Danila Giaquinta
Quando nel 1957 Marta Maria Pezzoli scrisse Ricordo di Andrea Caronti nel settantacinquesimo anno dalla morte, le informazioni sulla vita e il lavoro del bibliotecario erano poche e reperibili per la maggior parte nelle rarissime e brevi biografie di colleghi e amici. L’opuscolo della Pezzoli, infatti, si conclude con una domanda: «Caronti, chi era costui?»1. Sono passati quasi settant’anni dalla pubblicazione del Ricordo ma poco e niente si è aggiunto allo stato dell’arte: Andrea Caronti è ancora del tutto sconosciuto ed è ricordato solo nella biblioteca in cui lavorò per tutta la vita, la Biblioteca universitaria di Bologna (BUB) 2. In questo articolo si cercherà di ricostruire brevemente la vita e la carriera di Andrea Caronti, con lo scopo di evidenziare la modernità e la qualità del suo operato e di tirare fuori dall’anonimato questo affascinante personaggio bolognese.
Il materiale per le ricerche è stato complesso da reperire: le principali informazioni utili per ricostruire la biografia del bibliotecario sono state individuate in fonti archivistiche, nei carteggi dei contemporanei e in un anomalo copialettere3 che il bibliotecario utilizzava anche per prendere appunti e fare i conti, uno strumento di lavoro molto curioso che permette di toccare con mano la quotidianità della biblioteca. Il copialettere, conservato nella BUB in una capsula con etichetta Copialettere 1803-1869 e composto per lo più da minute di lettere scritte a librai e conoscenti, è dunque una fonte preziosissima di informazioni che ha permesso, insieme al resto delle fonti, di ricostruire la vita e il lavoro del bibliotecario4.
Ma dunque, chi era Caronti? Ecco un primo ritratto del bibliotecario, dipinto dalle parole dell’avvocato bolognese contemporaneo di Caronti Onofrio Lelli:
Modestia pari al merito, coscienza del proprio dovere, abnegazione nell’adempierlo scrupolosamente, animo leale e cuore generoso furono queste le doti che distinsero il cav. Andrea Caronti di cui la memoria rimane e rimarrà sempre impressa in chi lo conobbe e seppe apprezzare le sue virtù5.
Una descrizione simile, di un uomo mite e pacifico, è confermata qualche anno dopo da Olindo Guerrini6, collega e futuro direttore della BUB, quando definisce Caronti «uomo di carattere amenissimo, ma dotato di una tenacità di propositi e di una pazienza indicibile, cui andavano al pari la buona coltura e l’aborrimento per l’ozio»7. I meriti di Caronti non si limitano al suo buon carattere e si estendono senza dubbio alla sua professionalità: a parlare per lui, in questo caso, è il lavoro svolto per oltre cinquant’anni nella BUB, in particolare il grande catalogo a schede per autori che è tutt’ora conservato nella Sala Caronti, rinominata in suo onore. Si tratta senza dubbio del suo lavoro più noto e che gli procurò le lodi di importanti personalità del tempo. Abbastanza diffusa tra le fonti8 è, infatti, la notizia che lo vuole invitato da Antonio Panizzi, celebre padre fondatore della scienza catalografica contemporanea, a lavorare al catalogo del British Museum: una proposta che gli avrebbe procurato fama e guadagno («promettendogli a nome del governo larga ricompensa e anche un posto di bibliotecario con vistoso assegno»)9, se non fosse che Caronti rifiutò perché amava «troppo il sole d’Italia, per non essere disposto a fare un cambio colle nebbie inglesi»10. Sebbene a oggi il nome di Caronti non compaia nella corrispondenza di Panizzi11, è difficile credere che un simile invito, così carico di prestigio e onore, sia frutto dell’immaginazione di tanti biografi, dal collega e successore alla direzione della biblioteca Carlo Gemelli a Lelli.
Si propone di seguito una rassegna dei momenti più importanti della vita di Caronti, così da ripercorrerne la biografia e la carriera.
Paolo Giovanni Andrea Caronti nacque a Blevio, presso Como, il 27 gennaio 1798 da Paolo e Margherita Baserga. La maggior parte delle fonti12 concorda sulla data del 27 giugno 1798, ma consultando il registro delle nascite conservato presso la parrocchia di Blevio è stato possibile anticipare la data di nascita al mese di gennaio. All’età di circa sette anni, Caronti si trasferì con la famiglia a Bologna, dove nel 1817 conseguì la laurea in diritto canonico e civile e dove esercitò la professione solo per qualche anno perché ne fu «presto malcontento»13. Grazie alla protezione dell’arcivescovo di Bologna Carlo Oppizzoni14, nel 183015 Caronti partecipò al concorso per ottenere l’incarico di assistente bibliotecario in quella che allora era la Pontificia biblioteca dell’Università di Bologna16. Da quel momento in poi, si può dire che la carriera di Caronti era ufficialmente iniziata e si sarebbe sviluppata sempre e solo tra le mura della BUB.
Nella sfera personale, Caronti visse una vita del tutto normale, in una longeva tranquillità interrotta però da svariate malattie (provocate per lo più dalle pessime condizioni di lavoro dell’epoca) e da tristi lutti: sposò intorno al 1835 Clementina Groggia17 da cui ebbe tre figli, morti tutti in tenera età18. I dolori personali, affrontati con cristiana rassegnazione, non distrassero Caronti dalla sua biblioteca, anzi lo portarono a lavorare con sempre maggiore passione e dedizione, fino a consacrare la propria vita ai cataloghi. Il lavoro nella BUB era intervallato solo dall’interesse per le teorie sull’omeopatia, di cui Caronti era un grande appassionato. Il bibliotecario, infatti, era stato addirittura richiamato dalla Commissione di sanità perché pare producesse medicinali nei locali della biblioteca19. Nonostante il ricorso, che gli costò anche qualche guaio con Oppizzoni, Caronti continuò a interessarsi di medicina e di omeopatia, tanto da pubblicare (mai a suo nome) un paio di opuscoli sull’argomento20, e da prodigarsi insieme al dott. Alfonso Monti per aiutare gli ammalati e i bisognosi della città nel 1855, quando un’epidemia di colera colpì Bologna21.
Quando Caronti vinse il concorso nel 1830, Giuseppe Gasparo Mezzofanti, l’illustre poliglotta, una delle sette meraviglie d’Italia, era alla guida della biblioteca22. Secondo quanto scrive Gemelli, Caronti discusse immediatamente con Mezzofanti riguardo lo stato del catalogo23, del tutto inadeguato per una biblioteca di tale rilevanza. Mezzofanti gli chiese, dunque, di rivedere il catalogo, ma, constatati i numerosi difetti, Caronti ottenne l’autorizzazione per rifarlo da capo24. Il vero e proprio incarico, tuttavia, arrivò solo nel 1838, anno in cui Liborio Veggetti25 divenne bibliotecario e fu redatto il «Piano per la attribuzione di ciascun impiegato nella Pontificia biblioteca della Università secondo l’ordine di S. E. R. il sig. Cardinale Arcicancelliere», nel quale si legge: «I signori assistenti avv. Feletti26, sig. dr. Caronti avranno cura della esattezza del catalogo, sì per nome di autori, come per ordine di materia»27. In seguito alle dimissioni di Feletti, Caronti rimase l’unico a lavorare al catalogo. Le prime schede furono consegnate nel 184428 e il lavoro era certamente terminato nel 1861, come si evince da una lettera indirizzata a Luigi Frati29, appena un anno dopo la nomina a vicebibliotecario30. In ragione dei suoi meriti e dei suoi sacrifici, Caronti divenne finalmente bibliotecario, ossia direttore, nel 1866, con la messa a riposo di Veggetti.
Negli anni tra il 1830 e il 1866, Caronti si dedicò alla stesura del catalogo per autori e ad altri progetti catalografici di grandissima rilevanza, tra i quali ricordiamo il catalogo degli incunaboli (che approfondiremo a breve), il catalogo per materie, il ‘nomenclatore’ (come Caronti stesso definiva l’inventario topografico in più volumi della biblioteca) e i cataloghi della collezione di San Salvatore, pervenuta alla biblioteca in quegli anni in seguito alla soppressione degli enti religiosi31. A partire dal 1866, nei primi anni da bibliotecario, Caronti dovette gestire con non poche difficoltà le conseguenze del profondo risanamento del bilancio del Regno d’Italia che portò a tagli notevoli alle amministrazioni pubbliche, inclusa l’università. Caronti soffriva le ristrettezze economiche della biblioteca e si sforzò sempre di far quadrare i conti, spesso senza successo32. Le minute contenute nel copialettere sono per la maggior parte destinate a grandi editori, librai e testate di riviste: al loro interno, Caronti richiede volumi e fascicoli ma è spesso costretto anche a rifiutare proposte dei librai e a restituire titoli ricevuti non richiesti, in modo da contenere i costi il più possibile. Tra i nomi dei destinatari delle minute spiccano per importanza il Gabinetto scientifico letterario G. P. Vieusseux, Ermanno Loescher (libraio torinese), Eugenio Bianchi (direttore del «Giornale delle biblioteche») e Luigi Cremona (professore di statica grafica al Politecnico di Milano e senatore del Regno dal 1879, con cui Caronti sembrava intrattenere un’intima amicizia). Caronti ebbe rapporti anche con le principali autorità dell’università in quegli anni, uno su tutti Giosue Carducci, come testimoniato dalle lettere conservate presso la biblioteca del poeta33. Nonostante la fatica e i frequenti inconvenienti nella cura delle collezioni della biblioteca, Caronti cercò sempre di soddisfare i bisogni degli utenti e di gestire come meglio poteva la dote annuale, mantenendo buoni rapporti con editori e librai e facendo scelte oculate negli acquisti.
Prima di concentrarsi sul punto focale della ricerca, il catalogo manoscritto degli incunaboli, è necessario, per la mole e la qualità del lavoro, spendere due parole sul catalogo generale per autori. Conservato nella Sala Caronti della BUB, si compone di ben 1.370 raccoglitori rigidi neri, contenenti blocchi di schede di varia consistenza. Le schede direttamente compilate da Caronti ammontano a circa 150.00034, tutte con la stessa organizzazione spaziale delle informazioni: in alto a sinistra l’intestazione con il cognome e il nome dell’autore, o il titolo dell’opera se anonima; nella fascia subito inferiore della scheda, allineato a destra, il titolo o l’incipit del testo descritto; infine, la collocazione e alcune informazioni bibliografiche, quali il luogo di edizione, l’editore, l’anno di edizione, il formato ed eventualmente l’indicazione del tomo o del volume. Sebbene non esistessero all’epoca norme condivise per la redazione dei cataloghi, il lavoro di Caronti risulta funzionale, ben organizzato e sorprendentemente al passo con i tempi. La struttura del catalogo, infatti, rispecchia quelli che erano i principi di Antonio Panizzi: il catalogo del British Museum e le 91 rules sono contemporanei o di poco successivi rispetto all’attività di Caronti, motivo per cui è difficile sostenere che il bibliotecario sia stato influenzato, durante lo svolgimento dei lavori, dalle novità d’Oltremanica. L’eccezionalità del catalogo di Caronti sta proprio nella sua grande modernità, tanto da essere utilizzato ancora oggi per la consultazione della collezione storica della BUB, e nella mole dell’impresa, a cui Caronti si dedicò interamente in autonomia. Lavoro incredibile per un uomo solo, se si considera che si occupò oltre che della stesura delle schede anche delle svariate ricognizioni su tutto il patrimonio della biblioteca.
Secondo quanto scrive Guerrini, il catalogo degli incunaboli, su cui adesso ci concentreremo, sarebbe una conseguenza del catalogo per autori:
Caronti, lavorando così al catalogo, allorquando s’imbatteva in una edizione del secolo XV, faceva una breve annotazione in certe piccole schede, proponendosi forse di farne poi uno studio speciale e descrivere più ampiamente i nostri incunaboli in un catalogo separato35.
Le piccole schede di cui parla Guerrini compongono il ms. 21983, appunto il catalogo a schede degli incunaboli della BUB interamente manoscritto. La prima scheda funge da frontespizio ed è stata realizzata nel 1888 per mano dei due curatori che si occuperanno dell’edizione a stampa. Secondo quanto riferisce il frontespizio, il catalogo descrive gli incunaboli presenti in biblioteca nel 1872, per un totale di 1144: un’informazione così precisa si basa sull’inventario delle proprietà della biblioteca, redatto proprio da Caronti nel 187236. C’è una notevole discrepanza tra gli incunaboli attestati nel 1872 e quelli effettivamente descritti nel 1889 all’interno del catalogo a stampa (le voci arrivano a un totale 880, esclusi quattro esemplari ebraici descritti però nella prefazione): per provare a spiegare una tale differenza, è necessario entrare più a fondo nella descrizione del catalogo.
Gli incunaboli della Biblioteca universitaria di Bologna, negli anni in cui lavorò Caronti, erano disseminati per gli scaffali delle varie aule e non raggruppati in un unico luogo. Guerrini sostiene che i suoi predecessori, in particolare Mezzofanti, «stimarono che il tenere uniti i cimeli in un luogo solo potesse facilitare le spogliazioni in avvenire e si studiarono di confonderli col resto dei libri, quasi per nasconderli»37 nel caso di nuove invasioni, memori ancora del periodo napoleonico. Per questo motivo Caronti approfittò del lavoro sul catalogo generale per realizzare quello degli incunaboli, così da individuare e prendere nota delle edizioni del XV secolo possedute dalla biblioteca durante le svariate ricognizioni a scaffale.
La prima domanda che Caronti si sarà posto, in preparazione del lavoro, sarà stata probabilmente la seguente: cos’è un incunabolo? Tralasciando in questa sede la definizione e l’etimologia del termine, per cui si rimanda a fonti più autorevoli38, è importante considerare una questione: negli anni in cui Caronti lavora sugli incunaboli della BUB, l’incunabolistica è ormai una disciplina affermata che vanta già importantissimi studiosi. La sensibilità di Caronti nei confronti del libro delle origini, la consapevolezza del suo valore e la qualità del catalogo dimostrano una grande attenzione nei confronti dei principali incunabolisti dell’epoca e una fine attività di ricerca sui cataloghi e repertori già editi. Caronti raccoglie l’eredità di bibliografi quali Panzer, Brunet e Hain, così da meritare la menzione di Konrad Haebler e da partecipare a quello che quest’ultimo ha definito il «periodo d’oro dei cataloghi di incunaboli di singole collezioni»39.
Sebbene l’incunabolistica godesse già di raffinati studi, stabilire la data ultima per la definizione di incunabolo risultava difficile, e di fatto lo è tutt’oggi. È perciò possibile che Caronti in un primo momento fosse indeciso sulla data limite da considerare per il suo catalogo e il fatto che, alla fine, decida di definire incunaboli le edizioni precedenti il 1500, come è in uso oggi, non stupisce, considerando che prima di lui gli autorevoli Panzer e Hain avevano fermato le proprie opere bibliografiche a quella data. Sono proprio questi i nomi, insieme a quello di Brunet, più ricorrenti nelle carte di Caronti. I tre celebri bibliografi, che a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo avevano pubblicato importanti repertori di incunaboli e non solo40, sono citati di continuo nelle schede del ms. 21983, a testimonianza degli studi preliminari compiuti da Caronti e dei frequenti confronti che il bibliotecario fece tra i suoi esemplari e le edizioni già descritte. A ulteriore conferma dello studio di Caronti, si porta l’attenzione sull’esemplare del Repertorium di Hain conservato nella BUB: nei margini si trovano, in corrispondenza degli incunaboli posseduti dalla biblioteca, dei cerchietti pieni o vuoti scritti a lapis che, come sostiene Guerrini, sarebbero stati tracciati da Caronti durante la stesura del catalogo41. È importante, dunque, sottolineare anche in questo caso l’eccezionalità del lavoro: non un semplice elenco di incunaboli redatto da uno sprovveduto, ma un vero e proprio catalogo, che fa tesoro delle esperienze pregresse e si propone di valorizzare nel miglior modo possibile la preziosa collezione della sua biblioteca.
Il lavoro sugli incunaboli era sconosciuto persino ai colleghi di Caronti, tanto che Guerrini si meravigliò quando trovò le schede sulla scrivania del bibliotecario dopo la sua morte. Vista la qualità e l’importanza del catalogo, Guerrini decise successivamente di assegnare a Lodovico Frati42 e Alberto Bacchi della Lega43 l’incarico di lavorare su un’edizione a stampa. Come vedremo, i due giovani bibliotecari apporteranno notevoli modifiche alle schede in vista della pubblicazione; per il momento, ci soffermeremo sulle schede nella loro struttura originale, in modo da analizzare il catalogo nella forma immaginata da Caronti.
Il ms. 21983 si compone di 1.030 schede (18,5 x 13 cm), ordinate alfabeticamente e divise in due pile all’interno di una capsula. Normalmente, ogni scheda si compone di tre aree principali: l’area dell’intestazione, l’area della descrizione e l’area della collazione44. Nell’area dell’intestazione, che si trova nella parte alta della scheda, è presente il nome dell’autore o il titolo. Quando il nome dell’autore è noto, è frequente (ma non una regola) che segua tra parentesi anche il titolo ed eventualmente informazioni legate alla cura del testo. Le schede furono riordinate successivamente alla morte di Caronti, quando i curatori dell’edizione a stampa si occuparono di uniformare le intestazioni. L’area della descrizione consiste nella trascrizione facsimilare delle parti più importanti del libro in esame: oltre a incipit, explicit e colophon, Caronti riproduce fedelmente anche altre sezioni delle carte interne, così da garantire il riconoscimento dell’esemplare. Ogni trascrizione è preceduta dall’indicazione della carta corrispondente (che Caronti chiama foglio, sulle mosse di Hain che usava «f.» per folium), anche quando l’esemplare è privo di numerazione o segnatura. Oltre alla trascrizione facsimilare, sono presenti descrizioni di miniature, capilettera, marche tipografiche, registro ecc., sempre poste tra parentesi. Infine, l’area della collazione consiste nella descrizione dell’edizione: le informazioni, in forma abbreviata, si riferiscono al carattere, alla presenza o meno di segnatura o numerazione, alla mise en page, al formato e alle notizie essenziali quali il luogo, il tipografo e l’anno di stampa. Anche in questo caso si nota una certa irregolarità, per cui di rado sono presenti tutte le informazioni contemporaneamente, il formato è l’unico dato che non manca mai. Le notizie tipografiche sono spesso indicate tra parentesi anche quando non si trovano nel colophon: in questi casi, Caronti le ha dedotte da altri repertori oppure ha proposto una sua interpretazione, basandosi per esempio sul carattere, su informazioni interne all’opera e confrontando l’esemplare con altri descritti in precedenza. Ogni scheda è il prodotto di uno studio approfondito sull’incunabolo e sulle fonti. All’area della collazione segue la collocazione dell’esemplare, in modo che sia fisicamente reperibile, e altre note quali: la presenza di duplicati e la rispettiva collocazione; riferimenti esterni, per esempio a Hain, Brunet e Panzer; informazioni sullo stato di conservazione dell’esemplare. Infine, su alcune schede sono presenti parole chiave che indicano la materia di riferimento, solitamente poste in alto a destra o in basso a sinistra. Trattandosi di un lavoro non revisionato dall’autore, è prevedibile trovarsi davanti a un certo numero di irregolarità e di casi particolari.
Oggi le schede sono tappezzate di correzioni, aggiunte e cassature. Le modifiche avevano lo scopo pratico di preparare il catalogo alla pubblicazione e di colmare le lacune lasciate da Caronti; erano perciò necessarie, nonostante i cambiamenti siano talvolta alquanto drastici. Delle 1.030 schede, solo 126 sono prive di correzioni e poiché non tutte le schede confluiscono nel catalogo a stampa, per un motivo o per un altro, di queste 126 solo due schede saranno inserite nell’edizione finale. Le grafie diverse da quella di Caronti individuate nel ms. 21983 sono tre: Lodovico Frati, Alberto Bacchi della Lega e Antonio Boselli. I primi due, come si è detto, lavorarono sul catalogo proprio perché incaricati di preparare l’edizione a stampa; del terzo si dirà a breve.
Frati e Bacchi della Lega si divisero il lavoro di revisione e intervennero sulla stragrande maggioranza delle schede, apportando diverse correzioni. L’area dell’intestazione viene modificata al fine di uniformare i nomi degli autori e di poter disporre correttamente le schede in ordine alfabetico. Nell’area della descrizione, l’indicazione «fogl.» è sistematicamente corretta con «a car.»; inoltre, i curatori aggiunsero indicazioni sfuggite a Caronti circa la presenza di carte bianche e in alcuni casi corressero la segnatura. L’area della collazione è sempre cassata: le informazioni che si trovavano in quell’area vengono riscritte di seguito ma in forma estesa, con l’aggiunta di nuove notizie che riguardano la segnatura e la composizione dei fascicoli. Infine, la collocazione è sempre cancellata, come anche l’indicazione della presenza di altri esemplari in biblioteca.
Non tutte le schede presenti nella capsula sono di mano di Caronti. Un certo numero di schede è stato realizzato o da Bacchi della Lega o da Frati: si tratta di incunaboli che per qualche ragione sfuggirono a Caronti o che confluirono successivamente in biblioteca. L’impostazione delle schede segue quella attribuita da Caronti ma è carente di informazioni aggiuntive; per esempio, laddove manchino indicazioni tipografiche nel colophon, i due curatori non formulano ipotesi e non citano altri repertori. In alcuni casi, le schede originariamente compilate da Caronti ma rimaste in uno stato embrionale di descrizione sono state riprese dai curatori e approfondite. Potrebbe trattarsi di edizioni che in un primo momento Caronti non aveva considerato incunaboli e che successivamente furono integrate da Bacchi della Lega e Frati. In effetti, si tratta per lo più di edizioni pubblicate negli ultimi anni del XV secolo o senza data.
Il catalogo degli incunaboli, dopo essere stato corretto, viene pubblicato dunque con la cura di Bacchi della Lega e Frati nel 1889 dalla casa editrice Zanichelli a Bologna, ben sette anni dopo la morte del suo autore. La prefazione di Guerrini, direttore della BUB dal 1886, ha la duplice funzione di riassumere la storia della biblioteca e di presentare il catalogo di Caronti. L’edizione a stampa riproduce abbastanza fedelmente lo stato finale delle schede manoscritte, non presenta collocazioni e si compone, come anticipato, di 880 descrizioni. Un numero notevolmente inferiore rispetto a quello delle schede e una tale incongruenza si può spiegare considerando due casistiche. La prima: Caronti, incerto sull’ultima data utile per poter parlare di incunaboli, aveva annotato un certo numero di cinquecentine senza però descriverle approfonditamente; queste schede potrebbero rappresentare una prima fase preparatoria del lavoro di Caronti, essere state escluse dal bibliotecario stesso e perciò mai riprese e ampliate. La seconda: le schede escluse descrivono, con la grafia di Caronti, edizioni del XV secolo non trasposte nel catalogo a stampa o perché secondi esemplari di edizioni già descritte (Frati e Bacchi della Lega, con ogni probabilità, desideravano descrivere le edizioni e non i singoli esemplari), o perché mancanti nella loro collocazione (ben 21 incunaboli devono essere andati persi nel lasso di tempo tra la stesura del catalogo manoscritto e la revisione per la stampa). Non mancano, infine, i casi particolari: oltre alle situazioni descritte, ci sono molte discrepanze tra il manoscritto e l’edizione a stampa, ognuna delle quali trova una serie di ipotesi o spiegazioni a sé stanti. Il ms. 21983 è un oggetto stratificato e il suo rapporto con l’edizione a stampa è filologicamente complesso. Ogni descrizione, ogni scheda manoscritta e ogni voce del catalogo a stampa meriterebbe attenzioni e studi particolari.
In conclusione, le correzioni di Bacchi della Lega e Frati avevano senza dubbio il fine di preparare il catalogo manoscritto alla stampa. L’intervento dei curatori era anche necessario, in certi casi, per colmare le lacune lasciate da Caronti. Nonostante ciò, se si considerano gli intenti, il catalogo manoscritto differisce sensibilmente rispetto a quello a stampa: il primo nasce come strumento utile al bibliotecario, mentre il secondo tenta di essere una sorta di repertorio bibliografico fine a sé stesso, a metà tra la descrizione dell’esemplare effettivo e dell’edizione. Il catalogo a stampa non svolge affatto la funzione originaria voluta da Caronti: in assenza delle collocazioni, non consente il reperimento degli incunaboli, senza contare il gran numero di seconde copie presenti a scaffale ma non riportate nel catalogo a stampa, e perciò irrecuperabili senza la consultazione del manoscritto. Si aggiunga inoltre che le osservazioni di Caronti, le sue interpretazioni e i riferimenti ad altri bibliografi molto spesso non sono riportati nell’edizione a stampa. Tutto questo fa sì che non sia rispettata quella che filologicamente è definita l’ultima volontà dell’autore: la comprensione del progetto e del lavoro di Caronti non è possibile esclusivamente attraverso l’edizione del 1889 e richiede la consultazione del manoscritto.
Successivamente, Lodovico Frati pubblicò un’integrazione al catalogo di ben 32 incunaboli sfuggiti in precedenza45. Nella prima metà del Novecento fu invece il bibliotecario Antonio Boselli46 a lavorare su un’ulteriore aggiunta al catalogo di ben 66 esemplari47. Boselli, sebbene di una generazione successiva, desiderava comunque adeguarsi al lavoro svolto da Caronti e per questo riprese in mano il catalogo manoscritto, lasciando la propria traccia sulle schede con il lapis. Gli esemplari aggiunti da Boselli erano tanti e alcuni di essi erano anche facilmente reperibili e molto noti, motivo per cui il bibliotecario si stupisce della loro mancanza nel catalogo originale. Che il lavoro di Caronti non fosse impeccabile è certo: come si è visto, il catalogo manoscritto, alla morte del suo autore, non era concluso e, in generale, un lavoro svolto interamente in autonomia lascia sempre un margine di errore importante. Perciò, pur avendo visto e rivisto i libri della biblioteca durante la stesura degli altri cataloghi, è comprensibile che, in quella che è stata probabilmente la sua ultima fatica, Caronti si sia lasciato sfuggire degli esemplari. Oltre a ciò, è importante considerare che nel 1872 lo stesso Caronti dichiara ben 1144 incunaboli48, a una data in cui il bibliotecario ha già definito il 1500 come limite per la definizione di incunabolo: circa 200 incunaboli in più rispetto a quelli effettivamente descritti nelle schede manoscritte. C’è la possibilità, anche se complessa da dimostrare, che un certo numero di schede sia andato perduto. Si tratta di una discrepanza difficile da spiegare e che meriterebbe senza dubbio maggiori indagini. La ricognizione di Boselli, inoltre, porta alla luce non solo nuovi esemplari, ma anche degli incunaboli che Caronti aveva già individuato e che erano stati esclusi dai curatori del catalogo a stampa o perché duplicati o perché mancanti. Ci si potrebbe chiedere che fine abbiano fatto tutti gli incunaboli descritti da Caronti ma non ritrovati da Bacchi della Lega e Frati e, successivamente, da Boselli. Di recente, uno degli incunaboli mancanti è stato rinvenuto proprio in casa di Olindo Guerrini: una notizia del genere lascia ben sperare riguardo la possibilità di rintracciare, in futuro, gli altri esemplari mancanti. È evidente che la ricerca lascia ancora molto margine d’azione.
Il lavoro sugli incunaboli della biblioteca è proseguito anche negli anni successivi per mano dei bibliotecari che si sono passati il testimone: l’esemplare del catalogo conservato in BUB presenta una serie di note a lapis o in inchiostro (tra cui le collocazioni degli esemplari) e un’appendice composta da 16 voci dattiloscritte e 21 manoscritte. L’ultima ricognizione degli incunaboli è stata condotta da Maria Cristina Bacchi e Patrizia Moscatelli nel 199449.
Finita la descrizione del catalogo degli incunaboli, torniamo in conclusione a Caronti. Egli trascorse tutta la vita in attività nella sua amata biblioteca, sacrificando anima e corpo al lavoro, fino al punto di perdere la vista. Nel 1878, il rettore dell’epoca Francesco Magni insistette affinché il direttore della biblioteca si godesse il meritato riposo: così, da quell’anno Caronti è deposto dalla sua carica, all’età di ottanta anni e ormai quasi completamente cieco. Nonostante ciò, Caronti mantenne formalmente il suo ruolo fino all’anno della morte, avvenuta nel 188250. Dopo il funerale, celebrato nella Parrocchia di S. Martino a Bologna51, le spoglie furono seppellite nel Cimitero della Certosa. La lapide è povera, spicca il nome del padre di Caronti a cui seguono quello della moglie, dei figli e di altri familiari. Il nome Andrea Caronti, in particolare, è quasi illeggibile, come per una damnatio memoriae immeritata.
Pur ambendo a rispondere alle principali domande sul suo conto, la ricostruzione della vita e del lavoro di Andrea Caronti proposta brevemente in questa sede, e maggiormente approfondita nel lavoro di tesi di laurea da cui l’articolo nasce, non ha la presunzione di considerarsi definitiva, né tanto meno completa: al contrario, come anticipato nell’introduzione, la speranza è che queste conclusioni possano essere la base di partenza per nuove domande e ricerche su Caronti. Le strade da percorrere e mappare sono ancora tante e potrebbero portare a sviluppi inaspettati, coinvolgendo i personaggi di grande fama che conobbero Caronti e lo apprezzarono (sarebbe, per esempio, un successo trovare la corrispondenza con Antonio Panizzi). È giusto concludere con la descrizione di Andrea Caronti più bella e meritoria individuata nelle fonti, un breve ritratto affettuoso che rende onore e giustizia a un uomo che ha consacrato la sua intera vita all’amore per i libri e per l’ordine:
mi soccorre il ricordo suo […] per queste sale dove coll’occhio quasi spento accarezzava le lunghe file dei libri che egli ad uno ad uno aveva per tre volte tolto dagli scaffali e descritto, e sento le sue parole di conforto, i consigli paterni al novellino, il racconto delle fatiche durate e delle difficoltà vinte con tanta costanza52.
BUB, Inv. 3: Nomenclatore.
BUB, Inv. 13: Nomenclatore.
BUB, Inv. 15: Nomenclatore.
BUB, Inv. 20: Nomenclatore.
BUB, Inv. 25: Nomenclatore.
BUB, Inv. 34: Nomenclatore.
BUB, Inv. 35: Nomenclatore.
BUB, Inv. D4 D5 1-4: Nomenclatore.
BUB, Inv. D6: Nomenclatore.
BUB, Inv. D7: Nomenclatore.
BUB, Inv. D8: Nomenclatore.
BUB, Inv. D12: Nomenclatore.
BUB, Ms. 4118: Andrea Caronti, Catalogo de’ Mss. di S. Salvatore pervenuti l’anno 1867 alla Biblioteca dell’Università.
BUB, Ms. 4122: Catalogo dei codici del convento di S. Salvatore.
BUB, Ms. 4123: Andrea Caronti, Catalogo per materie dei codici di S. Salvatore.
BUB, Ms. 4124: Andrea Caronti, Catalogo a schede dei codici di S. Salvatore.
Articolo proposto il 15 maggio 2023 e accettato il 1° giugno 2023.
Ultima consultazione siti web: 17 aprile 2023.