche. L’allora Ufficio centrale beni archivistici emanò uno schema-tipo di regolamento della consultazione del patrimonio librario nella sala studio dell’istituto e allegato alla circolare 26 novembre 1997, n. 249 che «ogni Istituto potrà adottare in base alle risorse disponibili ed alle situazioni obiettive», lasciando dunque ampia discrezionalità ai direttori degli istituti tenendo fermi però alcuni punti: «il prestito è consentito esclusivamente al personale d’istituto» e «la presenza di utenti esterni è ammessa solo se questi non hanno la possibilità di consultare le pubblicazioni necessarie alla ricerca in altre biblioteche»7. Chiudono le Linee guida la parte relativa alle sanzioni in caso di danneggiamento o furto.
Dall’excursus normativo esposto emerge come dal 1876 a oggi le biblioteche d’istituto (questo è il nome con cui vengono identificate le biblioteche degli archivi di Stato) non abbiano mutato la loro mission e come poco risalto sia stato dato al notevole patrimonio librario che le caratterizza né in termini di catalogazione né tantomeno in termini di incremento e assegnazione di personale qualificato deputato alla sua gestione.

Il patrimonio librario degli archivi di Stato8

Il ruolo che le norme vigenti assegnano alle biblioteche d’istituto è finalizzato dunque al supporto dell’attività istituzionale dei funzionari archivistici; ciò significa che non è consentito il prestito esterno – anche se è consentita la consultazione in sede da parte degli utenti – e che le raccolte librarie sono concentrate sulla storia amministrativa e locale e sulla formazione professionale. Pubblicazioni, dunque, che permettono agli operatori del settore di avere le cognizioni necessarie sui fondi ai fini del riordinamento e dell’inventariazione: «è questa la ragione per cui queste biblioteche sono caratterizzate in senso locale, ovvero hanno peculiari attributi e caratteristiche che le rapportano alla realtà in cui insistono e alla natura degli archivi conservati»9.
Già queste poche considerazioni aiutano a chiarire la particolarità delle biblioteche archivistiche statali che in molti casi, e i cataloghi lo confermano, possiedono opere di difficile reperimento trattandosi in molti di casi di pubblicazioni che le biblioteche civiche del territorio non prevedono nei loro piani di acquisto. A queste raccolte, strettamente legate alla mission della biblioteca d’istituto, si debbono aggiungere le raccolte librarie che sono giunte in archivio a seguito di versamenti, dunque unitamente ai fondi archivistici di enti periferici dello Stato (per esempio le biblioteche delle avvocature di Stato, delle corti d’appello, dei provveditorati agli studi), o a seguito di donazioni di collezioni private (in molti casi assieme all’archivio familiare viene donata la biblioteca), per non tacere delle biblioteche degli uffici soppressi degli Stati preunitari. Interessanti poi sono i casi, alquanto frequenti, di incremento dovuto alle donazioni librarie degli ex direttori degli istituti archivistici così come le donazioni volute da personaggi, per la maggior parte storici o docenti universitari di archivistica e materie affini (paleografia, sfragistica ecc.) che hanno avuto un rapporto molto stretto con l’archivio di Stato del territorio. Situazioni particolari si registrano, infine, in alcuni istituti archivistici che conservano le biblioteche delle case editrici a seguito di deposito o donazione dell’archivio dell’impresa o casi ancor più rari di raccolte di cataloghi di librai antiquari, strumenti indispensabili per esercitare le funzioni di tutela o per reperire sul mercato opere di storia locale (si veda la raccolta di cataloghi di librai antiquari conservata nell’Archivio di Stato di Massa).
Se queste sono le casistiche, senza alcuna pretesa di esaustività, delle raccolte che possono essere presenti negli archivi di Stato, patrimonio librario che attende, spesso, di essere oggetto di campagne di catalogazione mirate per mancanza di personale qualificato e inquadrato nel ruolo di bibliotecario, è importante sottolineare tutto un universo sotterraneo di pubblicazioni, composto di opuscoli, manifesti, bandi, fogli volanti, decreti, ordini, gride, avvisi e relazioni a stampa, che si trova frammisto ai fondi archivistici stessi, conservato all’interno dei faldoni e delle carte documentarie. Si tratta di materiale minore, spesso effimero, per la maggior parte prodotto in ancien règime da ducati, principati e vescovadi ma che, come ben sanno gli addetti ai lavori, ne aumentano il valore dal punto di vista editoriale proprio perché destinati alla dispersione per la loro caducità.
Ma non basta. Si pensi, ad esempio, alle pubblicazioni degli enti sanitari (istituti di beneficenza, ospedali, case di cura, manicomi, congregazioni di carità) che forniscono ragguagli di tipo statistico sugli accessi alle strutture di ricovero, all’implemento delle rette e altri dati gestionali, o alle edizioni scolastiche (in alcuni casi veri e propri sussidiari) dei provveditorati agli studi, alle piccole e curiose pubblicazioni degli enti radiofonici, delle associazioni operaie, di mutuo soccorso, delle camere del lavoro, delle accademie musicali e dello spettacolo, per non dimenticare i cataloghi editoriali e di antiquariato librario che venivano regolarmente inviati (una pratica che si è persa purtroppo) agli istituti archivistici e che sono conservati ancora una volta nell’archivio dell’archivio10.
Tipologie librarie che meriterebbero particolare attenzione sono tutte quelle pubblicazioni, dagli opuscoli divulgativi dei partiti politici clandestini alla copia d’obbligo (delle tre inviate), che le case editrici dovevano consegnare per superare il visto alla diffusione – soprattutto dopo la circolare telegrafica 442/9532 del 3 aprile 1934 con la quale Mussolini istituiva un Ufficio Stampa in tutte le prefetture del Regno deputate al controllo censorio di ciò che veniva stampato nel territorio di competenza11.
Se, in alcuni casi, si è provveduto a estrapolare questo materiale dal fondo di provenienza (con gli opportuni rimandi alla busta in cui era conservata), per permettere un agevole recupero della pubblicazione catalogata e collocata in una sezione speciale della biblioteca, nella maggior parte dei casi questo materiale minore si trova ancora celato nei depositi archivistici e non è stato ancora né inventariato né tantomeno catalogato. Si è di fronte a un complesso librario eterogeneo che necessiterebbe di campagne di catalogazione mirate e di studi specialistici valorizzandone in tal modo le potenzialità dal punto di vista storico ed editoriale. Spesso questo mondo editoriale, frammisto alla documentazione archivistica, viene segnalato in maniera approssimativa negli inventari archivistici non permettendo quel recupero dell’informazione che soltanto una catalogazione bibliografica è in grado di assicurare (non a caso si usano distintamente i termini inventariazione per gli archivi e catalogazione per le biblioteche).

L’incremento librario

Se le modalità di accesso librario a seguito di versamento o deposito archivistico permettono un introito non preventivamente calcolato (non è chiaro fino alla fase dell’inventariazione analitica che cosa possa custodire dal punto di vista editoriale un fondo documentario), diverso è il caso dell’acquisto mirato. Come ha sottolineato Costanzo Casucci in un articolo pubblicato nella Rassegna degli archivi di Stato del 1975:

L’esigenza di dotare in modo adeguato le biblioteche degli istituti archivistici si fece viva soprattutto nel secondo dopoguerra, quando, potendo dare esecuzione alla legge archivistica del 1939, che istituiva un archivio di Stato in ogni provincia, si pose il problema di provvedere i nuovi organismi degli strumenti necessari al loro funzionamento. Peraltro, un’analisi precisa dell’impegno dell’amministrazione in questa specifica direzione si può fare soltanto a partire dall’anno finanziario 1949-1950, quando la spesa per l’acquisto di materiale bibliografico assunse una chiara fisionomia con la creazione di uno specifico capitolo di spesa. Va tenuto presente però che il capitolo di spesa riguardante le biblioteche d’archivio non è mai stato pertinente la materia in modo esclusivo. Questa anzi è stata sempre unita ad altre ragioni di spesa, che hanno avuto talvolta, e giustamente, priorità rispetto ad essa: fin dall’inizio l’acquisto e la pubblicazione di documenti, cui si aggiungevano a partire dal 1959-1960 l’organizzazione di mostre e di altre manifestazioni a carattere culturale intese a diffondere la conoscenza e a valorizzare il patrimonio archivistico, dal 1961-1962 i contributi ad enti morali che perseguono i fini di cui alla proposizione precedente, infine dal 1962-1963 i viaggi e soggiorni in Italia di studiosi stranieri in materia archivistica, in relazione ad impegni di reciprocità derivanti da accordi culturali. Ciò nonostante l’impegno di spesa per l’acquisto di materiale bibliografico, se pure di difficile delimitazione nell’ambito di un capitolo di bilancio così composito, essendo di fatto aumentato con l’aumentare di questo e in misura proporzionale, può essere legittimamente definito nel quadro dell’incremento, che è stato davvero cospicuo. L’impegno iniziale dell’anno finanziario 1949-1950 infatti si raddoppia nel 1952-1953, si triplica nel 1953-1954, si quadruplica nel 1955-1956, si sestuplica nel 1962-1963 aumenta di 15 volte nel 1965, di 30 volte nel 1970, di 35 volte nel 1972 di 40 volte infine nel 1973. Quanto alla sua precisa entità basti dire che passa dagli iniziali 5 milioni agli attuali 200, dei quali mediamente il 60-70 % è stato destinato all’acquisto di materiale bibliografico. A questo va aggiunto un finanziamento straordinario di 75 milioni alla fine del 1968, destinato interamente all’acquisto del materiale bibliografico12.

Continua Casucci:

L’impegno di spesa, fermo a tale cifra dal 1973 al 1975, malgrado il processo inflattivo di questi anni, è stato di nuovo accresciuto dopo l’istituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali, per cui salirà nel 1976 a 250 milioni, con un aumento davvero ragguardevole del 25%13.

Il piano approvato nel 1968 prevedeva due punti di rafforzamento dell’incremento bibliografico delle biblioteche d’istituto:

  1. a) dotazione degli strumenti bibliografici indispensabili (enciclopedie, repertori, bibliografie, vocabolari, testi fondamentali delle discipline di più specifico interesse professionale: storia, diritto, archivistica, paleografia, diplomatica etc.), che fornisse ad archivisti e studiosi almeno i mezzi più elementari necessari alle loro ricerche;
  2. b) «politica dei periodici», che offrisse soprattutto agli archivisti un quadro quanto più ampio possibile e costantemente aggiornato della produzione scientifica, che più direttamente li riguardava, in primis storiografica e archivistica14.

Se questa è la felice situazione delineata da Casucci nel 1975, negli ultimi decenni gli archivi di Stato sono stati esclusi da accreditamenti che permettessero loro di acquisire pubblicazioni necessarie all’attività istituzionale dei funzionari archivistici né tantomeno di acquistare strumenti lessicografici, tematici, monografie storiche e locali indispensabili per studiare la documentazione da riordinare e inventariare e di supporto a coloro i quali si presentavano in archivio per ricerche storico-archivistiche.
Il cambio di rotta è avvenuto negli ultimi tre anni, dal 2020 al 2022, con il Fondo emergenze imprese biblioteche recante il Riparto di quota parte del Fondo emergenze imprese e istituzioni culturali di cui all’art. 183, comma 2, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, destinato al sostegno del libro e dell’intera filiera dell’editoria libraria a seguito dell’emergenza pandemica che ha stroncato l’attività commerciale delle librerie e delle case editrici più piccole (quelle senza un sito per gli acquisti online). I decreti ministeriali di stanziamento di risorse per l’acquisto di libri sono stati programmati fino all’anno scorso e le risorse sono state gestite dalla Direzione generale biblioteche e diritto d’autore italiano. I decreti di riparto hanno permesso alla biblioteca dell’Archivio di Stato di Massa, realtà che conosco per ovvi motivi, di aggiornare collane, completare opere in più volumi la cui pubblicazione si era dilatata nel tempo (si pensi al Dizionario biografico degli italiani che a Massa si fermava alla lettera G) e acquistare pubblicazioni di storia contemporanea, così come testi di aggiornamento per gli operatori del settore. Da un confronto si è constatato che purtroppo molti archivi di Stato non hanno inoltrato richiesta per l’acquisto di libri per le biblioteche d’istituto forse perché convinti che i fondi fossero destinati alle sole biblioteche di pubblica lettura degli enti locali e a quelle statali ma, molto probabilmente, anche per l’assenza di un bibliotecario che si occupasse del disbrigo burocratico; una mole di lavoro che comporta un’attenta conoscenza del patrimonio esistente e della pianificazione degli acquisti librari. Inoltre la richiesta, essendo demandata ai singoli istituti, non ha sortito gli effetti benefici e innovativi del piano del 1968 che è stato attuato utilizzando le strutture centralizzate dell’amministrazione, permettendo da un lato il rapido accertamento della reale consistenza delle biblioteche dei singoli istituti attraverso la diramazione di questionari, dall’altro la notevole riduzione della spesa mediante acquisti e abbonamenti centralizzati (si pensi alla pregevole rivista Le carte e la storia diretta da Guido Melis e pubblicata dall’editore Il mulino di Bologna), che per l’alto numero delle copie richieste (circa un centinaio) consentivano uno sconto maggiore rispetto a quello che ciascun istituto avrebbe potuto ottenere dalle singole librerie.

La catalogazione del patrimonio librario

La situazione delle biblioteche d’istituto dal punto di vista catalografico è frammentaria mancando un centro propulsore che dia indicazioni in merito ma soprattutto in assenza di operatori tecnici in grado di assolvere a tutte le operazioni necessarie alla gestione bibliografica (inventariazione, collocazione, presa in carico, catalogazione)15.
Nel Servizio bibliotecario nazionale a oggi sono presenti 69 biblioteche d’archivio di Stato (poco più della metà del totale): la Biblioteca dell’Archivio di Stato di Rovigo, di Teramo, di Arezzo, Livorno, Lucca, Pisa, Pistoia, Siena, Massa e Sezione distaccata di Pontremoli, Firenze, Avellino, Caserta, Napoli, Salerno, Modena, Piacenza, Parma, Campobasso, Catanzaro, Frosinone, Latina, Roma, Viterbo, Perugia, Milano, Varese, Pavia, Ravenna, Bologna, Rimini, Bergamo, Brescia, Cremona, Gorizia, Trieste, Cagliari, Nuoro, Sassari, Oristano, Ancona, Pesaro, Foggia, Lecce, Padova, Treviso, Venezia, Belluno, Genova, Savona, Siracusa, Matera, Potenza, Biella, Chieti, Pescara, Alessandria, Torino, Vercelli, Forlì, Prato, Fermo, Vicenza e Sezione distaccata di Bassano del Grappa, Reggio Calabria, Ascoli Piceno, La Spezia, L’Aquila, Bolzano, Palermo, Cosenza16. Secondo i dati estrapolati dall’Anagrafe delle biblioteche italiane dell’ICCU, a fronte di un totale posseduto di 1.520.012 unità tra volumi a stampa, opuscoli, periodici, dischi, manoscritti, carte geografiche, microfilm, musica manoscritta, soltanto 695.669 documenti risultano catalogati nell’Indice SBN17. È bene rimarcare come l’Indice SBN non rispecchi la situazione catalografica di ciascuna biblioteca d’istituto in quanto dati diversi e più cospicui sono presenti invece negli OPAC dei singoli poli a cui le biblioteche afferiscono poiché molte informazioni bibliografiche non sono state localizzate in Indice. Nel caso dell’Archivio di Stato di Massa, la biblioteca d’istituto partecipa alla Re.pro.bi. (Rete provinciale delle biblioteche di Massa Carrara, catalogo cumulativo con tutte le problematiche di duplicazione delle notizie bibliografiche). Consultando l’OPAC provinciale si vede come la biblioteca dell’istituto archivistico massese abbia 12.660 informazioni bibliografiche catalogate in rete a fronte dei 1.799 documenti visibili nell’Indice SBN18.
Dallo studio dell’Anagrafe delle biblioteche italiane dell’ICCU emerge come molte biblioteche d’istituto non abbiano ancora un catalogo informatico, si pensi a Ferrara, Cuneo (temporaneamente chiusa), Verbania, Agrigento, Asti per fare soltanto alcuni esempi. Inoltre, i dati sul posseduto librario risultano in alcuni casi assenti, in molti casi approssimativi o addirittura contradditori. Le biblioteche d’istituto si caratterizzano per un patrimonio che oscilla dai 5.000 ai 10.000 volumi per i centri minori (Rimini, Fermo, Viterbo, Pavia, Oristano, Arezzo) per arrivare a una consistenza che si aggira intorno ai 50.000-100.000 pezzi per i centri maggiori (Milano, Venezia, Lucca, Cagliari, Firenze, Torino). La maggior parte (centri di media importanza) ha un posseduto che si aggira intorno ai 15.000-30.000 unità tra opuscoli, volumi a stampa (antichi e moderni), manoscritti ecc. Nel conteggio del patrimonio non è naturalmente segnalato tutto quel materiale che risulta ancora interpolato alla documentazione archivistica e quindi non ancora inventariato. Poche sono le biblioteche d’istituto che partecipano al progetto di catalogazione dei manoscritti di Manus online dell’ICCU, nonostante vantino una collezione di codici anche letterari di estremo rilievo e solitamente conosciuti soltanto a livello locale19. Lo stesso discorso può farsi per Edit16: a oggi soltanto alcune biblioteche d’istituto hanno aderito al Censimento nazionale delle edizioni italiane del Cinquecento20. Da questa veloce disamina emerge come il sistema bibliotecario degli archivi di Stato rappresenti una realtà decisamente importante nel panorama italiano e dai pochi dati forniti emerge come una sua valorizzazione in termini di catalogazione apporterebbe una ricchezza d’informazione bibliografica non scontata a livello nazionale.

L’assenza dei bibliotecari negli archivi di Stato

L’analisi delle biblioteche d’istituto che si è tentato di presentare evidenzia una realtà bibliografica eterogenea nella quale, a fronte di un patrimonio librario cospicuo e per certi versi ancora da esplorare, molto c’è da fare in termini di inventariazione, catalogazione e valorizzazione. La cronica mancanza di personale bibliotecario nelle strutture archivistiche ne ha mutilato le potenzialità come ebbe modo di sottolineare nel 1996 Serena Dainotto in un articolo pubblicato nella Rassegna degli archivi di Stato e in un altro contributo uscito l’anno successivo e pubblicato dall’AIB21. L’argomento venne affrontato nel 39. Congresso dell’AIB “Le nuove frontiere della biblioteca: cambiamento, professionalità, servizi” tenutosi a Selva di Fasano dal 14 al 16 ottobre 1993 e venne esposto in maniera precisa e puntuale da Maria Antonietta Moro con l’intervento Quali professionalità nelle biblioteche degli archivi di Stato: un futuro ancora da scoprire22. Nonostante siano passati trent’anni dal convegno la situazione non è molto mutata. Nelle biblioteche d’istituto il lavoro quotidiano di inventariazione e di catalogazione viene portato avanti da personale amministrativo o da personale addetto alla movimentazione e alla vigilanza spesso in assenza di un percorso formativo adeguato che permetta loro di svolgere attività tecniche e specialistiche con la padronanza necessaria di un esperto catalogatore e di un funzionario bibliotecario. Queste figure, incaricate a svolgere mansioni non proprie, devono ritagliarsi il tempo tra altre mille incombenze relegando il ruolo della biblioteca d’istituto a poche ore al mese come i dati appena forniti dimostrano.
Il recente piano delle dotazioni organiche approvato dal Ministro della cultura, con il quale si assegna a ogni istituto (musei, biblioteche, archivi) il numero delle figure necessarie per lo svolgimento delle proprie attività non contempla (come in passato d’altronde) la figura del funzionario bibliotecario negli archivi di Stato. Soltanto le sedi dirigenziali come Firenze, Milano, Venezia, Torino, Roma hanno nel loro organico uno o più funzionari bibliotecari23. D’altronde la cronica mancanza di personale del Ministero della cultura non permette di immaginare un futuro diverso da quello attuale e sperare che venga finalmente contemplata nell’organico archivistico la figura del bibliotecario pare un puro miraggio anche se ciò porterebbe a una maggiore valorizzazione delle biblioteche degli archivi di Stato, le quali nascondono, spesso, tesori bibliografici da disvelare e conoscere.
Oggi, e i dati allarmanti lo confermano, si rende invece più che mai necessario implementare il numero degli archivisti negli archivi di Stato e l’organico dei bibliotecari nelle biblioteche statali del Ministero della cultura.

Bibliografia di approfondimento

Carassi Marco, Non solo archivi: nota sul patrimonio bibliografico degli archivi di Stato. In: Gentium memoria archiva: il tesoro degli archivi. Roma: De Luca, 1996, p. 104-107.

Carfagna Daniela, Le biblioteche degli archivi di Stato: biblioteche d’istituto o pubbliche?, «Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari», 8 (1994), p. 7-11.

D’Addario Arnaldo, La formazione delle biblioteche degli archivi di Stato, «Rassegna degli archivi di Stato», 22 (1962), p. 14-20.

Duranti Roberta, Le biblioteche degli istituti archivistici [tesi di diploma]. Roma: Università degli studi di Roma La Sapienza, 1998.

Olla Repetto Gabriella, Le biblioteche degli archivi di Stato e il diritto d’autore, «Archivi e cultura», 12 (1978), p. 123-138.

Serio Mario, Le biblioteche degli archivi di Stato. In: Giornate lincee sulle biblioteche pubbliche statali: Roma, 21-22 gennaio 1993. Roma: Accademia nazionale dei Lincei, 1994, p. 123-132.


Note

Ultima consultazione siti web: 25 febbraio 2023.

1 I cui provvedimenti sono abrogati dal d.l. 25 luglio 2008, n. 112 convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2008, n. 133. Con r.d. 26 marzo 1874, n. 1861 venne istituito un Consiglio per gli archivi, che ebbe il compito di stilare le regole necessarie per la raccolta e conservazione degli atti spettanti agli archivi pubblici. Si veda la Relazione a S. M. del Ministro dell’Interno in udienza del 27 maggio 1875, «Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia», 1875, n. 144, p. 3365-3366, segue il testo del regio decreto alle p. 3367-3371.
2 Pierluigi Feliciati, L’amministrazione degli archivi italiani, l’Archivio di Stato di Napoli e Bartolommeo Capasso: spunti dai verbali del Consiglio per gli archivi. In: Bartolommeo Capasso: storia, filologia, erudizione nella Napoli dell’Ottocento, a cura di Giovanni Vitolo. Napoli: Guida, 2005, p. 301-325.
3 Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’interno, Direzione generale degli archivi di Stato, Consiglio superiore degli archivi, Verbali del Consiglio superiore degli archivi e della Giunta superiore degli archivi, volumi 1-16. I verbali delle sedute del Consiglio per gli archivi sono consultabili sul sito dell’ICAR.
4 Marco Carassi, I tesori bibliografici negli archivi di Stato. In: Le biblioteche d’archivio: atti della giornata di studi, Roma, 24 febbraio 1999, a cura di Serena Dainotto. Roma: Ministero per i beni e le attività culturali. Direzione generale per gli archivi, 2001, p. 25-32: p. 30.
5 Francesca Nepori, Giovanni Sforza cacciatore di libri. In: Giovanni Sforza a cento anni dalla scomparsa: atti del Convegno di studi Massa-La Spezia, 1-4 ottobre, a cura di Stefano Benedetto, Francesca Nepori. Roma: Direzione generale archivi, 2023, p. 89-102.
6 Annalisa Carlascio, L’incremento del patrimonio bibliografico di una biblioteca d’istituto. In: Le biblioteche d’archivio cit., p. 33-52: p. 36.
7 Ivi, p. 41, nota 19.
8 Riprendo in parte quanto già segnalato in Francesca Nepori, Le biblioteche degli archivi di Stato: un patrimonio da esplorare, «L’Almanacco bibliografico», 2021, n. 60, p. 1-3, https://centridiricerca.unicatt.it/creleb-AB_60-DEF.pdf.
9 Gigliola Fioravanti, Le biblioteche d’archivio: caratteristiche, servizio e nuove funzioni. In: Le biblioteche d’archivio cit., p. 19-24: p. 19.
10 Di notevole interesse storico bibliografico è la raccolta dei cataloghi dei librai antiquari conservati presso l’Archivio di Stato di Massa. Per una disamina mi permetto di rimandare a Francesca Nepori, I cataloghi dei librai antiquari: un patrimonio da salvaguardare, «ALAI», 8 (2022), p. 165-185.
11 Per un approfondimento della tematica si veda Francesca Nepori, La Circolare del 3 aprile 1934 e gli Uffici Stampa delle prefetture: la nascita della censura e del controllo editoriale dell’Italia fascista. In: Gli archivi delle prefetture: un universo complesso tra storia e amministrazione, a cura di Annantonia Martorano. Torre del Lago Puccini: Civita, 2022, p. 46-69.
12 Carlo Casucci, L’organizzazione delle biblioteche degli archivi di Stato, «Rassegna degli archivi di Stato», 35 (1975), n. 1-3, p. 342-373: p. 342-343.
13 Ivi, p. 343.
14 Ivi, p. 344.
15 L’argomento è stato affrontato in passato. Francesca Cavazzana Romanelli, Le biblioteche degli archivi di Stato e il Sistema bibliografico nazionale: per nuove forme di cooperazione fra archivi e biblioteche. In: Oltre l’automazione: cooperare per l’efficienza dei servizi bibliotecari nel Veneto: Venezia, Palazzo Querini Stampalia, 19 dicembre 1994, a cura di Chiara Rabitti. Venezia: Fondazione scientifica Querini Stampalia, 1995, p. 23-25; Ead., Le biblioteche degli archivi di Stato e il Servizio bibliotecario nazionale: per nuove forme di cooperazione tra archivi e biblioteche, «Archivi & computer», 5 (1995), n. 4, p. 369-373.
16 Discorso a parte meritano le biblioteche delle soprintendenze archivistiche e bibliografiche e quella, unica nel suo genere, dell’Archivio centrale dello Stato.
17 I dati forniti all’Istat nel 2020 da queste 69 biblioteche d’istituto sono relativi al 2019.
18 La biblioteca dell’Archivio di Stato di Massa consta di un incunabolo (Statuta et decreta communis Genuae. Bononiae: Caligula Bazalerio, 1498), 86 edizioni del Cinquecento (molte del Fondo Pelliccia Remedi che è ancora in fase di inventariazione e catalogazione), 156 edizioni del Seicento e svariate migliaia di edizioni dell’Ottocento e del Novecento.
19 Anche in questo caso sarebbe da immaginare un coinvolgimento delle biblioteche d’istituto che partisse dall’ICCU come centro propulsore di una campagna di catalogazione del patrimonio manoscritto non archivistico.
20 Tra queste si devono segnalare le biblioteche degli archivi di Stato di Roma, Perugia, Bologna, Torino, Reggio Emilia, Palermo, Como, Massa, Modena, Teramo, Biella, L’Aquila, Parma, Mantova, Salerno, Brescia, Milano, Cremona, Sondrio, Firenze, Chieti, Ferrara, Ravenna, Cagliari, Forlì, Lucca, Potenza, Rimini, Siena, Venezia.
21 Serena Dainotto, Biblioteche e bibliotecari negli archivi di Stato, «Rassegna degli archivi di Stato», 56 (1996), n. 3, p. 562-571; Ead., Ruolo e funzione del bibliotecario nelle biblioteche degli archivi di Stato. In: Bibliotecari: ruolo e formazione di una professione per l’informazione, la comunicazione, la ricerca: atti del 41. Congresso nazionale dell’Associazione italiana biblioteche, Brescia, 8-10 novembre 1995, a cura di Aldo Pirola, poster session a cura di Max Victor David, redazione di Maria Teresa Natale. Roma: Associazione italiana biblioteche, 1997, p. 195-197.
22 Maria Antonietta Moro, Quali professionalità nelle biblioteche degli archivi di Stato: un futuro ancora da scoprire. In: Le nuove frontiere della biblioteca: cambiamento, professionalità, servizi: atti del 39. Congresso nazionale: Selva di Fasano, 14-16 ottobre 1993, a cura di Angelo Sante Trisciuzzi. Roma: Associazione italiana biblioteche, [1995], p. 285-291.
23 Non è questa la sede per parlare delle soprintendenze archivistiche e bibliografiche e dell’Archivio centrale dello Stato.