Biblioteche, infrastrutture culturali e polifunzionalità: una mappatura data driven

Chiara Faggiolani, Alessandra Federici, Camilla Quaglieri

D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.
Italo Calvino1

Guardando alle biblioteche che abiteremo

Le biblioteche pubbliche sono attraversate da trasformazioni continue che fatichiamo a riconoscere nitidamente nel momento in cui avvengono. Ci accorgiamo della trasformazione quando è già compiuta, un po’ come accade con noi stessi: non siamo in grado di percepire sul nostro volto lo scorrere del tempo di giorno in giorno ma guardando a vecchie foto del passato vediamo nitidamente il nostro cambiamento. Ecco forse anche perché la metafora dell’organismo vivente di Ranganathan funziona così bene2. Forse oggi più che mai ne cogliamo il senso profondo.
La pandemia, in tal senso, è stata un acceleratore di fenomeni già in essere e oggi la consapevolezza circa la necessità di riprogettare spazi e tempi dei luoghi della cultura in linea con l’idea che sono infrastrutture indispensabili per il benessere e la qualità della vita3 è molto più diffusa come è diffusa la necessità di riprogettare in tal senso tempi e spazi delle città, del lavoro, della socialità, del vivere quotidiano.
José Antonio Ondiviela, direttore del WorldWide Observatory for Attractive Cities spiega che l’attrattività di ogni città deriva da due fattori che si combinano: la city profitability, ovvero un fattore razionale, una sorta di scala oggettiva in cui si integrano qualità della vita, opportunità di lavoro, servizi e ogni caratteristica più o meno misurabile; e il city magnetism ovvero un fattore soggettivo, quasi emotivo:

If we humanize the concept of cities, as a live ecosystem, clearly this emotional component would be the city’s soul, while the rational part would be its physical aspects, its body. Cities are not just places and spaces that you can live in, they are living entities with emotional components, they have a ‘soul’4.

Nel paradigma dello sviluppo umano le infrastrutture culturali e i loro operatori hanno bisogno di essere pensati e progettati con caratteristiche specifiche e in tal senso. Sono quell’elemento che contribuisce a determinare l’anima delle città.
La fluidità dei processi comunicativi, la fisionomia dei ritmi di vita, le specifiche caratteristiche del tempo in cui viviamo5 si scontra con ambienti fisici bloccati e bloccanti – e per questa ragione non più in grado di rispondere a contesti in continua evoluzione – e impone un graduale ripensamento che preveda soluzioni più flessibili, modulari, facilmente configurabili in base all’attività svolta, e in grado di soddisfare esigenze in divenire. In una sola parola ‘polifunzionalità’.
Nel nostro settore non è un concetto nuovo. Per attraversare velocemente alcune tappe salienti voglio ricordare che concretizzò questo tratto negli anni Sessanta in modo decisamente innovativo Bruno Zevi con l’esperimento di Dogliani: la flessibilità funzionale era un tratto fondamentale della biblioteca pubblica/centro culturale6. Negli anni Ottanta/Novanta, il tema è stato affrontato anche attraverso una riflessione sulla caratterizzazione delle biblioteche come centri polivalenti7 e negli anni più recenti Anna Galluzzi lo ha reintrodotto rispetto alle evoluzioni della città contemporanea, attraverso la felice espressione multipurpose library:

La multipurpose library si propone come il luogo di confluenza di quegli opposti che sono la cifra dominante della nostra società e che trovano nella città la loro massima rappresentazione. E di esempi se ne possono fare numerosi: si vive in un mondo globalizzato, ma si è sempre più legati allo specifico locale; si cerca la socialità, ma ci si fa anche portatori di un forte bisogno di solitudine; ci si aspetta servizi efficienti, ma si giudica sulla base del valore esperienziale e sulla trasmissione di senso; si ha un grande desiderio di libertà, ma spesso si manifestano anche sentimenti di abbandono; si cercano servizi costruiti su misura per noi, ma si è tranquillizzati dal riconoscimento dei tratti familiari e degli elementi di standardizzazione; si amano le grandi dimensioni, ma spesso ci si rifugia nelle piccole; si segue il branding, ma si apprezza anche l’unicità.

La multipurpose library – e dunque le grandi biblioteche pubbliche del futuro (ma alcuni esempi recenti già lo dimostrano) – può e deve configurarsi come il luogo in cui continuano a trovare posto gli studiosi, i lettori e tutti coloro che costruiscono percorsi conoscitivi per lavoro o per svago, ma trovano spazio anche coloro che cercano di dare significato, valore e unitarietà alla vita quotidiana8.

Arriviamo ad oggi. Come ci ricorda Elena Granata nel suo bellissimo saggio Placemaker: gli inventori dei luoghi che abiteremo,

i modelli spaziali che abbiamo ereditato non sono più in grado di interpretare l’evoluzione delle nostre vite, il modo in cui sentiamo di dover ripensare l’educazione, la salute, l’accesso alle arti, persino il consumo e il tempo libero. Dopo che abbiamo separato la cura del corpo da quella dell’anima, siamo diventati bravissimi a sanare le nostre ferite senza capire che la persona è una e che la sofferenza non è sempre legata al corpo e alla malattia9.

La visione tutta ottocentesca che vede la nostra vita collettiva ordinata in scatole per cui l’apprendimento e l’educazione sono affidate alle scuole, l’arte ai musei, la natura ai parchi ecc. e il sapere molto spesso è separato dalla pratica e l’educazione dall’esperienza oggi ci sta decisamente troppo stretta10. Sensazione che pervade quando si analizzano i ‘luoghi’ della cultura11 e, ovviamente, anche le biblioteche. Sensazione che si fa paralizzante quando si pensa alla vita possibile nel metaverso, la declinazione della rete in cui perfino lo smartphone sarà qualcosa che potenzialmente sarà percepito come statico, poiché non abbastanza immersivo.
Se nell’Ottocento c’era una distinzione molto netta tra luoghi di produzione e fruizione culturale nella logica del regime del mecenatismo12 dove musei, università, grandi biblioteche ecc. avevano un ruolo estremamente preciso, nel corso del Novecento tutto inizia a cambiare nel regime delle industrie culturali e creative fino ad arrivare al regime delle piattaforme digitali aperte degli anni Duemila in cui parallelamente alla diffusione di pratiche di innovazione sociale e culturale13 cominciano a nascere sul territorio ‘nuovi centri ibridi multidisciplinari e indipendenti’ fuori dai contesti più tradizionali della cultura14.
Sono spazi che sfuggono alle classificazioni tradizionali – non sono teatri ma si prestano a rappresentazioni, non sono cinema ma fanno anche questo, non sono biblioteche ma spesso i libri sono protagonisti – e per questo spesso non trovano spazio negli studi di settore. I promotori sono associazioni culturali, organizzazioni profit e non-profit, start up, cooperative e fondazioni. Quasi sempre i protagonisti sono giovani sui trent’anni provenienti da realtà informali, con una componente femminile leggermente predominante e percorsi di studio nelle discipline umanistiche ma non solo:

Il dato più significativo è che uniscono una naturale propensione all’imprenditività, tipica delle generazioni nate dagli ‘80 in poi, a una spinta esogena all’imprenditorialità derivante dalla crisi di interi settori e carriere tradizionali. Parliamo di aspiranti ricercatori universitari, manager della cultura, insegnanti di conservatorio, architetti e urbanisti, esperti di inter-cultura, curatori di arte contemporanea, grafici e designer, giornalisti di approfondimento, progettisti di politiche pubbliche, ecc. che oggi volgono lo sguardo all’imprenditorialità dopo aver toccato con mano l’impossibilità di fare di ciò per cui hanno studiato e che li appassiona un lavoro stabile e generatore di reddito. Allora provano a crearselo15.

Queste realizzazioni che sono soprattutto l’espressione di un bisogno, di una domanda che anticipa l’offerta, le istanze di comunità che possiamo definire flessibili, aperte e inclusive non si definiscono ‘mai’ biblioteche anche se spesso al loro interno, come anticipato, sono previste16
La natura ibrida di questi ‘nuovi’ spazi si manifesta soprattutto nell’ambito di una azione posta intenzionalmente tra culturale e sociale, due dimensioni concepite e percepite nella pratica non come contrastanti ma come naturalmente insieme, dove la seconda esprime una intenzionalità, un obiettivo cui tendere e la prima in genere un modo in cui farlo17.

Sono residenze d’artista nei borghi di montagna remoti. Opere d’ingegneria civile abbandonate – dighe, centrali elettriche, gallerie – riconvertite in laboratori teatrali, gallerie, sale proiezioni. Rifugi alpini che organizzano festival musicali. Bagni diurni dove si lava chi non ha acqua in casa e dove si fanno reading di poesia. Fabbriche e caserme riconvertite in auditorium, spazi espositivi, ristoranti sociali. Locali per la musica dal vivo che sono anche caffè letterari. Centri sociali occupati che sono club, spazi per la danza, laboratori di stampa. Biblioteche in cerca di nuovi nomi che ospitano laboratori di stampa 3D e sale prove. Cinema che accolgono gruppi di lettura e librerie che organizzano cineforum. Beni culturali dimenticati di cui si prendono cura gruppi di studenti. Vecchi circoli dove a fianco dei giocatori di briscola hanno iniziato a riunirsi gli appassionati di robotica. L’elenco potrebbe continuare per molte pagine, perché ogni nuovo centro culturale è una storia a sé18.

Si tratta di una dimensione ibrida che nasce in risposta ai bisogni dei territori e va nella direzione di colmare un vuoto d’offerta – più apparente che sostanziale in realtà, come vedremo – delle istituzioni ancora fondate su quelle categorie di pensiero novecentesche prima evocate e ormai superate19.
Una delle componenti distintive di questi luoghi è la multidisciplinarità fortemente connessa alla polifunzionalità o multifunzionalità, espressioni spesso usate come sinonimi e che tuttavia potrebbero esprimere una vocazione diversa. Mentre lo spazio multifunzionale mette l’accento sulla capacità di adattarsi a diverse funzioni, lo spazio polifunzionale potrebbe sottolineare ancora di più la diversità e la varietà delle attività che possono svolgersi nello stesso ambiente. Questa dimensione non ha a che vedere solo con la grandezza, la flessibilità e la fisionomia degli spazi che possono essere usati per diversi scopi ma anche con la commistione di competenze e la contaminazione tra esperienze di chi questi luoghi li progetta in senso culturale e li anima.
Questo contributo parte da questa riflessione e vi torna attraversando il concetto di ‘polifunzionalità delle biblioteche’ valorizzandone una inconsueta prospettiva data driven, ovvero a partire da una analisi dei dati del Censimento dell’Istat degli anni 2020, 2021 e 2022 che ci permette di definire una geografia molto precisa della polifunzionalità delle biblioteche italiane nel tempo sulla quale innestare una riflessione anche di tipo comparativo tra le biblioteche della contemporaneità e i nuovi centri culturali.

Per una geografia del servizio bibliotecario in Italia

Delle oltre 9.000 strutture presenti nella lista di partenza e contattate durante il terzo censimento condotto dall’Istat tra aprile e luglio del 202220, 7.886 hanno dichiarato di essere state attive e aperte al pubblico nel corso del 202121.
Distribuite su tutto il paese – in media tre ogni 100 km2, una ogni 7.000 abitanti – coinvolgono più di 5.186 comuni cioè sei comuni italiani su 10 possiedono almeno una biblioteca che agisce e opera nel proprio territorio. La maggior parte delle strutture (il 74%) si concentra in dieci regioni: Lombardia (1.462), Piemonte (794), Veneto (704), Emilia-Romagna (588), Lazio (500), Campania (480) Toscana (455), Sardegna (434), Trentino-Alto Adige (424) e Sicilia (419). La ‘classifica’ cambia se si rapporta il numero di biblioteche per 10.000 abitanti. Rispetto al dato a livello nazionale, pari a 1,3 biblioteche per 10.000 abitanti, l’offerta di strutture ai cittadini è più alta in Valle d'Aosta (4,6 biblioteche ogni 10.000 residenti), in Trentino-Alto Adige (3,9), in Sardegna (2,7) e in Friuli-Venezia Giulia (2,3). Seguono il Molise (1,9), il Piemonte (1,9), la Basilicata (1,5), la Lombardia e il Veneto (rispettivamente 1,5 e 1,4 biblioteche ogni 10.000 abitanti) (Figura 1).

Figura 1 – Biblioteche pubbliche e private aperte nel 2021 per regione: valori per 10.000 abitanti (Fonte: Istat, Indagine sulle biblioteche pubbliche e private)

I dati dimostrano quindi un adeguato numero di biblioteche a disposizione del cittadino anche nelle regioni in cui i centri urbani, di ampiezza demografica medio-piccola, sono dispersi su tutto il territorio. Se si prende in considerazione anche il valore della densità di popolazione residente in ciascuna regione22, emerge come manchi invece una congrua ‘copertura’ di biblioteche sul territorio soprattutto per i cittadini della Campania, del Lazio, della Liguria e della Puglia.
A livello comunale nonostante Milano, Torino, Bologna, Venezia e Genova al nord, Roma e Firenze al centro e Napoli, Palermo e Cagliari al sud siano le città con il maggior numero di biblioteche pubbliche e private – il valore oscilla dalle 244 biblioteche a Roma alle 33 presenti a Cagliari – queste rappresentano solo il 10,8% del numero totale di strutture presenti in Italia. Più che nei grandi poli urbani, le biblioteche sono presenti soprattutto nei piccoli e piccolissimi comuni italiani: nei centri fino a 5.000 abitanti si trova infatti il 41,1% delle biblioteche mentre circa il 30% agisce in comuni di medie dimensioni, dai 5.000 ai 30.000 abitanti.
L’Italia è dunque contraddistinta da un’offerta di strutture distribuita anche in aree marginali dal punto di vista geografico, socio-economico o infrastrutturale. Un terzo delle biblioteche risulta, infatti, localizzato nelle cosiddette ‘aree interne’, costituite da comuni ‘intermedi’, ‘periferici’ e ‘ultra periferici’23, lontani cioè dai principali centri urbani con una distanza che oscilla tra i 40 e i 75 minuti di percorrenza; il 40% si trova in comuni di cintura, cioè nelle aree urbane limitrofe i centri capoluogo.
In Italia le biblioteche a titolarità pubblica sono la maggioranza (79,6%): tra queste sette su dieci sono gestite da amministrazioni comunali. Le biblioteche a titolarità privata attive nel 2021 sono invece 1.613 (20,5%): il 43,1% appartiene a enti ecclesiastici, il 32,2% ad associazioni e il 16,4% a fondazioni.
La quasi totalità delle biblioteche censite (il 77,7%) è di pubblica lettura, svolge cioè una funzione orientata prevalentemente alla comunità locale del proprio territorio. Seguono le biblioteche il cui patrimonio librario è rivolto a una utenza specifica (il 16,1%) e quelle in cui prevale un carattere di ‘conservazione e custodia’ di fondi antichi e rari (6,1%). Tra le biblioteche appartenenti a queste due ultime tipologie, la maggioranza offre all’utenza un patrimonio orientato prevalentemente alle ‘arti e alle attività ricreative’ (il 27,1%), alle ‘scienze sociali’ (18,8%) o alla ‘geografia e storia’ (17%)24.
Le strutture censite sembrano aver risentito anche nel 202125 degli eventi straordinari del 2020: in base ai risultati del censimento, le biblioteche attive nel 2021 sono state aperte in media 183 giorni.
Questa contrazione del numero di giorni di apertura si rispecchia nella evidente diminuzione del numero di utenti che hanno usufruito in presenza dei servizi delle biblioteche. Sono infatti quasi 26 milioni gli accessi fisici registrati contro i quasi 50 milioni del 2019 (- 49%). Si tratta in media di 3.800 visite per biblioteca (erano 6.730 nel 2019) e di circa 140.000 utenti per giorni di apertura media delle strutture.
La presenza di biblioteche aperte e vitali sul territorio è ancor più significativa se consideriamo che in un comune italiano su 10 non sono presenti musei, librerie, non ci sono eventi culturali e proprio la biblioteca rappresenta l’unica infrastruttura culturale di riferimento. Per comprendere appieno la rilevanza di questo dato aggiungiamo l’altra faccia della medaglia: quasi il 17% dei comuni in Italia non dispone di nessuna infrastruttura culturale, nemmeno della biblioteca. Questo significa che circa 1,5 milioni di cittadini vivono in comuni che possiamo facilmente definire dei ‘deserti culturali’ e che proprio per loro diventa fondamentale poter trovare nei comuni limitrofi almeno una biblioteca aperta capace di accogliere e soddisfare le loro esigenze26.
Inutile sottolineare quanto la presenza di personale qualificato sia un elemento indispensabile per la definizione di questo concetto di vitalità che si sta tentando di definire.
Dal punto di vista dell’organico impiegato, nel 2021 si registrano poco più di 33.000 addetti tra personale interno, esterno, collaboratori, consulenti, volontari e operatori civili. Due biblioteche su 10 hanno soltanto una persona mentre circa il 30% conta tra le 2 e le 3 unità. Degli addetti totali la quota maggiore è ricoperta dagli impiegati interni della biblioteca (38,6%); seguono i volontari (32,4%), gli incaricati di enti esterni (14,8%), gli operatori civili (9,7%) e i consulenti esterni (4,5%).
Due biblioteche italiane su 10 hanno un organico composto interamente da personale che opera in maniera volontaria e gratuita; la maggior parte di queste biblioteche è presente in comuni con meno di 5.000 abitanti (il 62,9% delle biblioteche).
Prima della pandemia, nel 2019, il dato mostrava valori perfino più alti: infatti il 39,7% delle biblioteche era gestito esclusivamente da volontari. Questo andamento decrescente potrebbe collegarsi alla riorganizzazione delle collaborazioni e alla ridefinizione dei tempi di lavoro avvenuta in seguito al periodo di chiusura fisica delle strutture imposta dal pericolo di contagio da Covid-19. Il quesito presente nel questionario che rileva le misure adottate dalle biblioteche nell’organizzazione del lavoro in seguito all’emergenza sanitaria, evidenzia infatti come due strutture su 10 (il 22,6%) abbia ridotto il numero di volontari impiegati in biblioteca e al contempo abbia potenziato il lavoro agile per il personale interno.
Le soluzioni organizzative applicate post periodo pandemico potrebbero quindi aver inciso sulla tipologia e sulla varietà dei servizi messi a disposizione dell’utenza.

La polifunzionalità delle biblioteche prima e durante la pandemia

Guardando all’offerta delle 7.425 biblioteche censite dall’Istat prima della pandemia (nel 2019) oltre ai più tradizionali servizi di prestito e consultazione, numerose erano le biblioteche che organizzavano attività in presenza dedicate a specifiche categorie di utenti come laboratori del libro e gruppi di lettura (54% circa), animazioni e corsi per bambini da 0 a 13 anni (49% circa), corsi di formazione (37% circa), assistenza o supporto al pubblico nello scrivere curriculum, compilare moduli o fare i compiti (27% circa). Così come era alto il numero di biblioteche che sceglievano di mettere a disposizione i propri spazi e la propria esperienza per organizzare attività specificatamente culturali come mostre ed esposizioni temporanee (34,7%), proiezioni di film (24,3%), rappresentazioni teatrali e spettacoli musicali dal vivo (23,6%). Il 41% delle biblioteche svolgeva attività informativo-divulgative attraverso conferenze, convegni o seminari e il 25% era impegnato in attività di studio e di ricerca finalizzate alla conoscenza del territorio, anche in partenariato con altri enti o associazioni locali. Ancora troppo poche, invece, le biblioteche che nel 2019 dedicavano tempo e risorse per supportare l’utenza nell’information o nella digital literacy (rispettivamente 14,2% e 12,6%).
I dati appena riportati ci mostrano un panorama molto diversificato di servizi ma non una reale polifunzionalità, come qui la intendiamo e l’abbiamo definita in premessa. Per questa ragione è nata l’idea di costruire un indicatore dedicato27], calcolato prendendo in considerazione le biblioteche capaci di offrire ‘contemporaneamente’ i servizi sopra evocati, con l’obiettivo di stimare la capacità di offerta e la varietà delle attività messe a disposizione dell’utenza da parte delle strutture.

Figura 2 – Le attività delle biblioteche in Italia oltre il prestito (Fonte: Istat, Indagine sulle biblioteche pubbliche e private, anno 2020 su dati 2019)

Figura 3 – Indicatore di polifunzionalità 2019 (Fonte: Istat, Indagine sulle biblioteche pubbliche e private, anno 2020)

Come si vede in Figura 3 solo il 3,9% delle biblioteche italiane prima della pandemia poteva essere considerato realmente polifunzionale. In valore assoluto solo 292 strutture.
Su questo incideva soprattutto il personale che, come accennato nel paragrafo precedente, pur essendo un fattore fondamentale in senso assoluto in una visione sistemica può essere considerato fortemente ‘limitante’28. Come abbiamo avuto modo di vedere nel paragrafo precedente, nel 2019 il 39,7% delle biblioteche era gestito esclusivamente da volontari. Nel 2021 due biblioteche su 10 hanno soltanto una persona addetta mentre circa il 30% conta tra le 2 e le 3 unità. Come si poteva e come si può pensare di progettare e praticare polifunzionalità con queste risorse?
Poi è arrivata la pandemia da Covid-19 che ha ridimensionato fortemente anche l’altra leva fondamentale: lo spazio. Difficile poter dire se e come sono cambiati il radicamento e il senso di prossimità delle biblioteche percepito dagli utenti in seguito alle trasformazioni portate dall’emergenza pandemica29, sicuramente ciò che è molto cambiato è proprio il concetto di polifunzionalità.
Per poter effettuare un confronto tra la situazione prima e durante l’emergenza sanitaria, l’indicatore di polifunzionalità è stato ripensato e sono stati considerati i seguenti servizi erogati dalle biblioteche anche nei periodi di chiusura per il contenimento dell’emergenza pandemica: 1) digital e quick reference; 2) gruppi di lettura, laboratori e letture ad alta voce organizzate e attivate online; 3) corsi di information literacy svolti per gli utenti a distanza; 4) altri corsi di formazione offerti sempre attraverso il web.
Il principale risultato messo in evidenza dall’indicatore (Figura 4) è il numero ancora più esiguo di biblioteche italiane in grado di offrire contemporaneamente tutte le attività prese in considerazione: il 3,9% del 2019 nel 2020 è diventato 2,4%. Le strutture che sono state in condizione di farlo da 292 sono scese a 179.

Figura 4 – Indicatore di polifunzionalità 2019 e 2020 a confronto per regione (Fonte: Istat, Indagine sulle biblioteche pubbliche e private)

Il Piemonte è l’unica regione nella quale l’indicatore di polifunzionalità ha evidenziato una crescita nell’anno della pandemia, a significare una capacità di reazione fuori dal comune30.

 

La polifunzionalità delle biblioteche oggi

Arriviamo ora al nostro presente. I risultati emersi dagli ultimi tre censimenti mostrano un numero ancora esiguo di biblioteche che, oltre al servizio di prestito e/o di consultazione del patrimonio librario, offrono una serie di attività e di servizi dedicati a facilitare il processo di democratizzazione della conoscenza, a garantire iniziative culturali per tutti, a soddisfare le esigenze provenienti dalla comunità locale.
Negli ultimi due anni sono in generale diminuite le biblioteche che ai più tradizionali servizi di prestito e consultazione sono capaci di affiancare le altre attività anche singolarmente: la percentuale delle biblioteche che organizza attività in presenza dedicate a specifiche categorie come laboratori del libro e gruppi di lettura, animazioni e corsi per bambini da 0 a 13 anni è passata dal  54% del 2019 al 49% circa nel 2021; lo stesso è accaduto per i corsi di formazione, dove la percentuale è scesa dal 37% circa del 2019 al 29% circa del 2021; così l’assistenza o supporto al pubblico nello scrivere curriculum, compilare moduli o fare i compiti che è scesa dal 27% circa al 22% circa. Lo stesso è accaduto incredibilmente per le attività di information literacy e digital literacy che pure hanno visto scendere la quota percentuale rispettivamente di 4 e di 1 punto. 

Figura 5 – Le attività delle biblioteche in Italia oltre il prestito (Fonte: Istat, Indagine sulle biblioteche pubbliche e private, anno 2019 e 2021 a confronto)

L’indicatore di polifunzionalità, costruito sulla capacità delle biblioteche di garantire contemporaneamente le sei attività sopra descritte (tra quelle proposte nel questionario Istat)31, mostra nel tempo un trend altalenante: è quasi il 3,9% nel 2019 (292 biblioteche), scende al 2,4% durante la pandemia (179) per poi attestarsi al 3% nel 2021 (237 biblioteche). Al di là dell’andamento della percentuale nell’arco dei tre anni considerati, il numero di biblioteche polifunzionali è davvero esiguo. È da questo dato che bisogna partire.
Per comprendere meglio il perché la maggioranza delle biblioteche italiane non è attrezzata per offrire all’utenza servizi diversificati, potrebbe essere di aiuto focalizzare l’attenzione sulle caratteristiche peculiari delle biblioteche che invece hanno risorse e capacità per farlo. È importante poter delineare gli aspetti distintivi che consentono a tali strutture di essere ‘polifunzionali’, cioè presenti e disponibili su più fronti contemporaneamente, al fine di individuarne tratti comuni che possono essere di ispirazione e utilità per tutte le altre.
Intanto la quasi totalità delle biblioteche polifunzionali è di pubblica lettura, quindi non si rivolge a una specifica categoria di utenza ma è aperta ad accogliere tutto il pubblico che vuole usufruire dei servizi offerti. Queste biblioteche sono presenti in centri urbani medio-grandi, con una ampiezza demografica che oscilla dai 10.000 ai 50.000 abitanti. Tra le regioni con maggior numero di biblioteche ‘polifunzionali’ figurano Puglia, Basilicata, Sardegna e Calabria per il Mezzogiorno, Umbria e Toscana per il centro mentre tra le regioni del nord Italia la concentrazione maggiore di biblioteche polifunzionali è soprattutto nella provincia di Trento, in Piemonte e in Emilia-Romagna (Figura 6).

Figura 6 – Indicatore di polifunzionalità dati 2021 per regione (Fonte: Istat, Indagine sulle biblioteche pubbliche e private)

Se nel 2021 la media dei giorni di apertura di una biblioteca era di 6 mesi, queste strutture dichiarano un mese di apertura al pubblico in più e registrano quasi il doppio di accessi e di prestiti fisici totali rispetto al resto delle biblioteche censite.
Dal punto di vista del numero di impiegati il dato mostra un valore medio pari a 8 addetti contro i 5 riscontrati a livello nazionale. Le biblioteche polifunzionali hanno in media un numero maggiore di operatori: il 22,4% afferma di avere un organico composto da un numero di addetti tra i 6 e i 10 mentre a livello nazionale la percentuale di biblioteche con questa caratteristica scende al 14,5%. In particolare le strutture ‘polifunzionali’ mostrano valori più alti della media italiana per quanto riguarda la percentuale di impiegati interni (42,1% contro il 38,6% del totale delle biblioteche), di personale di enti, cooperative esterne (17% contro il 14,8%) e di personale del servizio civile nazionale (12% contro il 9,7%). Più bassa invece la presenza di volontari e di consulenti esterni: sono rispettivamente presenti nel 23,6% e nel 4,5% delle biblioteche polifunzionali contro il 32,4% e il 6,1% del totale delle biblioteche censite. Soprattutto questo dato meriterebbe una ampia riflessione che per ragioni di spazio non apriamo ma che evidenzia davvero lo stato di fortissima precarietà della gran parte delle biblioteche italiane.
Oltre alla varietà di servizi offerti all’interno della struttura, le biblioteche ‘polifunzionali’ dimostrano di essere attive e presenti sul territorio. Con un valore percentuale quattro volte maggiore delle altre biblioteche, partecipano attivamente e organizzano con altri enti e/o associazioni, progetti di inclusione destinati a persone che vivono disagi fisici, motori o cognitivi, o che si trovano svantaggiati dal punto di vista socio-economico.
A livello nazionale le biblioteche che hanno attivato collaborazioni con enti terzi, realizzando progetti destinati a persone con disabilità fisico-sensoriale, emotiva o con disturbi cognitivi sono il 13,1%; poco meno quelle che hanno realizzato progetti rivolti a persone che vivono in povertà economica, educativa o culturale (12,4%) e a cittadini immigrati (12,3%). Solo il 3% del totale delle biblioteche italiane ha organizzato attività specificatamente indirizzate alla popolazione detenuta negli istituti penali o presente in casa famiglia.
L’attitudine delle biblioteche polifunzionali all’inclusione è decisamente più alta: la metà si dedica ad attività che coinvolgono soggetti che vivono in povertà economica, educativa o culturale (52,7%) oppure che hanno disturbi fisico-cognitivi (51,5%) o si attiva nei confronti di chi è straniero immigrato in Italia (50%); quasi 2 biblioteche su dieci organizzano attività dedicate a coloro che sono in strutture di recupero (17%).
Questa maggiore attenzione al territorio e alle istanze che provengono da alcune parti specifiche del tessuto sociale si inserisce quindi in un ambiente fertile, ricco di attività e di servizi rivolti, in generale, a tutto il bacino d’utenza della biblioteca. Le caratteristiche strutturali e funzionali di queste biblioteche –  tra le quali, abbiamo visto, spicca la presenza di un maggior numero di operatori –  consentono, evidentemente, una maggiore disponibilità nei tempi di apertura al pubblico, nella varietà di servizi da offrire, nella progettazione di attività dedicate a tutti i cittadini anche quelli che, altrimenti, potrebbero rimanere esclusi o ai margini del coinvolgimento in attività culturali.
Dalla lettura di questi dati nasce inevitabilmente un interrogativo: sono le ‘qualità’ della biblioteca che permettono alla stessa di offrire contemporaneamente più attività alla comunità oppure è la comunità di riferimento che sollecita la biblioteca a strutturarsi affinché possa rispondere al meglio ai suoi bisogni?

 

La polifunzionalità dei nuovi centri culturali

Come anticipato, parallelamente a questo approfondimento è sembrato importante cominciare a mappare in modo puntuale un fenomeno ampiamente diffuso a livello nazionale che merita di essere approfondito: i cosiddetti ‘nuovi centri ibridi multidisciplinari e indipendenti’ nati in Italia negli ultimi 10 anni e in continua evoluzione e crescita. Si tratta di un ambito importantissimo da conoscere per il nostro settore che si inserisce in una riflessione più ampia sul concetto di ‘impatto inverso’ – la questione sollevata dalla domanda con la quale si chiude il paragrafo precedente – sul quale il Laboratorio di biblioteconomia sociale e ricerca applicata alle biblioteche (BIBLAB) sta lavorando32. Si tratta di capire cioè quali condizioni riconducibili al contesto esterno siano in grado di incidere sulla vitalità delle biblioteche, ricostruendo le dinamiche interagenti tra i sistemi con i quali coesistono – altri luoghi della cultura, le istituzioni pubbliche, la città, la comunità ecc. – e una conoscenza più approfondita dei nuovi centri culturali nati dal basso, spesso esempio di innovazione sociale, può aiutare a farlo33.
Un’opportunità per riflettere su questo fenomeno è stata offerta dall’indagine promossa e condotta dall’agenzia per la trasformazione culturale cheFare34, che attraverso un questionario pubblicato sul sito dell’agenzia tra il 2020 e il 2021, ha raccolto i dati di 845 nuovi centri culturali autosegnalati da parte di operatori, proprietari o frequentatori degli stessi. A questo insieme di dati possono essere aggiunte le informazioni relative a un’ulteriore tipologia di luogo della cultura rappresentata da 615 circoli Arci35, che in molte città italiane svolgono un importante ruolo di promozione culturale.
Impiegando la tecnologia GIS nell’analisi di questi dati è stato possibile geolocalizzare le singole strutture e successivamente costruire delle cartografie che permettono di osservare la loro distribuzione sul territorio nazionale (Figura 7).

Figura 7 – Centri culturali e circoli Arci

Dall’analisi dei dati sui centri culturali intercettati da cheFare e di quelli riferiti ai circoli Arci si riscontra una caratteristica che accomuna l’offerta di attività di questi diversi spazi pubblici dedicati alla cultura: la polifunzionalità.
Per questa ragione, le mappature georeferenziate dei nuovi centri culturali e dei circoli Arci sono state arricchite con la rilevazione delle biblioteche italiane polifunzionali, ovvero quelle strutture che in occasione della prima edizione del Censimento dell’Istat hanno dichiarato di offrire i sei servizi in aggiunta a quelli di prestito e consultazione, come visto nel paragrafo precedente.
Come si può notare dalla Figura 8, la distribuzione di queste particolari biblioteche insiste nelle stesse aree del paese caratterizzate anche dalla presenza dei nuovi centri culturali e da quella dei circoli Arci, confermando in questo modo una dinamica che appare dominante e che alimenta il consolidamento dei luoghi dedicati alla cultura prevalentemente dove questi risultano già radicati.

Figura 8 – Centri culturali, circoli Arci e biblioteche polifunzionali

Questa sorta di ‘effetto San Matteo’36 sembra manifestarsi soprattutto in contesti urbani di dimensioni contenute.
Se si osservano le caratteristiche dei comuni in cui queste strutture si trovano, oltre all’origine geografica, si riscontra infatti un’altra similitudine. Del totale dei comuni dotati di almeno un circolo Arci, di un centro culturale o di una biblioteca polifunzionale, le percentuali più alte sono riferite alle città di dimensioni medio-grandi con una popolazione residente compresa tra i 10.000 e i 50.000 abitanti.
Dalle evidenze emerse grazie alle citate analisi geospaziali è nata l’esigenza di progettare un’indagine in corso presso BIBLAB, focalizzata sui comuni con meno di 50.000 abitanti in cui uno dei nuovi centri culturali coesiste con una biblioteca polifunzionale, tenendo conto anche dell’eventuale presenza di un circolo Arci, con l’obiettivo di conoscere le differenze e le relazioni tra queste diverse tipologie di spazi pubblici in termini di domanda e offerta di servizi culturali, quindi di riflettere sul loro posizionamento e di analizzarne la reputazione attraverso un approccio qualitativo, utile anche a individuarne i potenziali impatti.
Riconoscere nella polifunzionalità di questi luoghi il loro principale tratto in comune ha richiesto inevitabilmente di dedicare la prima fase di indagine alla comprensione dei fattori determinanti di questa qualità. Dall’analisi delle risposte ottenute grazie alle oltre 800 autosegnalazioni raccolte da cheFare e dagli aspetti caratterizzanti riconosciuti nelle biblioteche polifunzionali attraverso l’approccio data driven prima ricordato, è stato possibile stabilire che la capacità di proporre numerose attività di partecipazione culturale attinenti ad ambiti diversi sia strettamente dipendente da tre elementi: la fisionomia e la flessibilità degli spazi; la quantità di operatori e la loro capacità di gestire un palinsesto di eventi eterogenei; le collaborazioni con altri attori del territorio. Per questo motivo, durante la ricerca in una prima fase esplorativa sono state realizzate delle interviste con alcuni stakeholder – tra cui bibliotecari, presidenti di circoli, operatori e gestori dei centri – per approfondire il peso di questi tre aspetti sulla polifunzionalità dei luoghi.
Per rispondere a questa esigenza esplorativa, le autopresentazioni che gli intervistati sono stati invitati a fare all’inizio di ogni intervista si sono rivelate fondamentali, perché hanno offerto a questi responsabili l’opportunità di definire l’identità delle realtà in cui operano. Il racconto di come sono state istituite le biblioteche oppure delle vicende che hanno portato alla costituzione dei circoli Arci e alla nascita delle esperienze dei centri culturali, hanno permesso infatti agli stakeholder intervistati di associare al loro modo di fare cultura, quindi alla loro proposta polifunzionale di attività, i tratti che li caratterizzano.
Nonostante le loro differenze, tutti questi luoghi manifestano sia nelle intenzioni che nella pratica un’identità ‘glocale’ che si riferisce da un lato al forte radicamento nel territorio in cui operano, dall’altro alla loro ambizione a offrire opportunità di partecipazione culturale riconducibili a uno scenario nazionale e internazionale, soprattutto in termini di modalità delle proposte e dei temi trattati. Il tratto identitario della ‘glocalità’, che accomuna queste esperienze e che allo stesso tempo le distingue anche da luoghi della cultura similari, non rappresenta solo un tema emergente, ma può essere inteso come un fattore apicale della loro polifunzionalità, da cui poi dipenderebbero le determinanti già ricordate: gli spazi, il personale e le alleanze.
In particolare, parlando del personale, tutti gli intervistati hanno fatto riferimento a ‘gruppi di lavoro trasversali’ costituiti da figure diverse e talvolta specializzate in diversi ambiti professionali. Questo aspetto sembra produrre degli effetti rilevanti sulle strategie di programmazione delle attività. In questo modo, infatti, se l’organizzazione del servizio complessivo viene distribuito tra più figure, ognuna delle quali si occupa di specifiche attività sulla base di competenze e interessi personali, si instaura un proficuo processo sinergico tra gli operatori, grazie soprattutto alla presenza di un coordinatore, per cui è sempre l’intero gruppo a equilibrare l’offerta complessiva indirizzandola verso gli obiettivi della propria organizzazione.
A partire da questa dinamica operativa, le soft skills del personale assumono un’importanza decisiva, tra queste infatti rientrano la capacità di saper lavorare in gruppo e di lavorare per progetti, a cui si aggiungono anche le capacità relazionali come l’essere empatici, sapersi confrontare nel gruppo e la capacità di saper costruire alleanze.
In riferimento alle strutture fisiche, invece, in molti casi queste sedi rappresentano il risultato di progetti di rigenerazione urbana e recupero di locali abbandonati. Grazie alle interviste è stato esplicitato l’intento da cui nascono tali progetti culturali o biblioteconomici, ovvero quello di offrire alla propria comunità un luogo di aggregazione sociale a forte vocazione culturale, che fosse allo stesso tempo anche un simbolo di riappropriazione urbana e un contesto aperto di confronto per tutta la comunità. Questa vocazione viene rispettata sia nell’articolazione architettonica interna delle strutture, per l’assenza di barriere simboliche o divisorie tra le diverse aree, sia nella dichiarata volontà di proporsi come un luogo accogliente e inclusivo, prima che moderno o polivalente.
La trasversalità delle competenze del personale e la predisposizione architettonica all’accoglienza si lega anche al tema delle alleanze, che per i responsabili si manifestano in una duplice rete di collaborazioni. Per gli intervistati la propria esperienza si basa spesso su una rete di collaborazione non solo interna, costruita tra i colleghi, gli operatori o i soci iscritti nel caso dei circoli Arci, ma anche esterna e diffusa nel territorio in cui operano, che non raramente si estende anche oltre i limiti della propria città. Questa doppia diramazione delle alleanze deve ovviamente essere ricondotta all’identità glocale di questi luoghi, nonché alla predisposizione a costruire collaborazioni ‘allineate’37, quindi basate su una comune visione di cultura e sul perseguimento di obiettivi sociali condivisi. In questo senso, accanto all’identità glocale, il secondo fattore apicale della polifunzionalità di questi luoghi sembra riconducibile a una visione di cultura come strumento di benessere e di promozione sociale38.
Intendere la cultura come un mezzo e non come il fine della partecipazione culturale rappresenta un cambiamento di prospettiva cruciale per la riflessione sulla polifunzionalità. Adottando questa visione, infatti, il senso stesso di ‘polifunzionalità’ assume un significato più puntuale, che non coincide semplicemente con l’idea di offrire la possibilità di ‘fare tante cose’, ma che al contrario si riavvicina al suo significato semantico di ‘assolvere molteplici funzioni’. A partire da questa riflessione iniziale, è stato possibile capire che la disponibilità di spazi flessibili, la presenza di particolari figure professionali e la costruzione di una rete di alleanze non basterebbero da sole a rendere uno luogo della cultura ‘polifunzionale’.
Questi tre fattori, senza una chiara identità e una visione progettata, quindi senza la consapevolezza che attraverso la cultura è possibile perseguire obiettivi sociali generando un impatto positivo sulla propria comunità, non sarebbero sufficienti per svolgere un ruolo fondamentale all’interno del sistema del benessere del proprio territorio.

Articolo proposto l’8 giugno 2023 e accettato il 19 giugno 2023.


Note

Le autrici condividono i contenuti del contributo nel suo insieme. Si precisa che vanno attribuiti a Chiara Faggiolani i paragrafi Guardando alle biblioteche che abiteremo e La polifunzionalità delle biblioteche prima e durante la pandemia; ad Alessandra Federici i paragrafi Per una geografia del servizio bibliotecario in Italia e La polifunzionalità delle biblioteche oggi; a Camilla Quaglieri con Chiara Faggiolani il paragrafo La polifunzionalità dei nuovi centri culturali.

Ultima consultazione siti web: 6 giugno 2023.

1 Italo Calvino, Le città invisibili, presentazione dell’autore con unno scritto di Pier Paolo Pasolini. Milano: Mondadori, 2018, p. 42.
2 Cfr. Shiyali Ramamrita Ranganathan, The five laws of library science. Madras; London: The Madras Library Association; Edward Goldston Ltd., 1931.
3 Rimando a Le biblioteche nel sistema del benessere: uno sguardo nuovo, a cura di Chiara Faggiolani. Milano: Editrice bibliografica, 2022.
4 Si veda il rapporto del WorldWide Observatory for Attractive Cities 2022 disponibile qui:
http://ddfv.ufv.es/bitstream/handle/10641/3143/WWObservatoryAttractiveCities%202022.pdf?sequence=1&isAllowed=y. Si veda anche José Antonio Ondiviela, Beyond smart cities: how to create an attractive city for talented citizens. Berlin: Springer International Publishing, 2021.
5 A questo proposito si veda Judy Wajcman, La tirannia del tempo: l’accelerazione della vita nel capitalismo digitale. Roma: Treccani, 2020 e Pascal Chabot, Avere tempo: saggio di cronosofia. Roma: Treccani, 2022. Per una riflessione sulla riprogettazione del tempo delle biblioteche si veda Chiara Faggiolani, Riprogettare il tempo delle biblioteche per lo sviluppo umano, «cheFare», 30 marzo 2023, https://www.che-fare.com/almanacco/riprogettare-il-tempo-delle-biblioteche-per-lo-sviluppo-umano/.
6 «La biblioteca non è una ‘scatola’ non per un proposito figurativo, ma per i molteplici contenuti del suo organismo». Cfr. Chiara Faggiolani, Come un Ministro per la cultura: Giulio Einaudi e le biblioteche nel sistema del libro. Firenze: Firenze University Press, 2020, p. 47.
7 Si vedano a titolo esemplificativo alcuni volumi dalla fisionomia molto diversa: Ezio Sellino; Pier Paolo Poggio, Biblioteche: ricerca e produzione di cultura. Milano: Feltrinelli, 1980; Filippo M. De Sanctis; Paolo Federighi, Pubblico e biblioteca: nuove frontiere del lavoro educativo all'uso del libro. Roma: Bulzoni, 1981; Massimo Accarisi; Massimo Belotti, Abitare la biblioteca. Roma: Blu Oberon, 1984. Si veda in particolare la 5a conferenza nazionale per i beni librari, organizzata dal Ministero per i beni culturali in collaborazione con la Regione Lombardia e l’Editrice bibliografica, il 7 e 8 marzo 1996 a Milano che ha offerto numerosi spunti di riflessione riguardo alle trasformazioni in corso nelle funzioni e nell’assetto delle biblioteche. Cfr. La biblioteca tra spazio e progetto: nuove frontiere dell’architettura e nuovi scenari tecnologici, 5a conferenza nazionale per i beni librari. Milano: Editrice bibliografica, 1998.
8 Anna Galluzzi, Biblioteche per la città. Roma: Carocci, 2009, p. 136.
9 Cfr. Elena Granata, Placemaker: gli inventori dei luoghi che abiteremo. Torino: Einaudi, 2020, p. 12. Il placemaker come inventore dei luoghi è per l’autrice un ibridatore che restituisce senso e anima agli spazi. Ovviamente il titolo del paragrafo si rifà a questo volume.
10 Ibidem.
11 Usiamo ‘spazio’ per indicare un luogo vuoto e ‘luogo’ come spazio riempito di relazione.
12 Pier Luigi Sacco, Piattaforme digitali aperte, luoghi della connessione: le biblioteche e la sfida dell’inclusione, «AIB studi», 60 (2021), n. 3, p. 517-519, DOI: 10.2426/aibstudi-13007.
13 Si veda Ezio Manzini, Politiche del quotidiano. Roma: Edizioni di comunità, 2018.
14 Si veda Spazi del possibile: i nuovi luoghi della cultura e le opportunità della rigenerazione, a cura di Roberta Franceschinelli. Milano: Franco Angeli, 2021; Roberta Franceschinelli, Alla ricerca di spazi creatori di futuro: prossimità, integrazione, co-creazione. In: La città agita: nuovi spazi sociali tra cultura e condivisione, a cura di Roberto Albano, Alfredo Mela ed Emanuela Saporito. Milano: Franco Angeli, 2020.
15 Suggerisco la lettura di questo interessante confronto: C’è un grande prato verde dove nascono speranze? Bandi e innovazione culturale nelle parole dei project manager dei maggiori progetti italiani, «Il Giornale delle Fondazioni», 15 luglio 2015, http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/c%E2%80%99%C3%A8-un-grande-prato-verde-dove-nascono-speranze-bandi-e-innovazione-culturale-nelle-parole.
16 In questo scenario sono fondamentali i bandi di Fondazione Unipolis Culturability a sostegno di progetti innovativi in ambito culturale e creativo ad alto impatto sociale, che recuperano e danno nuova vita a spazi, edifici, ex siti industriali abbandonati o sottoutilizzati (cfr. Spazi del possibile cit.); i bandi cheFare (si veda La cultura in trasformazione: l’innovazione e i suoi processi, a cura di cheFare. Roma: Minimum Fax, 2015); quelli della Fondazione Cariplo o della Fondazione Compagnia di San Paolo.
17 Questa riflessione è oggetto del volume Le biblioteche nel sistema del benessere cit.
18 Così comincia l’introduzione di Bertram Niessen a Bagliore: sei scrittori raccontano i nuovi centri culturali. Milano: Il saggiatore, 2020 [e-book]. Il corsivo nel testo è mio.
19 Si veda Chiara Faggiolani, Porosità e permeabilità di un nome: riflessioni intorno al volume di Maria Stella Rasetti La biblioteca e la sua reputazione, «Biblioteche oggi», 40 (2022), n. 7, p. 3-11, DOI: 10.3302/0392-8586-202207-003-1.
20 Il Censimento sulle Biblioteche pubbliche e private (Psn IST-02777), è realizzato dall’Istat nella cornice del Protocollo d’intesa per lo sviluppo del sistema informativo integrato su istituti e luoghi di cultura, firmato con il Ministero della cultura (MiC), le Regioni e le Province autonome, in stretta collaborazione con l’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche (ICCU) e l’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Conferenza episcopale italiana (CEI) e grazie alla convenzione tra l’Istituto nazionale di statistica (Istat), il Dipartimento per le politiche di coesione (DPCoe) Presidenza del Consiglio dei ministri e l’Agenzia per la coesione territoriale (ACT) che ha consentito la realizzazione a cadenza annuale delle indagini sulle istituzioni e i luoghi della cultura, rendendo quindi possibile la raccolta e l’aggiornamento sistematico e puntuale dei dati sulle biblioteche italiane.
21 Nel censimento sulle biblioteche dell’Istat sono oggetto di rilevazione tutte le biblioteche pubbliche, statali e non statali, e private, che svolgono servizio di conservazione e consultazione di volumi, opuscoli e/o altro materiale a stampa e multimediale, con regolarità e continuità per una utenza esterna. Sono escluse le biblioteche scolastiche e universitarie.
22 La misura è espressa in abitanti per chilometro quadrato (ab./km²).
23 Si definiscono ‘comuni aree interne periferici’ i comuni italiani svantaggiati in termini di accesso ai servizi essenziali per la salute, l’istruzione e la mobilità, che distano più di 40 minuti dal polo più vicino ‘dotato di servizi’ (almeno un liceo, un istituto tecnico e un istituto professionale; almeno un ospedale sede di Dipartimento di emergenza e accettazione di primo livello; almeno una stazione ferroviaria di tipo silver); mentre si definiscono ‘comuni aree interne ultra-periferici’ quelli distanti più di 75 minuti.
24 La classificazione utilizzata si riferisce alle dieci classi principali del sistema bibliotecario di Classificazione decimale Dewey (CDD).
25 Nell’ambito delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, nel 2021 il Ministero della salute, in base alla ripartizione dell’Italia in ‘zone bianche, gialle o arancioni’, ha attuato una serie di ordinanze sulla chiusura al pubblico, di alcuni giorni, rivolte ai luoghi della cultura comprese le biblioteche.
26 Per un approfondimento sul tema vedi: Fabrizio Arosio; Alessandra Federici, Il profilo delle biblioteche attraverso i dati: piattaforme d’informazione e socialità. In: Le biblioteche nel sistema del benessere cit., p. 51-74.
27 L’indicatore di polifunzionalità è dato dal rapporto tra numero di biblioteche che offrono contemporaneamente tutti i servizi e numero di biblioteche aperte al pubblico nell’anno di riferimento. I servizi presi in considerazione sono: 1) promozione della lettura, laboratori del libro, gruppi di lettura, incontri con gli autori; 2) animazioni e/o laboratori per i bambini (0-13 anni); 3) assistenza o supporto ai cittadini nello scrivere il proprio curriculum, compilare moduli e fare i compiti; 4) alfabetizzazione informativa (information literacy); 5) facilitazione digitale (digital literacy); 6) altre attività didattiche e formative. Si veda Chiara Faggiolani, Alessandra Federici, La vitalità delle biblioteche italiane: una nuova geografia post-pandemia. In: Le tre leve della biblioteca: innovazione, prossimità, comunità. Relazioni del Convegno delle Stelline 10-11 Marzo 2022, Milano, Editrice Bibliografica, 2022, p. 7-20, DOI: 10.53134/9788893574631-7.
28  Si considera un ‘fattore limitante’ un input necessario al sistema che però a un certo momento ne limita l’attività. Cfr. Donatella H. Meadows, Pensare per sistemi: interpretare il presente, orientare il futuro verso uno sviluppo sostenibile. Milano: Guerini next, 2019 [e-book]. Questo dato emerge con forza da una indagine in corso realizzata dal Laboratorio di biblioteconomia sociale e ricerca applicata alle biblioteche (BIBLAB) in collaborazione con AIB Marche dedicata ad approfondire le condizioni di lavoro dei professionisti nelle biblioteche marchigiane.
29 Non dimentichiamo che mentre le biblioteche erano chiuse al pubblico i prestiti digitali sono esplosi ed è drasticamente aumentata la presenza delle biblioteche su Facebook, Twitter, Instagram. Dal censimento dell’Istat emerge, infatti, che ben il 42,4% delle 7.459 biblioteche censite nel 2020 ha incrementato la presenza e le attività sui social media.
30 A questo proposito utile ricordare l’indagine “La biblioteca per te” realizzata in piena pandemia che ha visto la partecipazione di circa 67.000 utenti delle biblioteche italiane. Le biblioteche del Piemonte hanno ottenuto il numero più alto di risposte (il 33,17%) evidenziando un fortissimo radicamento nelle proprie comunità di riferimento ma anche la grande voglia dei bibliotecari di rimanere in contatto e far sentire la propria voce. Si veda Chiara Faggiolani, Biblioteca casa delle opportunità: cultura, relazioni, benessere. Report dell’indagine “La biblioteca per te”. Roma: Sapienza Università editrice, 2021.
31 Si fa riferimento alla presenza o meno nella biblioteca dei seguenti servizi: 1) promozione della lettura, laboratori del libro, gruppi di lettura, incontri con gli autori; 2) animazioni e/o laboratori specificatamente rivolti ai bambini (0-13 anni); 3) assistenza o supporto ai cittadini nello scrivere il proprio curriculum, compilare moduli e fare i compiti; 4) alfabetizzazione informativa (information literacy); 5) facilitazione digitale (digital literacy); 6) altre attività didattiche e corsi formativi.
32 È in corso di stampa il volume di Camilla Quaglieri, L’impatto delle politiche culturali sulla vitalità delle biblioteche: una prospettiva transdisciplinare. Per BIBLAB si veda https://web.uniroma1.it/lcm/laboratorio-%E2%80%93-biblab.
33 Alcune considerazioni su questo sono riportate in C. Faggiolani, Porosità e permeabilità di un nome cit.
35 Cfr. https://www.arci.it/. La ricerca che qui si presenta è il frutto della collaborazione di BIBLAB con cheFare e Arci. Si veda anche la ricerca Essere moltitudine sugli spazi culturali di comunità realizzata proprio da cheFare e Arci, cfr. https://www.moltitudine.it/.
36 La dinamica dell’effetto San Matteo si riferisce al processo preferenziale per cui le risorse disponibili vengono ripartite tra più attori non per il loro valore intrinseco, bensì per quello reputazionale e sulla base di quanto già hanno. Nei contesti richiamati, pertanto, l’azione di questi luoghi avrebbe contribuito positivamente alla reputazione del settore culturale, promuovendo nel tempo l’emergere di nuovi spazi pubblici dedicati alla cultura.
37 In una visione sistemica, il concetto di ‘allineamento’ si riferisce alla tendenza per cui ogni componente sistemica riconoscendosi parte di una struttura più complessa agisce in sinergia con le altre parti al fine di perseguire obiettivi comuni e condivisi dall’intero sistema. In ambito biblioteconomico, il tema dell’allineamento è stato finora trattato prevalentemente in relazione alle biblioteche universitarie. Per approfondire cfr. Agnese Bertazzoli, Biblioteche e modelli di biblioteca nelle strategie delle università italiane: un’indagine su allineamento e impatto atteso, «AIB studi», 61 (2021), n. 2, p. 323-338, DOI: 10.2426/aibstudi-13298.
38 Si veda Roberta Paltrinieri, Il valore sociale della cultura. Milano: Franco Angeli, 2022.